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Regni
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Regni

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About this ebook

Il Cosmo pullula di mondi, strati e strati di livelli di realtà differenti che convivono nella sfera dell’esistenza. Uno spaziotempo ripieno di innumerevoli campi di gioco correlati tra loro, dove ogni mossa risuona anche in tutti gli altri piani, ne smuove i quadranti, sposta le pedine e cambia le sorti di ogni gioco.

In Regni, tanto il potente quanto la nullità, Keven Raa e Roah Rokmast, entrambi schiavi dell’illusione che siano solo colpe e meriti a tracciare la strada della vita, sperimentano sulla propria pelle l’ineluttabile.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 12, 2018
ISBN9788827811948
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    Regni - Silvia Cammarata

    razza?

    I

    A Heban Nem,

    Generale supremo

    Vittoria piena.

    Gli zigoti si sono ritirati.

    In Arame, tutta la zona di confine è tornata in mano nostra.

    Lungavita a Re Kumio

    Keven Raa

    Capitano della regione di Arame

    Chiudo la boccetta dell’inchiostro. Cerco tra le teste in movimento quella di Giunèo.

    La brezza gonfia e percuote il mio mantello dorato. Nessuna sporcizia è riuscita a intaccare l’oro con cui è intessuto.

    Nel caos, fuoco e morte di questa guerra infinita, rimane l’unica vestigia della ricchezza che fu.

    Eccolo, lo vedo.

    -Giunèo... Giunèo…-

    C’è troppo rumore, il ragazzo non mi sente.

    Tork, poco distante, mi fa un cenno e si getta di corsa giù per il pendìo.

    Siedo sul masso che a volte ci fa da sedile, guardo la terra grigia, senza ombre. Anche questo giorno sta per finire.

    Chiudo gli occhi.

    Ronzìo alle orecchie.

    Respiro a fondo.

    -Capitano…-

    Mi scuoto. Tork e Giunèo mi stanno di fronte. Il ragazzo è rigido, un po’ intimorito, ma ha le gote rosse d’orgoglio.

    Metto il prezioso messaggio nelle sue mani.

    -Giunèo, tocca a te ora, fai la tua parte.-

    -Sissignore!-

    Si dirigono a passo svelto verso il cavallo equipaggiato con viveri, pochi e acqua, molta.

    -Ricorda di pretendere il meglio a ogni stazione di cambio. Non andare a risparmio, prima arrivi meglio è.-

    -Cavallo o non cavallo, in due giorni sarò a Munirame!-

    Nel suo tono non v’è traccia di arroganza, anzi suona del candore che solo i giovanissimi possono ancora possedere. Mi strappa un mezzo sorriso.

    -Non fare di testa tua, non metterti a correre se puoi farne a meno. Se tardano a servirti, fai la voce grossa, hai capito? con queste- gli batte sulle spalline e mi indica –hai la sua stessa autorità.-

    Il giovane annuisce con foga.

    Salta in sella e parte veloce.

    Giunto ai piedi del rilievo, lo scalpitìo si perde nel baccano generale.

    Guardiamo la vistosa divisa viola con le spalline dorate allontanarsi e rimpicciolire, sollevando al passaggio un nugolo di cenere.

    La nube scura si alza sulla fascia giallognola dell’orizzonte.

    So per certo che al massimo entro tre giorni il messaggio arriverà a destinazione, anche dovesse rimanere senza cavalcatura: Giunèo è un miracolo della natura, un mistero. Ha davvero le ali ai piedi.

    Distolgo lo sguardo.

    -Speriamo piova presto.-

    Non rispondo, la pioggia è improbabile in questo periodo dell’anno, perché illudersi?

    Si schiarisce la voce.

    -Hai del sangue negli occhi, ti mando una…-

    -No, devo solo dormire un po’ e passerà.-

    ‘Meglio risparmiare le cure delle ingkema per chi ne ha davvero bisogno.’

    Stringe le palpebre, contrae le labbra, sta cercando qualcosa da ribattere. Opta per altro.

    -Hai ordini per Anekka? delle misure speciali di vigilanza per la notte…- si interrompe, combattuto. Sa già che mi tormenterò sulla nostra peggior falla, sa anche che mancano le risorse per rattopparla.

    -Si, si, chiamalo, grazie.-

    Se ne va, soddisfatto e con il sorriso sulle labbra, come se un espediente geniale potesse sempre scaturire dal nulla, per magia, per il solo fatto di crederlo possibile.

    ‘Ah, il cuore della gioventù…’

    Eppure, vivo solo grazie al riflesso della sua luce.

    Salgo a passi pesanti l’ultimo tratto del rilievo. Ho la vista annebbiata, gli occhi bruciano e lacrimano. Ci passo il dorso della mano.

    ‘Per un po’ non vi vedrò, bestie immonde.’

    Ottimistica illusione, le immagini della guerra registrate nella mia mente non hanno mai smesso di perseguitarmi solo per il fatto di essere nel chiuso del mio riparo.

    Zigoti urlanti, i nudi corpi color malattia, adorni di aculei e altri malforgiati monili cuciti nella pelle, deturpati in ogni dove da cicatrici. Zigoti a sciami, asce alla mano, con quei loro deformi arti posteriori da cavallette. Zigoti incendiari, ghignanti di ludibrio… orribili visioni e suoni che continuano a dare l’assillo alla mia mente.

    E ho un marasma nelle orecchie che sempre mi accompagna, un calderone di voci stridenti e crepitìo di fuochi, delle grida dei tronchi ridotti in brace che esplodono e si schiantano al suolo frantumandosi in mille pezzi, del pianto degli sfollati, degli ustionati, dei sopravvissuti ai loro cari… tutti i suoni della tragedia.

    Mi sembra che tutto ciò duri da sempre, ho perso la nozione del tempo, dei mesi, degli anni.

    Raggiungo la cima. Sto per infilarmi nel dedalo pietroso che ospita un buon numero di tende, ma mi volto un’ultima volta verso la pianura sottostante.

    Il campo è sgombro dai nostri feriti e dai cadaveri zigoti, gettati oltreconfine. Via vai di uomini e vettovaglie verso gli schieramenti di guardia lungo la frontiera. Lontano, dove non arrivo a distinguere le forme, vedo regolare la sequenza delle fiamme delle torce.

    Traggo un gran respiro.

    La muscolatura si rilassa e tutto il mio campionario di ferite inizia a dolermi senza più ritegno.

    Pregusto i doni della notte alle porte, una che metterà la parola fine a questi ultimi tre giorni senza riposo, passati a schivare palle incendiarie e uncini fendenti e a cercare di restituire il doppio di tutto.

    C’è un gran franare di sassi, qualcuno sta risalendo la china.

    Un tonfo, un’imprecazione.

    Tork e Anekka. Scalano con passo troppo veloce e gran dispendio di forze.

    ‘Perché tanta fretta? non ho dato nessuna urgenza. Devo rimproverarli.’

    -Voi due…- sospiro -prendete un buon pasto caldo e poi subito a riposo.-

    La mia bocca ha agito di testa propria.

    -Ma chi…-

    -Artios.-

    -È in infermeria...-

    -Non più, sta venendo qui. Ha solo un braccio fuori uso, ma la scorsa notte ha dormito.-

    Tacciono.

    Rimuginano un po’, cercano un argomento da opporre alla mia decisione. Non lo trovano perché non c’è: anche con un braccio malconcio, Artios è il più idoneo tra noi a tenere il comando stanotte.

    -Tork, le tue misure speciali di vigilanza- sorrido- avevi qualche idea da…-

    Un movimento attrae il mio sguardo, sulla destra, oltre la piana e oltre i colli che la chiudono a oriente. È solo qualcosa di vago, un grigio sul tratto visibile del grigio letto dell’Ykunia, nell’angolo tra due colline.

    Comprendo cosa ho visto: cavalli che attraversavano le pietre del greto e non credo di propria volontà.

    Tork e Anekka si voltano di scatto a cercare l’oggetto del mio interesse.

    Soldati hanno appena lasciato Maaikrade per inoltrarsi nel malsano deserto zigota! Una furia mi si scatena dentro.

    Raggiungo il mio cavallo. Nemmeno so di aver coperto il tratto fino al recinto. Monto in groppa.

    Tork e Anekka mi parlano, l’uno sull’altro, con toni concitati. Non so cosa stanno dicendo. Il sangue mi pulsa alle tempie da far male.

    -Non mi seguite!-

    Scendo veloce dal promontorio. Mi getto attraverso la piana al galoppo. Il corpo va da sé senza bisogno della mente, ho tempo di sfogare la mia collera contro l’azione inaudita e valutare quale peggior pena potrò infliggere ai colpevoli.

    A tratti mi rendo conto che, una volta in terra zigota, nessuno di noi tornerà più indietro e che sia inutile crogiolarsi in fantasie punitive.

    Come se si trattasse della morte di qualcun altro, riprendo poi a versar bile sull’atto, sui suoi agenti, sulla follìa di una tale disobbedienza.

    Il pensiero che un’eventuale giovane età possa fare da attenuante mi sfiora, subito lo ricaccio da dove è venuto.

    ‘Giovani o non giovani, devono aver partecipato almeno all’ultimo scontro, sanno quello che hanno appena fatto!’

    Maledico l’ordinanza reale che ci ha fatto arruolare dei ragazzini, l’inutile massacro di questi ultimi giorni può solo darmi ragione.

    Mi dirigo verso l’avvallamento tra le alture già passaggio dei folli. Nell’oscurità dell’avanzato crepuscolo, torce rischiarano le fiacche sagome di due gruppi di soldati a guardia del tratto, uno distante alla mia sinistra, l’altro ancora più lontano alla mia destra.

    Mi riconoscono, forse. Echi di esclamazioni confuse e sorprese.

    Sono al confine.

    Rallento l’andatura per poter attraversare il letto dell’Ykunia.

    Lo supero.

    Risalgo il basso argine sabbioso della sponda zigota.

    Sono in terra interdetta.

    Entro nella perenne foschia dell’infido territorio. Nitrito schiuma. Il suo ansimare sibila nel silenzio che qui regna sovrano.

    Non vedo quasi nulla, solo un denso grigio scuro. Tendo l’udito fino allo spasmo.

    ‘Hanno un bel vantaggio… spero non si siano addentrati molto.’

    Rumore del nostro respiro e dei suoi passi sulla sterpaglia.

    Scendo da cavallo e continuo a piedi. Vado alla cieca.

    ‘Sarà già accaduto il peggio?… No, sentirei rumore di mandibole al lavoro.’

    C’è troppo silenzio, è innaturale. Angoscia.

    Ad aumentare il senso di oppressione che il tetro luogo carica sull’animo, un certo odore… odore di morte.

    Non capisco cosa sia la sostanza molliccia che sento sotto ai miei passi, a tratti scricchiola, a tratti schiocca. Ho un moto di disgusto.

    Mi rendo conto che sto camminando dove nessun essere umano ha mai messo piede, tranne quegli sconsiderati avanti a me, certo.

    ‘Ma perché sono qui? trarli in salvo o punirli?... Forse più punirli.’

    Nitrito è irrequieto. Cerco di calmarlo ma non ho successo, continua a fremere e strattona.

    ‘Quanto possono aver continuato ad avanzare al buio? devono aver rallentato per forza, devono essere qua attorno.’

    Qualcosa mi sfiora la faccia. Una scarica di adrenalina. Fortissima. Quasi cado di schiena per la reazione. Nitrito sbuffa.

    Le braccia appoggiate alle ginocchia, riprendo fiato. Mi ritrovo sudato. Il sudore si raffredda in fretta.

    ‘Fortuna che nessuno mi ha visto…’

    Soffoco un accesso di riso isterico. Mi asciugo la fronte.

    Trovo il coraggio di tastare l’ignoto avanti a me. C’è un basso arbusto con delle ispide foglioline, sempre che siano foglie.

    Lo aggiro.

    Credo di vedere una vaga luminescenza alla mia sinistra. O è in linea retta avanti a me?

    Non ho più cognizione delle direzioni.

    È davvero una luce o solo un’illusione ottica?

    Non sono sicuro nemmeno di questo.

    Sguaino la spada e mi faccio scudo al viso con il braccio libero. Gli zigoti amano colpire il viso, meglio ancora gli occhi o la zona intorno agli occhi.

    Avanzo.

    Incespico di continuo, ci son buche o piccole cunette dove la terra o sabbia è floscia e cede al peso.

    Scivolo. Ancora avanzo. Ancora scivolo.

    Nitrito soffre più di me di questa continua instabilità e delle tirate al morso alle quali senza volerlo lo costringo, le redini avvolte un paio di giri al gomito. Mi spiace obbligarlo a questo, ma se lo lasciassi qui non avrebbe nessuno a difenderlo nell’eventualità che...

    L’eventualità a cui sto pensando dovrebbe essere piuttosto una certezza e invece… Ma dove sono finiti gli zigoti? possibile che non ce ne siano qui attorno?

    ‘Sì, dev’essere proprio una luce.’

    Continuo ad avanzare.

    Sarebbe bello se non ce ne fossero, ma in questo caso ci sarebbero in giro dei feriti o almeno qualche cadavere. La loro ritirata finale era una fuga disperata, la maggior parte era in pessime condizioni e si trascinava a fatica. Improbabile che siano tutti riusciti a lasciare la zona, devono essere stati raccolti: per gli zigoti, un simile non più in grado di combattere non è altro che un buon pasto assicurato.

    ‘Quanto possono esser durate le operazioni di recupero?’

    Senza nessun dato oggettivo alla mano, mi perdo in ipotesi sulla durata del recupero.

    So che tutto questo inutile calcolare è frutto della paura, la speranza di non incontrare zigoti e poter tornare indietro mi spinge a trovare fondamento a sé stessa.

    La luce è vicina. È una sfera di nebbia chiara che si perde nel nulla circostante. L’intensità non è costante, potrebbe essere la luce di una torcia. Se così fosse avrei trovato i miei, gli zigoti non hanno bisogno di luce, malgrado amino dare fuoco.

    Procedo con più sicurezza, distinguendo qualcosa di ciò che mi circonda.

    Avanti, in controluce, una punta, forse una roccia, che emerge da terra.

    ‘Almeno questa caduta potrò risparmiarmela.’

    Devio un po’ per evitare l’ostacolo, forse più un tronco che una roccia, ma affondo su di un fango misto a non so che e scivolo di lato. Scricchiolìo.

    Tento di riprendere l’equilibrio, ma il tronco mi sbarra il passo. Cado in avanti, finisco a terra a quattro zampe, le braccia dentro all’impasto fino al gomito.

    Stranito, forse più nauseato, afferro il tronco e lo sollevo in alto per gettarlo lontano. Si ripiega su sé stesso e mi viene addosso.

    Non è un tronco, è una gamba di mostro cavalletta rotta al ginocchio.

    M’impongo la calma. Deglutisco e stringo i denti.

    È intrisa di una resina vischiosa, devo stringere con forza perché non mi sgusci dalle mani.

    Credo di vedere segni di morsi a una delle estremità. Sì, son proprio morsi, ce ne sono anche sulla coscia, dove tendini e osso sono scoperti.

    Non riesco però a capire se la gamba sia stata mangiucchiata oggi o nei giorni passati, non posso trarre informazioni utili dal ritrovamento.

    Esco a fatica dalla melma appiccicosa di questo tratto, nella quale sono affondato ancor più con i miei stessi movimenti.

    Non voglio sapere altro, non voglio vedere cos’ho attorno. Sputo della saliva che ha preso un gusto che non voglio mandar giù e torno a concentrarmi sulla missione.

    Arrotolo la parte del mantello zavorrata dal sudiciume e la fermo alla cintura. Riprendo ad avanzare, noncurante delle scivolate su buche e fango, che ora so non esser solo fango.

    L’alone di nebbia luminosa è molto vicino. Giro attorno a degli arbusti contorti e senza vita.

    Mi ronzano forte le orecchie.

    Voci. Non sono versi zigoti. Si fanno sempre più distinte.

    -Vi dico che è per di qua…-

    -Ti sbagli, non siamo mai passati di là.-

    -Pensi che non sia in grado di riconoscere le nostre orme?-

    -Smettetela voi due, seguitemi e basta!-

    -E perché dovremmo seguire te?-

    Continuo ad avvicinarmi, ma non possono sentirmi con tutto il baccano che fanno.

    Intravedo la triste scena.

    Sono ormai dentro il chiarore, potrebbero vedermi se non tenessero la fiamma all’altezza del viso.

    -Io non ci vengo con te, siamo venuti dalla parte opposta. Me ne vado.-

    -Vengo anch’io.-

    -No, dobbiamo rimanere uniti. Fermi! c’è qualcuno.-

    Cavalli e soldati impantanati alla rinfusa, allo sbando, senza nessun ordine di difesa.

    Il rumore di una spada che viene sguainata.

    -Avresti dovuto averla già pronta e non nel fodero a riposo!-

    Le pupille spalancate, terrorizzate, mi cercano all’unisono, senza ancora trovarmi.

    Il terrore non è per il mio tono adirato, promessa certa di punizioni senza precedenti, ma per il fatto di essere stati raggiunti senza essersene accorti né poterlo impedire, la presa di coscienza della propria vulnerabilità.

    Sono ormai a pochi passi, mi vedono.

    Un istante e il panico scompare, l’euforia illumina i volti imbrattati di putridume. Mi si avvicinano, abbandonando le redini.

    Avevo ragione, sono giovanissimi, tranne una. Il suo volto non mi è nuovo, di sicuro l’ho già vista ma mi sfugge dove.

    Il primo che mi capita a tiro è un ragazzo, fuori di sé dalla gioia, sta addirittura per abbracciarmi. Lo colpisco con uno schiaffo, senza risparmiarmi in mezze misure.

    Finisce gambe all’aria.

    Sbalorditi, si immobilizzano. Ma che si aspettavano? dei complimenti? baci e abbracci? Non mi capacito della loro idiozia.

    -Stupidi!-

    Li squadro uno a uno. Credo di assomigliare all’immagine di un mostro dell’oltretomba, almeno è così che percepisco la mia espressione e la mia voce.

    -Pensavate di essere a giocare con spade di legno tra le sottane di mamma? dove avete vissuto finora? non avete visto di cosa son capaci i nostri nemici?-

    Muti, sconvolti, eppure sarei io l’unico ad aver di che esser sconvolto di fronte a tanta stupidità.

    -Certo che abbiamo visto, ma non volevamo addentrarci tanto.-

    Il pupazzo a terra osa rispondermi!? e con che tono! Sono senza parole. Se almeno mi avesse risparmiato il patetico intervento…

    -Abbiamo visto un gruppo di zigoti feriti appena oltre l’Ykunia, volevamo solo massacrarne il più possibile- continua ora con voce lamentosa, cercando di rimettersi in piedi.

    Meglio che sospenda la ridicola discussione, se non voglio finire per strangolarlo con le mie stesse mani.

    Mi rivolgo all’unica che indossa la divisa.

    -Che ci facevate al confine? lo scontro è finito da un pezzo.-

    Si fa avanti.

    -Siamo un’unità di guardia.-

    ‘Questi quattro incapaci? a proteggere il nostro sonno?’

    -E avete lasciato sguarnito il vostro posto!?-

    -Saremmo tornati subito al nostro dovere, ma non siamo più riusciti a trovare…- abbassa la testa e tace.

    So che la necessità ha costretto ad arruolare chiunque in grado di sollevare un’arma o rimanere in sella, ma sono sicuro che perfino un cane avrebbe avuto quel minimo di buon senso che a loro è mancato.

    All’improvviso, ricordo chi è questa donna.

    Sono stupito, subito amareggiato. Conosco bene i meriti del padre e dei tre fratelli. Peccato per la casata dei Rokmast dover finire disonorata per colpa di un unico elemento.

    -Che delusione, Rokmast, proprio tu che avresti dovuto dare il buon esempio a questi ragazzi… Hai infangato il buon nome della tua famiglia! è questo che vi insegnano all’Accademia?-

    Alla luce della torcia la vedo serrare la mascella e stringere i pugni.

    -Ho sbagliato, mi dispiace.-

    Mi fronteggia, guardandomi dritto negli occhi. Ci vedo il fuoco, un fuoco inutile, senza motivo e fuori luogo.

    La colpisco. Cade. La torcia le sfugge di mano e finisce nel fango. Sfrigola. Con un balzo la raccolgo.

    Guardo con spregio i tre soldati più giovani, due ragazzi e una ragazza, poi la donna a terra.

    -Seguitemi.-

    Cerco le tracce del mio passaggio per seguirle a ritroso. Non è così facile, anzi non è facile per niente, la melma si rimangia tutto alla svelta.

    Arranco per un breve tratto e già non sono più sicuro sia la stessa strada appena fatta.

    Nitrito è di nuovo nervoso. Lo sono anch’io.

    Mi volto per assicurarmi che ci siano tutti. Ne vedo solo tre.

    -Dov’è Rokmast?-

    Sono pietrificati dalla paura, nessuno accenna una risposta.

    ‘Meglio che vada a cercarla da me, se non ne voglio perdere un altro.’

    -Tienimelo tu e non vi muovete.-

    Nell’alone di penombra oltre quello di luce, del movimento. Cammina tenendosi alla sella.

    La raggiungo e le passo il braccio sotto la spalla per sostenerla. Cerca di rifiutare il mio aiuto. Provo

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