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Misura esistenziale
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Misura esistenziale

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Multi sunt vocati, pauci vero electi (Matteo, XX,16) mi pare proprio l'espressione confacente per asserire che i veri poeti, come Mario Raito, sono una pleiade perché caratterizzati da una poesia autentica. Oggi facilmente viviamo in un'epoca, in cui molti si autocelebrano quali poeti. Ma la poesia che ci tocca l'anima e suscita emozioni, non disgiunte da considerazioni profonde come quella di Raito, appartiene ad un gruppo elitario. Il poeta Raito è stato sempre caratterizzato da una certa ritrosia-riservatezza senza inseguire nessuna vanagloria tipica di chi vuole apparire a tutti i costi. Le sue cogitationes/riflessioni esistenziali raccolte in questa silloge di 73 composizioni ci offrono la storia di un'anima, lo spaccato di un uomo alla ricerca perenne del proprio IO, di un uomo inquieto che cerca disperatamente l'etiologia di una vita, impregnata di pathos. Talora, ad una lettura non attenta, questi scritti possono apparire iperbolici, ma non lo sono! perché estrinsecano quelle difficoltà che Eugenio Montale aveva ben illustrato nella lirica Spesso il mal di vivere ho incontrato. Mario possedeva una elevata vis sentiendi/grande sensibilità che gli permetteva di cogliere i vari e complessi momenti di una vita non facile. Quello che lo ha sempre distinto, e in questo volumetto emerge, è il suo forte senso di ironia ed autoironia, come se egli stesso volesse prendersi in giro per questo suo poetare. 
LanguageItaliano
Release dateJan 19, 2018
ISBN9788899906610
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    Misura esistenziale - Mario Raito

    divenire.

    Prefazione

    «Poeta è colui che rifonda ogni volta la lingua,

    dando ad essa inconfondibile voce»

    Andrea Zanzotto (1921-2011)

    Le liriche di Mario Raito: «Il male di vivere ed il bene di scrivere».

    Multi sunt vocati, pauci vero electi (Matteo, XX,16) mi pare proprio l'espressione confacente per asserire che i veri poeti, come Mario Raito, sono una pleiade perché caratterizzati da una poesia autentica. Oggi facilmente viviamo in un'epoca, in cui molti si autocelebrano quali poeti.

    Ma la poesia che ci tocca l'anima e suscita emozioni, non disgiunte da

    considerazioni profonde come quella di Raito, appartiene ad un gruppo elitario. Il poeta Raito è stato sempre caratterizzato da una certa

    ritrosia/riservatezza senza inseguire nessuna vanagloria tipica di chi vuole apparire a tutti i costi. Le sue cogitationes/riflessioni esistenziali raccolte in questa silloge di 73 composizioni ci offrono la storia di un'anima, lo spaccato di un uomo alla ricerca perenne del proprio IO, di un uomo inquieto che cerca disperatamente l'etiologia di una vita, impregnata di pathos.

    Talora, ad una lettura non attenta, questi scritti possono apparire iperbolici, ma non lo sono!, perché estrinsecano quelle difficoltà che Eugenio Montale aveva ben illustrato nella lirica Spesso il mal di vivere ho incontrato. Mario possedeva una elevata vis sentiendi /grande sensibilità che gli permetteva di cogliere i vari e complessi momenti di una vita non facile. Quello che lo ha sempre contraddistinto, e in questo volumetto emerge, è il suo forte senso di ironia/autoironia spinta quasi al sarcasmo, come se egli stesso volesse prendersi in giro per questo suo poetare.

    Prima di passare ai contenuti mi preme l'obbligo di sottolineare come tutti i componimenti hanno un linguaggio aulico, e si resta stupefatti vedere con quale dimestichezza egli sa citare ad hoc espressioni latine, inglesi, tedesche e soprattutto in vernacolo. L'uso sapiente del dialetto rafforza e colorisce la sua espressione linguistica che non manca di alcune figure retoriche come l'ossìmoro.

    Ma cosa deve intendersi oggi per una poesia che sia tale da suscitare nel lettore una reazione di empatia? E poi chi è mai il poeta? E qual è la sua funzione in una società traboccante di ostilità?

    Asserisce Apollinare in una lettera dal fronte della I guerra Mondiale del 17 gennaio 1915 che il mestiere del poeta non è affatto inutile, né folle, né frivolo. I poeti sono creatori - poesia=creazione.

    Non c'è nulla che giunga sulla terra o che appaia agli occhi degli uomini se prima non sia stato immaginato dal poeta. L'Amore stesso non è altro che la poesia naturale della vita che ci spinge a creare la vita, a riprodurci.

    La poesia non nasce dalla semplice descrizione della natura, ma dall'ascolto del mondo nelle sue relazioni con gli altri, in una costruzione di senso che la parola offre rinnovando il mondo, l'umanità, la vita individuale.

    La poesia tutte le poesie, non andrebbero commentate. Dovrebbero essere comprese da tutti coloro i quali amano questa raffinata arte che è

    dono di pochi, perché pochi sono i veri poeti. Scrivere è il modo per trasformare l'inquietudine in parole. Ma più del talento conta la determinazione, il lavoro. La volontà di occuparsi del mondo in cui viviamo. Paul KLEE: Ogni essere umano è un artista. La vita è inscindibile dall''arte.

    Ma in che cosa consiste la poesia? Essa è spirito, energia non contaminata dalla materialità della vita. E' dunque autonoma rispetto ad essa, ma cosa sarebbe la vita senza poesia? La poesia crea anche comunione perché avvicina le anime, tenendo ben viva la consapevolezza in ciascuna di essere un granello e parte dell'armonia universale. È portatrice d'amore, serenità e consolazione.

    Salvatore Quasimodo, a proposito della funzione della poesia, sostiene in appendice a Il falso e vero verde, edito nel 1956 da Mondadori, che «La posizione del poeta non può essere passiva in società. Egli modifica il mondo...Forse qui il poeta si riferisce in particolare al periodo aureo greco, da Esiodo sino alla morte di Pericle. A quel tempo la poesia esercitava grande influenza su legislatori, pedagoghi, condottieri e religiosi. Le immagini poetiche forti, quelle create, battono sul cuore dell'uomo più della filosofia e della storia. La poesia si trasforma in etica, proprio per la sua resa di bellezza: la sua responsabilità è in diretto rapporto con la sua perfezione.

    Scrivere versi significa subire un giudizio: quello estetico comprende

    implicitamente le reazioni sociali che suscita una poesia...».

    La vita della poesia è stretta - ha scritto Yves Bonnefoy - e per questo non pretendo che sia in grado di risolvere nulla in modo durevole o profondo. Così il grande poeta francese risponde alla domanda se abbia ancora senso fare poesia oggi. Una domanda che continuiamo a farci osservando l'attuale, profonda crisi etica ed economica. Oltre all'emozione che ci coglie leggendo versi che esprimono le nostre inquietudini, la poesia può indicarci una strada da percorrere e restituirci la fede nella condizione umana? La stessa domanda si pose Hölderlin: A che servono i poeti in tempi di miseria?. Direi che il senso e l'importanza della poesia sono direttamente proporzionali al senso e all'importanza che vi dà ciascuno di noi, sia come autore, sia come lettore.

    Sin dai primi versi Apertura di stagione vediamo come Mario Raito sa intravedere i limiti cogenti che condizionano l'umana e travagliata, esistenza e come la pietà abbia il suo doppio nella malvagità. Una certa malinconia ci appare quando l'autore, a proposito dell'uomo, ricorda come egli nasca come fiore che poi cadrà nella polvere. Si avverte nel poeta un continuo esaminarsi, scavare, indagare spasmodicamente a mo' di nosce te ipsum (conosci te stesso) o in greco γνῶθι σεαυτόν. L'analisi del passato, questo suo osservare da scettico (σκέπτομαι) costituisce l'incipit per riandare a ciò che poteva essere e non è. Lo scrivere è per lui una sorta di conforto (solacium) alle pene esistenziali e questo suo esercizio letterario poetico gli appare sempre penosa carneficina d'idiozie.

    Nel Metabolismo del verso ammette candidatamene al lettore e polemizzando con la POESIA, che gli era nato per essere un bracciante agricolo o tutt'al più, contadino qualificato e invece la POESIA la ha indotto a deviare. Preferisce essere l'inverno rispetto alla primavera fresca di trucco. In Verbi per un anno ci manda un messaggio molto chiaro perché asserisce tout court che l'essere umano fa di tutto per ritardare la sua fine, la morte e dimentica facilmente di non saper vivere. E l'ipocrisia dell'uomo rende arduo discernere, fra chi piange-fotte-ride, colui che prega per uscire dal groviglio di sentieri. Si definisce commediante ma sa bene cos'è la caducità esistenziale. La sua ispirazione poetica - egli ribadisce - la si deve solo alla miseria nera, e la poesia è nata in un pagliaro, forse scherzando aggiunge che dovrebbe ripassare Catullo perché lo elevi dall'essere un poeta fasullo.

    La poesia costituisce quasi un obbligo (condicio sine qua non) a segregarsi in solitudine, e diviene una scaltrita concubina. La vita viene identificata con la poesia, ma poi si chiede per quale arcano mistero niente vada a genio al poeta e quindi a lui che ritiene la poesia non altro che un puerile gemito.

    C'è quasi una lotta ardua e quotidiana fra l'uomo che deve reagire e il poeta che vuole morire e arriva all'acme quando asserisce come se poesia certificasse d'essermi bevuto il cervello.

    E intanto tempus fugit che lui definisce come intraducibile scorrere del tempo. Raito soffre e non appare consapevole delle sue qualità liriche e a volte pare giustificarsi di questa sua passione e di sè così scrive poeta che, non avendo mai avuto le carte in regola, si sente accusato e si ritrae come reo confesso in frivolo tormento. Concorde al creato un poeta stroncato che non vuole spegnersi. No in Raito avevamo notato (Ordinario Derivato) e notiamo insite ed inusitate qualità nonché efficacia espressiva anche se lui parla indebitamente del tirare a campare e che non si può essere sempre all'altezza delle possibilità che si vorrebbero incarnare.

    Finisce per chiedersi come Ernest Hemingwai To Have and Have Not (1937) (avere e non avere ) cos'è mai la società? e gli pare che qualcuno possa apostrofarlo con un vaffanculo questo poeta/re e definirlo appeler poetucolo di mezza tacca. Nell'ombra propria il verbo morire gli suscita un certo fascino nonché embolie emotive ed ecco ex abrupto (d'improvviso) emerge in questo scritto un triste ricordo della propria infanzia: c'era l'età, ma non la scuola; c'era un canto, ma non le parole. Mario Raito diciamolo subito è stato un grande ed intelligente autodidatta, egli iniziò a frequentare la scuola tardi e tutto quello che merge dalla sua preparazione è soltanto frutto delle sue frequenti, mirate e costanti letture.

    La vita anche a lui come a tanti poeti come Giacomo Leopardi diviene un vituperio di sè quando la si prende troppo sul serio..e diviene ardua ogni azione quando si presenta l'esaurirsi del divenire.

    Per Raito è meglio pubblicare poesie a pagamento anziché distruggerle e poi quale fortuna essere chiamato poeta e sentirsi perforare da ferro rovente!

    Il poeta intesse una dura lotta con la poesia tanto che

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