Sotto l'ombrellone
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Sotto l'ombrellone - Antonio Conticello
padre
Capitolo I
08:05 am
Voltò la testa e inseguì il flebile spostamento
d’aria mossa da un ventilatore. Il minuscolo
marchingegno a elica danzava nel vuoto
tenendosi agganciato con una cordicella
all'incannucciato del tetto...
- Ecco questo è per lei.
- Grazie mille.
Il biglietto color verde recante la scritta Oasi del Mare era passato dalle mani del custode a quelle del sottoscritto. Finalmente dopo una lunga coda sotto il caldo sole d’agosto potevo entrare nella riserva naturale della Baia delle Formiche.
In cuor mio nutrivo la speranza di far tacere al più presto le calure corporee inabissandole nelle fresche acque dello Jonio. Il mare d'oriente lambiva il litorale sabbioso che dal roccioso Costone della Tartaruga si spingeva sino all'Isola Rossa, la minuscola parte di terra staccata dalla terraferma tenuta in grembo dalla grande madre a tre punte.
- Adesso segua pure il sentiero. - mi comunicò il custode.
Posi la mano sulle sopracciglia per riparami dal forte riverbero di luce. Asciugai le copiose gocce di sudore che bagnavano la parte alta della fronte e chiesi
- Quale, quello laggiù in fondo ?
Caricai la domanda con la tipica inflessione siciliana. Il senso di appartenenza alla terra di illustri poeti, scrittori e artisti era da sempre il mio fiore all'occhiello: un regalo dei miei nonni.
Avevano lasciato l'isola natia da ragazzi, si erano trasferiti nel nord Italia e si erano sposati. Avevano da sempre voluto trasferire ai loro quattro figli, in particolare a mio padre unico maschio della famiglia, l'essenza della vera identità siciliana. E io, questo senso di appartenenza, me lo sentivo tatuato sulla pelle.
- Esatto. Segua quel gruppetto di ragazzi. Non potrà sbagliare. - riprese il custode. L'uomo della casetta tornò a stendere le sue gambe tozze e pelose su di una vecchia sdraio di tela. Il suo ventre si gonfiava dilatando a dismisura la canottiera dalla cui scollatura fuoriusciva una folta peluria biancastra, segno che avesse superato almeno la sessantina. Se ne stava all'interno di una capanna di alte e possenti canne con un'apertura centrale che fungeva da biglietteria.
Una porticina laterale sormontata da una tenda lisa e dai colori sbiaditi dal sole ne costituiva l'accesso principale. Con un lento movimento della mano calcò sulla testa il cappello di paglia sino a rasentare le folte sopracciglia. Voltò la testa e inseguì il flebile spostamento d’aria mossa da un ventilatore. Il minuscolo marchingegno a elica danzava nel vuoto tenendosi agganciato con una cordicella all'incannucciato del tetto.
- Buon bagno dottore. E si ricordi di farne uno anche per me
Socchiuse le palpebre per ritrovare la giusta alchimia e affrontare, con la dovuta riservatezza, la nuova giornata di lavoro. Il cadere nell'oblio della pace dei sensi sembrò schiarire la sua carnagione olivastra e i lineamenti, apparentemente duri e spigolosi, destavano meno timore. Il suo essere riposava con tutto il resto del corpo in un sollevato modesto refrigerio.
- Grazie ancora, molto gentile. Sicuramente farò un tuffo anche per lei.
Risposi garbatamente e mossi i primi passi sul sentiero che mi si presentava davanti.
Dal quel punto il mare rimaneva un puro miraggio.
Non lo vedevo, né tanto meno riuscivo a percepirlo. Mi domandavo se le informazioni recuperate nei siti internet di riferimento all’oasi protetta, rispondessero a verità. Mi guardai attorno. Dalla distesa di roccia calcarea, ricoperta di terra rossiccia sbucavano eroicamente, sparuti ciuffi d’erba per lo più dissecca, che rendevano meno noioso il paesaggio. Tutto era maledettamente assolato. Dallo zainetto estrassi una bandana color rosso amaranto, stampigliata da disegni simili a piccole gocce puntinate di nero. La legai in testa come i corsari, svitai il tappo della borraccia e feci uscire un rivolo d’acqua che distribuii sul capo. Aprii la bocca e ne ingurgitai un' abbondante quantità. Il liquido trasparente, insapore ma rinfrescante attraversò le cavità interne del corpo e raggiunse l'estremità degli arti inferiori che ne furono sollazzati. Dai sandali impolverati, fuoriuscivano le dita dei miei piedi sudati e stanchi.
Mossi le dita come quando il pianista lascia scivolare i polpastrelli sui tasti d'ebano e d'avorio. Provai un brivido rigenerante quasi fosse un' iniezione di fiducia per cominciare, con tono atletico, la scarpinata verso il sospirato mare. Mi sentivo un pirata a caccia del tesoro nascosto. Il bagliore della luce mi costringeva a procedere a testa bassa puntando l’orologio che avevo al polso e calpestando il suolo polveroso. Trascorsero circa trenta minuti costellati da ardue salite e ripide discese, ma dell’azzurro mare e della tanto decantata Baia delle Formiche, ancora niente.
- Ma vuoi vedere che quel guardiano vecchio e peloso mi ha preso per il culo? Ma dove minchia è questo mare?
L'intonazione della seconda parte della domanda era stata declamata nuovamente con la tipica accentazione sicula, stavolta in modo del tutto spontaneo. Le mie origini non erano state tradite. Avevo perso di vista il gruppetto di ragazzi che sino a quel momento mi aveva guidato. D’altronde era difficile stare al passo di quelle gambe vigorose e sprizzanti energia allo stato puro. Estrassi il fazzoletto dalla tasca posteriore dei bermuda e mi asciugai la fronte che grondava parecchio sudore.
Mi fermai.
Sedetti su di una protuberanza rocciosa e rivolsi lo sguardo verso sud.
La vegetazione era molto più verde e fitta, segno che di li a poco avrei raggiunto la spiaggia. Aumentai, nel limite del possibile, l'andatura e immaginai ciò che avrei scoperto di lì a poco. Pensavo alla forma della baia, la consistenza della sabbia, la trasparenza ed il colore dell'acqua. Dopo queste semplici riflessioni mi accorsi di essere sceso di qualche metro ritrovandomi al di sotto del sentiero. I miei occhi puntavano una vera e propria barriera di piante di capperi dal profumo inebriante, intriso di salsedine, segno ulteriore che mi stavo avvicinando alla meta prefissata.
Venni catturato dal rapido passaggio di una formica: l'abitante della baia
- Oh bene, allora vuol dire che siamo sulla buona strada. - esclamai - Le formiche le abbiamo trovate, adesso ci manca soltanto il mare.
Il piccolo animaletto nero dall'andatura sostenuta transitò davanti agli occhi. Dovetti rallentare il ritmo della respirazione per evitare di sbalzarlo fuori strada, cosa che sarebbe inevitabilmente accaduta se avessi espulso l'aria contenuta nei polmoni in modo repentino.
Come un gigantesco tir trasportava un pezzo di mollica gigante, ma vista l'agilità con la quale si muoveva, non le era di gran peso. Proseguì per altri due metri e si inabissò sotto il terreno, che mostrava una maggiore percentuale di sabbia. Riapparve qualche secondo dopo, completamente libera dell’enorme fardello. Fuoriuscì dall'unico foro che sovrastava una specie di piccolo vulcano. Si fermò guardinga. Frattanto un plotone di piccoli amici laboriosi disposti rigorosamente in fila indiana, sopraggiungeva a gran velocità, anch'essi carichi di ottime provviste per l’inverno.
La formica si voltò, roboticamente, a destra e a sinistra per sintonizzarsi con gli altri suoi compagni di lavoro. Ripartì, alla conquista di nuove provviste, evitando abilmente le compagne che si muovevano ancor più freneticamente lungo la loro linea di confine. Gli animaletti neri, caparbi e indomiti, conquistavano con decisione metro su metro.