Storia del Jazz Moderno
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Book preview
Storia del Jazz Moderno - Marco Ravasini
Copyright
Titolo originale: Storia del Jazz Moderno
Prima edizione: aprile 2017
Seconda edizione: marzo 2019
Terza edizione: aprile 2021
Quarta edizione: luglio 2022
© 2017 Marco Ravasini,
Via Carlo Boucheron 14,
10122 Torino, Italia
ISBN 978-88-908800-7-0
Prefazione
«Cerco di suonare la verità di ciò che sono. La ragione per cui mi riesce difficile è che cambio continuamente»
- Charles Mingus
«Non ho mai pensato che per Jazz si intendesse un luogo da museo come accade per altre cose defunte che un tempo si consideravano artistiche»
Miles Davis
«Suona solo quello che senti. Se non senti niente, non suonare niente»
- Chick
Corea
Questo libro, al pari del precedente, trae origine dall’esperienza di molti anni di insegnamento della storia del Jazz in Conservatorio, con allievi jazzisti ed altri di provenienza più classica e tradizionale. Non intende essere una ricostruzione esauriente, perché lo vieterebbero le sue stesse dimensioni, pensate all’insegna della facilità di utilizzo. E non potrebbe ricordarsi di tutti quanti i personaggi ritenuti, a torto o a ragione, importanti, anche perché ognuno di noi, compreso l’autore di queste righe, ha diritto ai suoi pallini e alle sue preferenze…
All’interno del testo, suddiviso in 6 capitoli e 20 sezioni, sarà possibile attivare al tocco i termini tecnici più difficili, per leggerne la spiegazione – si spera – esauriente. E altrettanto attivabili saranno gli ASCOLTI, i cui link condurranno a pagine Web dove sarà possibile ascoltare, appunto, i brani citati. A differenza dei termini del glossario, però, e al pari degli ASCOLTI-VISIONI, si renderà necessaria, ovviamente, una connessione a Internet, in Wi-Fi ovvero con SIM di qualche operatore di telefonia mobile.
Infine, pagato il giusto debito di riconoscenza a William Pettenuzzo, che mi ha aiutato nella caccia ai refusi e alle mancate corrispondenze, volevo rivolgere un ricordo affettuoso a mio padre Giorgio, infaticabile jazzofilo della prima ora (o meglio della seconda...), che mi trasmise, sin da bambino, la passione per la musica afroamericana, anche se poi, crescendo, mi sono orientato verso generi differenti. Questo libro, in buona parte, è anche opera sua.
M.R.
Torino, luglio 2022
Capitolo 1
Oltre il Be-Bop: il Cool Jazz
Sezione 1
Gil Evans arrangiatore, Gerry Mulligan arrangiatore e solista, Miles Davis e Birth of the Cool
Le origini del Cool Jazz
Il Cool Jazz (o "Jazz fresco" anche se molti traducono erroneamente "Jazz freddo") si originò a New York come una costola antagonistica (e per lo più bianca
) del Be-Bop, già poco dopo la nascita di questo e prima della fine della Seconda Guerra Mondiale (1944-1945). Negli anni della guerra, l’orchestra bianca di Claude Thornhill (1908-1965), pianista e arrangiatore di estrazione metà jazz e metà classica (aveva studiato al Conservatorio di Cincinnati), si era segnalata per il suo sound con poco swing e niente vibrato, per far meglio risaltare le sonorità dei vari strumenti. Avvalendosi, oltre a quelli del capoband, anche degli arrangiamenti del compositore e pianista canadese Gil Evans (1912-1988, Fig. 1) e del baritonsassofonista Gerry Mulligan, l’orchestra di Thornhill includeva strumenti a fiato della tradizione sinfonica quali il basso tuba, trattato solisticamente, e il corno, indicato nel Jazz col nome completo di corno francese
.
Figura 1: Gil Evans in due fasi diverse della carriera
In essa era confluito anche l’altosassofonista Lee Konitz (uno dei pochi solisti dello strumento a distinguersi, in quel periodo, dall’imperante modello parkeriano), proveniente dalla scuola di Lennie Tristano, pianista e compositore non vedente di origine italiana. Alcuni di questi musicisti più altri, per un totale di otto, affiancarono Miles Davis, ormai orfano di Charlie Parker, in una serie di esibizioni al Royal Roost Club di New York (fine agosto-inizio settembre 1948). Questo nonetto, presentato come Miles Davis Band, dava anche ampio risalto, sulle locandine, alle figure dei suoi arrangiatori (Mulligan ed Evans, appunto, nonché il pianista John Lewis, che fonderà il Modern Jazz Quartet). La formazione iniziale era composta da: Miles Davis (tromba), Mike Zwerin (trombone), Bill Barber (tuba), Junior Collins (corno francese), Gerry Mulligan (sax baritono), Lee Konitz (sassofono contralto), John Lewis (piano), Al McKibbon (contrabbasso), Max Roach (batteria). Di essi, tranne Davis, Lewis, McKibbon e Roach, la maggioranza era composta da musicisti bianchi e Davis stesso sarà rimproverato per questa scelta, ma si giustificherà dicendo di avere imparato molto da loro…
Birth of the Cool
Dopo l’inizio di settembre, il nonetto di Davis tornò al Royal Roost e questa volta venne fatta una serie di registrazioni dal vivo che furono combinate con ulteriori sedute in studio, necessarie per completare i sei 78 giri (dodici facciate per complessivi dodici brani) che Davis si era impegnato a realizzare per conto della Capitol Records. Le sedute di completamento ebbero luogo nel gennaio e aprile del 1949 e nel marzo del 1950, con una formazione che variava di continuo: alla fine solo Davis, Konitz, Mulligan e Barber furono presenti sempre, sin dall’inizio… Una parte di esse venne riversata su un 33 giri microsolco da 25 centimetri già nel 1953, da parte della stessa Capitol; poi si ebbe la pubblicazione di 11 tracce (su 12) nel 1957 su un altro 33 rimasto famoso, Birth of the Cool (Nascita del Cool, Fig. 2), che, seppur retrospettivamente, riconosceva l’importanza di quelle sedute per l’affermazione del nuovo Jazz, più calmo e ragionato del Be-Bop, con più parti obbligate e più contrappunto (il che implicava, per conseguenza, più arrangiamenti scritti). Infine una dodicesima traccia, ancora mancante all’appello (Darn that Dream
, l’unica cantata, con la partecipazione del vocalist Kenny Hagood, 1926-1989), venne aggiunta in un ulteriore 33 del 1972 (Fig. 2b)… [ASCOLTI] Venus de Milo
, Moon Dreams
, Boplicity
.
.
Figura 2: Birth of the Cool è il titolo del LP del 1957, che raggruppava tutte le tracce strumentali delle registrazioni del nonetto di Davis (1948-50)
Figura 2b: nel 1972, con l’uscita di un nuovo LP (The Complete Birth of the Cool), fu aggiunta alle precedenti 11 anche una dodicesima traccia vocale, cantata da Kenny Hagood
Gerry Mulligan
Gerald Joseph Mulligan, detto Gerry (1927-1996, Figg. 3/3b), baritonsassofonista fra i più grandi del Jazz nonché bravo pianista ed abile arrangiatore, sempre presente al fianco di Miles Davis alle sedute di Birth of the Cool, era nato a Queens (New York), ultimo di quattro figli maschi, da un padre di origine irlandese e da una madre mezza irlandese e mezza tedesca. La sua governante, una nera, possedeva in casa un piano meccanico con rulli di Jazz (Fats
Waller, per esempio) e questo fu il primo approccio di Gerry alla musica afroamericana.
Figura 3: Mulligan sul limitare degli Anni cinquanta
Figura 3b: Mulligan anziano, con la barba sempre ostentata nell’ultimo periodo della sua vita
Imparò a suonare (per prima cosa il clarinetto) nelle scuole cattoliche delle varie città del nordest in cui la famiglia dovette trasferirsi e trovò il primo impiego serio di arrangiatore presso la band del batterista swing Gene Krupa, smanioso di svecchiare il suo stile acquisendo un nuovo sound più be-bop, a New York, nel 1946. Un suo arrangiamento di How high the moon
utilizzò come controcanto la parafrasi che Parker ne aveva tratto in Ornithology
… Dopo Krupa fu la volta di Thornhill, come si è già detto, e qui Mulligan consolidò la stima e l’amicizia nei confronti di Gil Evans che vi lavorava da tempo e che egli aveva già conosciuto in precedenza. Dell’importantissimo contributo alle sedute di Birth of the Cool, nella doppia veste di compositore-arrangiatore e di solista, si è già detto prima. Dopo la breve esperienza dal vivo con Davis, egli lavorò su altri arrangiamenti per altri musicisti e debuttò anche come solista in un disco tutto suo (Mulligan plays Mulligan, 1951), dove si esibì come baritonsassofonista ispirandosi alle sonorità fresche
e un po’ ovattate del grande Lester Young. Poi curò altri arrangiamenti per l’orchestra di Stan Kenton e, durante questo periodo (1952), frequentando l’Haig, un piccolo Jazz club newyorkese, conobbe il trombettista Chesney Henry Baker detto Chet
(1929-1988), con cui decise di sperimentare un nuovo genere di quartetto per la prima volta senza pianoforte (sax, tromba, basso e batteria). Questa esperienza di quartetto con Baker (a volte esteso a decimino con la partecipazione di altri) fu un momento di grande creatività ma venne interrotta anzitempo a causa dell’arresto dello stesso Mulligan per detenzione e spaccio di eroina. Quando egli riacquistò la libertà, Baker non tornò più a suonare con lui e le loro strade si divisero. Mulligan sarebbe uscito dal tunnel della droga. A sua volta, invece, Baker ne fu sopraffatto e finì per morirne, in Europa, precipitando dalla finestra di un hotel di Amsterdam, sotto l’effetto delle sostanze di cui si faceva abitualmente…
Nel tentet (decimino) di Gerry Mulligan, con Chet
Baker (tromba), suonavano fra gli altri anche Chico Hamilton (batteria, 1921-2013), Bud Shank (sax contralto), Pete Candoli (tromba), John Graas (corno) e Bob Enevoldsen (trombone a pistoni). Nel quartetto, invece (v. Fig. seguente), sempre con Chet
Baker, c’erano Chico Hamilton e Bob Whitlock (contrabbasso, 1931-2015).
[ASCOLTI] Walking Shoes
,My Funny Valentine
(la celebre canzone di Rodgers e Hart, 1937) e Swing House
.
Nel prosieguo della carriera, Mulligan rifece il quartetto senza piano, stavolta in compagnia del trombonista a pistoni Bob Brookmeyer, e suonò anche a fianco di grandi musicisti del Jazz Classico (Duke
Ellington, Billie Holiday, Count
Basie, addirittura Louis Armstrong) oltre che coi moderni Stan Getz, Thelonious Monk e, in seguito, Charles Mingus, per non citarne che alcuni. Nel 1960 costituì una sua big band e, prima della fine del decennio, sostituì sporadicamente Paul Desmond nel quartetto di Dave Brubeck… Negli anni Settanta e all’inizio degli Ottanta, si diede a collaborare con musicisti classici (André Previn, Astor Piazzolla e Zubin Mehta, che lo chiamò a suonare il sax soprano nella Filarmonica di New York, per il Bolero di Ravel) e a comporre musica per sassofono allo scopo di arricchirne il repertorio, non propriamente sterminato. Nel 1991, il suo tentativo di ricostituire il sodalizio con Miles Davis fallì per la morte improvvisa del trombettista. L’ultimo suo concerto ebbe luogo sulla nave SS Norway, nel novembre 1995. Due mesi dopo morì, ufficialmente per i postumi di un’operazione al ginocchio, anche se la vedova, la contessa italiana Franca Rota Borghini Baldovinetti con cui si era sposato circa vent’anni prima, rivelò che era affetto da un tumore al fegato…
Sezione 2
Lennie Tristano e Dave Brubeck
Lennie Tristano e la sua scuola
Lennie (Leonard Joseph) Tristano (1919-1978, Figg. 4/4b), non vedente, nato a Chicago da genitori napoletani (di Aversa), aveva studiato pianoforte e teoria musicale al Conservatorio della sua città, diplomandosi nel 1943. La passione per il Jazz, però, lo condusse tre anni dopo a New York, dove forte era l’influsso del nuovo stile inaugurato da Parker, Gillespie e Powell. Egli suonò anche con alcuni di loro ma si distinse subito per un concetto dell’improvvisazione più razionale
, fredda e armonicamente complessa (anche rispetto allo stesso Be-Bop…).
Figura 4: Tristano a trent’anni, nel 1949
Figura 4b: Tristano all’epoca della sua tournée in Europa (1965)
Perciò, sin dall’inizio, venne considerato un profeta del Cool Jazz, anche se non aveva nulla a che spartire con la piacevolezza
dei solisti californiani
(il trombettista Shorty
Rodgers, il tenorsassofonista Stan Getz e l’altosassofonista Bud Shank, già citati, il clarinettista Jimmy Giuffre, il batterista Shelly Manne ecc) che, in seguito, avrebbero conquistato il monopolio del Jazz freddo (fresco) di fronte al mondo intero. Tristano, che in origine suonava spesso in trio, si affermò soprattutto come solista, anche se, col nascere e il consolidamento della sua scuola di improvvisazione (la prima del genere), soprattutto dalla metà degli anni Cinquanta, egli continuò ad esibirsi, di tanto in tanto, in compagnia dei suoi allievi più dotati (il già citato Lee Konitz, ovviamente, 1927-2020, e il tenorsassofonista Warne Marsh, 1927-1987, v. Fig. seguente).
Nel 1947, il pianista aveva registrato con loro in un sestetto per conto della Capitol