Antologia laCOOLtura narrativa: Vol. 1
By Autori vari
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La COOLtura:
L’associazione culturale la COOLtura edita l’omonima rivista online di approfondimento. Testata giornalistica dal 2015, la COOLtura è stata fondata nel 2014 da un gruppo di giovani universitari che dal nulla è riuscito a creare una rivista con migliaia di articoli di letteratura, storia, cinema, fumetti, tecnologia e tanto altro, con un notevole successo di pubblico. Oltre alla rivista, l’associazione si occupa anche dell’organizzazione di convegni ed eventi culturali.
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Book preview
Antologia laCOOLtura narrativa - Autori vari
AA.VV.
Antologia laCOOLtura narrativa
Vol. 1
UUID: c51c85ee-e675-11e7-b54d-17532927e555
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice
REALISTICO/PSICOLOGICO
Aidha
Correre fino a sparire
Parlami d’amore
Nicole
Adelaide
Sono pazzo di Fabio Volo
UMORISTICO
Una questione d’onore
Odissea di un clown
FANTASY
Il difensore della notte
Eghus
FANTASCIENZA
La torretta di guardia
Note
Comitato Editoriale
Giuseppina Di Luna, Roberta Fabozzi, Valentina Labattaglia, Francesca Lomasto, Pia Lombardi, Vincenzo Marino, Mario Sanseverino, Luigi V. Santoro, Antonio Somma, Maria Fiorella Suozzo, Mimmo Vitale.
© 2017 Il Terebinto Edizioni
© 2017 Associazione Culturale La Cooltura
REALISTICO/PSICOLOGICO
Aidha
di Beatrice Fellegara
Il tempo cicatrizza ogni ferita. Il dolore sfuma, si decolora, lascia infine solo un’impronta nella memoria. Il passato è il nemico più accanito, il presente inganna, il futuro è solo tedio ignoto per chi ricorda, per chi vive nel dolore di una ferita ancora sanguinante. Io sono sopravvissuta, fuggiasca, errabonda da vent’anni ormai. Ero solo una ragazzina quando scappai dalla Siria, dalla guerra, dalla miseria, dalla morte.
Ricordo l’ultimo bacio che diedi a mia madre, le sue lacrime, quelle di mio padre e dei miei fratelli. Una notte mia nonna sognò un fiore che veniva trascinato dal vento fino al mare. Il sole immenso e fiammeggiante irradiava la via ed esso giungeva sospinto dalle onde su nuove coste. Lì vedeva sfavillare l’imponente bandiera dell’Europa. Quando il sogno venne interpretato capimmo che uno di noi doveva partire. Il fiore indicava una ragazza: io ero l’unica e la minore di cinque fratelli. Tutto fu organizzato per la partenza. Portai con me solo una piccola valigetta, i miei quindici anni, le mie speranze, i miei sogni. Così cominciò il mio dolente andare. La mia famiglia aveva speso tutti i propri risparmi per pagare un gruppo di trafficanti siriani dissidenti del governo. Promisero di portarmi in Turchia; da lì una barca mi avrebbe condotto in Grecia e avrei cominciato una nuova vita. Partii insieme ad altre sei persone: due fratelli, una donna con sua figlia e una coppia di fidanzati, quest’ultimi aspettavano un bambino. Dopo due settimane di attesa, giunse il momento della partenza. Ero emozionata, terrorizzata, in balìa di qualunque evento. Io, una ragazzina cresciuta in una degradata periferia di Homs, dovevo affrontare un viaggio assai rischioso e ricostruirmi una vita altrove, da sola. La notte prima della partenza nessuno riuscì a dormire; silenziosa andai da mio fratello Amid:
– Amid sei sveglio? – mi sedetti sul suo letto, lui si alzò e si mise a sedere vicino a me.
– Non riesco a dormire al pensiero che tu vada via. Dopo tutto questo tempo in cui siamo stati insieme, non riesco a immaginare la mia vita senza di te, Aidha – disse abbassando lo sguardo.
Lo abbracciai forte: – Lo so Amid, sarà dura per entrambi, ma tornerò vedrai! – gli sussurrai nell’orecchio.
– Hai paura? – mi chiese mentre eravamo ancora stretti insieme.
– Sì, tanta, ma non dirlo a mamma e papà, loro hanno riposto in me grandi speranze, non voglio deluderli. – Si staccò dall’abbraccio prendendomi i polsi: – Non devi avere paura, sei forte e coraggiosa, te la caverai vedrai; ho un regalo per te – si strappò un piccolo lembo dalla camicia e con una penna vi disegnò due cuori legati, me lo strinse intorno al polso.
Una lacrima mi rigò il volto. – È bellissimo Amid, lo terrò sempre con me. – Passammo la notte a ridere, a piangere, a ricordare, poi ci addormentammo come da bambini, stretti l’uno all’altro. Alle cinque del mattino, dopo la preghiera, tutti quelli che dovevano partire si trovarono al luogo prestabilito. Dissi addio alla mia famiglia.
Lo sforzo che feci per non piangere fu immane. Ci fecero salire tutti su un furgone; lo spazio era a dir poco esiguo per sette persone. L’ultima persona che vidi prima di dire addio per sempre alla mia terra fu Jamil. Lui mi faceva arrossire come nessun altro, una volta le nostre labbra s’erano sfiorate.
Mi svegliai di soprassalto. Ero sudata, tremavo, sentivo gli occhi gonfi, inondati di lacrime. Una mano oscura e invisibile mi stringeva forte il collo, strangolandomi. Respirai profondamente stringendo con le mani bagnate di sudore il lenzuolo del mio letto. Mi voltai verso l’uomo che amavo, Daniele, era a fianco a me, dormiva profondamente con il sorriso fanciullino sulle labbra.
Trovai la forza di reagire. – Mi chiamo Aidha Giovanetti. Ho trentacinque anni. Vivo a Milano. Mio marito si chiama Daniele. – Respirai più forte. – Io sono una giornalista. – Mi ero calmata. Andai in cucina per preparare la colazione, erano le sette.
Quando Daniele si svegliò venne da me, mi stampò un grosso bacio sulle labbra e uno sulla fronte chiedendomi – Come è andata stanotte? – Non risposi. Prese il caffè in mano. – Cambiamo domanda. Ti do uno strappo al lavoro? – disse dolcemente.
Vedevo che soffriva per il mio passato, avrei voluto che non fosse così. Il nostro rapporto non era mai cambiato sin da quando ci eravamo conosciuti per la prima volta. Lui era sempre stato protettivo nei miei confronti, i suoi occhi brillavano ogni volta che incrociavano i miei, era dolce, sensibile, comprensivo e paziente. Tante volte avrei voluto dimostrargli quanto lo amavo e quanto avevo bisogno di lui, invece ero sempre fredda, ansiosa, incapace di reagire di fronte alle mie paure.
Mi schiarii la voce. – Sì grazie, domani ho il colloquio con il mio capo.
– Andrà benissimo tesoro – mi rispose sorridendo, stampandomi un altro tenero bacio sulla fronte.
La giornata al lavoro fu estenuante. Non volevo che arrivasse la sera: gli incubi sul mio passato mi perseguitavano e avevo paura che col tempo sarebbero peggiorati. Assistevo ogni notte inerme all’erosione, al disfacimento della mia anima. Dopo cena Daniele mi obbligò ad andare a dormire, mi strinse forte al petto, m’addormentai.
La porta del furgone si chiuse con un colpo secco, violento, poi calò il buio e il silenzio. Una piccola finestra ci permetteva di veder sfilare davanti a noi il paesaggio. Il sole era alto, il caldo era soffocante, ma era meglio non pensarci. Dopo due ore cominciammo a guardarci, a scrutarci l’un l’altro. Il ragazzo più giovane teneva per mano la sua ragazza e i due fratelli lo guardavano bieco. – Siete tutti di Homs, vero? – disse il ragazzo giovane. – Io sono Adel, lei è la mia fidanzata Zeina; come vi chiamate? – Aidha – risposi con un filo di voce. – Suheila, e lei è mia figlia Nur, ha sei anni – disse la donna vicina a me.
Uno dei due fratelli rivolto verso Adel si presentò – Io sono Abdel Hakim e questo è mio fratello Abdel Jabber – si schiarì la voce. – Tra poco entreremo in una zona controllata da jihadisti. Preghiamo Allah che non ci fermino sulla strada, la loro fede non conosce clemenza per i fuggitivi.
Una paura, sinistra come una folata di vento gelido, ci avvolse, restammo immobili e in silenzio. Non avevo mai visto un jihadista ma da quello che avevo sentito raccontare il solo pensiero mi faceva gelare il sangue. Al calar del sole arrivammo in quelle terre; nessuno di noi osava emettere neanche un fiato.
All’improvviso il furgone si arrestò e tre uomini armati di mitra ci fecero scendere e disporre in fila per due. In quel momento la paura s’impossessò di me: non riuscivo a sentire, a parlare, a muovermi, una morsa mi stringeva il petto. Uno di loro ad un tratto ci disse con un accento che non avevo mai sentito – Ascoltate, c’è