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La morte alla ARES: Le inchieste del commissario Esposito
La morte alla ARES: Le inchieste del commissario Esposito
La morte alla ARES: Le inchieste del commissario Esposito
Ebook378 pages4 hours

La morte alla ARES: Le inchieste del commissario Esposito

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About this ebook

Alla periferia del comune di Sant'Antonio Abate vi è una stradina che va a morie tra i campi. È fiancheggiata da piccoli orti, qua e là a tratti muretti a secco e vecchi contadini chini sui solchi. Ma, se un viandante decidesse di percorrerla, a un certo punto si troverebbe a passare davanti a un cancello dipinto di verde su cui spicca, in bianco, la scritta "ARES"...
LanguageItaliano
Publisherlfapublisher
Release dateJan 13, 2018
ISBN9788833430140
La morte alla ARES: Le inchieste del commissario Esposito

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    La morte alla ARES - Giuseppe Esposito

    Giuseppe Esposito

    La morte alla ARES

    Le inchieste del commissario Esposito

    Le inchieste del commissario Esposito

    Giuseppe Esposito
    La morte alla ARES
    Prima edizione 2017
    Isbn 978-88-3343-014-0

    Lello Lucignano Editore

    Tutti i diritti sono riservati. © Copyright LFA Publisher

    Via A. Diaz n°17 80023 Caivano - Napoli – Italy

    Tel. e Fax 08119244562

    www.lfaeditorenapoli.it - www.lfapublisher.com - info@lfapublisher.com

    Partita IVA 06298711216

    Facebook, Twitter, Instagram & Youtube: LFA Publisher

    Primero te olvidé en tu voz.
    Si ahora ablases aquì,
    a mi lado,
    preguntarìa yo: ¿Quien es?

    (Pedro Salinas: Fàbula y signo)

    Capitolo 1

    Il viaggiatore che si trovasse ad attraversare l’agro nocerino-sarnese ed imboccasse la strada che da Sarno porta, attraverso San Marzano e Sant’Egidio del monte Albino verso Angri, scorgerebbe ai lati di essa una serie di edifici industriali, alcuni abbastanza vetusti, altri di costruzione piuttosto recente. Sono le tante fabbriche sorte in passato per la trasformazione di prodotti agricoli. In primis il pomodoro che un tempo era molto diffuso nella regione, il famoso San Marzano, noto per le sue qualità in Campania e nel paese tutto. Oggi quel pomodoro è divenuto quasi una rarità, un prodotto di nicchia, disponibile in esigue quantità. L’oro rosso che aveva reso prospera tutta la zona, non c’è più. L’insensata gestione del territorio, una serie di virosi e la frammentazione della proprietà, oltre che la natura piuttosto accidentata del terreno, di natura vulcanica hanno fatto si che la coltivazione del pomodoro sia stata spostata, quasi totalmente, nelle pianure pugliesi. Sia perché questo permette, la raccolta meccanica sia perché l’industria si è orientata verso tipologie diverse dall’antico San Marzano, tipologie che garantiscono una maggiore resa per ettaro. Tutto ciò è alla base del declino di quelle fabbriche che ancora si intravedono lungo la strada tra Sarno ed Angri e dell’economia locale. Molte aziende ancora sopravvivono, a fatica, altre sono ormai inattive da tempo. Lo spettacolo dei capannoni abbandonati sta pian piano trasformando la zona in un museo di archeologia industriale a cielo aperto. Lo stesso che nel dopoguerra si poteva osservare nella periferia orientale di Napoli, capannoni e ciminiere in mattoni rossi in abbandono. Dalla periferia di Angri si può imboccare una strada che via via inoltrandosi tra le campagne diventa sempre più stretta fin quasi a scomparire, trasformandosi in un viottolo tra i campi. In quei campi, ancor oggi, si possono vedere vecchi e vecchie contadine, il fazzoletto annodato in testa, il grembiule davanti, chini sui solchi del loro piccolo fazzoletto di terra. Dai bordi della strada scorgi piante di carciofi, finocchi, broccoli, lattuga, qualche albero da frutta e talvolta il loro profumo ti colpisce piacevolmente le narici. In primvera è quasi inebriante, un elisir di tempi andati. Sembra di essere piombati in una realtà diversa, realtà d’altri tempi. Una visione che sarebbe stata normale nella prima metà del secolo scorso e che oggi non ti aspetteresti.

    Lungo questa via, prima che essa vada a morire tra i campi, alla periferia del Paese di Sant’Antonio, sulla destra il nostro viaggiatore potrebbe scorgere un cancello di ferro verde, dalla vernice qua e là scrostata. Dietro il cancello una palazzina di età indefinita, maltenuta, l’intonaco, in alcune parti mancante, lascia intravedere, qua e là i ferri di armatura del cemento.

    Nella parte bassa del cancello, sulla lamiera pitturata di verde, spicca in bianco la scritta A.R.E.S. Il nome dell’azienda. Osservandola si capisce a prima vista che là, nel capannone che si intravede dietro la palazzina, non si lavora il pomodoro o altri prodotti della terra. Infatti da una bassa ciminiera metallica, fuoriescono, di tanto in tanto sbuffi di una polvere bianca che nel tempo si è depositata anche sulle foglie degli alberi della campagna circostante.

    Dal centralino di quest’azienda, posto al pianterreno della palazzina partì, un giorno di inizio marzo una telefonata allarmata.

    La telefonata era diretta al commissariato di Salerno. La centralinista che chiamava trovò all’altro capo del filo l’agente Sorrentino, appena montato in servizio, che rispose con una voce annoiata. La voce di chi ha appena iniziato il lavoro e pensa, con fastidio, alle prossime otto ore da trascorrere lì tra il centralino ed il portone della questura.

    Appena però la donna gli spiegò il motivo della chiamata, Sorrentino sentì come se una scossa elettrica gli percorresse la schiena e si rianimò. Riattaccò e formò subito il numero dell’ufficio del commissario :

    Dottò, dottò ci risiamo...

    In che senso, Sorrentì?

    Chiese il commissario Esposito, seduto già alla sua scrivania da un paio d’ore ed intento a seguire la geografia disegnata dalle crepe nel soffitto.

    C’è un morto, commissà… a Sant’Antonio Ho appena pigliato la telefonata. Pare che ci sta una morta… ammazzata, mi sembra, perciò...

    Perciò dobbiamo andare. Si è fatto lasciare l’indirizzo?

    E certamente, commissà, pe chi me pigliate? Che ci sto a fare, sennò al centralino? Deve essere una fabbrica che sta nelle campagne tra Angri e Sant’Antonio.

    Fu così che il commissario Esposito si alzò dal suo posto ed andò ad aprire la porta dell’uffico del suo aiutante, l’ispettore Liuzza, Alfredo Liuzza:

    Alfrè, dobbiamo andare ci hanno chiamato. Sembra ci sia stato un un omcidio, dalle parti di Angri. Ci tocca andare.

    I due poliziotti, si avviarono al parcheggio e, montati in macchina si diressero verso l’autostrada Napoli Salerno.

    Giunti ad Angri e dopo aver chiesto per un paio di volte dello stabilimento della ARES, giunsero sul posto.

    Il cancello scorrevole era spalancato e sul piccolo piazzale antistante gli uffici vi era radunata una piccola folla di operai in tuta rossa. Liuzza parcheggiò accanto ad altre auto già ferme sulla destra e mentre scendeva disse rivolto al suo capo:

    E chiste chi so’, commissà?

    Ma che dice, Liù? Non lo vede chi sono questi? Sono gli operai della fabbrica, perché fa di queste domande, Alfrè? Forse è ancora presto e non ha ancora carburato?

    No commissà, ma voi li vedete quei telefilm polizieschi americani, tipo Law and Order, o Criminal Mind?

    Si e con questo?

    Ma come, commissà, tutte le volte che qualcuno dei poliziotti va nel carcere di Rikers Island a interrogare qualcuno, si vedono i detenuti con le tute tali e quali a queste. Mi fa un effetto strano.

    Faccia finta, allora di essere a Rikers anche lei. Ora andiamo. Del resto è probabile che le condizioni di vita di questi qua non siano molto migliori di quelle dei carcerati americani!

    Il commissario si avviò verso il portoncino a vetri della palazzina e fece il suo ingresso in azienda.

    Lì nel piccolo atrio vi era un gruppetto di impiegati da cui si staccò una donna sulla cinquantina con gli occhi arrossati dal pianto.

    Siete della polizia? Venite, venite a vedere hanno, acciso ‘a signora mia, Venite, venite.

    Li guidò su per le scale, al primo piano dell’edificio e quando fu sul pianerottolo spalancò la porta a vetri del primo ufficio sulla destra. Poi asciugandosigli occhi con un fazzoletto tentò di scappare via, di nuovo giù per le scale. Il commissario però la trattenne.

    Dove andate, fermatevi un momento.

    Nella stanza piuttosto piccola, vi era, seduta sulla poltroncina posta dietro alla scrivania, una donna sulla settantina, la testa riversa all’indietro e la gola trafitta da quella che sembrava una freccia. Un bastoncino di colore bianco e del diametro di circa cinque millimetri.

    Avite visto dottò? Che hanno fatto, hanno acciso ‘a padrona mia?

    Chi ha scoperto il corpo?

    Io, dottò, io. Stamattina quando sono arrivata pensavo che non c’era nessuno. Allora mi sono messa al posto mio a lavorare. Poi sono arrivati i colleghi ma la signora non si vedeva. Allora ho fatto il numero del suo cellulare, ma non rispondeva… Però è successo che quando io chiamavo sentivo suonare un telefono al piano di sopra. Io attaccavo e il telefono si stava zitto. Quando poi provavo a chiamare n’ata vota quello si metteva a suonare ancora. Allora ho pensato che la signora si era scordata il telefono in ufficio e sono salita a vedere.... E chisto è ‘o spettaculo ch’aggiu visto… Maronna mia comme me sento male... Maronna mia… Maro’...

    "La donna scoppiò di nuovo a piangere. Il commissario la prese per un braccio e la accompagnò fuori dalla stanza:

    Torni al suo posto. Cerchi di calmarsi che poi le dovremo fare qualche altra domanda.

    Fece segno a Liuzza di accompagnarla e gli disse:

    Avverta tutti di non allontanarsi e di restare a disposizione. Li dovremo sentire tutti. Anzi chiami in ufficio e faccia venir qui sia le ragazze che Pietro. Avverta poi tutto il circo, Adinolfi con la sua squadra ed il dottor Pastore.

    Le ragazze erano le ispettrici Maria Esposito e Dolores Pizzuti. Pietro era invece l’ispettore anziano Pietro Ferrara. Tutti insieme formavano il team che assisteva, normalmente il commissario nella sua attività investigativa.

    Poi P. rientrò nell’ufficio e si mise ad osservare la morta e quanto vi era intorno. La freccia aveva, evidentemente forato la giugulare e provocato un’emorragia che aveva in breve causato la morte. Intorno schizzi di sangue sgorgato dalla ferita avevano imbrattato il ripiano della scrivania, il pavimento e le pareti. Anche l’assassino, evidentemente doveva essere stato raggiunto dal sangue della vittima, pensò Esposito. Ma come mai la donna era rimasta ferma al suo posto senza tentare di muoversi? Osservò le braccia della vecchia, ancora poggiate ai braccioli della sedia e notò dei segni rossastri all’altezza dei polsi. L’assassino aveva legato la vittima alla sua sedia e poi, dopo la morte aveva sciolto i legami e portato via i lacci? Dal punto in cui il bastoncino era penetrato nella gola vi era un abbondante rivolo di sangue rappreso che era sceso a macchiare la camicetta bianca che la donna indossava. P. ricordò di aver letto su qualche manuale che una lacerazione della giugulare provoca la perdita dei sensi in cinque secondi e la morte nel giro di soli dodici secondi. Da questo punto di vista l’agonia della vittima era stata breve. Intorno tutto sembrava perfettamente in ordine. Anche sul pavimento vi erano tracce di sangue e delle impronte di scarpe, che dalla dimensione e dalla forma sembravano calzature maschili o di quelle che in inglese vengono chiamate sneakers ..

    . Le impronte si arrestavano appena fuori dalla porta, come se l’assassino si fosse sfilato le scarpe prima di mettere piede in corridoio. Il commissario, cercando di evitare le pozze di sangue andò a tastare il braccio della morta: il rigor mortis era già iniziato, pertanto, pensò P., il delitto era stato compiuto da più di tre ore. Cioè l’assassino aveva operato prima delle sette di mattina. A quell’ora negli uffici non c’era probabilmente nessuno, mentre invece in officina, forse, gli operai erano erano già al lavoro. Occorreva informarsi su come si svolgeva l’attività in fabbrica, sui turni di lavoro osservati. Sapere se l’attività si limitava alla giornata o se erano previsti più turni di lavoro.

    Il commissario si chiuse la porta alle spalle e tornò giù.

    Fece cenno alla centralinista di avvicinarsi e le chiese:

    Come si chiama?

    Tina..

    E poi?

    Tina Gianmarco.

    Senta signora Tina, a che ora comincia a lavorare la mattina?

    Io arrivo qua alle otto e mezzo, ogni giorno.

    E a quell’ora i suoi colleghi sono già arrivati o arrivano più tardi?

    No, l’orario di lavoro è uguale per tutti, anche se, qualcuno che arriva sempre più tardi,ci sta. Ma tanto per gli impiegati non ci sta il cartellino da timbrare……

    Lasciò in sospeso la frase, come a dire che in mancanza di controlli ognuno tende a fare i propri comodi. Poi di nuovo rivolto alla donna:

    Quindi l’orologio marcatempo che sta all’ingresso è solo per gli operai?

    Si.

    E mi dica, che turni fanno i vostri operai?

    I turni cominciano alle sette. Alle tre del pomeriggio e alle undici di sera.

    Sette-quindici, quindici-ventitre e ventitre-sette. Bene. Quindi intorno alle sei di mattina gli operai sono nel capannone e negli uffici non c’è nessuno? Però alle sette ci sono in giro quelli che hanno smontato dal turno, giusto?

    Esatto, commissà.

    Bene, la ringrazio, può andare, ah stamattina a che ora è arrivata?

    Poco prima delle otto e mezzo.

    E c’era già qualcuno negli uffici?

    No, commissà, non ci stava nessuno.

    Dunque l’assassino era qualcuno che conosceva gli orari di lavoro e sapeva pure che quella mattina la vecchia del piano di sopra sarebbe stata al suo posto, prima del solito. Sembrava che la logica conducesse a qualcuno che lavorava là dentro. Poteva anche trattarsi di uno degli operai che, essendo già presente in fabbrica, avesse avuto modo di notare la vecchia già presente in un’ora insolita. Comunque, si disse il commissario, meglio non saltare subito a conclusioni affrettate. Chiamò Liuzza e gli chiese:

    Alfrè ha già fatto un elenco dei signori qui nell’atrio?

    Si, commissà, ho preso le generalità di tutti quanti.

    Bene, allora cominceremo a sentirne qualcuno. Cominciamo dai più anziani. Mi faccia venire quel tipo là, col pizzetto e la pelata.

    Poi si volse alla solita centralinista e le chiese:

    C’è un posto dove possiamo stare tranquilli e sentire i suoi colleghi?

    La donna gli mostrò una saletta cui si accedeva da una porta a vetri posta in fondo all’atrio.

    Ecco, qua potete stare tranquilli, non vi può sentire nessuno.

    La saletta era abbastanza grande ed aveva al centro un tavolo piuttosto lungo con una serie di poltroncine tutto intorno. Doveva essere una sala per le riunioni.

    P. Sedette alla poltrona posta su uno dei lati corti del tavolo e si guardò intorno. La stanza era spoglia ed oltre al tavolo non vi era null’altro. Solo qualche stampa alle pareti e qualche campione di quelli che dovevano essere gli oggetti prodotti in fabbrica tubi, cilindri e barre con una sezione a stella di cui il commissario stentava ad immaginare l’uso. La saletta prendeva luce da una parete in mattoni di vetrocemento ed era priva di finestre. Dall’altra parte della parete di vetro vi era una sorta di piccolo cucinino in cui probabilmente si preparava il caffè, a giudicare dalle due moka lasciate a sgocciolare su un piccolo lavabo. Al commissario venne voglia di una tazzina di caffè e quando Liuzza introdusse il tipo col pizzetto gli disse:

    Alfrè, chieda alla signora Tina se è possibile avere del caffè, visto che qui pare siano attrezzati.

    Poi rivolto al nuovo arrivato:

    Si sieda. Il suo nome?

    Sono l’ingegnere Andrea Lo Moro. Sono nato e risiedo a Cava.

    E qual è la sua funzione in quest’azienda, ingegnere?

    Veramente ricopro la posizione di direttore generale.

    Ah, quindi lei è al corrente di tutto qua dentro.

    Beh, insomma, abbastanza. Naturalmente per quello che riguarda il funzionamento della ditta. Per il resto...

    Allora mi spieghi un po’ come siete organizzati. Le funzioni di ognuno dei suoi colleghi, la proprietà, eccetera. Anzi per prima cosa, la vecchia morta al piano di sopra chi è? O meglio chi era?

    La morta è la signora Teresa Maresca, moglie del fondatore dell’azienda l’ingegner Gino Munno. Praticamente era la padrona, ricopriva la carica di amministratore delegato e, sa, commissario, qua dentro comandava tutto lei, la morta. Non si muoveva foglia se la signora Teresa non voleva. Era terribile. Era veramente la padrona, nel senso più retrivo del termine.

    La morta era insomma il suo capo. E il marito, questo ingegnere Munno?

    Si in azienda c’è pure lui, ma è praticamente una figura decorativa. Ha la carica di presidente della società ma non si interessa di niente.

    Quanti altri impiegati vi sono?

    In totale una quindicina, divisi tra Contabilità, Personale, Ufficio commerciale, Acquisti, Produzione e Ricerca e Sviluppo.

    A prima vista mi sembra un’azienda ben strutturata.

    Dice bene, commissario, a prima vista…

    Perché nei fatti non è così?

    Vede qua dentro a nessuna posizione nell’organigramma corrisponde un qualche grado di autonomia decisionale. È tutto ingessato, tutto finto. Noi siamo solo figurine messe lì a riempire le linee dell’organigramma. Nient’altro… Pensi che nessuna funzione dispone di un budget…

    Insomma è una bottega che vuole darsi l’aria di un’azienda.

    Proprio così.

    E gli altri?

    Vede, commissario, oltre alla madre e al padre, in azienda c’è anche il figlio, Tullio.

    E che fa sto’ figlio?

    Si occupa della parte commerciale, vendite e rapporti coi clienti. È uno dei dirigenti di questa società.

    Perché quanti sono i dirigenti?

    Siamo in quattro Io, la signora, il marito e il figlio.

    Mi sembra un po’ un esercito di Francischiello, troppi generali, in rapporto alla truppa. E mi dica come erano i suoi rapporti col suo capo, anzi ex capo?

    Vede, dottore, per la signora Teresa il mondo si divideva nettamente in due, da una parte lei e dall’altra parte gli altri. Nessuno di noi aveva valore e lei trattava tutti allo stesso modo, come suoi sottoposti.

    Un vero tiranno, la nostra Teresa. Una sorta di marchese Del Grillo, io so’ io e voi … Credo allora che avesse molti nemici, o sbaglio?

    No, commissario, qua dentro non la poteva soffrire nessuno. Non c’è infatti nessuno di noi che non si sia beccato un rimbrotto, un cazziatone, insomma e, il più delle volte, immotivato. Era una vera bisbetica la buonanima. Bisognava solo eseguire le sue volontà, senza la possibilità di discutere. Pensi che io, in un momento in cui avevo, erroneamente creduto che fosse venuto il momento di cambiare e di introdurre sistemi di gestione più moderni ed una maggiore trasparenza nella gestione, sono stato sul punto di essere messo alla porta. E sa perché? Perché avevo osato chiedere alla vecchia se e quando intendeva andare in pensione. È stato ritenuto un atto di lesa maestà. Mi rispose con rabbia che lei da qua dentro sarebbe uscita solo coi piedi davanti. Lei sa cosa significhi, vero?

    Lo so. Aveva la sindrome del re Sole, L’etat c’est moi. Credo che abbiate avuto tutti una vita molto triste in questo posto. Dovevate odiarla, la morta.

    È vero, commissario, mi creda però, se le dico che nessuno di noi avrebbe mai avuto il coraggio o la capacità di commettere un delitto.

    Avevate fatto l’abitudine ad essere strapazzati, Tuttavia I fatti la smentiscono, ingegnere. Ma mi dica, nessuno di voi ha mai pensato di cercare un altro impiego fuori da qui?

    L’interlocutore guardò il commissario senza saper cosa rispondere.Allora P. disse:

    In effetti la lunga permanenza in un certo ambiente rende gli individui timidi, spaventati dal mondo esterno e spesso coloro che subiscono angherie sui luoghi di lavoro restano vittime di una sorta di sindrome di Stoccolma. Sviluppano una dipendenza dai loro aguzzini e non riescono ad immaginare di potergli sfuggire.

    L’ingegnere Lo Moro annuì e nel suo sguardo passò un lampo come se avesse trovato, nelle parole del funzionario di polizia, una verità che gli era sempre sfuggita. Si, si disse, deve essere proprio così, altrimenti non avrei inghiottito tutte le umiliazioni subite in tutti i venticinque anni passati qua dentro. E forse davanti agli occhi della mente vide scorrere la parte migliore della sua vita, sprecata in quel luogo dove la dignità era divenuta un orpello superfluo. Aveva solo pensato a sopravvivere, come un cane alla catena.

    Bene, ingegnere – disse il commissario – per ora la lascio libero. Naturalmente nessuno di voi può allontanarsi senza mia autorizzazione.

    Il direttore generale si alzò un po’ titubante e si avviò verso l’uscita lentamente. Parve, poi, al commissario che avesse voglia di tornare indietro ed aggiungere qualcosa alle dichiarazioni già rese. Era combattuto ed intimorito. Certo non doveva essere un cuor di leone se, per tanto tempo aveva subito le angherie e le umiliazioni della vecchia, solo per conservare il suo impiego. Un ingegnere, per la miseria, pensò il commissario, avrebbe potuto forse, in tempi in cui la crisi non era ancora alle porte, cercare qualcosa di meglio. Invece l’ormai anziano dirigente aveva preferito restare vicino casa, quando gente della sua generazione aveva invece scelto di girare il mondo. Un pavido o uno che si accontentava facilmente. Non gli ispirava nessuna simpatia, nessuna stima l’ingegner Lo Moro, anzi gli faceva un po’ pena.

    Capitolo 2

    Il commissario tornò nell’atrio e vide la centralinista venirgli incontro:

    Dottò, vi faccio un caffè? Il vostro aiutante mi ha detto che volete na bella tazzulella ‘ stretta stretta, è overo?

    Si grazie, signora, un caffè mi andrebbe, sono quasi in crisi di astinenza stamattina.

    Mentre la centralinista infilava la porta a vetri in fondo all’atrio, dal portoncino d’ingresso facevano il loro ingresso gli altri tre componenti della squadra, le due guagliottole e Pietro Ferrara. Le ragazze erano, come al solito, in splendida forma e la loro presenza attirava gli sguardi degli astanti che, in quell’ambiente un po’ tetro, avevano ben poco su cui posarsi. La bramosia che che si leggeva in quegli sguardi era quella tipica degli ambienti esclusivamente maschili, aveva qualcosa di animalesco, di primordiale. In quel luogo, fin dal primo momento, il commissario avvertiva nell’aria qualcosa di opprimente, una sottile angoscia di un mondo chiuso su se stesso. Erano forse gli ambienti dimessi, i mobili vecchi, le pareti non dipinte da lungo tempo. Solo le aiuole apparivano ben curate là dentro, come se la defunta, che teneva i cordoni della borsa, tenesse più al regno vegetale che a quello animale, nella sua sottospecie umana. Strano posto, che, del resto, aveva incubato le ragioni di un delitto, forse covato a lungo. Il commissario avvertiva lì dentro un’aria strana, un’aria chiusa, priva di ricambio, come se ogni comunicazione col mondo esterno fosse stata interrotta da tempo e la vita si fosse volta, lentamente in tragedia. Una tragedia annunciata. Così tanto per citare Màrquez. Chissà, si chiese, quanti posti simili esistevano al mondo. O forse tutti gli ambienti di lavoro tendevano a richiudersi su se stessi ed a divenire mano a mano asfittici, soffocanti e a mostrare a quanti ci vivevano dentro una visione alterata del reale? Una vita da cui l’orizzonte piano piano scompariva e con esso la speranza nel futuro, l’ottimismo. Chissà. P. sentiva che il colpevole si confondeva con la piccola folla degli astanti, impiegati o operai che fossero. Ognuno di loro doveva aver nutrito un risentimento verso quella che i più, in quella sorta di microcosmo chiuso, appellavano come la vecchia, con un disprezzo nemmeno dissimulato o forse con odio. Esposito provò una sorta di brivido, avrebbe voluto avere la capacità di leggere nei pensieri di quelli che si accalcavano nella piccola hall degli uffici per entrare nella mente dell’assassino. Il fatto di averlo davanti ed ignorare il suo aspetto era una cosa che dava come una piccola scossa ai nervi dell’investigatore. Del resto, pensò, che anche molti tra quelli, che si accalcavano nel piccolo atrio, dovessero odiarsi.

    Il commissario chiamò i suoi e li condusse nella saletta in cui aveva condotto il primo interrogatorio. Li fece sedere intorno al tavolo e:

    "Ora la signora Tina ci offre il caffè della casa. Poi ognuno di voi si prenderà in carico un certo numero di impiegati e vi farete raccontare tutto quanto possono dirvi a proposito della morta

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