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Conseguenze
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Conseguenze

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About this ebook

Dopo anni di sofferenze, James adesso può cercare vendetta. Ha studiato e imparato, è diventato ricco e ha cambiato il suo aspetto fisico. Come molte altre persone che hanno subito il bullismo e sono state maltrattate, James vuole solamente che gli venga chiesto scusa. Se i suoi tormentatori non lo faranno, allora ci saranno delle conseguenze.

Un romanzo avvincente e appassionante sul grossissimo problema del bullismo, una storia che esplora quello che spinge James al limite. E quando lo raggiunge, cosa succede quando si libera dei suoi demoni e come troverà la felicità nell'amore e nell'aiutare gli altri.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMar 20, 2018
ISBN9781547520473
Conseguenze
Author

Peter C. Bradbury

Born near Manchester, England, I became a Butler in 1985. After working in many very large homes, I moved to California in 1994 after marrying my wife, Debbie, who is from San Francisco.I started writing because I was always being asked, "What is it like to work for wealthy people?" I turned some of my experiences into a novel, and called it Stonebridge Manor.Since that first book, which is a murder mystery, I have written thrillers and I have just finished my fifth book.I write in a very entertaining style, whatever the subject, and I hope you enjoy them.I still have family in the UK and in the USA, and I enjoy football (soccer) and golf.

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    Book preview

    Conseguenze - Peter C. Bradbury

    CONSEGUENZE

    DI

    ––––––––

    PETER C. BRADBURY

    A volte devi pagare le conseguenze delle tue azioni.

    Questo libro è dedicato a mio nipote Bryce e ai milioni di altri che hanno sofferto per mano dei bulli.

    Tutti i personaggi in questo romanzo sono interamente fittizi. Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o vengono usati in forma romanzata.

    Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, eventi o luoghi è interamente involontaria.

    SOMMARIO

    1.

    2.

    3.

    4.

    5.

    6.

    7.

    8.

    9.

    10.

    11.

    12.

    13.

    14.

    15.

    16.

    17.

    18.

    19.

    20.

    21.

    22.

    23.

    24.

    25.

    26.

    27.

    28.

    29.

    30.

    31.

    32.

    33.

    34.

    NOTE

    PRECEDENTI PUBBLICAZIONI

    1.

    ––––––––

    Aveva covato l’odio per anni, compilato la sua lista e si era preparato, fisicamente e mentalmente, pensando a tutti i torti che gli erano stati fatti nei suoi trent’anni di esistenza. Adesso era pronto a mettere in atto la sua vendetta. Invertire i ruoli e, se non gli avessero chiesto scusa, allora non sarebbero più riusciti nemmeno a pensare di farlo di nuovo. A nessuno.

    Per tutta la sua vita scolastica era sempre stato vittima di bullismo, ridicolizzato ed emarginato. In classe, più o meno, andava bene, se era presente un insegnante, ma per il resto del tempo veniva inseguito, picchiato, preso di mira o sbattuto contro qualcosa. Avrebbe preferito studiare a casa, ma sua madre era single e doveva lavorare e lui vedeva suo padre molto raramente. Quando succedeva, riusciva solamente a dirgli che doveva reagire agli attacchi.

    L’unico problema era che lui era un bambino fragile, che ci vedeva male, aveva l’acne e sua madre gli teneva i capelli quasi rasati a zero, dopo che aveva preso i pidocchi alle elementari. Non glieli lasciò mai ricrescere. Non era abbastanza forte da praticare sport e la vista non lo aiutava, anche se gli sarebbe piaciuto giocare, e allora si dedicò completamente allo studio, cercando di stare alla larga da tutti. 

    Lui e sua madre vivevano in una vecchia fattoria e non c’erano bambini abbastanza vicini da poterci giocare, ma almeno poteva avere degli animali. Preferiva di gran lunga la loro compagnia, non lo giudicavano per il suo aspetto o per le sue debolezze. Gli davano amore incondizionato, come sua madre.

    Uno di questi animali era un cervo e lui lo aveva battezzato Johnny. Pensava che Johnny Cervo suonasse bene. Johnny, sua madre e i suoi fratelli giravano per la fattoria e, per qualche motivo, Johnny si era affezionato a lui e si lasciava carezzare fin da quando era piccolo, e persino quando crebbe e i suoi palchi erano d’intralcio. Era un cervo molto bello e gli piaceva guardarlo correre e pascolare.

    Poi arrivò Tommy Hilditch con il suo fucile.

    Tommy aveva quattordici anni e lo aveva odiato per tutto il tempo della scuola. Lo prendeva sempre di mira e pensava di essere chissà chi perché suo padre lo portava a caccia con sé e giocava a football. Era leggermente sovrappeso, con il doppio mento, pensava di essere bello e, a parte essere un bullo, pensava di potere palpare tutte le ragazze come e quando gli piaceva. Poi un giorno venne alla fattoria e sparò a Johnny. Lasciò il cadavere, ma si prese i suoi palchi.

    Lui non venne a sapere che era stato Tommy sino a che non lo sentì vantarsene a scuola, dicendo quanto stavano bene i palchi sulla sua parete.

    Tommy, finita la scuola, si era trasferito e lui lo ritrovò, anni dopo, in una grande casa mobile a Fresno. Ora era un ciccione, con la pancia gonfia di birre che gli ricadeva pesante sopra la cintura dei pantaloncini, che gli coprivano a malapena i fianchi. Un giubbotto senza maniche metteva in mostra le braccia molli, vari tatuaggi e ascelle pelose. I capelli marroni, corti e untuosi, gli cadevano senza vita sulla fronte e sul viso non rasato. Parcheggiato fuori dalla casa c’era il suo pick-up, un Ford, sporco e maltenuto, proprio come il suo proprietario. Gli adesivi sul vetro posteriore dichiaravano il suo amore per la caccia, le armi e i Raiders.

    Sapeva che a volte lavorava come meccanico e i suoi figli sudici e la moglie, simile a lui, erano fuori, i ragazzi erano a scuola e la moglie alla caffetteria a cuocere patatine fritte e hamburger.

    Tommy era una creatura d’abitudine. Ogni giorno prendeva il pick-up per attraversare la strada e andare al centro commerciale, parcheggiava a lato del negozio di liquori e comprava una confezione di birre da dodici, che avrebbe bevuto seduto davanti a casa. Gli unici cambiamenti di questa routine erano quando sua moglie era a casa, e allora mandava lei a comprare le birre, o se aveva del lavoro da fare.

    Oggi non doveva lavorare e aveva anche fatto benzina al pick-up pochi giorni prima, che era perfetto, ma non per Tommy.

    Guardando l’ora, tirò fuori una bicicletta e una coperta dal bagagliaio e si avviò verso il negozio di liquori. Un’area deserta dove si affacciavano solo le porte di servizio del centro commerciale. Si mise ad aspettare con una certa noncuranza che Tommy arrivasse e si parcheggiasse al suo solito posto.

    E anche questa volta non lo deluse. Adesso indossava il suo solito berretto da baseball azzurro e sporco, con il logo ormai illeggibile, parcheggiò e lasciò il pick-up aperto per andare nel negozio. Ne riemerse due minuti dopo con la sua confezione di birre, che mise sul sedile del passeggero. Mentre si raddrizzava per chiudere la porta, James gli si avvicinò da dietro e lo colpì pesantemente sulla nuca con il suo manganello rinforzato. La faccia di Tommy cadde in avanti sul sedile e lui lo sistemò dentro il pick-up, grato di avere fatto tanto allenamento, perché Tommy era davvero pesante.

    Trovò le chiavi in una delle tasche, chiuse la portiera e tranquillamente mise la sua bicicletta sul pianale del pick-up, aprì la portiera dal lato guidatore e salì, guardandosi intorno e negli specchietti per vedere se c’erano testimoni. Non che avesse molta importanza, era travestito, ma non voleva che una macchina della polizia lo vedesse e cominciasse a seguirlo, o peggio ancora, un testimone.

    Non guidò a lungo e si fermò in una piazzola con tanta copertura. Una volta fermo, strinse i polsi e le caviglie di Tommy con dei cinturini di plastica e lo coprì con la coperta che Tommy avrebbe visto, se solo avesse guardato il pianale del pick-up. Quindi ripartì con Tommy ancora svenuto sul sedile.

    Sapeva che nel posto dove lo stava portando non c’era personale, al momento, e non ce ne sarebbe stato ancora per molte ore. Era remoto e privato, che era molto importante. Non c’era nemmeno una strada asfaltata, solo un sentiero polveroso e tutte le visite erano su appuntamento.

    Appena si fermò, usò uno dei suoi tanti talenti e aprì il lucchetto del cancello principale ed entrò con il pick-up, ma fece in modo che il lucchetto sembrasse a posto, dopo avere richiuso il cancello dietro di loro.

    Riuscì ad arrivare a pochi metri dalla sua destinazione, e trascinò Tommy fuori dal pick-up e tagliò i cinturini alle caviglie, lasciandolo appoggiato di schiena sul cofano. Non si preoccupò di togliersi il travestimento, tanto Tommy non lo avrebbe riconosciuto nemmeno, anche se se lo fosse levato. Trovò una manichetta, aprì il rubinetto e mandò il getto d’acqua sulla brutta faccia di Tommy.

    Tommy si riprese e si svegliò, tirando una sequela di parolacce e di minacce, e aveva paura.

    «Che cazzo vuoi? Dove cazzo sono? Sei morto, figlio di puttana. Che cazzo succede?»

    «Ciao, Tommy. Voglio che tu ti scusi.»

    «Scusarmi? Per che cosa cazzo dovrei scusarmi? Chi cazzo sei?» tuonò Tommy veramente incazzato, mentre la faccia gli diventava lentamente viola.

    «Non riconosci la mia voce, Tommy? Sono James Wrigley.»

    «Chi? Non ti ho manco mai sentito cazzo nominare. Che cosa vuoi? Dove siamo?»

    «Ma dai, Tommy bello, andavamo a scuola insieme, eravamo nella stessa classe. Non ti ricordi di come mi picchiavi tutte le settimane, mi facevi lo sgambetto, mi insultavi, mi cacciavi la testa nel water, mi lanciavi cose addosso? Ah si, per non dire che hai ucciso il mio cervo e hai preso i suoi palchi da appendere al muro. Non ti ricordi, Tommy?» lo prese in giro.

    Tommy lo guardò più attentamente, in difficoltà con le mani dietro la schiena.

    «Il bambinetto patetico della scuola? Non gli somigli per niente, ora lasciami andare prima che ti faccia un culo così di nuovo.»

    «I tempi cambiano, Tommy. Io sono ricco e di successo e tu cosa sei? Ah si, sei uno stronzo e la tua famiglia fa pena come te. Vai ancora a caccia di animali indifesi?»

    «Sono un cacciatore e ti ucciderò. Tutto questo è per quel cazzo di cervo? Ho dato la caccia a quel cervo e poi gli ho sparato. Non ho fatto niente di male, lasciami andare adesso!»

    «Dato la caccia? Il mio cervo ti sarebbe venuto incontro come un cagnolino e tu hai fatto finta di dargli la caccia. Poi te ne sei vantato e mi hai perseguitato per tutto il resto della scuola. Ora voglio che tu mi dica che ti dispiace per tutto quello che mi hai fatto.»

    «Cosa? Scusarmi con te? Vai a farti fottere e lasciami andare, prima che ti faccia qualcosa di veramente cattivo.»

    «La sai una cosa, Tommy? Me lo sentivo che avresti risposto così. Volevo solo darti l’occasione di provare del rimorso.»

    «Non provo rimorso per un bel niente.» fu la sua risposta sprezzante.

    James gli si avvicinò e, evitando le sue gambe, gli diede un pugno secco sul naso, rompendoglielo, e Tommy si mise a strillare mentre il sangue spruzzava fuori dalle sue narici.

    «Sei troppo morto, figlio di troia!» gli gridò Tommy, con il sangue che gli colava sul mento fino al collo e al petto.

    James lo fece girare e lo costrinse a camminare verso le sbarre lì vicino, buttandolo a terra mentre apriva il lucchetto. Lasciò la porta aperta, sollevò Tommy e lo spinse dentro, richiudendo il lucchetto e la porta dietro di lui. Tommy si rialzò con fatica e si girò verso James, sempre bestemmiando e minacciando.

    «Allora cos’è questo, bastardo frignone? Mi chiudi in una gabbia? Oh mamma mia che paura, finocchietto.»

    «Girati, Tommy, che ti tolgo i cinturini dai polsi.»

    Tommy si girò e lo lasciò tagliare i pezzi di plastica. «Ti stai spaventando, adesso? Lo sai che morirai, vero?» disse, girandosi minacciosamente verso James che si era allontanato dalle sbarre.

    «Veramente, Tommy, volevo vedere se davvero sei il bravo cacciatore che dici di essere, ma ad armi pari. Hai compagnia, lì dentro, una compagnia affamata che non mangia da un paio di giorni. Lui non si prenderà i tuoi denti come trofeo, ti mangerà un pezzo per volta e io starò a guardare. Penso sia meglio che tu ti giri, adesso, Tommy, c’è qualcuno che si sta chiedendo chi sei.»

    Tommy si girò a guardare e quasi svenne alla vista del grizzly che lentamente avanzava verso di lui.

    «Prendimi il fucile nel pick-up!» gridò Tommy.

    «L’orso non ha un fucile, Tommy. Allora fammi vedere che gli dai la caccia equamente. Puoi sempre raccogliere una pietra e colpirlo con quella. Ma siccome lui ha gli artigli affilati, ti do il mio coltello. A differenza degli animali che uccidi normalmente a distanza di sicurezza, dopo averli nutriti come un animale domestico per mesi e mesi, quest’orso non è un animaletto domestico. Ha dovuto sempre cacciare il suo cibo per vivere, quindi adesso io gli do una pari opportunità con te. Sei pronto a chiedere scusa, adesso?» Gli buttò il suo coltello.

    «Si, mi dispiace, ora fammi uscire da qui, figlio di puttana!» Tommy stava andando nel panico, ma raccolse il coltello.

    «Grazie per le scuse, Tommy, volevo proprio sentirtele dire. Se solo lo avessi fatto quando ti ho dato l’opportunità di farlo poco fa, non saresti nella gabbia. Ora è troppo tardi. Queste sono le conseguenze delle tue azioni quando eravamo ragazzi. Me se riesci a sconfiggere l’orso o se lui fosse tanto disgustato dal sapore della tua carne da decidere di digiunare, beh, allora ti lascerò andare.»

    «Fammi uscire da qui, bastardo. Ho una moglie e due ragazzi, non puoi farmi questo.»

    «Staranno meglio, senza di te, Tommy, rendi tutti infelici. Oh, oh, fai attenzione, sta arrivando!»

    Tommy si girò in tempo per vedere le zampe dell’orso che si abbattevano su di lui, e andò giù molto velocemente, con l’orso che lo colpiva facendolo a pezzi e lui gridava, mentre James stava a guardare, non avendo nessuna compassione per uno dei suoi vecchi tormentatori.

    «Questo è per te, Johnny.»

    2.

    ––––––––

    Edwin St. James gestiva ancora la sua azienda di informatica con il pugno di ferro, e i suoi impiegati erano sempre sull’allerta, al momento del suo arrivo in ufficio, per vedere di che umore era. La sua azienda aveva grande successo e aveva guadagnato abbastanza soldi per andarsene in pensione, ma, anche se aveva quasi settant’anni, continuava ad andare in ufficio quasi tutti i giorni per controllare l’andamento e assicurarsi che tutti si guadagnassero il pane. E poi poteva anche guardare tutte le biondine che gli piaceva tanto assumere, con grande fastidio degli ingegneri, che erano obbligati a fare tutto il lavoro, mentre il capo flirtava con tutte le loro colleghe femmine.

    Andava detto che Edwin si teneva in forma con una routine quotidiana di ginnastica e era sempre sistemato di tutto punto. Ma rovinava il suo aspetto perfetto con un riporto fatto con quei pochi ciuffetti di capelli che gli erano rimasti, in un inutile tentativo di coprire la calvizie. E oltretutto, li tingeva, che era ancora peggio.

    A parte quello, era alto e snello, aveva le mascelle squadrate, portava gli occhiali, ma aveva sempre un’espressione truce sul volto, perché sorrideva raramente, non trovando nulla di minimamente divertente, tranne che nelle barzellette che sminuivano le donne. 

    Parecchi mesi prima si era sposato per la quarta volta, con una donna molto più giovane di lui. Bionda, snella e con grandi seni, aveva lavorato per lui in passato e lui l’aveva conquistata con la sua ricchezza e le sue promesse. Ora lei voleva che lui si liberasse di tutte le altre bionde in ufficio, perché sapeva bene che lui avrebbe flirtato con tutte e una di loro avrebbe visto il proprio futuro con lui. Esattamente come aveva fatto lei.

    Non che la stesse a sentire, beninteso. A Edwin piaceva avere una moglie trofeo al braccio e dentro al letto, e finché lei obbediva e teneva le gambe aperte, allora le avrebbe dato qualche contentino, ma non troppo, perché era radicato nella sua routine e nelle sue abitudini.

    James conosceva Edwin St. James perché una volta aveva lavorato per lui durante il suo percorso di trasformazione. Edwin lo aveva sempre sminuito davanti alle donne, gli dava sempre gli orari peggiori, lo ridicolizzava e criticava il suo lavoro, anche se James era il miglior ingegnere, lì dentro.

    Nonostante il trattamento pessimo da parte di Edwin, aveva imparato tantissimo sul business della tecnologia informatica, sui computer e sui clienti. Era in ogni caso quella, la sua intenzione, accettando quel lavoro, si stava costruendo il curriculum. Quando se ne andò, aveva anche lasciato una porta aperta e irrintracciabile nel sistema, alla quale poteva accedere da qualsiasi posto, e avrebbe così avuto accesso a tutte le informazioni dei loro clienti.

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