Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Camera n. 26
Camera n. 26
Camera n. 26
Ebook247 pages3 hours

Camera n. 26

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Nella camera numero ventisei di una casa di cura per malattie mentali è ricoverato un uomo in condizioni catatoniche. Tiene tra le mani una pietra e si esprime utilizzando una sorta di linguaggio telegrafico in cui cerca la precisione che dolorosamente non trova nella comune lingua parlata. Un giorno si rifiuta di avere il solito colloquio con lo psichiatra che lo segue e da lì in poi comunica con lui soltanto inviandogli dei racconti. Attraverso le parole meditate e non approssimative della scrittura ricostruisce la sua vita interiore e la varietà delle parti che la compongono. Curando i propri scritti, cura se stesso e comprende le ragioni della sua malattia.
Camera n. 26 è l’esplorazione del rapporto col mondo di quegli uomini che sembrano nati per transitare in solitudine da un capo all’altro della vita, persone estranee ai rituali sociali, concentrate sui propri pensieri.
LanguageItaliano
Release dateFeb 13, 2018
ISBN9788865377550
Camera n. 26

Related to Camera n. 26

Related ebooks

Psychological Fiction For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Camera n. 26

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Camera n. 26 - Claudio Merini

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    Il libro

    Nella camera numero ventisei di una casa di cura per malattie mentali è ricoverato un uomo in condizioni catatoniche. Tiene tra le mani una pietra e si esprime utilizzando una sorta di linguaggio telegrafico in cui cerca la precisione che dolorosamente non trova nella comune lingua parlata. Un giorno si rifiuta di avere il solito colloquio con lo psichiatra che lo segue e da lì in poi comunica con lui soltanto inviandogli dei racconti. Attraverso le parole meditate e non approssimative della scrittura ricostruisce la sua vita interiore e la varietà delle parti che la compongono. Curando i propri scritti, cura se stesso e comprende le ragioni della sua malattia.

    Camera n. 26 è l’esplorazione del rapporto col mondo di quegli uomini che sembrano nati per transitare in solitudine da un capo all’altro della vita, persone estranee ai rituali sociali, concentrate sui propri pensieri.

    L’autore

    Claudio Merini. è autore di saggi di psicologia (I problemi della lettura, 1991; Cartine al tornasole, 1995), di testi teatrali (Il teatro del pensiero, 2001; Vero è soltanto che bisogna crearsi, 2005) e di narrativa (Il grande Balzo, 2007). Dirige la rivista di psicologia Impronte ed esercita la professione di psicoterapeuta.

    "L’autonomia della poesia offriva a Jaromil uno splendido rifugio, la sognata possibilità

    di una seconda vita; la cosa gli piacque tanto

    che già il giorno dopo cercò di scrivere altri versi e a poco a poco si diede tutto a questa attività."

    (Milan Kundera, La vita è altrove)

    CAMERA n. 26

    I

    Un fitto pulviscolo galleggiava nelle strisce di sole che attraversavano la penombra della stanza. L’uomo sdraiato nel letto teneva tra le mani una pietra: le dita si spostavano lente sulla superficie ruvida, mentre il resto del corpo giaceva inerte. Sul comodino di ferro un libro intatto e un mazzo di rose gialle.

    La porta si aprì, gettando sull’uomo un fascio di luce indesiderato. Il dottor Renzi si avvicinò con cautela al letto.

    – Come va oggi?

    Non ottenne risposta.

    – Ha mangiato?

    – Sì

    – Come si sente?

    – Difficile.

    – Non ho capito.

    – Difficile rispondere.

    – Perché?

    – Argomento, cambiare.

    I suoni uscivano dalla bocca del malato come da un antro metallico. Muoveva solo le labbra e i muscoli facciali indispensabili per articolare le parole, il resto del viso aveva la fissità di una maschera. Le dita continuavano a tastare la pietra.

    – Di cosa vuole parlare?

    – Numeri.

    – Vuole parlare di numeri?

    – Sì.

    – Come ieri?

    – Numeri equilibrio. Due, quattro, sedici, duecentocinquantasei…

    – Perché proprio questi numeri?

    – Due alla seconda uguale quattro, quattro alla seconda uguale…

    – Ho capito, ho capito.

    – Tre, nove, ventisette…

    – Senta, scusi se la interrompo, vorrei sapere qualcosa di più su di lei, sulla sua vita.

    – Vita?

    – Sì.

    – Vita uguale non morte. Troppo. Specificare.

    – Mi può raccontare del suo passato, episodi particolari, fatti importanti?

    – Passato. Passato, presente, futuro. Futuro impossibile, presente anche, passato sì. Episodi particolari. Cosa significa particolari?

    – Che le sono rimasti impressi?

    – Impressi parola difficile, non capisco.

    – Va bene se le chiedo di raccontarmi i fatti importanti degli ultimi tempi?

    – Lo chiede?

    – Sì.

    – Importanti per chi?

    – Per lei.

    – I fatti sono fatti. Basta. Come stabilire differenza?

    – Me ne racconti uno a caso.

    L’uomo nel letto fu percorso da una scossa.

    – Caso no.

    – Perché?

    – Cambiare argomento. No: argomento, cambiare.

    – Decida lei di cosa vuol parlare.

    – Numeri. Lei non vuole. Lei psichiatra. Lei decide.

    – Non so come farle le domande.

    – Mi dispiace.

    – Proviamo in un altro modo. Mi dica tutto quello che le passa per la testa.

    Seguì un breve silenzio. Il paziente fissava il soffitto, il dottor Renzi attendeva fiducioso.

    – Testa, contenuto: dottor Renzi vuole sapere cosa passa nella mia testa. Solo questo.

    Il medico si lasciò sfuggire un gesto di sconforto.

    – Ha intenzione di farmi arrabbiare?

    – No. Arrabbiato?

    – Sì.

    – Grazie.

    – Perché mi ringrazia?

    – Sincero. Io apprezzo.

    – Come mai parla come se dettasse un telegramma?

    – Precisione.

    – Vuole essere preciso?

    – No, scusi se correggo: precisione necessità, volontà no.

    – Non potrebbe lasciarsi un po’ andare?

    – Cosa significa lasciarsi un po’ andare?

    – Per esempio stare meno attento a come parla.

    – Stare attento uguale chiarezza.

    – Capisco.

    – Grazie.

    – Sua moglie mi ha detto che da vari mesi non parla quasi più, nemmeno con i colleghi di lavoro.

    – Vero.

    – Come mai?

    – Disaccordo.

    – Cioè?

    – Io cerco esattezza, loro vogliono ambiguità.

    – Può spiegare meglio?

    – Famigliari, amici, colleghi, esattezza, fastidio.

    – Provavano fastidio perché lei cercava di parlare in modo preciso?

    – Provano.

    – Sì, giusto. Può darsi però che lei si sbagli.

    – Ipotesi: io capisco male sentimenti persone. Possibile. Come controllare?

    – Mi faccia un esempio, mi racconti un episodio in cui ha sentito che agli altri dava fastidio la sua precisione.

    – Esempio non sufficiente per controllare ipotesi.

    – Lo so, ma adesso mi sarebbe utile per capire cosa è successo.

    – Come capire da un esempio?

    – Senta, per essere sincero sto provando fastidio per via della sua ossessiva precisione.

    – Ecco, trovato esempio.

    – Così diventa impossibile parlare di qualsiasi cosa.

    – Errore: possibile parlare numeri, matematica.

    – Dio mio.

    – Chiedo scusa.

    – Di cosa si scusa?

    – Io turbato lei. Lei perso equilibrio.

    – Da quando è arrivato non ha lasciato un attimo quella pietra.

    – Vero.

    – Cosa ci fa?

    – Tocco.

    – Le piace sentirla sotto le dita?

    – Sì.

    – Perché?

    – Sempre uguale.

    – Bisogna cavarle le parole di bocca una alla volta.

    – Chiedo scusa.

    – Le piace perché è sempre uguale.

    – Sì. Cambiamento male. Pietra non cambia, passano millenni e non cambia. Uomini nascono, crescono, invecchiano, muoiono. Cento generazioni, pietra ancora esiste perché non cambia. Chiedo scusa, errore. Pietra cambia poco. Niente immutabile. Dio, forse. Incertezza terribile. Nessuno sa. Niente prove esistenza Dio. Necessaria fede. Fede sinonimo fiducia. Sinonimo parola complessa. Fede uguale grande fiducia. Fiducia, abbandono. Abbandono: lasciare qualcuno, qualcosa o lasciare se stessi ad altri? Lasciare se stessi ad altri. Lasciare se stessi impossibile. Fiducia impossibile. Fede impossibile.

    – Cosa sta dicendo?

    – Rifletto intorno significato parole. Ragionamento.

    – Non ho capito il ragionamento che ha fatto. Era troppo sintetico.

    – Sintetico, contrario: prolisso. Prolisso parola difficile. Meglio lungo. No, lungo generico. Analitico? Ragionamento è analitico. Discorso invece sintetico. Lei vuole discorso non sintetico. Difficile. Sono turbato.

    – Mi fa perdere la testa.

    – Perdere la testa. Buffo. Metafora? Metafora causa confusione. Metafora parola difficile. Astratta. Meglio parole concrete. Mi fa perdere la testa, no. Meglio: Non capisco. Chiedo scusa: anche non capisco astratto. Cose mente astratte. Inevitabile. Cervello concreto. Mente astratta. Impossibile parlare della mente.

    – L’ultima frase era quasi normale.

    – Normale. Normale uguale vicino alla media. Normale uguale non patologico. Quale dei due significati?

    – Ha parlato normalmente, senza saltare le parole.

    – Saltare le parole. Buffo. Correre le parole. Camminare le parole. Giocare le parole. Nuotare le parole. Tuffare le parole. Sciare le parole. Scalare le parole. Cac…

    – Le piace fare questi giochetti, eh!?

    – Non giochi, chiedo scusa, non giochetti: riflessioni. Io chiamo riflessioni. Lei non fa riflessioni?

    – Sì, ma non sulle parole.

    – Su cosa?

    – Spesso rifletto sui problemi dei miei pazienti.

    – Senza riflettere su parole?

    – No. Le parole sono già lì pronte per essere usate, non bisogna pensarci. Perché non prova anche lei a usarle così come vengono?

    – Terribile. Nausea. Disgusto. Turbamento.

    – C’è da impazzire a pensare al significato di ogni parola che si usa.

    – Io impazzisco se non penso al significato.

    – Un’altra frase normale.

    – Lei nota particolari. Lei analitico.

    – Non sono il solo a far caso ai particolari; qui c’è qualcuno che mi batte.

    – Grazie.

    – Se tutto andrà per il meglio tra qualche giorno la dimetteremo.

    – Cosa significa se tutto andrà per il meglio?

    – Dovrebbe muoversi di più, alzarsi, scambiare qualche parola con i suoi familiari, leggere, insomma riprendere una vita normale – e non mi chieda cosa significa normale.

    – Difficile. Restare qui, meglio.

    – Non vuole tornare a casa?

    – No. Clinica tranquilla, equilibrio, pace.

    – Sa quanto viene la retta giornaliera?

    – Duecentomila lire. Settimanale: unmilionequattrocentomila. Mensile, mesi aprile, giugno, settembre, novembre: sei milioni. Mesi gennaio, marzo, maggio, luglio, agosto, ottobre, dicembre: seimilioniduecentomila. Mese febbraio: cinquemilioniseicentomila. Un anno, non bisestile: settantatremilioni. Mio deposito bancario uguale lire ottantaquattromilioniseicentomila circa. Io posso stare un anno e due mesi circa.

    – Così vuole spendere tutti i suoi soldi per rimanere qui.

    – Si. Vita corta. Quanti giorni restano? Non so. Desiderio: trascorrere buone giornate. Desiderio, turbamento. Argomento, cambiare.

    – Lo ha detto a sua moglie?

    – Si.

    – Cosa ne pensa?

    – Contenta.

    – Le ha detto che è contenta che lei resti qui?

    – Dispiaciuta nelle parole, contenta nell’espressione. Espressione più importante di parole.

    – E per il lavoro come farà?

    – Io malato. Non andare al lavoro: diritto.

    – Non le farebbe bene stare chiuso qui dentro per più di un anno.

    – Io pago, io decido. Chiedo scusa.

    – Ne parlerò col primario.

    – Dottore.

    – Sì.

    – Se permesso dire, primario non piace.

    – Perché?

    – Io uomo, non macchina. Lui visita come meccanico.

    Il dottor Renzi scoppiò a ridere.

    – Divertito?

    – Lei è una sagoma.

    – Sagoma poligono di tiro, no. Sagoma uguale tipo bizzarro, sì.

    – È lì che sembra dormire e invece il cervello lavora senza tregua.

    – Vero. Cervello non riposa. Cervello malato?

    – No, il suo cervello è sanissimo.

    – Perché medicine allora?

    – Le diamo dei farmaci che servono a ristabilire le normali funzioni mentali.

    – Funzioni mentali malate?

    – In un certo senso, sì.

    – Quale senso?

    – Beh, è difficile spiegare.

    – Possibile provare?

    – Vede, lei sembra vittima di pensieri persecutori. Crede che gli altri la rifiutino, non accettino il suo modo di essere. I farmaci che prende servono per sedare questo tipo di ideazione.

    – Farmaci basta. Farmaci cambiano pensieri. Farmaci basta. Gli altri non accettano me, vero. Prova: danno farmaci per cambiare me.

    Il dottor Renzi non trovò subito le parole per ribattere.

    – Altra prova: silenzio dottor Renzi.

    – Se non prende i farmaci non guarisce.

    – Guarire?

    – Si.

    – Da cosa?

    – La sua è come una malattia.

    – È una malattia o è come una malattia?

    – È una malattia.

    – Quale nome?

    – Psicosi.

    – Psicosi… parola difficile. Psicosi non guarisce. Letto su rivista. Farmaci non possono guarire.

    – Noi le diamo i farmaci perché pensiamo che se si comporta così non può stare in mezzo agli altri.

    – Perché?

    – Perché le persone si aspettano che lei parli come un cristiano, che faccia le cose che fanno tutti invece di passare il tempo a strofinare una pietra.

    – Questo che dice: terza prova.

    – Non si rende conto che è tanto strano il suo modo di comportarsi?

    – Strano, vero. Strano uguale inaccettabile, non logico.

    – Forse ha ragione.

    – Grazie.

    – Non le piacerebbe tornare a casa sua, tra le sue cose.

    – Pietra sufficiente.

    – Dove l’ha trovata quella pietra?

    – Fiume. Acqua corre su pietra, pietra liscia, quasi sfera.

    – Provi a tenere questa tra le mani.

    Il dottor Renzi mise tra le dita del malato la sua penna stilografica. L’uomo la tastò.

    – Penna, penna stilografica. Forma irregolare. Strumento scrittura. Scrittura frasi. Frasi: parole, sillabe, lettere. Posso tenere penna?

    – Certo.

    – Grazie.

    – Vuole anche dei fogli?

    – Sì.

    Il dottor Renzi staccò dal blocco degli appunti i fogli già usati e lo porse al malato.

    – Ecco qua.

    – Grazie.

    – Pensa di scrivere?

    – Forse.

    – Allora la lascio. Ci vediamo domani.

    Il dottor Renzi si alzò per andarsene.

    – Dottore.

    – Sì.

    – Grazie.

    – Come mai mi ringrazia sempre?

    – Lei gentile.

    – Ci vediamo domani.

    – Sì.

    – Alle dieci.

    – Possibile alle dieci e cinque minuti?

    – Perché?

    – Domani spiego.

    – D’accordo.

    II

    Il mattino seguente l’infermiera entrò nello studio del dottor Renzi e gli porse una busta.

    – Da parte del numero ventisei.

    Il medico, incuriosito, l’aprì subito. Dentro c’erano un biglietto e alcuni fogli ricoperti d’una scrittura ordinata e fittissima.

    Egregio dottore,

    la prego di scusarmi se rimando l’incontro previsto per stamani alle 10.05. Preferisco sospendere i colloqui, almeno per un po’ di giorni (non so precisare quanti).

    Allego un racconto che mi sono permesso di scrivere. La ringrazio per la bellissima penna, vorrei poterla tenere ancora.

    Il dottor Renzi diede disposizioni all’infermiera riguardo ad alcune terapie in corso. Rimasto solo si dedicò alla lettura del manoscritto.

    La conchiglia

    Il signor B. l’aveva trovata nell’orto, mentre stava preparando i solchi per la semina delle fave. A prima vista gli parve un sasso e stava per lanciarlo nel mucchio di pietre che la sua pazienza di zappatore metodico andava ingrossando giorno dopo giorno. Vide delle striature e le sentì sui polpastrelli. Guardò meglio: era una conchiglia, di quelle che da bambino chiamava della Shell, perché erano identiche al simbolo di una delle più note marche di benzina, anzi era il simbolo della Shell a essere identico alla conchiglia, dato che questa veniva prima nell’ordine delle cose comparse sulla Terra. Per chi parla inglese, e quindi chiama shell tutte le conchiglie, non può esistere una conchiglia della Shell – pensava il signor B., mentre ripuliva dal terreno il lato concavo con la punta di un bastoncino. Era proprio bella, ben conservata, non mancava nemmeno un pezzetto. Il signor B. si emozionò all’idea di avere tra le mani la protesi di un organismo che migliaia di anni prima filtrava l’acqua del mare sulla stessa collina dove lui ora seminava le fave.

    Nel tentativo di attribuirle un’età, richiamò alla mente le conoscenze in materia di glaciazioni e cambiamenti di temperatura nelle varie epoche. Alla fine di una glaciazione segue un innalzamento del livello dei mari – dedusse il signor B. Grazie alla sua discreta memoria visiva, si ricordò di un grafico delle temperature medie terrestri, nel quale veniva indicato intorno al 3500 a.C. il periodo più caldo dopo l’ultima glaciazione. Optò per questa datazione e si compiacque per aver messo a frutto gli studi serali da autodidatta. Il pensiero di avere tra le mani le spoglie di un mollusco vissuto quando i popoli dell’Europa innalzavano menhir sulle rive del mare riempì d’orgoglio il signor B., tanto che, affezionatosi all’idea, scartò l’ipotesi che la conchiglia potesse avere molti meno anni di quanti gliene aveva attribuiti. Il signor B., uomo amante della precisione, aveva anche lui dei momenti di rilassamento morale, durante i quali concedeva qualche gratificazione alla sua castigata fantasia.

    Risciacquò la conchiglia nel bidone colmo d’acqua destinata all’irrigazione dell’orto. Ora la teneva nel palmo della mano. Il sole si rifletteva nelle particelle d’acqua che scivolavano dentro le scanalature. Il signor B. la immaginò accarezzata dalla risacca delle onde su una battigia preistorica, dove le orme dell’uomo dovevano essere molto più rare di quelle delle belve e degli uccelli. A volte rimpiangeva di non essere nato in un’epoca meno affollata.

    Le scanalature partivano da un unico vertice nel punto di saldatura della valva col muscolo e s’andavano allargando verso il margine libero, come un ventaglio leggermente aperto. Erano attraversate trasversalmente da parabole parallele grigie. Il signor B. si ricordò di aver letto che rappresentavano linee di accrescimento, una sequenza di segni simile a quella dei tronchi degli alberi. Tuttavia non sapeva a quale intervallo di tempo corrispondesse lo spazio tra una parabola e l’altra. Era certo, comunque, che l’alternarsi del grigio e dell’ocra rispecchiava i colori del mantello del mollusco. Questa notizia infatti, trovata a suo tempo nell’enciclopedia degli animali, lo aveva molto colpito. Perché mai i diversi pigmenti del mantello si trasferiscono in modo così regolare e geometrico nella conchiglia, invece di distribuirsi casualmente? Pensò che il meccanismo di secrezione calcarea del mollusco doveva essere simile a un telaio elettronico, comandato da una scheda perforata che stabilisce quanti punti di tessitura intercorrono tra un colore e l’altro. Due piccoli triangoli rettangoli, uno a destra e uno a sinistra, erano saldati al vertice da cui si irradiavano le scanalature del corpo principale. Su

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1