Si fa presto a dire 'Resta!'
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About this ebook
Carlo Della Giusta
Born in 1968, Carlo grew up in Udine in the north-eastern region of Italy, and took a master’s degree in computer science at the university there. He has worked as a software engineer for more than twenty years, distinguishing himself in several businesses, from small start-ups to multinational corporations, both in Italy and abroad, in Austria and the United Kingdom.
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Si fa presto a dire 'Resta!' - Carlo Della Giusta
I
ANNO NUOVO, VITA NUOVA
Natale con i tuoi
Mi trovo all’esterno dell’ospedale di Udine, mentre sto attendendo mia madre, che è andata a fare una visita. Telefono al mio capoufficio Phil, a Londra.
Phil? Sono Carlo, ti sto chiamando dall’Italia…
.
Ehi Carlo, come va? Ho saputo di tuo padre, mi dispiace
.
Grazie mille, a questo proposito volevo chiederti se era possibile prolungare il rientro di una settimana. Avevo prenotato il volo per il cinque gennaio, ma vorrei tornare più tardi per sistemare ancora un paio di cose
.
Non c’è problema, come ti avevo detto, prenditi pure il tempo che ti serve
.
Ti ringrazio molto, ancora una settimana penso sia abbastanza, puoi avvisare tu l’ufficio personale?
.
Non preoccuparti, penso a tutto io, ci vediamo quando rientri in azienda
.
Mio padre è mancato tre giorni prima di Natale, solo ventiquattro ore prima di rincasare per le ferie natalizie. I funerali inglesi hanno dei tempi molto più lunghi, passano anche un paio di settimane tra il decesso e le esequie, contrariamente al paio di giorni in cui avviene la sepoltura in Italia. Ecco il motivo per cui il permesso compassionevole
(quando un parente stretto viene a mancare) è molto più lungo nel Regno Unito, per cui il mio datore di lavoro non si aspetta che io rientri a lavoro immediatamente.
Già qualche tempo prima che mio padre, malato di cuore da più di vent’anni, entrasse in crisi cardiaca e dopo solo una settimana passasse a miglior vita, avevo invitato a casa per il pomeriggio del giorno di Santo Stefano un po’ di persone. Decido di non disdire l’appuntamento e di vedere gli amici lo stesso, almeno per fare due chiacchiere e riprendermi dal trauma di questa esperienza. Molti pensieri in questi giorni mi frullano incessantemente per la testa: mio padre è venuto meno ed io non ero lì per dare man forte a mia madre e a mia sorella. Non avrei potuto fare nulla di più, beninteso, ma almeno avrei potuto essere presente. In questi giorni sto cercando di dare un po’ di tranquillità soprattutto a mia madre. Come da procedura le hanno congelato
il conto corrente cointestato con mio padre, sicché si è trovata da un giorno all’altro senza disponibilità di liquidità. Poi ha un problema con il riscaldamento in casa: avrebbero dovuto installarle una stufa, ma non è quella che voleva, ed io sto cercando di permutarla con una di tipo diverso. Certo, se la sarebbe cavata lo stesso, esattamente come ha fatto con le pratiche per il funerale, ma sono io a sentirmi fuori posto. Sono partito l’anno scorso per lavorare nel centro della finanza londinese e in questo primo anno mi sono già difeso bene, prendendo le mie belle soddisfazioni. Londra è sempre stata una città magica per me, un amore intenso. Purtroppo l’improvvisa crisi di mio padre, la settimana antecedente a Natale, ha lasciato in me il segno. Ho ancora in mente le telefonate fatte solo alcuni giorni prima, per chiedere notizie a mia sorella. Andavo a chiamare in una piccola area antistante alle scale antincendio, lontana dai disturbi dell’ufficio. La vista, da quella zona, dà direttamente sul grattacielo al numero venti di Fenchurch Street, nel centro della City, soprannominato dai londinesi Walkie-Talkie
per la sua forma curva e bombata, come quella dei microfoni con cui i radioamatori parlano tra di loro. Il mese di dicembre fa buio presto a nord e le vetrate illuminate del palazzo sono magnifiche, lì, giusto di fronte ai miei occhi. Il pensiero di trovarmi in un posto fantastico, con un panorama mozzafiato davanti a me, e sentire le persone care soffrire lontano mi gettava addosso un senso di grandissima alienazione e soprattutto d’impotenza, dovuta alla consapevolezza di non poter fare nulla, assolutamente nulla. E non è nemmeno stata l’unica volta. Solo due mesi prima, alla fine di ottobre, il signor Enore, padre di un mio carissimo amico, è mancato lasciandomi dentro una pessima sensazione di vuoto. Enore era un inno alla vita, una persona veramente cara. Le due perdite in successione hanno riproposto sempre lo stesso tema: non essere riuscito a stare vicino a loro come avrei voluto.
Per fortuna la settimana aggiuntiva in Italia mi lascia il tempo di respirare un po’: riesco a sistemare il problema con il riscaldamento e ad avviare le procedure per la successione. Sto per qualche giorno in più con il mio piccolo nipotino di neanche un anno ed approfitto per riuscire a giocare un po’ con lui. Insomma, semplice vita con la famiglia e gli amici più stretti. Giusto un anno fa stavo per partire per Londra, accidenti a come vola il tempo! Mi ritrovo quasi per magia teletrasportato trecentosessantacinque giorni in avanti, con un’idea ancora vaga del fatto se il sacrificio ne sia valsa la pena. Quella che mi si prospetta davanti sarà un’altra annata decisiva, purtroppo lo so benissimo. Forse avrò l’opportunità di cambiare occupazione: di recente ho ricevuto parecchie proposte piuttosto attraenti. L’azienda in cui lavoro in questo momento non sembra prospettarmi opportunità di crescita soddisfacenti, per cui molto probabilmente cederò alle lusinghe. Inoltre la mia ragazza ha terminato i corsi d’inglese, ora riesce ad esprimersi in maniera comprensibile. Anche per lei l’anno prossimo sarà un po’ la prova del nove
, nel cercare un impiego nell’ambiente estero, di certo una bella sfida. Con questi pensieri le vacanze volano in un attimo e siamo già ai saluti. Durante l’anno appena trascorso siamo scesi in Italia piuttosto spesso. Per il prossimo, invece, non abbiamo programmi, non sappiamo nemmeno dare un riferimento ai nostri cari su quando ci rivedremo di preciso.
Il verso giusto delle cose
Le volte in cui rientro per vacanza in Italia, cioè nel continente
come dicono gli isolani inglesi, mi scontro col problema inverso a quello sperimentato nel primo periodo di permanenza londinese: l’abitudine a guardare dal lato giusto della strada
per attraversarla porta inevitabilmente a guardare dal lato sbagliato
secondo gli standard dell’altro paese. Quindi ogni volta sono sonori colpi di clacson degli automobilisti italiani, forse stupiti di vedermi guardare dal lato contrario a quello in cui le auto stanno arrivando.
La differenza nella mano da tenere sulla strada ha una storia piuttosto lunga. Come i mancini sanno benissimo, ahimè, il nostro è sempre stato un mondo per destri. Se ai tempi del medioevo ti capitava di passeggiare assieme alla tua bella per le strade piene di potenziali brutti ceffi, la tenevi sottobraccio al tuo braccio sinistro e camminavi proprio sul ciglio sinistro della strada. Come conseguenza, la donzella era almeno teoricamente più protetta: alla sinistra della dama c’era il bordo della strada, alla sua destra c’eri tu. Tutti i potenziali felloni erano costretti quindi a passare alla tua destra. In questo modo, estraendo la spada (con la mano destra), eri pronto a difendere quel lato non appena l’arma usciva dal fodero. Le coppie a passeggio, grazie a questa strategia, circolano inevitabilmente con verso a mano sinistra, esattamente come le automobili nel Regno Unito. Essendo stati gli inventori delle locomotive, gli inglesi hanno diffuso questo verso di circolazione anche nel traffico ferroviario, a tutt’oggi standard nelle strade ferrate di tutto il mondo. Perché allora nel continente circoliamo in auto al contrario rispetto a loro? Non esistono delle fonti storiche attendibili, ma si imputa la causa alla rivoluzione francese, in particolare a Robespierre. Al tempo, infatti, bisognava distruggere tutti i privilegi e sfidare la nobiltà. Cosa può esserci di più rivoluzionario del circolare nel verso esattamente opposto a quello mantenuto fino a quel momento?
La mano da tenere per strada in suolo inglese è cosa già nota da tempo. Quella che non conoscevo è la mano da tenere
nelle manifestazioni di affetto. Da buon italiano, quando ti baci o ti abbracci, sei solito porgere per prima la tua guancia sinistra, spostandoti leggermente sulla destra per abbracciare chi hai di fronte. Beh, in Gran Bretagna è l’opposto! Nulla di male o di strano, intendiamoci, è una pura e semplice convenzione. Ma lo impari "the hard way (alla maniera dura), cioè andando a sbattere rovinosamente con la fronte contro quella del tuo interlocutore quando ti pieghi verso la tua destra e lui verso la sua sinistra, e come risultato corri il pericolo di darti una capocciata. Oppure rischi di dare un bacio in bocca alla tua interlocutrice quando ti sposti dalla sua stessa parte e ti ritrovi in un attimo d’imbarazzo, nel quale non sai di preciso da quale parte devi andare. Anche in questo caso l’effetto
siamo in due a passare per il corridoio, tu da che parte vai?" si traduce in un paio di secondi di finte a destra e sinistra alla maniera dei pugili quando tentano di schivare un pugno. Prima di lanciarti a salutare affettuosamente qualcuno, quindi, devi imparare a domare l’istinto: chiediti qual è la sua nazionalità, poi punta esattamente al suo lato giusto, ed il gioco è fatto!
Tu valuti, io valuto
Una volta ritornato al lavoro, mi attende la valutazione di fine anno, quello che gli inglesi chiamano "appraisal. Non sono nuovo a questa pratica, essendoci già passato un paio di volte buoni quindici anni fa, quando lavoravo in Austria. Ogni sei mesi, solitamente a giugno e alla fine dell’anno, il tuo diretto responsabile compila una scheda sul tuo operato nel periodo precedente. Si analizzano i progressi, gli aspetti richiedenti correzione o approfondimento, si fissano gli obiettivi lavorativi per il periodo seguente. La valutazione serve per decidere il valore economico del tuo eventuale aumento di salario. Il sistema retributivo inglese non prevede la tredicesima mensilità, ma è prassi estremamente diffusa elargire alla fine dell’anno una somma
una tantum a totale discrezione dell’azienda, il cosiddetto
bonus". Le aziende mettono a disposizione una cifra totale da distribuire, più o meno sostanziosa a seconda del bilancio dell’annata. Se sono in perdita, ovviamente, possono riservarsi la possibilità di decidere di non distribuire alcuna cifra. L’ammontare del bonus è strettamente legato al giudizio sul lavoratore: una valutazione particolarmente scarsa fa ricevere un bonus molto basso o nullo. Il meccanismo dell’appraisal lascia a bocca aperta tutti gli italiani a cui lo racconto, è almeno in teoria un circolo virtuoso. La cruda realtà come al solito è leggermente diversa. Non voglio essere frainteso, intendiamoci, di certo non è anti-meritocratica come la situazione media italiana, ma neanche l’idillio teorico dipinto dai blog e dai siti internet che pretendono di spiegarti come si va a lavorare a Londra con successo
. Di fatto, il tuo capo è il tuo unico giudice. Se la sua valutazione (che resta agli atti dell’ufficio personale) non ti piace, o se secondo te non è stata totalmente corretta, non hai nessun modo concreto di opporti. Nella fase di revisione puoi manifestare il tuo differente punto di vista, e dunque sei libero di esprimere ogni perplessità a riguardo. Ma è sempre il tuo capo, a suo insindacabile giudizio, a decidere se il tuo punto di vista ha un senso oppure no e dunque a decidere se accettare le tue obiezioni o meno. Alla fine dei conti, quindi, è sempre meglio avere un buon rapporto con il tuo responsabile per evitare sorprese. Esattamente come in madrepatria, a parte per lo strato di educazione tipicamente anglosassone. Resta soltanto un assoluto dato di fatto: andare d’accordo con un qualsiasi manager nel Regno Unito è estremamente più semplice rispetto all’Italia.
Il mio capoufficio Phil mi attende in una stanzetta per discutere la valutazione semestrale a quattr’occhi. Mi presento all’appuntamento piuttosto fiducioso: gli affari dell’azienda vanno a gonfie vele, la valutazione di giugno scorso è stata brillante e nel frattempo mi è stata affidata la supervisione di un gruppo di tre persone per un progetto ormai giunto a maturità, con ottimi risultati. Giusto un anno fa, appena entrato in azienda, avevo fatto notare ciò che per me rappresentava un punto critico: la retribuzione offerta era inferiore a quella che mi attendevo, specialmente considerate le spese per vivere nella capitale inglese. Avevo ricevuto ampie assicurazioni a riguardo, nel tempo di un anno si sarebbe potuto ridiscutere la cifra e raggiungere quella da me proposta, tra l’altro di poco più alta. Ragione in più per essere sereno e fiducioso del risultato di questo appraisal. Iniziamo a leggere i punti chiave della valutazione, non senza un certo imbarazzo.
Scrittura dei programmi: Phil è molto contento della qualità del software, così come lo era stato nella valutazione scorsa. Il codice è scritto bene ed in maniera efficiente, con merito particolare alla parte delle valute sintetiche, un problema risolto assieme al mio sottogruppo. Per i prossimi sei mesi l’obiettivo assegnato dal manager è di leggere un libro sulla metodologia agile
, dovranno farlo anche tutti gli altri membri del team. Bene, sono contento.
Progettazione: ho proposto un’idea per ristrutturare una parte di software piuttosto difficile da leggere, in modo da deannodarla
e renderla più chiara. La proposta è piaciuta molto, per cui se ne fa menzione. Altro bel voto.
Test: ho continuato ad aggiungere analisi per migliorare l’affidabilità di alcune parti di programma, oltre ad aver collaborato con due colleghi per diffondere l’uso di alcune tecniche piuttosto avanzate ed ora tutto il team sta cominciando a usarle. Ennesimo punto positivo portato a casa.
Controllo incrociato del lavoro con gli altri: sottopongo sempre le mie parti di programma alla verifica altrui, a mia volta faccio le revisioni del codice degli altri in tempi brevi, offrendo sempre suggerimenti appropriati.
Comunicazione: tutto bene, sono molto più comunicativo rispetto al resto del team. La cosa non mi stupisce, qualsiasi italiano lo sarebbe stato, è una pura questione culturale.
Leadership: ottimo esempio per i membri del sotto-team.
Comportamento professionale: impeccabile come al solito, finalmente esprimo un certo orgoglio nel sistema dopo i dubbi iniziali (non ho una precisa idea di cosa significhi).
Alla fine della valutazione, ottima e lusinghiera, Phil riassume: l’azienda è contenta della mia prestazione, per cui mi riconosce un bonus ed un aumento. Mi consegna una busta intestata, la apro e leggo. Il bonus è circa un quarto di quelli normalmente elargiti nella City, mentre l’aumento di stipendio non raggiunge la cifra promessa l’anno scorso dopo aver visto cosa sai fare
. Non siamo nemmeno a metà strada: ci troviamo alla metà di metà strada. Non riesco a nascondere una smorfia di profonda delusione. Esprimo al mio capo una serie di dubbi. Avevo accettato una riduzione salariale perché potessero provare la merce Carlo
, e nonostante un anno dopo possano considerarsi contenti, mi fanno una proposta economica a un quarto di strada
: sembra quasi un’offesa al buonsenso. Non siamo minimamente vicini alla parola data un anno fa. Oltre al danno la beffa: per dodici mesi ho rifiutato proposte da recruiter per importi molto superiori a questo. Ciliegina sulla torta, anche il bonus è un quarto dell’ammontare di una tredicesima mensilità, come è standard in parecchie aziende nella City. Totalmente inaspettato, ecco il colpo di scena in risposta alle mie perplessità. Phil, nonostante la sua nazionalità britannica, si comporta da vero… italiano! Nega che le altre aziende della City diano bonus superiori a questo. Poi sull’aumento di stipendio non decide lui
. Comunque l’adeguamento salariale rispetta la media per aziende simili nello Square Mile. Il classico me ne lavo le mani
, tanto in voga nella mia patria natale. Conosco quanto vale normalmente un bonus, mi viene ribadito un paio di volte a settimana quando i cacciatori di teste mi chiamano! Hanno raccontato tutti delle grandi bugie? Non pensi forse che io sia preparato su questo argomento? Per l’ennesima volta né il mio disappunto né la protesta per essere stato in qualche modo tradito della parola data sortiscono alcun effetto. D’improvviso parecchie cose mi risultano chiare. Capisco il motivo dell’alto avvicendamento di lavoratori: nella nostra azienda, composta di ottanta persone, ho visto andarsene circa un dipendente ogni mese. Una delusione tanto cocente quanto inaspettata. Mi sono impegnato parecchio, ho gestito bene il mio team, ho avuto dei giudizi lusinghieri. Poi, al momento di riconoscere le mie fatiche, banali scuse della peggiore Italia trabocchetara
, travestite da valore medio di mercato.
Per un pelo
In fondo, molto spesso, è solo questione di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Proprio all’inizio di questo secondo anno in terra londinese, capita un’occasione in tempismo perfetto, giusto dopo la valutazione dai risultati economici deludenti. Vengo interpellato da un recruiter con cui non avevo mai avuto contatti in precedenza per una posizione in una grossa banca d’investimento internazionale, una di quelle chiamate in gergo "the big boys (i grandi ragazzi), i pezzi da novanta, insomma. Quando nello Square Mile si muovono i
big boys, in genere ti fanno delle offerte talmente generose che non puoi rifiutare. Il recruiter mi dice che stanno cercando un candidato per un ruolo assolutamente analogo al mio in questo momento, insomma sembro calzare perfettamente nel profilo richiesto per quel posto di lavoro. Il curriculum però serve solo come prima informazione di contatto. Al contrario di molte aziende italiane, mai nessuna inglese si accontenterebbe solo di una lista di capacità scritte su un foglio, tutti vogliono avere la prova effettiva della validità delle competenze dichiarate: in fondo la carta si lascia scrivere, anche in Gran Bretagna. Proprio per questa ragione vengo sottoposto ad una prova via internet tramite uno dei più conosciuti portali di valutazione per candidati: più di quattro ore filate di domande su argomenti d’informatica e di programmazione davvero parecchio difficili. Mi prendo una sera libera, inizio il test alle sette e vado avanti fino a mezzanotte, salvo una breve pausa per cenare tra un test e l’altro, nutrendo lo spirito ed il corpo con un buon boccone. Forse è la prova più impegnativa mai fatta in vita mia, tanto da far sembrare anche gli esami universitari più severi una semplice passeggiata. Forte ormai di una certa esperienza di test di questo tipo in terra inglese, i risultati sono assolutamente brillanti: sono nel primo quattro per cento assoluto dei candidati per certe prove, nel primo otto per cento assoluto nelle altre. Un trionfo, forse la migliore performance di sempre nella mia carriera lavorativa. Non sono il solo a festeggiare. Il cacciatore di teste vede il suo potenziale candidato sulla buona strada per tramutarsi in una sostanziosa commissione, per cui si spreca in lodi e diventa stranamente quanto tempestivamente mio amico, che più amico non si può. Con la prestazione del test ho superato la soglia del
top dieci per