Autostrada per l'inferno: Storie vere di nero rock'n'roll
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Autostrada per l'inferno - Stefano Marzorati
Stefano Marzorati
Autostrada per l'inferno
Storie vere di nero rock'n'roll
Ristampa digitale di Autostrada per l'inferno
, originariamente pubblicato nel 1995
In copertina: particolare della cover dell'album Riders in the Long Black Parade
degli Zarkons (Enigma, 1985). Artwork di Randy Stodola, utilizzato per gentile
concessione dell'autore.
© Randy Stodola
Autostrada per l'inferno
© 2014 Stefano Marzorati
UUID:
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
FRIENDS WILL BE FRIENDS/1
FRIENDS WILL BE FRIENDS/2
ROCK'N'ROLL NOIR
AGLI INCROCI: ROBERT JOHNSON E LA MUSICA DEL DIAVOLO
LA MORTE ERA UNA CADILLAC BIANCA: HANK WILLIAMS (1953)
AMERICAN PIE 1
LA MORTE COME ALTO LIVELLO DI PROBABILITA'
JAMES DEAN E IL TEENAGE DEATH ROCK
JERRY LEE LEWIS: IL DIAVOLO E IL PIANISTA
LA FINE DELL'INNOCENZA
AMERICAN PIE 2
VIETNAM ROCK
SIMPATIA PER IL DIAVOLO: I ROLLING STONES
LA MORTE AI BORDI DELLA PISCINA: BRIAN JONES
SOTTO IL SEGNO DI HELTER SKELTER
TANTO TEMPO FA, IN UN POSTO MOLTO LONTANO QUANDO IL ROCK'N'ROLL ERA PERICOLOSO
PAUL E' MORTO (1969)
LA MORTE IN CLASSIFICA (1971)
CARTOLINE DALL'INFERNO
ALICE NEL PAESE DEGLI ORRORI
NESSUN FUTURO: L'ULTIMA CADUTA
LA MORTE E IL POETA: LOU REED
BURZUM!
LA MORTE NELLA FABBRICA VUOTA: IL ROCK INDUSTRIALE
IL ROCK COME RUTTO DEL CRISTIANESIMO
IL TRIONFO DELLA MORTE
SERIAL KILLER ROCK
GG ALLIN: IL ROCK'N'ROLL COME CRIMINE
STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
ROCK'N'ROLL DESTRUCTION: VIVERE SULLA CORSIA DI SORPASSO
LA MORTE COME POSSIBILITA' DI CARRIERA
DANZANDO CON LA NERA SIGNORA
LA FIERA DELLE ATROCITA'
CANZONI SUL GRANDE VUOTO
101 CANZONI DI ODIO, MORTE E DISTRUZIONE
ROCK'N'ROLL HORROR
SATANA HA FINITO DI ASPETTARE...
FRIENDS WILL BE FRIENDS/1
1973. Acquisto il primo 33 giri. E' Selling England By The Pound
dei Genesis. Non ho ancora lo stereo, solo un vecchio mangiadischi della Lesa, perciò lo ascolto a casa di un compagno di scuola che è il fortunato possessore di una fonovaligia, di quelle comprate per posta. Osservo il mio amico ma non mi sembra che la magia della voce di Peter Gabriel o la bellezza dell'intreccio degli strumenti sfiorino, neppure per un solo attimo, la sua anima. Mi guarda ottusamente, mentre dentro di me si fa strada, definitiva, una decisione: devo avere assolutamente un giradischi per poter ripetere la magia dell'ascolto nella solitudine della mia stanza, senza alcuna interferenza dall'esterno. E' l'inizio, la premessa di un rituale che resterà in eterno.
Natale 1973. Ho finalmente ottenuto quel che desideravo, l'oggetto che tormentava i miei desideri; un impianto hi fi. E' un compatto della Imperial, di un bel colore nero minaccioso. Diventerà presto la mia scatola magica, capace di condurmi verso altre dimensioni, lontano dalla routine delle giornate di scuola e del timore delle interrogazioni. Nonostante le ore che dedico all'ascolto il mio profitto rimane alto, anche perchè temo che i miei genitori inizino a considerare la musica come un elemento fuorviante. Ho un luminoso futuro come medico che mi aspetta. La mia collezione di dischi si va ampliando sempre di più, pian piano, faticosamente. Non ho a disposizione grandi budget. Ogni pezzo di vinile acquistato diventa un nuovo tassello per il completamento del mio personale puzzle, la chiave che aprirà le porte alla mia libertà.
1974. Il rock mi possiede. Inizio a considerare sempre meno eccitanti le ore di scuola e quelle dedicate ai compiti a casa. La compagnia dei miei pochi amici diventa, sempre più spesso, noiosa. Ho di meglio da fare: scegliere uno dei pezzi di vinile nero, estrarlo con rispetto e cautela dalla busta protettiva e metterlo sul piatto. I gesti essenziali di un rituale. Tutto è pronto per l'evocazione. Seduto in poltrona, la cuffia calata sugli orecchi, sprofondo lentamente in un mondo di promesse allettanti, storie incredibili, amori sognati. La musica mi colma di lusinghe, anche quando si carica di una velata minaccia. Il tempo, fuori dalla mia stanza e dalla finestra, scorre veloce e io non me ne curo. Il filo della cuffia diventa un cordone ombelicale che mi lega al centro di tutta l'energia. Media il mio rapporto con la realtà.
Un'antologia dei Pink Floyd del primo periodo, quello con Barrett, mi disturba piacevolmente. Apre altre porte. Rifletto sul potente simbolismo racchiuso in certo titoli, mi sforzo di tradurre i testi, trovo nelle parole significati nuovi. Alimento il potere della mia percezione nel seguire le linee di basso, i repentini cambi di ritmo, rimango appeso alla trama disegnata dalla voce. Cerco un evento drammatico e lo trovo lì, in quel mondo di cui mi sento signore e padrone. Non ho buoni rapporti con le ragazze e, agli occhi degli altri che mi stanno intorno, sembro prestare loro poca attenzione. Ma spesso sogno della ragazza con i capelli d'oro che vive nel disco della Testa Matta e spero d'incontrarla nel silenzio di un bosco incantato, materializzata dal potere sciamanico della voce e degli strumenti.
La morte rimane un fatto nascosto, mi appare nelle notizie in televisione, sui giornali. Mi lascia in pace, per il momento, anche se affiora qua e là tra i solchi, presenza sottile. Il filo della cuffia è abbastanza lungo così che posso affacciarmi alla finestra della mia stanza, nei tardi pomeriggi d'estate, a guardare tramonti marziani.
1976. Cresco solo e con pochi amici. Qualcuno di loro mi sembra fuori posto in questo mondo, come me del resto. Nessuno mostra la mia stessa passione, il coinvolgimento di un adepto totale nei confronti della musica. La cosa mi rende triste. Continuerò a coltivare la mia fede in solitudine.
Vado a Milano da solo, per la prima volta. Di solito, prima, ci andavo per accompagnare mia madre a qualche visita medica. Ogni volta, prima di riprendere l'autobus che ci riporterà a casa, andiamo da New Kary in via Torino a spulciare tra gli scaffali dei vinili in offerta. Trovo sempre qualche altro piccolo tesoro da aggiungere alla mia collezione. La sera, ascolto musica fino alle dieci o alle undici. Ogni volta che ripongo il disco sullo scaffale penso con tristezza alla giornata che mi attende l'indomani. La scuola, i contatti con gli altri. Tutte cose che non mi rendono particolarmente felice.
Quell'estate scoppia la febbre delle radio libere. E' la grande occasione che mi si offre: fare il dee-jay. Il trasmettitore che utilizziamo è un vecchio scatolone metallico, siglato Us Army. Un qualche residuato bellico scovato dai radioamatori locali, i soci della cooperativa che ha messo in piedi la radio. Tutti loro hanno soprannomi bizzarri: Von Braun
, Catarro verde
. Facciamo prove di trasmissione per tutta l'estate. Registriamo cassette su cassette di programmi in studio. E' tutto molto nuovo e bello. Una sera, molto tardi, mi ritrovo da solo davanti al mixer. Gli altri sono andati a casa o a farsi un gelato. E' una bella notte d'estate, calda, il cielo pieno di stelle. La testa è piena di pensieri e di emozioni, di speranze per il giorno dopo, della sicurezza che le vacanze dureranno ancora qualche settimana. Sto registrando un altro nastro, fingendo di rivolgermi a un pubblico di ascoltatori in realtà inesistente. Metto The End
dei Doors. La porta d'ingresso è aperta e, mentre parte la musica, esco fuori e guardo il cielo, mentre Jim ammazza il padre e stupra la madre. In qualche modo sono felice: anche se il programma non va in diretta e nessuno mi ascolta, la musica parla al mio cuore e questo mi basta. Non ho l'amore ma ho il mio rock e sì, mi sento proprio un fottuto ribelle.
1977. Seconda avventura radiofonica. Questa volta si va in onda sul serio. Io e il microfono. Il mondo in mano, praticamente. Tiro fuori i miei dischi segreti, portati da casa, li metto sul piatto per offrirli ad altra gente. Vorrei che apprezzassero la mia musica. Qualcuno telefona ed è una gioia sapere che non sei solo, o pazzo, o peggio. Dura solo un'estate o poco più. Come al solito devo fare l'eroe. I proprietari della radio mi sembrano dei perfetti idioti, pagani e blasfemi con i loro bei discorsi sul fatto che la musica da trasmettere debba essere più commerciale. Una telefonata e non tornerò più indietro. Diventerà un altro bel ricordo.
1977-1978. In Inghilterra arriva il punk e anche noi ce ne accorgiamo, volenti o nolenti. Non ho troppa simpatia per i Sex Pistols, mi sembrano troppo rozzi. E non capisco tutta quell'ansia di distruzione. Sono solo barbari, penso, che impallidiscono davanti alle splendide trame dei vecchi campioni del rock romantico: Genesis, King Crimson, Gentle Giant. Vivo, musicalmente, ancora negli anni Settanta, come se volessi rivendicare un'altra giovinezza, che non ho avuto, in un altro tempo e in un altro luogo. Gli anni Ottanta non mi sembrano promettere nulla di buono. La minaccia si fa sempre più sensibile. La posso sentire nell'aria. Succede tutto in poco tempo, una metamorfosi improvvisa. Johnny Rotten inizia ad attrarmi e anche la grafica dei nuovi dischi non mi sembra tanto più sgradevole, quanto necessaria. Voglio scoprire chi sono questi alieni che hanno invaso le stanze del mio palazzo dorato, scacciato i gentiluomini e fatto entrare porci e villani. La musica è sporca e inizia a inquinare l'aria. Anch'io non mi sento più tanto pulito e ingenuo. Devo scendere per le strade, fare qualcosa. La mia stanza non mi basta più. La convinzione di essere diverso non è più sufficiente. Voglio anche dimostrarlo a me stesso, e al mondo.
Cresce, intanto, la convinzione che qualcosa mi attenda, là fuori, di perverso e irrimediabile. Che Johnny abbia ragione? Nessun futuro, nessun futuro
...
L'amore non bussa alla mia porta e gli amici continuano a farsi attendere. Mi sento più che mai invulnerabile e voglio che il mio mondo diventi crudele e potente, insensibile al dolore, forte come una scarica di chitarre. Mi metto a fare politica
, in uno dei tanti collettivi di controinformazione
che affollano l'Italia di quegli anni. Per stare con gli altri, conoscere gente nuova. Forse questo è il motivo che mi tiene più aggrappato lì, e non tanto le idee di giustizia sociale. O forse è il sorriso di quella ragazza bionda, le fattezze seducenti del suo viso e del suo corpo. Il rock è sensuale! E io voglio abbeverarmi a quella sorgente di gioie e di delizie.
Ben presto mi appaiono chiari i limiti della mia posizione: da solo, nella mia stanza, ho nutrito la mia condizione, sublimato desideri, elaborato fantasmi e costruito castelli di carta mentali, sognato di essere onnipotente, un ragazzo selvaggio, fautore del proprio destino. Fuori, sembrano mancarmi le forze. Dentro di me la musica segreta continua a risuonare, ma non basta più. Voglio una vita spericolata.
1979-1980. Università, facoltà di medicina. L'orrore puro e semplice. La scoperta che non soddisferò mai le ansie legittime di mia madre e di mio padre. La voglia di studiare se ne va a poco a poco, e la cosa non mi dispiace. Rock, rock, grida una voce. Compro un basso elettrico da cinquantamila lire, l'unico budget messo a disposizione da mia madre (basta che non ti dimentichi di studiare
). E' un vecchio Eko, un po' malconcio, con le corde in nylon, uno strumento che anche Sio Vicious si rifiuterebbe di suonare. Ma, ai miei occhi, diventa un'arma, la spada del samurai, l'arma a raggi dell'eroe, il mitra della rivoluzione. D'ora in poi faccio sul serio. Mi vedo già sulla strada, on the road, ogni giorno facce diverse, tante storie e tanti amori. Sono un fuorilegge, oltre che un fuori corso. Passo le giornate applicandomi svogliatamente allo studio di materie come chimica e istologia ma in realtà, appena posso, prendo il basso, infilo il jack nell'amplificatore e inizio a fare pratica per quando sarò in una band. Qualche complice l'ho già trovato e nessuno ci fermerà. L'amore continua a restare in un angolo, prende mille altre facce, mille diverse occasioni e speranze, di felicità. Un giorno o l'altro la incontrerò, magari in un paradiso rock'n'roll.
Mia madre, un giorno, va a Milano. Da sola, non vuole essere accompagnata. Per una visita medica. Non si tratta dei soliti problemi di cuore. No, sembra qualcosa di più grave. Un tumore al seno, forse. Passo il pomeriggio da solo, nella stanza che divido con mio fratello. Ascolto musica in continuazione. Aspetto che lei ritorni e non so che fare, cosa pensare, ma la morte non si presenta all'appuntamento. Ha da fare altrove, forse, o forse non è ancora tempo. Mia madre torna a casa, la sera, felice come non mai. La nuova diagnosi è benigna, la prima ipotesi del tutto affrettata.
Poco dopo Natale i miei, generosi, mi regalano un nuovo basso, uno Squire, la replica esatta del mitico Precision Bass, lo strumento che ha fatto la storia del rock. Ora posso stringere tra le mano l'icona di potere che è stata di altri e che ad altri mi accomuna. Le mie dita scorrono sempre più veloci sulla tastiera, posso accompagnare qualche canzone, affrontare parti un po' più difficili. Ma c'è ancora molto da imparare.
1981-1982. Sono in una band di blues, gli Stormy Monday, e questo mi sembra, semplicemente, meraviglioso. la complicità degli altri, la consapevolezza di far parte di qualcosa. Non sono più solo. Ho un unico desiderio: suonare a livello professionistico. Ma il sogno, allora non me ne accorgo ancora, è destinato a spezzarsi...
1985 Ho finito con il blues. Ora sono in una band rock e sembra che abbiamo anche un leader, un piccolo dittatore. Lui è ricco, di buona famiglia, e ha i soldi per potersi permettere la migliore strumentazione. Non è uno di quelli nati per correre e lo trovo insopportabile ma, in qualche modo, ci sono gli altri. Amici? Poi incontro lei, che all'inizio mi ispira solo indifferenza. Un volto come tanti altri. Solo più tardi scoprirò che è attratta da me. Lei canta con il nostro gruppo. Una sera, dopo un concerto piuttosto penoso, mi avvicino a lei e le dico che ha cantato davvero bene Femme Fatale
, uno dei pochi pezzi del nostro repertorio che, pur con tutto il nostro impegno, non riusciamo a spogliare dell'antica poesia. E' l'inizio di un anno tremendo. Lei mi voleva, ora non mi vuole più ma forse... Finisce che lei sta con l'antipatico, per il quale la mia avversione diventa ora totale. Desidero la sua morte. Invoco gli dei e anche qualcosa di peggio. Le mie preghiere rimarranno inascoltate. La perdo lentamente, inesorabilmente e mi sento una nullità, uno zero assoluto. Ora mi sembra di capire realmente che cos'è la separazione, che sapore ha il lutto. In qualche modo sto prendendo confidenza con la morte ma, forse, ancora non ne sono consapevole. Qualcosa mi sfugge. Poi, una notte, mi sveglio, sudato e terrorizzato, con la sensazione che lei se ne sia andata per sempre. Devo andare avanti e far finta di nulla.
1984. Grazie all'iscrizione a Lettere e Filosofia (dimenticavo, ho trascorso due anni invano alla facoltà di Medicina) faccio il supplente in un liceo, per qualche mese. I ragazzi mi vogliono bene. Sono, ai loro occhi, il professore rock
. Mi sembra che basti così poco per non assomigliare ai miei colleghi. Loro, penso che mi considerino come una specie di marziano e la cosa, segretamente, mi fa piacere.
1985. I miei sogni si sono realizzati. Finalmente suono la musica che ho sempre desiderato suonare. Facciamo cover di Bauhaus, Cure e Dead Kennedys. Siamo ben assortiti e ci vestiamo di nero. Qualcuno dice che portiamo sfiga soprattutto per via del nome che ci siamo scelti: Leukemia. Ma, in questo nostro piccolo mondo rock di provincia, abbiamo il nostro pubblico fedele.
1986. Non posso più rimandare i miei impegni con la patria. Servizio civile. Mi mandano in una USSL vicino a Milano, nel servizio psichiatrico. Finisco in un CPS (Centro Psico Sociale), tra gente che ha problemi. Auspico un incontro ravvicinato con la follia, quella che il mio rock ha spesso cantato. Inconterò forse Sid Barrett, o Peter Green, o qualcun altro dei miei eroi? Passano due anni ricchi di incontri e di colloqui. Sono immerso nell'immobilità della malattia, del malessere. Deliro con i pazienti, cerco di seguirli