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La mistica del carismatico
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La mistica del carismatico

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Rose più o meno mistiche… medagliette, collanine, santini, veggenti. Un racconto su un improbabile invaghimento in un contesto di dogmatiche superstizioni e ritualistica “popolana” da commedia, non privo di momenti da rimuginare con calma. L'opportunismo della specie non si fa desiderare.
LanguageItaliano
Release dateFeb 22, 2018
ISBN9788827576267
La mistica del carismatico

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    La mistica del carismatico - Salvatore Dimauro

    http://write.streetlib.com

    1

    Alle cinque c’è il rosario, siamo a Santa Maria delle Grazie Impetrate, è superimportante vedi! Ci saranno le guarigioni, l’ha detto la Madonna.

    Bene… Se vuoi ti passo a prendere io, se non sei già organizzata.

    La telefonata con Rossella si concluse rapidamente, non era già organizzata, e sarei andato a prenderla io.

    Alle cinque di quel pomeriggio ci sarebbe dunque stata la recita del Santo Rosario.

    Una volta, durante un giro per un borgo montano, entrai a curiosare in una modesta chiesetta tardomedievale, attratto dalla bella facciata austera, in pietra, e dalla remota speranza che l’interno dell’edificio non avesse subito rifacimenti di dubbio gusto; ricordo che appena varcato l’ingresso fui presto raggiunto dal suono tenue di questa preghiera, recitata da un gruppetto di quelle che mi sembravano anziane donne, quattro o cinque, accomodate sulle seggiole più prossime all’altare; mi trattenni dallo spingermi troppo avanti lungo la navata temendo di disturbare il momento di raccoglimento delle fedeli e decisi di tornare delicatamente sui miei passi.

    Anche perché là dentro non avevano lasciato un solo centimetro senza stucchi bianchi, riccioli rococò e filetti dorati.

    Penso che a qualcuno sia potuto succedere, forse più di una volta, trovandosi a esplorare qualche vetusta e sontuosa costruzione destinata alla cura delle anime, in mezzo a marmi mischi e dipinti inscuriti di estasi mistiche e patiboli di ogni sorta, che questa cantilena, scivolando molle tra le panche e insinuandosi lenta tra le colonne, gli sia arrivata a sfiorare le orecchie.

    Non è raro che essa, mentre si avvolge attorno al visitatore, gli riesca non del tutto indifferente ma che anzi la vista di quelle vecchine impegnate nella tirata, avvolte nei loro scialli neri e radunate al cospetto della statua incoronata più mestamente benevola che c’è nel tempio, gli susciti quasi una sensazione di serena familiarità. D’altronde che cosa mai di cattivo potrebbe venir fuori dalle bocche di quelle pie donne? A volte ci pare anche di conoscere da sempre questo quadretto delle oranti curve e lamentose, o perché si trova nella nostra memoria stipato da qualche parte assieme agli altri rimasugli del giovanile condizionamento religioso, sperando che si tratti solo di rimasugli, oppure perché lo abbiamo già visto a contorno di una pièce comica o in qualche film di genere, messo lì a dar forza a un certo tipo di simpatico repertorio da commedia popolare che questa candida scenetta l’ha spesso dipinta e ridipinta.

    Nella realtà tuttavia non sono solo le quattro vecchine del paese a tenere il conto dei grani. Il loro brusio si aggiunge a quello di migliaia e migliaia di altri che invocano la Vergine potente da ogni dove, dai grandi santuari partono le dirette televisive di folle adoranti chine dinanzi statue benignamente maestose, la radio si unisce al coro e il gigantesco mormorio si innalza fino a raggiungere la piangente e amorevole Vergine, mai sorda a un’invocazione e sempre pronta a stupire la massa dei suoi supplici ora roteando il sole e modellando le nuvole a sua immagine, ora con qualche lotteria delle guarigioni o ancora con qualche nuovo messaggio o segreta profezia, di cui è prodiga, che affida alle limpide bocche dei suoi tanti veggenti.

    Ebbene, il giorno di quella telefonata, stavo per prendere parte ancora una volta alla messa in scena di questa stessa nenia che in un tempo non lontano il mio polveroso immaginario, ignaro del mondo che ruota attorno a una così devota pratica, ancora l’avrebbe associata indissolubilmente alle comari di Sant’Ilario.

    Oggi mi recavo in un santuario, con Rossella, per unirmi a quel supplicante bisbiglio a più voci che ormai avevo provato più e più volte, al tempio com’è logico, ma anche in casa e, per quanto stravagante possa sembrare, pure in automobile.

    Quale che fosse il luogo, la condizione necessaria ma non sufficiente perché io mi trovassi a partecipare a qualsivoglia rosario, divino ufficio o manifestazione pastorale con annessi e connessi era rappresentata dal trovarmi sempre in compagnia, o meglio al seguito, di almeno un elemento dell’insieme formato da Rossella e Oreste.

    Cosa c’era di nuovo quel bel pomeriggio di marzo? L’occasione era ben più particolare e importante del solito in quanto stavo per andare a recitare il rosario con il gruppo di preghiera pensato, istituito e diretto da Rossella in persona in un luogo ufficialmente destinato ad accogliere le pratiche devozionali più solenni, come era appunto il santuario di Santa Maria delle Grazie Impetrate, luogo che, a quanto mi risultava, le era stato messo a disposizione dal parroco tenutario del tempio medesimo, per farne la sede fissa delle attività del gruppo di Rossella.

    Quando arrivò non fu inaspettato quell’invito a unirmi alla compagnia stabile del rosario che Rossella mi rivolse, poiché devo dire che era già da un po’ di tempo che mi immaginavo una promozione sul campo, non certo un’investitura ma una piccola promozione sì, visto che nelle ultime funzioni religiose alle quali avevo preso parte, celebrate da un prete ottuagenario in una sventurata e semivuota cappelletta in periferia, avevo anche fatto da timido letturista, prima lettura per la precisione, incoraggiato dalle benevoli esortazioni di Oreste e sorretto dal dolce sorriso di Rossella. Proprio come previsto i gradi non si fecero attendere e il mio avanzamento oggi si ufficializzava con quel rosario lì, quello di Rossella, in cui esordivo appunto quale membro di quel variegato e pittoresco gruppo di preghiera messo su per celestiale ispirazione dalla stessa, non senza i saggi consigli e il prezioso ausilio di Oreste, non meno celestialmente ispirato.

    Non male, considerando che ai bei tempi la sola idea di avventurarmi verso il presbiterio, seppure con fare pentito, contrito e redento, si sarebbe sicuramente accompagnata alla paura di vedermi brandire dinanzi la minacciosa durlindana di un qualche scaccino spuntato chissà da dove.

    Oggi Rossella sarebbe arrivata a Santa Maria delle Grazie Impetrate in macchina con me, punto.

    Per questa precisa occasione Rossella era stata messaggiata direttamente dalla divinità, cosa per nulla inconsueta in verità e alla quale avevo fatto una certa abitudine; la divinità le faceva appunto sapere che in quel pomeriggio della prima una supplica potente di adoranti inginocchiati davanti la sua statua avrebbe meritato il suo favore e con esso sarebbe giunto il beneficio di risanamenti e rifioriture; io ero un po’ emozionato e speravo che tutto andasse per il meglio, era un momento piuttosto importante, non certo per le promesse della dea, delle quali non mi interessava granché, ma perché mi stava a cuore che le aspettative di Rossella sull’esito dell’evento non andassero deluse. Avevo appunto un minimo di apprensione anche per il fatto che grazie alla mia atavica negligenza, nonostante possa sembrare incredibile, ancora diversi aspetti della procedura ritualistica non mi erano del tutto chiari essendo, a dirla tutta, sempre riuscito a impostare una modalità di partecipazione un po’… defilata e sottotono, persino in automobile; e devo ammettere che ero arrivato a quel pomeriggio senza sapere a memoria almeno un paio di preghiere, tra le quali il Salve o Regina che, per chi non lo sapesse, è ritenuta essenziale per il cerimoniale, e un’altra non meno importante di cui non ricordo il titolo; di queste preghiere qui avevo una conoscenza piuttosto maccheronica e più che recitarle in realtà le farfugliavo, ripetendo, inevitabilmente fuori sincrono, quello che di volta in volta mi riusciva di captare e che era ora un …vocata nostra ora un …gementi e piangenti e così via. A tutt’oggi ancora non le conosco, e non credo che avrò più l’occasione di parodiarle furbescamente e men che meno capiterà più che io cerchi di ritenerle a memoria, cosa che in effetti, mea culpa, non ho mai neanche provato a fare.

    Questo di marzo fu il primo rosario importante di quel periodo che iniziato intorno a novembre o giù di lì durò fino ai primi di giugno, mesi strani, nei quali questa storia raggiunse la sua acme e la sua conclusione.

    Com’è dunque che arrivai a recitare il rosario il sabato pomeriggio alle cinque, assieme al gruppo degli altri supplici, genuflesso davanti a una luccicante scultura della Causa della nostra letizia? Il perché non è particolarmente difficile da immaginare e forse non è neanche interessante, il come è altrettanto poco interessante, nessun climax, nessuna tensione, nessuna introspezione; e spero anche nessun personaggio in cui immedesimarsi.

    Intendiamoci, non è grave, ci mancherebbe, sarebbe stato peggio se fossi finito a fare lo sportivo della curva nord, tuttavia, così per mio carattere, questa è una cosa che non avrei mai immaginato né voluto fare, inoltre alla veneranda età di quarantacinque anni avevo ormai superato bene o male indenne o comunque con danni limitati un mucchio di fastidi, tanto per pescarne qualcuno a caso: Siddharta, emoticons, calcio, madre terra e volemose bene, pornografia, culinaria per intenditori, Clapton is god, Osho (questo poi…), dibattiti politici, astrologia, Apple, cinema d’essai e Guerre Stellari, Lao Tsu, Hare Krishna, l’Uomo Ragno e forse forse anche Goldrake, insomma, temi, materie, pratiche e personaggi tutti fortunatamente relegati al ruolo di vaghe facezie più o meno sperdute all’interno del mio apparecchio encefalico, dicevo alla venerabile età di

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