La polisemia delle atrocità: Memorie di un fotografo in guerra
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Nato a Roma nel 1975, Stefano Mannucci si laurea presso la facoltà di Scienze Politiche all'Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla produzione fotografica dell'Istituto Luce. Dopo aver collaborato con alcune riviste e siti di Storia Contemporanea, inizia a pubblicare diversi saggi riguardanti la fotografia durante gli anni della Seconda guerra mondiale, il periodo del colonialismo italiano, la storia dell'Istituto Luce, cercando di individuare nelle fotografie ufficiali dell'epoca quei dettagli ed indizi che possano descrivere la realtà sociale al di là del messaggio propagandistico. È anche autore di alcuni racconti, di un romanzo noir e di diverse poesie sui temi dell’amore, della memoria e della guerra.
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La polisemia delle atrocità - Stefano Mannucci
Stefano Mannucci
La polisemia delle atrocità
Memorie di un fotografo in guerra
UUID: d9aea974-1181-11e8-97fb-17532927e555
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Indice dei contenuti
Il libro
L'autore
Dello stesso autore
Nota dell'autore
Copyright
La polisemia delle atrocità
Parte Prima
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Saggistica
Luce sulla guerra
La guerra d'Etiopia
La fotografia dell'Istituto Luce
Narrativa
Frammenti di vite altrui
Un inverno gelido dopo un autunno caldo
L'uomo che dovevo uccidere
Poesia
Barricate e poesia
D'amore e di rabbia in un tempo di guerra
Poesie d'amore alla fine di un millennio
Contatti
Il libro
Una grigia città di frontiera. In una terra straniera si affrontano due eserciti contrapposti. Un ammasso di macerie a delimitare la linea di confine. Partito con una macchina fotografica - ereditata dopo la morte del padre - un uomo si trova arruolato a combattere una guerra che non ha mai sentito sua. Assegnato alle squadre fotografiche - con il compito di narrare e documentare la guerra secondo l'ottica ufficiale - l'uomo trascorre i suoi giorni ad aggirarsi nella città, nell'attesa che giunga il nemico ed inizi la battaglia. E la guerra giorno dopo giorno si insidia nelle vite di civili e soldati fino ad irrompere in tutta la sua tragica furia. Un romanzo sui destini delle persone durante i conflitti. Una riflessione sulle atrocità che la guerra genera e sui rapporti dell'uomo - e della fotografia - verso di esse.
L'autore
Nato a Roma nel 1975, Stefano Mannucci si laurea presso la facoltà di Scienze Politiche all'Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla produzione fotografica dell'Istituto Luce. Dopo aver collaborato con alcune riviste e siti di Storia Contemporanea, inizia a pubblicare diversi saggi riguardanti la fotografia durante gli anni della Seconda guerra mondiale, il periodo del colonialismo italiano, la storia dell'Istituto Luce, cercando di individuare nelle fotografie ufficiali dell'epoca quei dettagli ed indizi che possano descrivere la realtà sociale al di là del messaggio propagandistico. È anche autore di alcuni racconti, di un romanzo noir e di diverse poesie sui temi dell’amore, della memoria e della guerra.
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Frammenti di vite altrui. Racconto breve di un fotografo di strada
Un inverno gelido dopo un autunno caldo. Racconto di una strage
Poesia:
Barricate e poesia
D'amore e di rabbia in un tempo di guerra
Poesie d'amore alla fine di un millennio
Nota dell'autore
Questo romanzo è un'opera di fantasia.
Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono soltanto il frutto dell'immaginazione dell'autore.
Qualsiasi eventuale rassomiglianza con avvenimenti o persone reali, viventi o defunte, è da ritenersi puramente casuale.
Copyright
© Stefano Mannucci 2018
In copertina: Illustrazione © Stefano Mannucci 2017
Realizzazione Grafica: Stefano Mannucci
Tutti i diritti riservati.
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.
È vietata ogni duplicazione, anche se parziale, non autorizzata.
La polisemia delle atrocità
Memorie di un fotografo in guerra
Parte Prima
1
Quando mio padre morì, ereditai un cappotto scuro e la sua vecchia macchina fotografica.
E quello fu tutto ciò che portai con me, il giorno in cui partii per la guerra.
2
Era una fredda mattina di febbraio.
La tempesta avvolgeva i nostri petti gelati ed i nostri irrequieti pensieri.
Dolore, pianto, gioia, rabbia: solo lampi nelle nostre retine arrossate a ferire struggenti ricordi di ultime carezze prima di andare via.
3
Appena scesi dal treno, una grigia città di frontiera ci attendeva.
Grigie erano le case.
Grigi erano i volti degli anziani seduti sulle sedie di vimini in bilico sugli usci delle taverne.
Grigio come l’asfalto era il cielo da cui cadeva una gelida pioggia.
Grigie come l'ardesia erano le iridi di quella donna che - ferma sulla banchina davanti all'atrio della stazione - aspettava in silenzio.
4
Eravamo una decina di reietti, sbandati, disperati.
Venivamo tutti dalla campagna e dalle periferie delle città.
Eravamo gli avanzi della società, ma seppur ultimi e per anni da essa considerati inetti, ora - che quelli prima di noi dal fronte non erano mai più tornati - eravamo diventati anche noi utili per la nazione e da essa eravamo stati reclutati.
Si combatteva da anni per cielo, per terra e per mare.
Ma ancora nessuno era riuscito a soverchiare l'altrui nemico.
L'unico effetto e raggiungimento di tale crudele conflitto era stato il perpetuo sterminio di generazioni e generazioni intere.
Nessuno aveva mai creduto che saremmo stati proprio noi a risollevare le sorti della guerra.
Tutt'al più i nostri cadaveri sarebbero stati usati per ottenere condizioni più favorevoli durante i negoziati finali.
In fondo servivamo soltanto a quello.
Eravamo carne da gettare al fronte.
Eravamo pedine da disporre sul campo di battaglia.
Eravamo corpi da ostentare sulle linee - spaventapasseri per i proiettili e per i proclami dei generali.
Eravamo sangue con cui tracciare il confine di nuovi territori.
Eravamo concime per il sorgere di nuovi imperi.
Eravamo futuri morti da lasciar giacere sul tavolo della pace.
Se