Storia del Jazz Classico
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Book preview
Storia del Jazz Classico - Marco Ravasini
Copyright
Titolo originale: Storia del Jazz Classico
Prima edizione: agosto 2016
Seconda edizione: marzo 2018
Terza edizione: febbraio 2019
Quarta edizione: settembre 2020
© 2016 Marco Ravasini,
Via Carlo Boucheron 14,
10122 Torino, Italia
ISBN 978-88-908800-4-9
Prefazione
«Non ho bisogno di parole. È tutto nel fraseggio»
- Louis Armstrong
«La musica dovrebbe essere sempre un’avventura»
- Coleman Hawkins
«Se stanotte trovi una nota che suona bene, suona la stessa dannata nota tutte le notti!»
- Count
Basie
Questo libro trae origine dall’esperienza di molti anni di insegnamento della storia del Jazz in Conservatorio, con allievi jazzisti ed altri di provenienza più classica e tradizionale. Non intende essere una ricostruzione esauriente, perché lo vieterebbero le sue stesse dimensioni, pensate all’insegna della facilità di utilizzo. E non potrebbe ricordarsi di tutti quanti i personaggi ritenuti, a torto o a ragione, importanti, anche perché ognuno di noi, compreso l’autore di queste righe, ha diritto ai suoi pallini e alle sue preferenze…
All’interno del testo, suddiviso in 3 capitoli e 19 sezioni, sarà possibile attivare al tocco i termini tecnici più difficili, per leggerne la spiegazione – si spera – esauriente. E altrettanto attivabili saranno gli ASCOLTI, i cui link condurranno a pagine Web dove sarà possibile ascoltare, appunto, le composizioni citate. A differenza dei termini del glossario, però, e al pari degli ASCOLTI-VISIONI, si renderà necessaria, ovviamente, una connessione a Internet, in Wi-Fi ovvero con SIM di qualche operatore di telefonia mobile.
Infine, volevo rivolgere un ringraziamento affettuoso a mio padre Giorgio, infaticabile jazzofilo della prima ora (o meglio della seconda…), che mi ha trasmesso, sin da bambino, la passione per la musica afroamericana, anche se poi, crescendo, mi sono orientato verso generi differenti. Questo libro, in buona parte, è anche opera sua.
M.R.
Magliano Alfieri, agosto 2013
Capitolo 1
I primordi del Jazz
Sezione 1
Calls, Cries, Work Songs, Ballads, Spirituals, Blues, Minstrelsy, Ragtime, New Orleans
Premessa
Non è possibile stabilire una cronologia di tutte le espressioni del Folk vocale dei neri d’America, dalle più semplici alle più complesse, pensando che le più semplici (Calls e Cries) debbano precedere per forza le più complesse (Ballads e Blues) passando magari necessariamente per il repertorio religioso (Gospels e Spirituals). Di fatto si deve parlare, piuttosto, di una compresenza
e di una contemporaneità
all’interno della cultura nera, compresenza e contemporaneità di cui non è sempre facile rintracciare e documentare le origini.
Durante il periodo della schiavitù (ma anche in seguito), molte forme di canto echeggiavano nei luoghi di lavoro del Sud degli Stati Uniti, nelle piantagioni di cotone, di canna da zucchero e di granoturco così come sulle banchine dei porti fluviali e marittimi.
Calls (Chiamate), Cries (Grida) e Work Songs (Canzoni di lavoro)
Le intonazioni di chiamata
(Calls) servivano per comunicare messaggi di ogni genere, per chiamare la gente fuori dai campi (v. figura seguente), per invitarla ad andare al lavoro, per attirare l’attenzione di una ragazza a distanza o semplicemente per far notare la propria presenza.
Se la dimensione soggettiva, di manifestazione espressiva e vocalizzazione delle emozioni private era prevalente, allora si avevano, più propriamente, delle Cries (grida). La loro struttura in genere era assai libera e spesso personalizzata dal cantore, anticipando quell’improvvisazione che sarebbe divenuta, poi, la colonna portante del Blues e del Jazz. Inoltre, se maggiormente elaborate e più legate alle funzioni lavorative, esse diventavano di fatto Work Songs, dei contadini, dei lavoratori delle ferrovie, degli scaricatori di porto, dei taglialegna, dei pescatori e anche dei carcerati. Queste Songs, così prossime alla tradizione originale africana, con la loro struttura tipicamente antifonale, stupivano molti bianchi che poterono ascoltarle. Secondo la testimonianza della scrittrice e attrice inglese Fanny Kemble, che aveva sposato un proprietario terriero per poi divorziare da lui, quando ne ebbe visitato le piantagioni ed ebbe visto i trattamenti inumani imposti agli schiavi (Journal of a residence in a Georgia plantation, 1838-1839), «i nostri barcaioli accompagnano i colpi di remi col suono delle loro voci. Io non sono riuscita a scoprire alcuna derivazione da qualcosa che mi fosse familiare in molte delle loro canzoni da me ascoltate recentemente, e che mi sono parse straordinariamente selvagge e strane». E poi ancora: «il modo in cui il coro interviene col suo peso [ndr all’unisono o all’ottava, spesso in falsetto] fra una frase e l’altra della melodia cantata da una voce solista è molto curioso ed efficace». Sopra ogni cosa stupivano la Kemble «l’ammirevole senso del tempo e l’accento sincero» di questi canti, tutti strettamente connessi col ritmo del lavoro che veniva svolto nel contempo, a volte tristi a volte invece allegri e umoristici, dai contenuti più svariati.
Ballads (Ballate)
Si trattava di canti complessi, talvolta molto lunghi, articolati in stanze e, a volte, derivati dalle Work Songs di cui avevano perso, però, la funzionalità originale. Spesso narravano vicende realmente accadute in forma epica, com’è forse il caso della famosa Ballata di Ol’ Riley
, conosciuta sotto vari titoli, in cui si narra di un vecchio carcerato che evade di prigione per assistere al funerale della moglie ed è braccato dal cane dei secondini, Rattle, anche lui anziano, che non riuscirà mai a raggiungerlo… Altre volte si parlava dell’infedeltà coniugale, dell’inadeguatezza e del disinvolto comportamento dei mariti di razza nera (v. la piaga dei figli illegittimi, pressoché costante fino ad epoca moderna), una tematica molto diffusa anche nel Blues, con relativa reazione delle mogli, a volte rassegnate ma più spesso portate, dopo tanta sopportazione, a vendicarsi in modo violento e omicida (v. la celebre Ballata di Frankie e Johnny
, nota anche col titolo Frankie e Albert
). Altre volte ancora l’argomento riguardava l’eterno sogno di evasione dalle asprezze della vita, com’è il caso di [ASCOLTO] Midnight Special
, forse di origine bianca, che faceva parte del repertorio del famoso cantante-carcerato Lead Belly (1885-1949), scoperto e rivalutato dagli etnomusicologi John e Alan Lomax. In essa il Midnight Special
, l’espresso di mezzanotte, cioè il treno che passa sbuffando e andando chissà dove, viene assunto a simbolo e áncora di salvezza (immaginaria) tanto dal lavoratore che soffre per la durezza del lavoro quotidiano quanto, in egual misura, dal carcerato che soffre per la privazione della libertà…
La conversione al Cristianesimo: Spirituals
La conversione al Cristianesimo degli schiavi neri, ad opera di solerti missionari battisti e metodisti, cominciò in grande stile solo agli inizi dell’Ottocento, quasi due secoli dopo i primi arrivi dall’Africa. Gli schiavisti l’avevano a lungo osteggiata perché ritenevano che la parità religiosa avrebbe privato il regime schiavista di gran parte dei suoi presupposti giustificativi… Poi, però. si accorsero che la religione cristiana poteva fungere da potente mezzo di controllo e contenimento delle spinte e delle velleità di ribellione (si soffre in silenzio in questo mondo nella certezza della redenzione promessa nell’altro…) e non si opposero più. Per molto tempo, però, gli schiavi convertiti continuarono a serbare il ricordo dei loro riti animisti, dando vita a un culto sincretistico, a mezza via fra passato e presente. E, nei loro Spirituals, di argomento quasi sempre ottimistico ed assertivo, fecero balenare la speranza della pace e della redenzione futura senza, peraltro, rinunciare all’idea di realizzarle già su questa terra, al punto che l’intonazione di alcuni di essi durante il rito sacro venne assolutamente vietata. In seguito, dopo la Guerra Civile e la conseguente liberazione degli schiavi, questi canti subirono un processo di acculturamento
e ripulitura venendo proposti a pubblici colti, spesso di pelle bianca. Così subirono trasformazioni spesso non indifferenti, convertendosi alla vocalità impostata e a nuove e più complesse armonizzazioni assai apprezzate da quei pubblici, seppur lontanissime dallo spirito originale delle composizioni. Fu questo, evidentemente, il genere di Spirituals conosciuto dai compositori colti europei di fine Ottocento, come ad esempio Antonin Dvořak: [ASCOLTO] Swing Low, Sweet Chariot
.
Blues
Compagno di strada delle Ballads e delle Work Songs, il Blues, un genere dapprima vocale poi divenuto strumentale, ebbe origine nell’Ottocento avendo i loro stessi scenari di lavoro agricolo e cittadino, ma serbando sin dall’inizio tutte le caratteristiche originarie africane qua e là più sporadicamente presenti in quegli altri generi (l’improvvisazione e l’aspetto antifonale, essenzialmente). Era composto da tre versi di testo (tre frasi musicali di quattro battute ciascuna, per complessive dodici), AA¹B, con i primi due versi (frasi) che affermavano un concetto o una situazione e l’ultimo che ne costituiva la risposta (dal punto di vista del testo) e, simultaneamente, la conclusione armonica (dal punto di vista della musica). Il tempo era binario (4/4 essenzialmente), l’armonia ripetitiva (A tutto in tonica, A’ 2 battute in sottodominante e 2 in tonica, B 2 battute in dominante e 2 in tonica) con accordi sempre corredati di settime (anche la tonica…) , e la scala sottesa alla melodia aveva terze e seste alquanto calanti, quasi come in un modo minore armonico usato in orizzontale… Dopo i tre versi il testo proseguiva con altri tre versi ed altri ancora, mantenendo sempre lo stesso schema melodico-armonico di partenza. Gli argomenti trattati vertevano per lo più sulla tremenda solitudine esistenziale dei neri che, passata la schiavitù, stavano conoscendo un nuovo genere di sfruttamento legalizzato, così nelle fabbriche come nelle campagne di un tempo. Il Blues divenne, dunque, lo spaccato della vita sempre durissima vissuta da quelle popolazioni, l’emblema culturale dei neri dopo la Guerra di Secessione e fino, praticamente, ai nostri giorni, arricchendosi strada facendo di più complessi contenuti musicali.
Minstrelsy
Si trattava di una forma di spettacolo, per lo più improvvisata su canovacci di relativa semplicità, in cui, nell’epoca che precedette la Guerra Civile, compagnie di attori-cantanti bianchi, debitamente truccati e coi volti anneriti dal nerofumo, interpretavano scenette di vita (presunta) degli schiavi neri nelle piantagioni del Sud, con corredo di canzoni, balletti e parti recitate, in un misto di simpatia e derisione per i personaggi rappresentati… Essa raggiunse il massimo della popolarità al volgere di metà secolo, quando le sue maschere
fisse, Jim Crow (il nero sciancato di professione stalliere, v. figura seguente), Jim Brown (il musicista spaccone) ovvero Sambo (l’idiota servilista che si faceva in quattro per i padroni bianchi), divennero quasi proverbiali.
All’interno degli spettacoli di Minstresly nacquero canzoni destinate a grande successo, come [ASCOLTO] Turkey In The Straw
e Old Dan Tucker
. Poi, la liberazione degli schiavi a seguito della Guerra (1861-1865) sortì l’effetto di consentire a veri attori-cantanti neri di calcare per la prima volta le loro scene, venendosi così a creare il paradosso dei finti personaggi di pelle scura, ideati tempo prima dai bianchi ed ora recitati, finalmente e senza trucco, da autentici interpreti di colore… Così, negli ultimi anni del secolo XIX-primi del XX, la Minstrelsy finì per accogliere al suo interno un numero sempre maggiore di espressioni, soprattutto musicali, della nascente cultura nera affrancata dalla schiavitù. Fra queste, con ogni probabilità, la più importante fu rappresentata dal Ragtime.
Ragtime
Questo genere strumentale semicolto, originatosi nello scorcio dell’Ottocento (la data iniziale è, ufficialmente, il 1896), fu il primo prodotto della cultura nera – o per lo meno delle sue frange