Celtic - The prequel
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Celtic - The prequel - D.J. Highlanders
twitter.com/youcanprintit
PROLOGO
‘Upyerockye’.
La cornamusa di Charlie precedeva il rullio dei tamburi dei suoi tre compagni, una marcia lenta che ad un tratto aumentava di ritmo. Poi la cornamusa sfilava e i tamburi affrettavano il passo, mentre la chitarra elettrica in sottofondo condiva l’ensemble. Qualche minuto dopo, mantenendo lo stesso tempo aiutato da un pubblico festante, Charlie, con la sua tenuta scozzese e la folta barba grigia, ritornava prorompente con la cornamusa accompagnando gli amici fino all’ultimo pizzico di corda, fino all’ultimo rullio, fino all’ultimo fiato, per interrompersi bruscamente. E il pubblico, composto da un centinaio di persone, tra urla e cori ringraziava con un fortissimo applauso. I Saor Patrol, questo gruppo musicale scozzese di Edimburgo, erano talmente travolgenti che, ammaliato dalla loro bravura, mi fermai per acquistare un loro cd. Milano, erano i primi giorni di dicembre e la fiera dell’artigiano volgeva al termine, ma loro erano lì sin dal primo giorno e ogni ora tornavano a suonare tre loro successi sul palco allestito dallo ‘Spirito del Pianeta’, un’associazione che da anni promuoveva le culture tradizionali dei popoli nativi di tutto il mondo. Piacevolmente rapito dalla loro prorompente musica, presi la via del ritorno verso la mia città natia. Nelle ore di viaggio che mi attendevano colsi l’occasione per ascoltare tutto il cd che avevo acquistato. Quando sentii nuovamente ‘Upyerockye’ mi si presentò davanti agli occhi della mente un filmato, che da quel momento ebbi modo di riavvolgere e rivedere ossessivamente fino a quando non arrivai a destinazione.
Immaginavo un giovane in un bosco, che fuggiva da altri ragazzi. Il giovane scappava, cadeva, scivolava, correva, correva e ancora correva inseguito dai suoi nemici, fino a quando...
Quello che vi ho esposto è la scintilla che ha originato ‘Celtic’, il mio racconto. Prima di mettermi a scriverlo trascorse qualche giorno. Non avevo mai pensato ad un romanzo, eppure tutto mi appariva nella mente come se fosse naturale. Non avevo idea di come si scrivesse una trama così lunga e complessa ma nella mia testa apparivano luoghi, personaggi, eventi: ero un fiume in piena. Quando decisi che non potevo tenere tutto nella mia scatola cranica, mi ci vollero solo venti giorni per mettere la parola fine al mio primo libro. Che cos’è Celtic? Bè, lasciamo che i lettori lo scoprano da soli. Certamente è un’avventura: una grande avventura dove la mente è libera di spaziare oltre ogni orizzonte, oltre ogni limite, oltre ogni confine per assaporare quella particolare libertà che non si riesce a descrivere. Celtica.
Passati sette anni dalla stesura del testo, dopo averlo fatto correggere minuziosamente dal più grande esperto al mondo di simbolismo e di iconologia medievale e rinascimentale, il Prof. Andrea Vitali, laureato in scienze umanistiche, storia medievale e musicologia, creatore dell’Associazione Culturale e del portale ‘Le Tarot’, frequentato da eminenti personalità del mondo accademico e culturale internazionale, e dopo averlo presentato ad una ventina di case editrici non ricevendo risposta, ho trovato il modo di poterlo pubblicare. Ma qualcosa è cambiato.
In questi sette anni ho maturato l’idea che il romanzo necessiti di un’introduzione per facilitare e risolvere quesiti che nell’opera potrebbero rimanere irrisolti, anche se alcuni lo rimarranno ugualmente. Per questo motivo prima di pubblicare il romanzo vero e proprio, ho deciso di raccogliere e pubblicare alcuni racconti che avvicineranno i lettori al primo volume di ‘Celtic’, sia per quanto riguarda la trama che lo spirito in essa contenuto.
Racconto Pilota
LA BIBLIOTECA DEL VILLAGGIO
Quando ebbe inizio tutto? Difficile dirlo. Penso sia corretto dire che in fondo esistiamo da sempre, da quando l’uomo è comparso sulla terra. Vede, questi territori sono sempre stati impregnati della nostra cultura, del nostro modo di essere, delle forze o spiriti, tipici della nostra tradizione. Noi siamo sempre stati qui, anche quando siamo stati estirpati, cancellati, sostituiti da altri popoli. Forse nel nostro sangue non è presente il DNA che identifica biologicamente i primi abitanti di queste terre, ma chiunque vi abbia messo piede prima o dopo si è fatto pervadere dalla nostra forza, dalla nostra essenza, dal nostro spirito ed è diventato uno di noi. Siamo la terra che viviamo, la forza di questa regione, l’unità di un universo destinato a sopravvivere nei millenni e ciclicamente, distruzione dopo distruzione, siamo destinati a tornare. Qualcosa nel nostro mondo sta cambiando e non possiamo restare indifferenti e in silenzio. Non possiamo più nasconderci per timore di essere distrutti di nuovo. Abbiamo il forte desiderio di tornare protagonisti, e la forza sufficiente per farlo.
L’anziano, che indossava una tunica bianca finemente ricamata sul petto e una cintura di raso rosso in vita, interloquiva con il corrispondente dell’Irish Times mentre entrava in una casa di legno tipica di quel villaggio, sede delle sua amata biblioteca.
Sì, capisco il suo pensiero, il suo entusiasmo, ma non intendevo che mi raccontasse tutto proprio dall’inizio. Ci vorrebbe un’eternità, invece ho solo un paio di colonne, capisce?
L’anziano guardò il suo interlocutore, che teneva in mano lo smartphone con il quale lo stava registrando, poi volse lo sguardo al pavimento, un caldo parquet di legno palissandro durame con le sue venature di colore bruno violetto e porporino di colori alterni chiari e scuri.
Va bene, allora cosa vuole sapere?
Bè, non so. Come siete arrivati a questo? Il villaggio, il luogo da dove arriva la vostra gente, perché siete qui...
Ho l’impressione che due colonne non basteranno. Mi ha chiesto troppe cose e ognuna meriterebbe di essere raccontata nella giusta maniera. Due colonne? Non sono sufficienti.
rispose con un tono di voce meno pacato.
Allora scelga lei. Mi dia la possibilità di fare il mio lavoro.
Il vecchio, coi capelli bianchi e la barba lunga, portò la mano destra sul mento e con le dita lo massaggiò pensieroso, poi gli si illuminarono gli occhi.
Qualcosa per lei potrei averla. Che ne pensa di fare un bell’articolo sulla nostra biblioteca?
Biblioteca? Mi scusi, ma cosa può raccontarmi? In fondo sono quattro mobili pieni di libri.
sbottò incredulo e deluso il giornalista.
Mobili? Libri? Oh andiamo, non penserà che la nostra biblioteca sia tutta qui.
disse sorridendo, alzando le sopracciglia. Questo è l’ingresso, l’anticamera, il posto dove tengo gli ultimi arrivi in attesa di sistemarli negli scaffali giusti. Venga con me, le faccio vedere cos’è la nostra biblioteca.
Il giovane giornalista seguì il vecchio. Non era convinto che la biblioteca di quella gente strana cui tutti sparlavano costantemente alle spalle fosse l’argomento che il suo direttore avrebbe pubblicato sul quotidiano più letto di Dublino.
Eccoci qua!
disse l’anziano facendo accomodare il giovane al grande tavolo di legno massello di colore scuro tendente al rossiccio che troneggiava nella sala dove erano stipati, in un ordine maniacale sfuggente a prima vista, decine di migliaia di libri dal pavimento fino al soffitto alto almeno quattro metri. Il cronista si sedette sulla pregiata sedia di legno dove era incisa una grande quercia secolare, appoggiò il telefono sul tavolo e commentò desolato, sulla difensiva:
Noto che i libri non vi mancano.
Ah, dice? In verità ne mancano parecchi. Ma questa che vede è la sala più piccola. Ce ne sono altre undici, due piani sopra la nostra testa e quattro piani sotto, un’aula magna, dodici sale di lettura...
Da dove arrivano tutti questi libri? E soprattutto, ci saranno voluti molti soldi per creare una biblioteca del genere. Come avete fatto?
chiese incuriosito il giornalista, mentre un bizzarro animaletto scendeva lesto dal tavolo per infilarsi nella tasca sinistra della giacca verde con finiture marroni che egli indossava.
Questa è la mia passione, la mia creazione, la mia identità. Formiamo molti giovani tra queste mura e la formazione non si ferma all’età scolare. In questo momento non vede nessuno perché tutti sanno che lei è qui e non amano farsi vedere o riprendere. Deve sapere che siamo un poco riservati. Questo luogo durante il giorno è un brulicare di persone. Le ho parlato delle sale lettura?
Sì, dieci. Ha detto che ne avete dieci.
Per l’esattezza dodici. Venga, venga! Le faccio vedere.
Il vecchio accompagnò il giovane giornalista nella stanza accanto, dopo aver attraversato una porta di vetro riccamente decorata con ornamenti floreali.
Però, vedo che non vi fate mancare nulla!
Ventiquattro postazioni fornite di tutto: computer, cuffie, accessori vari e ciò che soprattutto prediligo: carta, matita e penna. Sa, sono un nostalgico, a questi strumenti non avrei mai rinunciato. E mi rendo conto che molti li usano ancora, più di quanti possa pensare.
E avete dieci sale lettura così?
No, no...
Ah bè, mi sembrava strano, già quello che vedo è troppo, tutta questa tecnologia in questo posto...
Questa è la sala più piccola. Ma non si spaventi, nulla d’immenso. La più grande è predisposta fino ad un massimo di quasi cento postazioni. Novantasei, per l’esattezza.
disse sorridendo.
Il giornalista rimase senza parole. Non si capacitava di quell’immenso tesoro in una struttura isolata dal mondo, fuori da ogni collegamento, in una costruzione che esternamente sembrava una normale casa di legno e neppure la più grande e attraente del villaggio.
Allora. le interessa la biblioteca?
Ecco... Insomma, non penso che il mio direttore quando mi ha inviato qui intendesse che gli portassi un servizio su una biblioteca.
Una? La biblioteca! Mi scusi sa, l’età, mi sono dimenticato per quale giornale scrive.
L’Irish Times. Dicevo...
Pensi, già immagino il titolo: ‘Un grande tesoro culturale nel nord del Paese’. Cosa vuole di più? Oltre due milioni di libri, dodici sale di lettura, e le ho parlato della sezione libri rari?
No, non mi ha...
balbettò il giornalista.
Venga, venga! Scommetto che appena la vedrà resterà senza parole.
disse l’anziano avvicinandosi all’ascensore, mimetizzato nella parete in modo da sembrare l’ingresso verso un’altra stanza.
Va bene, la seguo. Posso fare qualche foto?
Foto? Non le hanno detto nulla? Non amiamo farci riprendere.
Non intendevo fotografarla. ma almeno una foto della biblioteca...
Non si preoccupi, le invierò un file con un paio di foto per rimpinguare il suo scarno articolo.
Scarno? Guardi che due colonne sull’Irish Times rappresentano un gran servizio. Non lo definirei scarno.
si stizzì il giovane, orgoglioso del suo lavoro, mentre scendevano all’ultimo piano sottoterra.
Sì, sì. Un grande servizio. Ma comunque siamo arrivati. Venga, venga a vedere! Ah, tengo a precisare che lei... non ricordo il suo nome. Comunque lei è la prima persona che mette piede in questa sala.
James, James O’ Dail. Sono lusingato, ma non aveva detto che questo posto è frequentato da tanta gente?
Intendevo persone estranee, che non appartengono al nostro villaggio. Ed ora si lustri gli occhi: guardi che meraviglia!
disse l’anziano aprendo la porta che conduceva nella sala dei libri rari e antichi. Una stanza semi buia con un faro sul soffitto che illuminava un leggio sul quale