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L'ascesa della chimera: Il tempo dei mezzosangue Vol.1
L'ascesa della chimera: Il tempo dei mezzosangue Vol.1
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L'ascesa della chimera: Il tempo dei mezzosangue Vol.1

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About this ebook

Trovate tutte le mie opere, le curiosità, i contatti e altro su di me sul mio sito WWW.ROBHIMMEL.COM

L'inganno più letale risiede nell'illusione di poter scegliere liberamente

Alak ed Ethan, due monaci dal carattere opposto, sono scelti per rispondere all’appello del sovrano di Kernak e contrastare una minaccia imprevista e terribile. Intanto Jandar, giovane stregone, si cimenta in un duro addestramento per conoscere il suo potere e capire il proprio ruolo nel mondo. Il suo intervento, infatti, sembra indispensabile nel momento in cui l’Imperatore Kedrax si prepara a conquistare l’intero continente, aiutato dalla maga Lenara, a cui affida anche un incarico più pericoloso e segreto: reclutare sei individui dalle abilità uniche, necessari per compiere ciò che nessuno ha mai fatto prima… 
LanguageItaliano
PublisherAetermundi
Release dateApr 7, 2018
ISBN9788827583579
L'ascesa della chimera: Il tempo dei mezzosangue Vol.1

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    L'ascesa della chimera - Rob Himmel

    IL TEMPO DEI MEZZOSANGUE

    Libro primo: L’ASCESA DELLA CHIMERA

    Rob Himmel

    immagine 1

    Dedicato a Te,

    che sei presente anche quando

    non sono in grado di vederTi.

    Note dell’autore: questo romanzo presenta un mondo vasto e articolato che non potrà essere racchiuso e compreso in un unico volume. Scrivo questo per mettervi al corrente che potrete trovare alcuni elementi non comprensibili nell’immediato, ma che lo saranno nei prossimi volumi quando emergeranno altri dettagli. Mi riferisco soprattutto al sistema magico, quello mistico e quello del ki. Così come ad aspetti nell’ecosistema presenti sulla mappa del continente, apparentemente irrealistici. Per aiutare i lettori ho messo a fine volume diversi glossari, con i nomi dei personaggi, delle divinità, delle creature, dei luoghi e anche alcuni termini, il tutto per facilitare il più possibile la lettura. È importante che sappiate che ogni cosa del worldbuilding è stata pensata, bilanciata e creata con regole ben precise, quando scrissi questo romanzo nel 2010. Nulla è lasciato al caso, né a scappatoie dell’autore per far quadrare gli avvenimenti.

    Il tempo dei mezzosangue: 1- L’ascesa della chimera

    Di Rob Himmel

    Copertina: Antonello Venditti

    Editing: Stefano Mancini

    Copyright © DZ edizioni 2018

    Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, conservata, o trasmessa, in ogni forma e attraverso ogni mezzo senza prima il consenso del detentore del copyright.

    Questo libro è un’opera di fantasia. La sua pubblicazione non lede i diritti di terzi. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

    immagine 2

    Prima Parte

    CRESCITE

    Intere orde discesero dalle cime in preda all’odio più scellerato. Era pieno inverno e soltanto dei folli potevano intraprendere una battaglia. Ma gli orchi bramavano le nostre terre più di ogni altra cosa e pensavano di cogliere Kernak impreparata. […] Fin dall’Esilio, all’inizio della Quinta Era, i pelleverde anelavano il loro ritorno nelle vivide pianure d’Erebia. […] Seppur alle soglie dell’anzianità, re Bodorn guidò gli aghoriani alla vittoria liberando il regno dalla minaccia. Il prezzo pagato dal sovrano di Kernak fu fin troppo elevato, a causa delle ferite riportate in battaglia: abbandonò la vita tre giorni dopo. Il trono passò al suo unico figlio ed erede: Bredon…

    Treghendal, Storico di Aghoria

    Annuario di Kernak , volume IV.

    Anno 98 della Quinta Era

    1

    Oltre il nord conosciuto

    Winky, il cane-lupo, cominciò a ringhiare.

    «Abbiamo visite», allertò Enialis. «Accostati alla parete e sta’ attento», ordinò al giovane.

    Il ramingo si tolse lo zaino poggiandolo a terra, badando a non fare rumore. Poi optò per la spada e il pugnale. Non c’era distanza sufficiente per tirare con l’arco in quel labirinto naturale. Jandar seguì le istruzioni, si acquattò alla parete di ghiaccio e sfoderò la spada.

    L’attesa al gelo non fu affatto piacevole né d’aiuto. Sbuffi d’aria condensata si elevavano al cielo a ciascun respiro. Winky si zittì, lasciando al vento e a dei passi pesanti il compito di coprire il silenzio.

    Il giovane stregone prese a tremare per il freddo, mentre osservava il mezzelfo all’opera: Enialis, dal volto pulito come quello di un ragazzino, con tratti delineati e con accesi occhi azzurri, stava tendendo le orecchie, leggermente a punta, all’ascolto della minaccia. Appariva serio e concentrato. Un ramingo esperto che sapeva bene quel che faceva, o almeno questo gli trasmetteva. Lo vide cambiare espressione in una maschera di stizza, poi svanì l’attimo dopo.

    Jandar comprese subito cosa volesse dire. Aveva trascorso gli ultimi anni accanto al mezzosangue, poiché Orideus aveva voluto che Enialis diventasse il suo maestro di sopravvivenza e di combattimento. Gli aveva insegnato a usare la spada, a tirare con l’arco e a sopravvivere nelle terre selvagge. Dunque decifrò subito quella reazione: guai in arrivo. La conferma sopraggiunse poco dopo.

    Un energumeno alto due metri e mezzo comparve davanti a loro quando girò l’angolo infilandosi nel passaggio. Aveva la pelle celestina e un corpo nerboruto. La testa era coronata da lunghi e selvaggi capelli bianchi, con una barba racchiusa in tre trecce. Indossava abiti di pelle grezza sul busto, lasciando in mostra le gambe e le braccia. Poggiato sulla spalla aveva un orso bianco e nella mano impugnava un’ascia dalle dimensioni scoraggianti.

    «Come osate stare nella mia terra?!» tuonò il gigante con voce furente, non appena li vide. Buttò a terra l’animale morto e brandì l’arma, pronto a combattere.

    Enialis cominciò a indietreggiare per condurlo nella strettoia, dove avrebbe potuto metterlo in svantaggio a causa della sua mole.

    «Resta sempre dietro di me!» ordinò il ramingo all’allievo mentre il bestione avanzava sicuro di sé, noncurante del campo di battaglia. Fu allora che il cane-lupo attaccò con un balzo.

    «Winky no!» urlò il mezzelfo, ma il gigante lo colpì con il dorso del pugno, centrandolo in pieno mentre era in aria.

    L’animale andò a schiantarsi su una parete di ghiaccio e poi cadde a terra. Emise dei gemiti di dolore prima di zittirsi e restare inerme.

    Il gigante procedette senza rallentare il passo, con lo sguardo fisso sul ramingo e la mano pronta a vibrare il colpo.

    Enialis osservò il suo compagno: avrebbe voluto correre da lui. Tuttavia non era il caso di farsi trascinare dalle emozioni, anche perché doveva proteggere Jandar. Riportò le attenzioni sulla minaccia e seguì i suoi movimenti. Continuò a indietreggiare come se nulla fosse. Quando vide il colpo arrivare, si accasciò a terra e sentì l’ascia guizzargli sopra la testa. Il secondo attacco arrivò subito dopo dall’alto e lui rotolò di lato per evitarlo.

    L’arma del bestione si conficcò nel ghiaccio, ma senza sforzi eccessivi la estrasse. Possedeva una forza bruta in perfetta sintonia con il suo aspetto.

    Il giovane stregone, alzatosi in piedi, cominciò a indietreggiare alle spalle di Enialis, ma in realtà era ancora scosso per Winky: temeva fosse morto. Ricacciò indietro quel timore e decise di prendere parte allo scontro. Attingendo agli insegnamenti da mago di Orideus, cominciò a recitare la formula di un incantesimo protettivo. Estrasse dallo zaino una placca di ferro da usare come ingrediente. La magia la consumò e un tenue bagliore giallognolo ricoprì il ragazzo come fosse stato un’armatura.

    Vide il gigante entrare nella strettoia e sferrare altri due attacchi contro Enialis, il quale li schivò con prontezza elfica. Fu in quell’istante che Jandar decise di intervenire: trasse dalla sacca una candela e prese a frantumarla, mentre le labbra si mossero pronunciando parole in ansindium . Dalla mano saettò una serie di rivoli di luce bianca che centrarono il gigante agli occhi.

    «Colpisci le gambe!» suggerì al mezzelfo. «Fallo cadere sulle ginocchia!»

    Enialis, esibendo un sorriso divertito, si tuffò con una capriola tra le gambe del bestione per poi rialzarsi alle sue spalle. Ruotò su se stesso e affondò le lame lasciando delle ferite profonde.

    Il gigante, ormai accecato, cadde sulle ginocchia. L’urlo di dolore misto alla rabbia riecheggiò per Ghiarkur. Continuò a lamentarsi mentre teneva una mano sugli occhi.

    Jandar colse l'occasione e si lanciò sull’avversario, nonostante la fatica dovuta al freddo. Usò uno spuntone di ghiaccio come trampolino per il salto, balzò in aria e gli conficcò la spada nel collo facendo penetrare la punta nel petto. La lama entrò a fondo e il sangue schizzò fuori, ma non fu sufficiente a ucciderlo.

    Ancora assicurato all’impugnatura dell’arma, Jandar fu afferrato dal gigante, che lo stritolò prima di scagliarlo lontano facendolo capitombolare sul ghiaccio. L’incantesimo di protezione s’infranse, ma fu sufficiente a salvargli la vita. Il ragazzo respirava a fatica e rimase a terra dolorante. Rise, come fosse stato vittorioso.

    Enialis saltò sulle spalle del gigante e gli affondò le lame nella nuca, le fece incrociare con un movimento deciso e lo decapitò.

    Il cadavere cadde a terra creando una pozza di sangue. Neve e ghiaccio si tinsero di rosso.

    Il ramingo raggiunse in fretta il giovane stregone. «Come stai?» chiese preoccupato.

    Il cuore di Jandar batteva all’impazzata, come un tamburo da guerra. Le gambe e le mani gli tremavano. La presa salda sulla spada non si era ancora allentata e il sangue ne colorava la lama quanto il mantello di pelliccia che indossava. I fulgidi occhi verdi restarono sgranati in un’espressione interdetta. I capelli castani si erano arruffati all’interno del cappuccio. Aveva agito con prontezza nonostante si fosse sentito esitante tutto il tempo. La mente aveva reagito lucidamente impartendo ordini precisi al corpo, cosa che lo spaventò.

    «Stai bene?» insistette Enialis.

    Jandar fece un sorriso forzato, che smorzò non appena diede un paio di colpi di tosse. Sentiva dolore dappertutto, ma sapeva di non essere in pericolo di vita. La magia protettiva lo aveva salvaguardato. «Non morirò… va’ a controllare Winky, ha bisogno di te», aggiunse alzandosi in piedi a fatica. Non appena il mezzelfo si allontanò, si lasciò ricadere a terra.

    Enialis si precipitò sul cane-lupo. Respirava ancora, seppur a stento. «Winky, resisti», gli sussurrò con premura. Esaminò il corpo dell’animale con la mano, tastandolo alla ricerca di ferite. Quando la passò sul dorso, l’animale emise un lamento. Il ramingo imprecò. «Non ti abbandonerò, tu però non devi arrenderti.»

    Il mezzosangue si prese cura di Winky, steccandogli il busto e costruendo una barella di fortuna. Alleviò il suo dolore con impacchi di erbe medicinali, che usò anche sulle lesioni di Jandar. «Così dovrebbe andar meglio», disse cercando di mascherare la propria apprensione.

    «Grazie», rispose Jandar. Poi, guardando il cane-lupo, aggiunse: «Si riprenderà, ne sono certo».

    Il mezzelfo accennò un sorriso forzato.

    Jandar non sentiva più le mani e i piedi, paralizzati dal freddo. Il gelo li stava divorando come tarli nelle ossa, implacabile e insaziabile. Persino Enialis, ramingo abituato alle zone inospitali, non nascose il suo patimento.

    Eppure, quando avevano oltrepassato i Monti Bagadon, la vista era stata mozzafiato. Ghiarkur, candido e surreale, si era presentato come uno sconfinato paesaggio bianco costituito da frastagliati picchi di ghiaccio che, nell’insieme, creavano un districato labirinto naturale d’infiniti tunnel e sentieri circondati da alte pareti azzurrognole. Tra questi, sparse casualmente, aveva visto delle chiazze di zone pianeggianti in cui si rifletteva il cielo sovrastante come in uno specchio. Era sembrato un prato di diamanti, dove il sole lasciava rimbalzare i suoi raggi in un gioco di luci d’indescrivibile bellezza. Nulla di più ingannevole.

    Fecero una breva pausa per avvolgersi con altri mantelli di pelliccia. Ne approfittarono per mangiucchiare qualcosa, perché il clima avverso non aveva affatto sminuito l’appetito del giovane stregone.

    «Ca-capisco bene pe-perché odi que-questo posto», balbettò Jandar a denti stretti.

    Una folata di vento fischiò tra loro graffiandogli il volto.

    «Amico mio, non vorrei essere al tuo posto…» replicò il mezzelfo. «Queste terre sono paragonabili a un inferno, sopravviverci è un’impresa e non so come te la caverai durante l’addestramento.»

    Jandar non si lasciò scoraggiare. Erano lì perché doveva incontrare colui che sarebbe divenuto il suo maestro di stregoneria. Se ci abitava, poteva farlo anche lui. «Imparerò dallo stregone», ribatté risoluto.

    Il ramingo proruppe in una risata. «Eh sì, lui può farlo…»

    A quella risposta sentì una certa irritazione montargli addosso. Non tollerava quel modo di fare di Enialis e di Orideus. Entrambi si burlavano di lui sapendo cosa lo aspettava e si divertivano a fare i saccenti misteriosi. Orideus era stato una figura essenziale per lui, da quando lo aveva trovato per le strade di Ishdara. Il vecchio mago lo aveva preso e portato con sé, lo aveva cresciuto come fosse stato suo figlio e lo aveva istruito come fosse stato il suo allievo. Ma per quanto avesse cercato di insegnargli la magia, Jandar restava uno stregone. Non doveva apprenderla come qualunque mago, ma svilupparla in quanto era già dentro di sé. Orideus lo aveva capito, lo aveva accettato e persino ammesso, cosa non da poco per un mago. Questa era la ragione del viaggio a Ghiarkur. Per questo Enialis, il migliore amico di Orideus e suo vecchio compagno di avventure, lo stava guidando in quel luogo. Allora perché facevano tanto i misteriosi?

    «Sai dove stiamo andando?» domandò Jandar. «A me sembra che ci siamo persi…»

    «Sì. So dove ci troviamo e altrettanto dove andare», garantì il ramingo in tono insolitamente scontroso. «Ho un’ottima memoria, sta’ tranquillo», rassicurò con voce più morbida.

    Il giovane si chiese come facesse il mezzosangue a distinguere la strada in quell’ambiente tutto uguale, almeno secondo i propri occhi.

    Avevano ripreso l’avanzata e da qualche ora il panorama era rimasto invariato. L’umore non era dei migliori, poiché erano esausti e affamati, ma tutto parve svanire quando arrivarono allo Specchio del Cielo: una vasta pianura di ghiaccio in cui si rifletteva la volta celeste, invasa dai rossi bagliori del tramonto.

    Jandar tirò fuori l’amuleto che gli aveva dato Orideus: uno zaffiro ovale con un frammento d’argento al suo interno, il tutto assicurato a una catenina di ferro. Lo strinse nella mano fremendo dalla curiosità: non vedeva l’ora di conoscere il nuovo maestro.

    Con la voce incrinata dall’emozione, recitò: « Laahck nar’din thuden! »

    2

    L’oracolo

    «Questo tempo mi mette tristezza», dichiarò Eilema al padre mentre, dalla torre del monastero, osservavano la pioggia scendere a catinelle.

    «Chiudi gli occhi. Non badare a ciò che vedi, ma ascolta», suggerì Garret tenendola stretta a sé come il tesoro più prezioso.

    La ragazzina seguì il consiglio. Il maltempo si trasformò in una dolce cantilena. Le gocce riproducevano un suono delicato che nell’insieme appariva come una ninna nanna.

    «Hai ragione, è bellissimo!»

    Il Gran Maestro di Ferabath esibì un timido sorriso. Guardò la figlia con un’espressione colma d’amore: occhioni da cerbiatta, castani come i capelli lunghi fino al mento. Lineamenti gentili tanto quanto semplici. Non spiccava in nulla di particolare, ma colse in lei quei tratti che rammentavano la madre, morta da diversi anni. Quel pensiero lo pervase con una dolorosa nota di tristezza, ma fece finta di nulla.

    La pioggia riempì di pozzanghere lo spiazzo davanti al monastero. Poteva apparire normale, ma Garret notò subito qualcosa d’insolito: l’acqua sembrò muoversi come se fosse viva. In principio si raccolse al centro in una sorta di laghetto, poi si scompose in diverse parti. Ogni massa d’acqua si spostò con movimenti casuali e scoordinati, fin quando cominciarono a creare una sequenza di parole.

    Eilema guardò la scena attonita, mentre Garret sentì emergere dentro di sé un timore serbato da anni. Porta i tuoi figli alla Sorgente, diceva il messaggio e lui conosceva già il mittente.

    «Padre, chi è? Che vuole da noi?»

    Il volto dell’uomo s’incupì. «È l' Oracolo della Sorgente. Per piacere, va’ ad avvisare i tuoi fratelli. Che preparino il giusto necessario per una giornata. Partiremo all’alba», ordinò con lo sguardo perso nel vuoto.

    «Come desideri, padre. Vado subito così mi preparo anch’io.»

    Eilema si voltò per andarsene, ma lui la fermò afferrandola per un braccio. Si erse su di lei con volto fiero, sguardo deciso e profondi occhi neri. Il capo coronato da folti ricci bruni e un piccolo neo piatto sulla fronte. Indossava il saio bianco da Gran Maestro. «Aspetta! Domani partiremo solo noi, desidero che tu rimanga qui al monastero.»

    Se l’avesse colpita con un pugno le avrebbe fatto meno male. Gli occhi di lei divennero rossi, in procinto di piangere.

    «Perché? Io non capisco!» ribatté frustrata.

    «Perché tengo a te più di chiunque altro. Sei troppo importante e non voglio esporti a pericoli inutili. Ti prego, fidati di me…»

    Eilema replicò con un’espressione rabbiosa prima di fuggire piangendo.

    ***

    Prima ancora che il sole sorgesse lungo la linea dell’orizzonte, Alak era già in piedi, pervaso dall’emozione. Fremeva al solo pensiero di evadere da quella prigionia, anche solo per una giornata. Per di più era stato convocato dall'oracolo. In cuor suo sentiva che si stava avverando ciò che da sempre desiderava: lasciare Ferabath. Nemmeno Garret poteva opporsi.

    Fu il primo ad arrivare nel cortile del monastero, ma poco dopo giunse anche Ethan. Sotto quei riccioli biondi, il saio marrone da allievo, la postura composta e i limpidi occhi celesti, Alak non faticò a comprendere che il fratello condivideva il suo entusiasmo. Per quanto i due fossero ai poli opposti su qualunque cosa, questo rappresentava uno dei rarissimi episodi che li avvicinava.

    Con l’aria afflitta e tutt’altro che impaziente, li raggiunse anche Garret.

    Il silenzio accompagnò i tre per gran parte del viaggio. Troppo immersi nei loro pensieri e attenti al tragitto impervio. La strada che conduceva alla Sorgente del Benessere era ricca di pericoli, tra scarpate, strettoie e rocce aguzze.

    «Raggiungere la cascata non sarà semplice, inoltre è ben nascosta. Arrivarci richiederà una certa destrezza», avvisò Garret spezzando il silenzio con il tono piatto della sua voce.

    «Meglio, scalderemo i muscoli!» replicò Alak con entusiasmo.

    «Le più grandi conquiste sono tali a causa delle loro difficoltà», convenne Ethan.

    Il Gran Maestro sbuffò, come se avesse fallito nel suo intento. «Quando vi troverete davanti all’Oracolo badate bene alle vostre parole, portatele rispetto. Lei le peserà una a una e scruterà nei vostri cuori. So che di Ethan posso fidarmi, ma mi raccomando a te, Alak», intimò l’uomo con l’usuale espressione severa.

    «Padre, siete già stato dall' Oracolo della Sorgente ?» chiese Ethan.

    «Sì.»

    «Quante volte?»

    «Un paio. Ora basta parlare, concentriamoci sul viaggio. Un solo passo falso e potremmo precipitare.»

    ***

    Sentieri angusti sul bordo di dirupi, pareti di montagna con rocce taglienti come lame, questa fu la strada. Garret non ebbe molte difficoltà, ma i due ragazzi non potevano permettersi distrazioni. Viaggiavano in fila indiana, assicurati l’uno all’altro con una fune robusta. L’errore di uno poteva essere fatale per tutti.

    Dopo svariate ore raggiunsero uno squarcio lungo la parete a ridosso della montagna. Questo si apriva verso l’interno, facendo largo a un’impervia e buia galleria. Garret entrò per primo, percorrendo una dozzina di metri.

    Non appena fuoriuscirono dall’umido tunnel, rimasero sbigottiti. La spettacolarità dello scenario era ammaliante. Celata all’interno dei Monti Bagadon, c’era una meravigliosa oasi naturale. Dall’alta cima del promontorio si buttava un fiume, generando un’ampia cascata che s’immergeva a valle spumeggiando nel lago. L'acqua era limpida quanto il cristallo, rifletteva come in uno specchio il cielo azzurro con le nuvole bianche. Il freddo di quell’altitudine lasciava spazio a una temperatura più mite. La parte restante della piana, circondata da naturali e alte mura di pietra, era ricoperta da un prato verde, in cui spiccavano magnifici alberi ricolmi di frutti. Il bordo del lago era disseminato di fiori. L’intera vegetazione traeva la sua rigogliosità dalla sorgente, creando un ambiente in netto contrasto con le sterili rocce sulle vette dei Monti Bagadon.

    «Ma… è bellissimo!» esclamò Ethan restando a bocca aperta.

    «Vero… l’avevo dimenticato», osservò Garret, rammentando che erano trascorsi tredici anni dall’ultima volta in cui era stato in quel luogo.

    Al centro del lago si formarono delle increspature circolari, una dietro l’altra e sempre più regolari. Poi emerse una forma umanoide, femminile, fatta d’acqua e dalla bellezza superba. Capelli lunghissimi fino alle ginocchia le fluivano sul corpo come rivoli di pioggia. Negli occhi era racchiusa l’immensità dell’oceano, inscrutabili come l’abisso più profondo. Camminò sulla superficie del lago con passo ammaliante fino a raggiungerne la riva.

    «Benvenuti alla Sorgente del Benessere », disse con voce cantilenante, simile allo scorrere di un fiume, dolce come miele. Stare alla sua presenza e ascoltarla poteva incantare un uomo per giorni.

    I tre risposero al saluto con un lieve inchino.

    «Dunque sono questi i tuoi figli, Gran Maestro dell'Ordine del Tuono?»

    «Sì. Questo è Alak, il maggiore», rispose Garret indicando il figlio, «e questo è Ethan», aggiunse facendo altrettanto.

    «Conoscervi è per me un piacere», replicò lei con gentilezza. Dov’è tua figlia? domandò telepaticamente all’uomo, ma non ebbe risposta.

    «Il piacere è nostro, Sommo Oracolo», ribatté Ethan con un profondo inchino.

    «Altrettanto», aggiunse Alak.

    «Leggo nei vostri occhi così come nei vostri cuori che siete ansiosi di sapere il motivo per cui vi ho convocato.» I fratelli annuirono. «Ebbene, così come per ogni cosa importante è richiesto del tempo, questa non farà eccezione. Sedetevi, è meglio che stiate comodi», li invitò con un cenno della mano.

    Alak ed Ethan si scambiarono uno sguardo fugace, ricco d’entusiasmo, prima di accomodarsi.

    «Secondo il nome affibbiatomi dalla vostra razza, io sono l’Oracolo della Sorgente. Esisto dalla Prima Era, un tempo ormai dimenticato. Il dono concessomi dal Creatore è stato la capacità di vedere alcuni frammenti appartenenti agli eventi futuri. Badate bene alle mie parole, perché non sto dicendo che esiste un cammino prestabilito. No, non esiste alcun destino. Ciascuna creatura è libera di scegliere il proprio futuro ma nulla, e dico nulla, avviene per caso.» Si fermò un istante per scrutare negli occhi i due ragazzi. «Sappiate però, che a volte esistono disegni più grandi delle nostre vite. E seppur non lo vorremmo, ne saremo travolti. Ciononostante siamo sempre liberi di scegliere.»

    Le parole dell’oracolo scorrevano dalla sua bocca alle loro menti come un fiume che raggiunge e sfocia nel mare.

    «Vi chiederete perché vi dico questo. Ebbene, sono passati circa due secoli da quando un giovane, poco più grande di voi, si avventurò per queste cime. Per caso, secondo il suo pensiero, trovò questo luogo. Io previdi la sua venuta, gli parlai e gli rivelai la mia visione sul cammino che poteva attenderlo: un lungo viaggio oltre i confini d’Erebia, al di là del deserto del Sharami, nell’estremo oriente, in Shikoghin. Il suo scopo sarebbe stato apprendere un'arte inesistente nel nostro continente, per dar vita a un ordine speciale: i Figli della Luce. Questo ragazzo si chiamava Dath. Il resto della storia sulla fondazione dell’Ordine del Tuono di Ferabath dovreste conoscerlo già. Però, quel che nessuno sa è che da questo ordine sarebbero sbocciati degli astri, chiamati Asceti: monaci dalle doti straordinarie nati per affrontare l’era più cupa. Quel giorno è giunto.»

    I due giovani rimasero in silenzio, storditi da quella rivelazione. Alak sembrò in estasi, mentre Ethan parve turbato, preoccupato dal carico di responsabilità che ne conseguiva.

    «State dicendo che i miei figli sono quegli astri?» domandò Garret, con una certa esitazione.

    I due fratelli riportarono subito le attenzioni sull’oracolo.

    «Conosci già la risposta, Gran Maestro dell’Ordine del Tuono.»

    Sì, Garret la conosceva. In fondo al cuore sapeva, ma continuava a negarlo con ogni fibra del suo essere. I suoi figli si erano distinti fin dalla più tenera età, emancipati e promettenti come nessun altro nella storia di Ferabath. Quel che non comprendeva era come la Quinta Era potesse divenire la più cupa della storia. Fin dalla fondazione del Concilio dei Popoli tutto sembrava andare per il meglio. In questo aveva riposto le proprie speranze.

    «Vi rivelerò la predizione. So per certo che vi parrà incomprensibile, per questo è meglio scriverla, affinché la possiate ricordare e capire in futuro, quando verrà il suo tempo», suggerì lei.

    Garret trasse dallo zaino un rotolo di pergamena, penna e calamaio; li aveva portati proprio in previsione di questa esigenza.

    Quando fu pronto, lei cantilenò:

    Avverrà la chiamata della quercia antica,

    a causa dell’ascesa della corona nemica.

    I figli del grande tuono saranno convocati,

    per protegger i fratelli minacciati.

    Ma nel cammino da loro intrapreso,

    sorgerà un gruppo inatteso.

    Dovranno prender lo zaffiro ghiacciato,

    il cattivo buono e il ribelle artigliato.

    Verrà anche la poetica lama,

    per opporsi al bugiardo che brama.

    «Questo è quanto. A voi spetta scegliere se accettare la chiamata, quando avverrà, oppure ignorarla.»

    «Perché parlate sempre per enigmi? Non potreste essere più semplice e dire ciò che va fatto e cosa deve accadere?!» sbottò Garret.

    «Tutto sarà svelato al momento dovuto, ogni cosa ha il suo tempo. Poi, non tutto mi è rivelato, le scelte determinano il futuro e le sue conseguenze, finché non si sceglie resta solo l’incertezza. Chiunque osservi nel futuro non vede che immagini annebbiate in continuo mutamento, perché esistono infinite strade», ribatté l’oracolo con calma assoluta. Non esiste il destino, ognuno è l’artefice del proprio futuro , comunicò telepaticamente a tutti e tre . Diventa quel che sei e non ciò che ti fa essere l’ambiente a te circostante. Trova il tuo cammino…

    Alak ed Ethan sgranarono gli occhi udendo la voce di lei nelle proprie menti.

    Conosco bene il tuo dolore, disse poi soltanto a Garret, ma non per questo puoi trattenerli per sempre accanto a te. Per quanto tu voglia proteggerli, devono proseguire il sentiero della vita liberamente. Non puoi vivere nella sofferenza del passato, questa sfiancherà te e chi ti sarà vicino.

    «Cercherò di capire quale sia la scelta migliore per tutti noi, per essa procederò senza indugi», garantì Ethan porgendo un profondo inchino. «Vi ringrazio Sommo Oracolo.»

    «Oggi, per me, inizia una nuova vita», aggiunse Alak. «Sento il cuore leggero e so per certo che questa è la mia via. Io andrò. Vi ringrazio!»

    Lei sorrise prima di spostare le attenzioni su Garret, il quale mostrava in volto il proprio sconforto. «Non essere turbato. Sii fiducioso e confida in loro, non sono più dei bambini. Sai bene che questo rientra nel ciclo naturale della vita, non potrai opporti in eterno alla loro crescita. Qualora decideste di seguire la predizione», proseguì poi rivolgendosi ai ragazzi, «dovrete tornare qui per affrontare lo stesso cammino intrapreso da vostro padre tempo addietro. Per divenire degli Asceti, dovrete imboccare il Sentiero degli Spiriti.»

    Garret sgranò gli occhi, consapevole di quanto fosse pericoloso. Sì, lui lo ricordava molto bene. Per questo il Sentiero degli Spiriti era segreto a tutti gli allievi e ai monaci fin dalla fondazione di Ferabath. Solo i maestri ne erano a conoscenza e solo i migliori, quelli candidati a diventare il successivo Gran Maestro, lo affrontavano.

    «Andate e riflettete. Compiuta una scelta, non potrete più cambiarla.»

    3

    Namidaxonsegurhegalias

    Lo zaffiro iniziò a pulsare nella mano dello stregone, l’unico in grado di percepirlo. Almeno fintanto che arrivò una forte vibrazione, seguita da un’ondata di potere che si espanse nell’aria. I due rimasero in silenzio, in attesa di quel qualcosa che Jandar attendeva con impazienza. Provò un miscuglio di sensazioni ed emozioni: curiosità, felicità, timore. Sentì il potere della gemma, su cui vorticava una tempesta di neve e, quando spostò gli occhi su di essa, vide la mano avvolta da frammenti di ghiaccio.

    Lo Specchio del Cielo iniziò a tremare in balia del terremoto. L’intera distesa prese a scricchiolare. All’improvviso un boato riecheggiò in tutta la zona circostante e la piana a specchio scoppiò con fragore. Intere lastre di ghiaccio volteggiarono in aria dopo essere state scagliate via con violenza. Lo Specchio del Cielo andò in frantumi rivelando il lago sotto di sé. Al centro cominciò a emergere una massa spropositata di metallo luccicante: argento. I rossi bagliori del tramonto si rifletterono sul fianco ovest, generando sfumature viola e scarlatte.

    Il ramingo non parve stupirsi, mentre il giovane sgranò gli occhi meravigliati. La vista dinanzi a sé era sconcertante. Come aveva fatto questo stregone a sommergere un intero edificio sotto la superficie del lago? E come vi sopravviveva?

    Quel che emerse, però, non fu una fortezza o un edificio, bensì qualcos’altro di colossale. Era d’argento e luccicava come un tripudio di astri notturni sul fianco ombreggiato, mentre sul lato dove battevano i raggi del sole pareva un muro di gemme preziose.

    La creatura affiorò dall’acqua e dispiegò le ali come se si stesse stiracchiando, ombreggiando l’intero Specchio del Cielo. Distese il collo massiccio verso la volta celeste, mostrandosi in tutto il suo splendore. Il dragone aveva un aspetto fiero, saggio e allo stesso tempo terrificante. Le zampe erano rivestite da possenti muscoli, soprattutto quelle posteriori, più grandi delle anteriori. Le ali si allargavano per un’apertura di circa cinquanta metri. Dalla testa fino alla punta della coda, s’irradiava una cresta regale. Allineate con

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