L'abbazia insanguinata - parte seconda
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Storico - romanzo (125 pagine) - Mantova 1495: continuano le indagini di Iacopo Maglio. Seconda parte
Il vicario Maglio viene incaricato dal Vescovo in persona di indagare all’interno di un’abbazia ai confini del marchesato. Tre monaci hanno subito altrettanti incidenti mortali e qualcuno, fra le mura di quell’eremo religioso, ritiene ci sia qualcosa da chiarire.
La Volpe di Mantova parte insieme al fido Gaspare, Primo e Marcel, conscio che non sarà un incarico facile. L’ostilità dei monaci, primo fra tutti l’abate Michele, e i segreti che molti dei cenobiti conservano nei recessi dell’anima, daranno filo da torcere ai quattro.
Le trame s’intrecciano con la guerra in corso e con notizie di un’arma risolutiva per le forze antifrancesi. Mentre l’ombra della stregoneria allunga i suoi micidiali artigli sul monastero e la vicina città di Guastalla, dove i Torelli regnano come gregari del Ducato di Milano.
Umberto Maggesi è nato a Bologna l’11 novembre 1970. Vive a Milano dove svolge la professione di formatore e mental coach. Insegna e pratica Qwan Ki Do, arte marziale sino vietnamita. Appassionato di lettura e scrittura fin da bambino ha pubblicato vari romanzi con case editrici quali: Stampa Alternativa, Delos Books, Ugo Mursia, GDS edizioni.
Redattore del periodico dell’Unione Italiana Qwan Ki Do, ha collaborato per molti anni alla rivista di settore marziale Samurai.
Ha pubblicato numerosi racconti su riviste di settore come: Tam Tam, Inchiostro, Writers Magazine Italia, in tutte le storiche 365 Racconti di Delos Books e in appendice al Giallo Mondadori.
Per Delos Books ha pubblicato: Il sangue dell’elfo, Possanza della luce, Il significato dell’onore, La prediletta degli dei, Io il mostro, Zodiaco di sangue, Ornamento di sangue, Complotti e sangue, Trame di sangue, Lo straniero.
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L'abbazia insanguinata - parte seconda - Umberto Maggesi
9788825405231
Nella puntata precedente
Il vicario del podestà Iacopo Maglio è stato inviato dal Vescovo di Mantova a indagare su tre incidenti accaduti in un’abbazia nella parte più meridionale del marchesato.
L’abate Michele non gradisce l’ingerenza del funzionario e dei tre soldati che si porta appresso, quindi gli mette alle costole il segretario Lorenzo, per essere sempre aggiornato sui suoi movimenti.
L’abbazia sta vivendo un periodo di prosperità. Molti edifici, fra cui la chiesa, sono stati ristrutturati, e il superiore dell’ordine ha già in mente nuovi lavori: vuole fare dell’abbazia di Altomaniero un centro d’eccellenza della cristianità.
Iacopo comincia le indagini il giorno stesso dell’arrivo, visitando il luogo della morte di padre Agostino. Lo speziale è stato ritrovato in una tinozza, nei bagni del monastero. Con disappunto del Maglio il luogo è stato pulito e il corpo già seppellito, ma l’occhio esperto della Volpe di Mantova non fatica a cogliere i primi indizi.
Il cellaio, padre Paolino, è morto sotto il crollo di un soppalco, in uno dei magazzini del monastero. Persona scrupolosa e devoto all’ordine, il padre cellaio, a differenza dello speziale, era amato e rispettato da tutti. Eppure, il vicario viene a scoprire che contraffaceva i registri, sottraendo denaro alle casse dell’abbazia.
Il terzo incidente ha coinvolto padre Luca, caduto da un dirupo mentre era in cerca di funghi. Sarà il priore, padre Pio, a mostrare il luogo e a spiegare i rapporti dei tre con il resto della congregazione.
L’attenzione di Iacopo si sposta su un novizio dal carattere irascibile, Lucerino da Cortevecchia, mandato lì dal padre più per disperazione che per devozione. Il giovane non mostra rispetto per nessuno ed è impermeabile a ogni punizione.
Gaspare, Primo e Marcel, i tre soldati a scorta del funzionario, non riescono a ottenere informazioni dai laici che lavorano nell’abbazia, probabilmente timorosi di perdere il lavoro presso i monaci.
Fiore all’occhiello dell’abbazia è la biblioteca, curata dal dotto padre François, che ha raccolto e restaurato centinaia di volumi, molti di alchimia, antica passione dell’abate. Il vicario non perde occasione di ispezionare ogni scaffale e stanza, fino a scoprire delle lettere, ben nascoste, scritte in lingua franca. Purtroppo, lui non conosce tale idioma e si accontenta di prenderne qualcuna.
La prima scoperta inquietante avviene nel perquisire l’erboristeria. I soldati di Mantova trovano degli organi umani conservati in barattoli di vetro. Nessuno sembra sapere cosa ci facesse, padre Agostino, con quelle cose, né dove possa essersele procurate. La notte seguente un incendio distrugge tutta la struttura. I quattro inviati da Mantova riescono a salvare pochi libri, per lo più rovinati dal fuoco.
Per tradurre le lettere, Iacopo si reca a Guastalla da una conoscenza di vecchia data, il giureconsulto Carmelo Rogoletto. Questi lo indirizza da un notaio di madre francese, che svela il contenuto degli scritti.
Si tratta di rapporti dai vari stati italiani e sembra che il destinatario sia una persona di alto rango in Francia, in diretto contatto con Carlo VIII. Ciò che impensierisce il funzionario di Mantova è che sono tutte scritte dalla stessa persona. I rapporti mostrano una rete d’informatori che il re francese ha disseminato per programmare la sua invasione. Oltre alle vicende politiche e alle possibili alleanze, i rapporti parlano di un’arma segreta e totale che potrebbe distruggere l’esercito francese. Un’arma ancora oscura, che parrebbe frutto di studi alchemici e legata all’Ordine di Santa Caterina Martire. L’ordine esoterico è guidato dall’astrologo di corte dei Torelli, signori di Guastalla, il magister Domizio Salace.
A questo punto Iacopo cerca di entrare in contatto con l’ordine, attraverso uno dei suoi membri minori, un alchimista di nome Palmiro Guazzani.
L’alchimista li riceve scontroso e concede poche informazioni, tanto da costringere il Maglio a recarsi a palazzo Torelli per parlare con l’alchimista del conte. Ma i segretari che lo accolgono si chiudono in un ostracismo feroce e non gli permettono di vedere nessuno.
A questo punto Iacopo è costretto a tornare all’abbazia di Altomaniero, con più dubbi e domande di quando era venuto in città. In mezzo alla nebbia che lo circonda viene assalito e sequestrato da tre individui. Si sveglia dolorante in una cantina, certo che i suoi giorni sono giunti alla fine…
Capitolo 24
A. 1595
Era una cantina o un magazzino sotterraneo, come molti ce n’erano nelle case dei commercianti. A giudicare dalla polvere e dalle ragnatele non veniva usato spesso. Aiutandosi con la parete riuscì ad alzarsi. La nausea era scemata un poco, ma il dolore continuava a martoriarlo. Quel maledetto lo aveva colpito con l’elsa della spada. Appena sotto la tempia sinistra c’era sangue incrostato. Evitò di controllare l’entità della lacerazione.
La finestra era bloccata da qualche asse di legno, un po’ troppo alta per lui. Lasciò la sicurezza della parete per avviarsi verso le botti. Erano vuote, senza coperchio e dall’aspetto piuttosto precario. Non c’erano molte alternative lì sotto, per cui ignorò il dolore tirando con tutte le sue forze. La penombra si rovesciò su se stessa. Lampi di luce gli attraversarono la visuale. Le ganasce strinsero crudeli. Anche la nausea volle dire la sua, risvegliando disgustosi recessi gastrici.
Il vicario della podesteria di Mantova si ritrovò ginocchioni nella polvere, aggrappato al legno marcio della botte, ansimante, disperato.
Ci voleva tempo. Un piccolo passo alla volta. Le voci al piano di sopra erano cessate, ma certamente qualcuno era appostato a far la guardia. Un passo alla volta, in silenzio. Si disse raccattando un po’ di coraggio.
Seduto nella polvere, puntò i piedi contro il legno e le mani per terra, schiacciando qualcosa di duro. Merda di topo probabilmente. Ignorò e spinse.
Per parecchi istanti non successe nulla.
Tutta la sua forza contro una botte vuota non bastava ad averne ragione. Poi ci fu un movimento, un piccolissimo strisciare. Gli parve che il rumore fosse fortissimo, ma dall’alto non ci fu alcuna reazione. Fra piccole spinte e stilettate di dolore, spinse la botte sotto l’apertura. La luce fra le assi era notevolmente aumentata. Non sapeva quanto tempo fosse passato, sapeva solo di essere esausto e ricoperto di sudore. Sentiva la testa come sotto a una macina. Giri e giri di dolore che si aggrovigliavano togliendogli energie.
La sua bella Eleonora gli avrebbe detto di continuare, metterci tutta la forza e ricominciare. Da un momento all’altro i suoi carcerieri sarebbero venuti a sistemarlo. La spinse contro la parete inclinandola, poi tirò da sotto, usando le gambe affinché non rotolasse o cadesse pesantemente.
Era riuscito a metterla sdraiata, riprese fiato lottando contro il dolore. Le lame di luce fra le assi si erano spostate di un bel pezzo. Sentiva il tempo scorrergli via dalle dita. Quello poteva essere il suo ultimo giorno sulla Terra. Non avvertiva tutta quella preoccupazione che si sarebbe aspettato. In fondo, dall’altra parte, c’era la sua bella Eleonora ad aspettarlo. Se qualcosa lo tratteneva in questa valle di lacrime era la caccia. L’assassino, o gli assassini a questo punto, sarebbero rimasti impuniti. Una stortura nel Mondo che sarebbe rimasta tale per colpa sua. Attingendo a tutte le forze rimaste sollevò la base della botte, c’infilò sotto le ginocchia e, ansimando ferocemente, rovesciò. Il tonfo sordo rimbombò per tutta la cantina.
Iacopo era troppo stravolto per preoccuparsene. Fu il rumore di passi e il suono del chiavistello che gli fecero capire il pericolo. Strisciò, il più velocemente possibile, nel punto esatto in cui aveva preso coscienza.
La porta sopra le scale si aprì, rovesciando una luce tremolante.
– Ti sei svegliato, finalmente!
L’uomo scese le scale allungando una lanterna. Il prigioniero si sforzò di non guardare dalla parte della finestra, pregò il cielo, la sua bella moglie e tutti i santi del Paradiso che gli occhi del carceriere non si spostassero da lui.
– Vedi di stare tranquillo, se no ti lego!
Aveva già visto quel volto. Nella confusione del momento non ricordava, ma lo aveva già visto.
– Acqua… per favore – sussurrò. Le parole ferivano la gola.
– Non ne hai bisogno! – rispose l’altro risalendo. – L’acqua è per i vivi!
Sbatté la porta lavorando di chiavistello.
Se al vicario della podesteria di Mantova era rimasto ancora qualche dubbio sulle intenzioni dei briganti, ora poteva buttarlo nella più profonda cloaca del suo essere.
Arrancò fino alla botte, saggiò la resistenza con le mani sul legno e poi, un ginocchio alla volta, ci salì sopra.
Le assi erano bene inchiodate. Uno sguardo in giro gli mostrò che non c'era nulla che avrebbe potuto aiutarlo. L’uomo tirò e spinse. Schegge morsero la carne. Usò il mantello per coprirsi le mani, iniziando un lento lavoro sul legno. A volte gli pareva di far progressi. Altre la frustrazione lo assaliva crudele mormorandogli che sarebbe morto.
Fu un tempo indefinito, in cui faticò come mai aveva fatto in vita sua. Non era un guerriero, non era un uomo forte. La mente era sempre stata la sua unica arma, per tutto il resto dipendeva da uomini come Gaspare. Giurò che, se fosse uscito da quella situazione, avrebbe imparato a usare la spada e irrobustito il suo corpo. Come a concedere un premio per le sue buone intenzioni, l'asse si staccò dalla parete. La finestra non aveva vetro. Dall’altra parte un vicolo e la parete di una casa piuttosto malridotta. Gli occhi erano all'altezza del pavimento. Sentiva suoni in lontananza. Rotolare di ruote di carro. Zoccoli di cavalli. Deboli voci. Forse lo avevano riportato a Guastalla. Comunque, poco importava finché era chiuso lì. Riprese a lavorare con il secondo legno. Doveva toglierne tre e poi sarebbe potuto sgusciare fuori.
Quando la seconda asse cedette, aveva le mani e il lembo del mantello sporche di sangue. Le schegge avevano fatto il loro lavoro, scavando buchi profondi nei palmi. Spalle, collo e braccia bruciavano. Se non altro il dolore alla tempia era passato in secondo piano. Il peggio era la sete. Ci fosse stata una pozzanghera maleodorante, ci si sarebbe tuffato per bere.
Se esci da qui potrai bere.
Vide la sua bella Eleonora vicino a lui. Le forze tornarono a sostenerlo. Non era solo. La mente dolorante non si soffermò sull'assurdità di quel pensiero, era protesa a un unico obiettivo, disperatamente.
Avvolse le mani in un altro lembo del mantello e ricominciò.
Si ritrovò con la fronte contro il legno, esausto. Gli occhi chiusi. Non aveva la minima idea di quando avesse smesso di lottare.
L'idea di richiamare l'attenzione di qualcuno lo sfiorò, ma il suo carceriere sarebbe arrivato ben prima a tagliargli la gola. Appoggiò i palmi sull'asse. Il dolore si arrampicò su per il braccio, innescando un incendio dentro di lui.
La voce della disperazione gli cantava canzoni di morte, raccontava di come sarebbero venuti a prenderlo, col buio. Lo avrebbero portato in un posto isolato e ucciso.
Avesse avuto una goccia d'acqua in corpo avrebbe pianto. Non sentiva neppure più la sete e il dolore alla testa. Pessimi segnali di un corpo che sta abdicando alla sconfitta.
Alzò il capo. Chissà che ora era? Quando sarebbero venuti a prenderlo? Col buio, era ragionevole, non potevano aggirarsi per la città con un prigioniero di giorno.
Piegò le dita.
Dolore.
Stese le dita.
Vetri rotti scricchiolarono nelle sue giunture.
Afferrò l'asse.
Fuoco liquido corse per gli avambracci.
Nuovamente tirare e spingere. Ancora e ancora. Quando il ritmo diventava costante le cose andavano meglio. Un compito da eseguire. Giunture in movimento oltre il dolore. Il segreto era non fermarsi. Continuare il lavoro, senza pensare ad altro. Se si fosse fermato un'altra volta, sarebbe stata la fine.
– Hai quasi finito.
Sussurrò. Parlare lo aiutava a stare lucido.
– Poi… poi andrai a prenderli. Tutti quanti.
Oh sì. Li avrebbe presi e avrebbero pagato anche per quello. Avrebbero pagato per la paura, la