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Tutta colpa dello zodiaco
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Tutta colpa dello zodiaco

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About this ebook

Dodici segni, dodici autori, dodici racconti ispirati ai segni zodiacali. Storie dalle tinte forti, che mescolano mistero e magia, leggenda e realtà. Uno zodiaco di storie per lettori curiosi.

Tutto colpa dello zodiaco” comprende:
Progetto Heimdallr, di Alessio Del Debbio
Il toro del regno dei morti, di Francesco Balestri
L’uniforme, di Chiara Rantini
La farfalla dorata, di Daniela Tresconi
Pecora, di Romina Bramanti
Nel segno della vergine, di Luciana Volante
Ossessione, di Simone Falorni
Ottimo lavoro!, di Maria Pia Michelini
Tom Waits è del Sagittario, di Mirko Tondi
Snap! Zot! Shot!, di Leandra Cazzola
Caronte, di Elena Covani
Il canto dei pesci, di Furio Detti
LanguageItaliano
Release dateFeb 20, 2018
ISBN9788894210286
Tutta colpa dello zodiaco

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    Tutta colpa dello zodiaco - Autori vari

    casuale.

    PREFAZIONE

    Vedi come da indi si dirama

    L’oblico cerchio che i pianeti porta,

    per sodisfare al mondo che li chiama.

    (Par. X, 13-15)

    Il cielo ha sempre esercitato un fascino indiscutibile sull’animo dell’uomo, che fin dai tempi più antichi ha cercato di studiarlo, di comprenderlo, passando nottate a testa in su, a fissare quei puntolini luminosi e lontani, eppure così vicini che a volte bastava allungare una mano e sentirli lì, con sé, con tutta la loro vita pulsante. L’uomo ha studiato il cielo e le stelle e vi ha proiettato la sua cultura, diversa per ogni epoca e regione, raffigurandovi immagini e figure, reali e fantastiche, scene di battaglia, personaggi e emblemi della propria mitologia. Così sono nate le costellazioni e, tra tutte, le più importanti sono le dodici situate sull’eclittica, il moto apparente compiuto dal sole in un anno, le dodici costellazioni dello zodiaco.

    Le conosciamo tutte, come conosciamo i segni zodiacali che, a detta di alcuni, presentano caratteri ben definiti, influenzati forse da quelle stesse stelle che li rappresentano. Come Dante nel Paradiso, anche noi vogliamo omaggiare il cielo, con questi piccoli racconti. Dodici storie scritte da autori toscani e liguri, soci e amici dell’associazione Nati per scrivere. Dodici storie diverse, come genere e atmosfera, ciascuna ispirata a un segno dello zodiaco.

    Come tradizione delle nostre antologie, abbiamo lasciato gli autori liberi di esprimersi, certi che ognuno avrebbe dato vita alla storia che più si confà al proprio gusto e alla propria sensibilità artistica.

    Ecco allora che, sfogliando queste pagine, troverete miti e leggende legati ai segni zodiacali, personaggi che ne subiscono gli effetti, fasti e nefasti, altri che si ritrovano prigionieri delle loro scelte.

    Abbiamo giocato con lo zodiaco, con i segni e con le stelle, creando i nostri mondi, reali e fittizi, come facciamo ormai da anni, da quando ci siamo conosciuti a un laboratorio di scrittura creativa e abbiamo capito di avere la voglia di scrivere nel sangue. Per questo abbiamo creato la nostra associazione, per continuare a credere nei nostri sogni e sostenere altri che coltivano la stessa passione.

    Buon viaggio, caro lettore, nel microcosmo da noi creato e, se dovessi riuscire a superare indenne le insidie che i segni zodiacali hanno tessuto, ricordati di suggerire il nostro libro ad altri lettori, aiutandoci a diffondere conoscenza e cultura.

    Alessio Del Debbio

    Presidente associazione Nati per scrivere

    PROGETTO HEIMDALLR

    Alessio Del Debbio

    Il furgone svoltò l’angolo a mezzanotte e dodici.

    Jensen, in piedi sul viadotto, lo guardò avvicinarsi, i grossi fari che dilaniavano la bruma notturna con fasci di fuoco, le moto della scorta simili al ringhio di un mostro infernale. E di mostri, nella Divisione, ne dimoravano parecchi.

    «È in ritardo» disse, voltandosi verso i compagni.

    Mark regolò il mirino del fucile e spostò l’altra mano sul grilletto. Mesha, al suo fianco, digitò qualcosa sul computer portatile, poi lo girò verso Jensen.

    «Ho mandato le videocamere in loop. Tutte quelle dell’isolato. Abbiamo sei minuti, forse sette, prima che se ne accorgano e inizino il riavvio del sistema».

    «Ce li faremo bastare» annuì lui. Si calò il passamontagna sulla faccia e controllò l’imbracatura. Mesha ripose il computer nello zaino e fece altrettanto. Si voltarono verso Mark, che continuava a scrutare nel mirino, le labbra cucite, le dita immobili. Jensen fece per chiedergli qualcosa, ma in quel momento il compagno premette il grilletto.

    La ruota anteriore sinistra esplose e il furgone sbandò. Il guidatore tentò di riprendere il controllo ma non riuscì a evitare l’impatto con la moto al suo fianco e andò a schiantarsi contro il pilone del viadotto. Un secondo colpo e anche l’altro centauro precipitò a terra, proprio sotto di loro.

    «Ora!» disse Jensen. Si sporse oltre il parapetto e si lasciò cadere nel vuoto, la mano guantata che si sosteneva alla corda, l’altra libera di sparare a chiunque si muovesse. Mesha si calò un attimo dopo di lui, seguendolo in quella notte in cui il Fronte di Liberazione Animale avrebbe avuto giustizia.

    Jensen atterrò sull’asfalto, sganciò l’imbracatura e avanzò reggendo la pistola con entrambe le mani. Un motociclista si rialzò, tenendosi la testa stordito, e si sfilò il casco. Jensen sparò ma l’altro evitò il dardo e gli scagliò il casco contro, facendogli cadere la pistola, poi scattò verso di lui. Dopo due passi stramazzò a terra, con un tranquillante nel collo; Jensen alzò lo sguardo e vide Mark che spostava il fucile in aiuto di Mesha, alle prese con un paio di guardie. Capì di avere solo quel momento per agire.

    Corse verso il furgone, sfilò la spranga che portava dietro la schiena e iniziò a colpire il lucchetto con forza, fino a creparlo. Qualcosa rispose dall’interno, qualcosa di grosso che prese a battere contro il portellone, facendo balzare Jensen all’indietro.

    In quella un motociclista gli si gettò addosso e ruzzolarono lungo la strada, mentre attorno a loro i rumori degli scontri si attutivano. Jensen si allungò per recuperare la spranga ma l’altro gli schiacciò la testa sull’asfalto, strappandogli il passamontagna. La botta lo stordì, il sangue gli imbrattò gli occhi e il timer dell’orologio gli ricordò che i rinforzi della Divisione sarebbero arrivati a breve. Avrebbe dovuto ripiegare ma il Fronte non avrebbe avuto un’altra occasione per liberare gli animali, così si sbarazzò del suo rivale con un calcio e si rialzò, barcollando verso il furgone, ma crollò dopo qualche passo.

    Le porte in metallo rinforzato tremarono di nuovo, poi vennero scaraventate lontano. Jensen si chinò appena in tempo per evitarne una, la mano sul dardo che gli spuntava dal collo, i pensieri che faticavano a rimanere lucidi. Gli parve di vedere un’ombra gigantesca uscire dalla gabbia, due corna di fuoco incendiare la notte, chinarsi su di lui e odorarlo, poi qualcosa lo distrasse e fuggì via. Voci, sirene e tutto diventò nero.

    Quando riaprì gli occhi, Jensen era in gabbia.

    Gettato su un pagliericcio umido di piscio, con la tuta nera ancora addosso, ma senza armi. Si sfiorò la nuca, i capelli intrisi di sangue rappreso, poi si alzò e barcollò fino alle sbarre. L’avevano drogato o forse tutta la stanchezza per la missione e la responsabilità di un nuovo insuccesso del Fronte pesavano su di lui come macigni che non era in grado di sollevare? Non adesso, non da solo.

    Il pensiero degli amici lo spinse a guardarsi intorno, ma il corridoio era buio e dal suo angolo poteva vedere ben poco, solo le celle di fronte, ove qualcosa di scuro era raggomitolato in terra. Si chiese dove l’avessero rinchiuso, forse nei sotterranei della Flakturm di Humboldthain o nell’irrintracciabile Spirale, sede della Divisione?

    «Mesha?» sussurrò più volte. «Mark?»

    «Ben svegliato, bell’addormentato» disse qualcuno, prima che le luci si accendessero. Jensen arretrò al centro della gabbia, schermandosi gli occhi con un braccio, e intravide due sagome al di là delle sbarre. Forse altre le circondavano, ma lui aveva occhi solo per una di loro: Dietrich Dietwolf, capo del reparto scientifico della Divisione Speciale per la Lotta contro le Creature Demoniache, occupava spesso i suoi pensieri. E non erano mai pensieri d’amore.

    «Brutto bastardo!» gli ringhiò contro, prima di riconoscere il ragazzo al suo fianco. Alto, moro e intento a contare un rotolo di banconote. Anche Dietrich parve infastidito dal suo silenzio.

    «Ci sono tutti?»

    «Veramente ne manca un centinaio».

    «Considerati fortunato, dopo il casino che hai fatto stasera. Dovevi portarcelo prima che aprisse il furgone».

    Mark scrollò le spalle e allungò una mano. Dietwolf la fissò per un istante poi ci sputò sopra.

    «Ecco il tuo compenso». Due uomini presero Mark per le spalle e, a un cenno di Dietwolf, lo accompagnarono fuori.

    Jensen li vide scomparire nell’oscurità e dubitò che l’avrebbe rivisto. Non in quella vita, quantomeno.

    «Traditore!» gli gridò dietro comunque.

    «Tradire presuppone una parvenza di fedeltà, amico mio, che il tuo compagno non ha mai avuto. Chi credi che mi procuri esemplari di prima scelta?» rise Dietwolf.

    «Non sono tuo amico».

    «Non sei amico di nessuno, J. Posso chiamarti J, vero? Così ottimizzo i tempi».

    «Fai un po’ te». Jensen gli diede le spalle e tornò a rincantucciarsi nel suo angolo piscioso. «Quindi, che hai intenzione di farmi?»

    «Ti sei mai chiesto perché il Fronte ti mandi sempre in missione? Con tutti gli operativi che hanno a Berlino, scelgono sempre te».

    «Perché sono il più bravo?»

    «Perché sei un idiota. A loro non importa di te, né degli animali per cui ti affanni ogni notte a lottare. Vogliono soltanto fare casino, riempire le pagine dei giornali e le sedute del consiglio cittadino. Cos’avete ottenuto, in fondo? A parte liberare qualche cane randagio, morto di fame in solitudine qualche giorno dopo?»

    «Vai al punto, Dietwolf».

    «Il tuo talento. Sei sprecato per il Fronte di Liberazione Animale. Ti ho osservato per mesi, e anche altri hanno parlato bene di te».

    «Parli di Mark? Fanculo anche lui».

    «Sì, sì, fanculo il mondo, ma pensa alla mia offerta».

    «Non lavorerò mai per te. Siete dei macellai!» gridò Jensen.

    «Ti sbagli. Nella Divisione non macelliamo animali; li studiamo, cerchiamo di comprendere le loro qualità, per replicarle e donarle agli umani. Ma non chiamarli animali, alcuni non lo sono più».

    «No, infatti, sono cavie, schiavi dei vostri esperimenti! Non voglio farne parte, Dietwolf!»

    «Tuo padre ne sarebbe dispiaciuto» sospirò l’uomo.

    «Che ne sai di mio padre? L’hai ucciso!»

    «Oh no, non io. È stato il lavoro. Sì, possiamo dire così. Il lavoro lo ha… cambiato».

    Jensen non rispose, si lasciò cadere sul pagliericcio e si voltò verso il muro. Fu solo dopo qualche minuto che capì che Dietwolf era ancora lì, ad aspettarlo.

    «Non ti basta un no? Ne vuoi un altro?»

    «Voglio te. E ti avrò».

    «Non mi spavento per una notte in cella. Non è mica la prima…»

    «Chi ha parlato di una notte?» disse Dietwolf. «Starai qua finché non accetterai. Nessuno verrà a cercarti. Il Fronte dovrebbe ammettere di averti dato un incarico ufficiale e sarebbe bollato come movimento sovversivo. Sei solo, J. Con tutti i tuoi fantasmi». Spense le luci e si allontanò.

    Jensen si rigirò sul pavimento per qualche ora, rimuginando sull’accaduto. Quel bastardo aveva ragione; la prima regola del Fronte era ognuno per sé e tutti per gli animali. Jensen sapeva di molti attivisti affogati nel canale di Kreuzberg o persi nei boschi di Grunewald, senza che l’organizzazione fosse intervenuta. Erano solo un mezzo per uno scopo, nobile, certo, ma sempre sostituibili.

    Un guaito lo rubò ai suoi pensieri. Si tirò su e rimase in ascolto. Da una gabbia alla sua destra provennero nuovi gemiti, poi un rumore simile a enormi uova rotte. Infine un pianto di donna.

    «Ehi, chi c’è?» disse, avvicinandosi alle sbarre. Le spinse e le trovò aperte. Un attimo dopo si inoltrò nel corridoio rischiarato soltanto da fioche luci al neon, fino a fermarsi davanti a una cella.

    All’interno qualcuno stava strusciando la testa sul pavimento. Jensen riconobbe i riccioli scuri di Mesha e si aggrappò alle sbarre, chiamandola. L’altra non parve udirlo, continuando a dimenarsi e a battere la testa, mentre Jensen armeggiava con la serratura. La prese a calci fino

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