La Vita Reale: Tutto il mio passato e tutto quello che ancora mi aspetta esigono che IO SIA ancora.
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La Vita Reale - Georges Ivanovič Gurdjieff
Vecchiaia
Introduzione
Opera incompiuta, la «Terza serie» delle opere di G. I. Gurdjieff doveva all’inizio essere composta da cinque libri.
Secondo la testimonianza dei suoi allievi più vicini, che avevano lavorato con lui per parecchi anni, solo alcuni capitoli sono stati redatti in forma pressappoco definitiva.
Le cinque Conferenze che compaiono in questo libro erano destinate al primo libro. La quarta Conferenza, come si vede, è incompleta.
Del quinto libro non vi è traccia, così come del secondo e del terzo nel quale dovevano essere inclusi tre capitoli a cui Gurdjieff fa riferimento in «Incontri con uomini straordinari».
Il quarto libro verosimilmente avrebbe dovuto constare di due capitoli:
«Il prologo» ed il testo incompleto «Il mondo esteriore ed il mondo interiore dell’uomo».
Il piano dell’opera di Gurdjieff era il seguente. Con il titolo «Del tutto e di tutto» dovevano essere pubblicati i suoi scritti in dieci volumi in tre serie.
La prima serie in tre libri comprende:
«Racconti di Belzebù al suo nipotino»
«Critica obiettivamente imparziale della vita degli uomini».
Le seconda serie in due libri comprende «Incontri con uomini straordinari».
La terza serie in cinque libri comprende «La vita non è reale che quando Io sono
».
Prologo
Io sono… Dove è andata a finire quella sensazione di me tutto intero, che ero solito provare una volta quando pronunciavo queste parole in stato di «richiamo»?
È forse possibile che questa attitudine interiore acquisita al prezzo di tante rinunce e di mortificazioni di ogni genere, oggi che la sua azione sul mio essere sarebbe più indispensabile dell’aria che respiro, sia sparita senza lasciare traccia?
No, questo non è possibile.
C’è sicuramente dell’altro… oppure tutto, nel mondo della Ragione, è privo di logica.
No – il potere di compiere sforzi coscienti e di assumermi una sofferenza volontaria non si è ancora atrofizzato.
Tutto il mio passato e tutto quello che ancora mi aspetta esigono che IO SIA ancora.
Lo voglio… sarò ancora.
E a maggior ragione poiché il mio «essere» è necessario non solo al mio personale egoismo, ma al bene della umanità intera. Il mio «essere» è più necessario agli uomini che non tutte le soddisfazioni o tutta la felicità che essi possono procurarsi oggi.
Voglio ancora «essere»… Io «sono» ancora.
A causa della legge insondabile che governa le associazioni della mente umana, quando ho iniziato a scrivere questo libro che dovrà costituire la terza serie, cosiddetta istruttiva, delle mie opere, serie che d’altro canto sarà l’ultima – e per mezzo della quale voglio spartire con i miei simili, creature del Nostro Padre Comune, quasi tutti i segreti del mondo interiore dell’uomo che sono rimasti fino ad oggi ignorati e dei quali sono venuto a conoscenza incidentalmente – sono tornate a riaffiorare nel mio cosciente quelle drammatiche riflessioni che si erano già formate in me in uno stato prossimo al delirio, sette anni fa, giorno dopo giorno e, mi sembra di poter dire anche, ora dopo ora.
Questo monologo a livello fantastico mi si era imposto i1 6 novembre del 1927, il mattino di buonora, in uno dei caffè di Montmartre che restano aperti tutta la notte, a Parigi, in un momento nel quale, stanco fino allo sfinimento a causa dei «pensieri neri», mi preparavo a tornare a casa per cercare di nuovo di dormire, almeno un po’.
La mia salute in quel periodo era lungi dall’essere buona, ma quella mattina mi sentivo particolarmente male. Il mio stato di malessere era dovuto al fatto che durante le ultime due o tre settimane non avevo dormito più di una o due ore per notte e che la notte precedente non avevo letteralmente chiuso occhio.
La vera ragione di quella insonnia e dello sregolamento generale di quasi tutte le funzioni importanti dell’organismo era dovuto al flusso ininterrotto di tristi pensieri che scorreva nel mio cosciente riguardo alla situazione, apparentemente senza uscita, nella quale all’improvviso mi trovavo.
Per spiegare, sia pure in modo approssimativo, in che cosa consisteva questa situazione senza uscita devo prima di tutto raccontare quanto segue:
Durante oltre tre anni, sottoponendomi ad una costante costrizione, avevo lavorato notte e giorno a scrivere i libri che avevo deciso di pubblicare.
Questo mi aveva portato ad una costrizione costante perché l’incidente d’auto, di cui ero stato vittima proprio prima di cominciare a scrivere queste opere, mi aveva lasciato debole e malato. Nulla mi aiutava quindi a svolgere un qualsiasi lavoro attivo.
Tuttavia non mi ero certo risparmiato e, nonostante il mio stato, avevo lavorato con intensità, spinto da una «idea fissa» che si era formata nel mio cosciente dopo l’incidente, non appena mi ero reso conto della situazione nella quale mi trovavo.
Poiché non sono arrivato, quando ero pieno di forza e di salute, a introdurre nella vita degli uomini, in modo pratico, le verità che ho loro spiegato per il loro bene, bisogna che io, costi quel che costi, arrivi a farlo, almeno in teoria, prima della mia morte.
Dopo aver abbozzato nelle linee generali, durante il primo anno, il materiale destinato ad essere pubblicato, decisi di scrivere tre serie di libri.
Con il contenuto della prima serie mi ero proposto: di arrivare a distruggere le convinzioni che sono radicate nel cosciente e nel sentimento degli uomini, convinzioni false secondo me, e assolutamente contrarie alla realtà.
Con il contenuto della seconda serie: di dimostrare che esistono altre vie che conducono alla percezione e alla conoscenza della realtà e di mostrarne la direzione.
Con il contenuto della terza serie: di fare partecipi tutti delle possibilità che avevo scoperto di entrare in contatto con la realtà e fondersi con essa a seconda del proprio desiderio.
Con questa intenzione, già dal secondo anno, ripresi in mano tutto questo materiale per dargli una forma che fosse accessibile alla comprensione di tutti.
Prima che accadessero i fatti dei quali vi parlerò tra breve, avevo già finito tutti i libri della prima serie e stavo lavorando a quelli della seconda serie.
E siccome avevo l’intenzione di pubblicare i libri della prima serie a partire dall’anno seguente, decisi mentre stavo ancora lavorando ai libri della seconda serie, di organizzare in maniera regolare delle letture pubbliche dei libri della prima serie.
Decisi di procedere in questo modo per rendermi conto, prima di dare i libri in stampa, dell’effetto che avrebbero potuto produrre su persone di tipo differente, appartenenti a tutti i livelli di intelligenza, i vari frammenti delle mie opere, lasciati nella prima forma che avevo loro dato e questo allo scopo di rivederli poi alla luce delle nuove considerazioni.
Sempre a questo scopo invitai allora nella mia casa di Parigi varie persone che rispondevano ai requisiti necessari al progetto che avevo in mente. Qualcuno leggeva in loro presenza il capitolo che avevo deciso di correggere.
A quel tempo la mia residenza principale, e quella della mia famiglia, era a Fontainebleau, ma siccome andavo spesso a Parigi ero costretto ad avere un appartamento anche lì. Nel corso di queste riunioni, mentre osservavo gli uditori, appartenenti a vari tipi di persone, e mentre ascol tavo a mia volta la lettura delle mie opere già pronte per la pubblicazione, si formò in me lentamente la seguente convinzione:
La forma adottata per esporre le mie idee poteva essere compresa solo da quei lettori che avessero già una certa dimestichezza con la particolare forma dei mio pensiero.
Gli altri lettori, invece, quelli per i quali mi ero sacrificato giorno e notte durante tutto questo tempo, non avrebbero compreso quasi nulla.
Fu durante queste letture in pubblico che mi resi conto, per la prima volta, della forma nella quale questi libri andavano scritti per essere accessibili a tutti e a ciascuno in particolare.
Quando tutto questo risultò chiaro si stagliò dinanzi a me, in tutta la sua grandezza ed il suo splendore, il problema della mia salute. Il mio cosciente fu attraversato quindi dai seguenti pensieri: «Se tutto quello che ho scritto, notte e giorno durante tre anni di lavoro incessante, deve essere di nuovo riscritto in forma accessibile alla comprensione di ciascun lettore, dovrò impiegarci almeno lo stesso tempo. Altrettanto tempo mi servirà per scrivere la seconda e la terza parte, e del tempo servirà ancora per introdurre, nella vita degli uomini, l’essenza della mia opera…
Dove prenderò tutto questo tempo?
Se il tempo dipendesse solo da me, riscriverei tutto, tanto più che allora avrei, fin dall’inizio, l’assicurazione di poter morire tranquillo, perché sapendo come devo scrivere, avrei tutti i diritti di sperare che lo scopo principale della mia vita si sarebbe effettivamente realizzato, anche se dopo la mia morte.
Ma le circostanze nelle quali si è svolta la mia vita fanno sì che il mio tempo non dipenda da me, ma esclusivamente dal capriccioso angelo Gabriele.
Forse infatti mi restano ancora uno o due anni da vivere o al massimo tre anni…
E che mi resti così poco tempo da vivere ognuno dei medici specialisti, fra le centinaia che mi conoscono, lo può anche oggi confermare.
D’altra parte io stesso sono stato considerato un diagnostico al di sopra della media e non senza ragione: non è forse invano che mi sono trovato durante tutta la mia vita a dovermi intrattenere con migliaia di candidati ad una prossima partenza per l’altro mondo…
Due o tre anni… Parlando francamente, non sarebbe naturale che accadesse diversamente. Da molto tempo infatti il processo involutivo della mia salute è più rapido ed intenso che non il processo evolutivo.
Ed è un fatto: tutte le funzioni del mio organismo che, a detta di tutti i miei compagni, erano sempre state «di ferro», sono venute deteriorandosi a causa di un sovraccarico di costante lavoro, al punto tale che nessuna di esse agisce correttamente.
In tutto questo non vi è nulla di stupefacente… Anche se non si prende in considerazione la miriade di avvenimenti straordinari che mi sono accaduti nella vita, che, per caso, si è svolta in modo così insolito, basta ricordarsi il destino strano ed incomprensibile che mi perseguita e che ha fatto sì che per tre volte, in condizioni completamente differenti, io fossi ferito – ed ogni volta quasi mortalmente – da un proiettile che aveva sbagliato il bersaglio.
Le conseguenze di questi tre incidenti, che hanno lasciato in me delle tracce incancellabili, avrebbero dovuto bastare già da sole, da lungo tempo, a condurmi al mio ultimo respiro.
Il primo di questi incidenti incomprensibili accadde nel 1896 nell’isola di Creta, un anno prima della guerra greco-turca.
Da lì mentre ero ancora senza conoscenza, dei greci sconosciuti mi esportarono, non so perché, a Gerusalemme. Da Gerusalemme, avendo ripreso completamente conoscenza, ma con la salute ancora malferma, mi spostai in Russia in compagnia di altri giovani della mia specie e cioè dei «cercatori di perle nel letamaio». Non viaggiavamo, come avrebbero fatto delle persone normali, per mare, ma a piedi via terra.
Questi spostamenti che durarono circa quattro mesi, attraverso impervie regioni, quando la mia salute era ancora precaria, dovevano installare nel mio organismo, per tutta la vita, alcuni «focolai» perniciosi. In aggiunta a ciò, durante questa folle sfacchinata, il mio organismo ebbe il piacere di ricevere la visita e spesso anche di dare a lungo dimora ad «affascinanti ospiti locali» di carattere specifico, tra i quali ebbi l’onore di ricevere il famoso «scorbuto curdo», la non meno famosa «dissenteria armena», e beninteso la grande favorita, la signora dai mille nomi, che viene anche chiamata la «spagnola».
Dopo di ciò dovetti restare, che lo volessi o no, diversi mesi nella Transcaucasia senza potermi muovere; poi ripresi i miei viaggi verso contrade selvagge sempre spinto dalla «idea fissa» del mondo interiore.
Di nuovo cominciò tutta una serie di tensioni e di prove pesantissime ed il mio sfortunato organismo ebbe il piacere di dare di nuovo ricetto a celebri specialità di carattere locale. Nel novero di questi nuovi ospiti si trovava questa volta la onorevole «bedinka di Achkhabad», la «malaria bukariana», l’«idropsia tibetana», la «dissenteria belucistana» ed altri convitati che là dove passano lasciano il loro biglietto da visita. In seguito, sebbene il mio organismo si fosse immunizzato contro tutti questi affascinanti ospiti locali, le loro conseguenze non si sono potute cancellare una volta per tutte, a causa della perenne tensione nella quale vivevo.
Trascorsero alcuni anni, poi arrivò per il