Anima Bianca: L’indagine di Natale del commissario Festa
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Due casi da risolvere, due indagini parallele che il commissario Festa e l’agente Russo condurranno per conto proprio. Due rette che, forse, si incontreranno solo all’infinito, là dove accadono i miracoli.
Anima bianca è un poliziesco affrescato di vite umane, di attese, di drammi personali, ma è anche un racconto del cuore, una storia sullo spirito del Natale.
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Book preview
Anima Bianca - Valerio Marra
Tito.
Prologo
Ostia, 21 dicembre
Ore 15.00
Il giorno era arrivato.
L’uomo si caricò il borsone in spalla e uscì di casa.
Durante il tragitto ripassò mentalmente il piano.
Controllò l’ora al polso e salì sulla Jeep. L’autoradio, sintonizzata su una frequenza classica, diffondeva nell’abitacolo il Requiem di Mozart. Accendendo il motore, fece un sorriso amaro e ascoltò in silenzio l’ultima composizione del musicista austriaco. Continuò a guidare lungo le strade addobbate di luci colorate e svoltò su via dell’Idroscalo. Avanzò lentamente fino al posto di guardia e si accostò per mostrare il tesserino all’agente di sorveglianza. La sbarra si sollevò, e lui poté entrare nel parcheggio desolato, lasciando l’auto al solito posto. Preso il borsone, si avviò a passo lento verso il molo, superando il colonnato e i negozi deserti.
Il pallido sole invernale si affacciava incerto dalle nuvole scure, facendo brillare le navi ormeggiate nel porto di Ostia. Percorse ancora qualche metro, deviò a destra e imboccò il pontile scricchiolante fino a raggiungere il suo yacht, che beccheggiava al ritmo delle onde agitate. Tirò la cima e salì a bordo con un balzo. Controllò il vento e diede un’occhiata alle drizze, ma alla fine decise di accendere il motore. Con un gesto rapido sciolse le cime, si portò al timone e, posato il borsone a terra, lasciò l’ormeggio. Mentre lo yacht fendeva i flutti e guadagnava velocità, l’uomo fissò l’orizzonte che, gradualmente, si colorava di rosso.
Giunto al largo, inspirò l’aria salmastra e strinse con forza il timone, preparandosi alla prima ondata. Come una mazzata, il cavallone si abbatté con un rumore sordo sulla stiva, facendo piegare l’imbarcazione fin quasi a toccare la superficie del mare. Lui mantenne la calma e, calcolata la lunghezza dell’onda, salì rapidamente sul fronte di quella successiva, tirando lievemente la leva per regolare la velocità. Controllò la bussola e navigò verso ovest per circa un miglio. Arrivato a destinazione, spense il motore, si spostò a prua e calò l’ancora col verricello elettrico. L’imbarcazione fluttuò, arretrando di qualche metro, fin quando le marre non aderirono al fondale, facendola fermare di colpo.
L’uomo tornò verso la plancia di comando ed estrasse dal borsone tre flaconcini di vetro e un foglio di carta piegato in quattro, posizionandoli su un ripiano. Dalla tasca recuperò un sigaro cubano e se lo adagiò tra le labbra umettate. Sfregò un fiammifero contro il dorso della scatoletta e, proteggendolo dal vento con le mani, lo condusse fino alla punta del cubano. Aspirò, riprendendo a guardare davanti a sé. L’aria, adesso, era più fredda, e il sole stava lentamente annegando dentro il mare. L’uomo fissò l’orizzonte, stringendo ancora il sigaro fra le dita. Controllò un’ultima volta l’orologio e le sue labbra si incresparono in un sorriso sottile.
Sì, quello era il giorno.
Il giorno in cui sarebbe morto.
1.
Frascati, 22 dicembre
Come di consueto, l’agente scelto Michele Russo aveva fatto il suo ingresso nel commissariato di via Sciadonna in netto anticipo. Certo di essere il primo, si era accomodato sulla sedia girevole e aveva iniziato a ripassare mentalmente i pretesti da utilizzare col superiore per non farsi affidare incarichi. Un calo di pressione improvviso era servito, la settimana precedente, a scongiurare l’accompagno di una scolaresca al cinema, mentre il giorno prima un violento attacco di mal di pancia gli aveva evitato di dover andare a liberare la strada da un gregge di pecore. A quel punto non gli restava che giocarsi la carta della visita improvvisa da parte di una cara zia proveniente da Casoria.
Soddisfatto della sua trovata, allungò le gambe sul tavolino e si stiracchiò, pronto a godersi qualche minuto di pace. Fu grande il suo stupore quando sentì provenire dalla stanza accanto uno scalpiccio ovattato. Incuriosito, si alzò e si introdusse con passo incerto nell’ufficio del commissario.
«Buongiorno, capo» esordì, aprendo la porta.
Il superiore rispose solo con un vago gesto della mano e si accomodò sulla sedia. Michele lo guardò: gli occhi a mandorla sembravano spenti e sulla mascella volitiva, in genere rasata, era comparsa un’ispida barba di almeno tre giorni. Anche i capelli corvini erano arruffati e l’abbigliamento casual sembrava meno curato del solito.
«Ti senti bene?» domandò, trascorsi alcuni attimi di totale silenzio.
Il commissario stese il quotidiano sulla scrivania, senza mai alzare la testa. «Benissimo».
«Non ti ho mai visto arrivare così presto» indugiò Michele, notando che il commissario Festa aveva anche il naso arrossato. «Sicuro ch’è tutto a posto?».
«Michele, ti ho già detto che sto benissimo».
«Beh, in effetti invecchiando si dorme meno. Ma credo che tu ormai ci abbia fatto l’abitudine» proseguì l’agente, implacabile.
«Invecchiando? Ma cosa diamine farnetichi? Hai solo nove anni meno di me!».
«E ti sembrano pochi? Dopo una certa età l’organismo cambia: vista, udito e olfatto si riducono. Per non parlare del metabolismo, pensa che…».
Il commissario sollevò lo sguardo accigliato. «Ma se ho appena compiuto quarant’anni! Si può sapere che ti prende stamattina?».
Russo si avviò titubante verso l’uscita. «Niente, niente…». Poi, confuso, si fermò, restando in attesa sulla soglia. «Dunque, non hai commissioni da assegnarmi?».
«No. Puoi tornare tranquillamente nel tuo ufficio» concesse Festa, soffiandosi il naso e riprendendo a leggere il giornale.
Michele lo fissò frastornato. Possibile che il puntiglioso commissario Festa non avesse nessun incarico da affidargli? Quale tremenda malattia doveva averlo colpito, per indurlo a privarsi delle enormi qualità del suo collaboratore prediletto? Forse era solo l’impetuoso avanzare dell’età. Altrimenti poteva trattarsi della rilassante e fresca aria natalizia che si respirava in quei giorni ad aver placato i bollenti spiriti di Festa. Oppure, si disse, aveva affidato tutto il lavoro a quel pivello ruffiano che, da meno di un anno, avevano assegnato al commissariato.
«L’agente Conti è già arrivato?» chiese a quel punto, prima di uscire dalla stanza.
«Credo di no».
«Non avevo dubbi» sbottò Russo, pronto a rincarare la dose. Ma il commissario lo liquidò con un vago gesto