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I reietti dello spazio: Ragnarok 2
I reietti dello spazio: Ragnarok 2
I reietti dello spazio: Ragnarok 2
Ebook275 pages4 hours

I reietti dello spazio: Ragnarok 2

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Fantascienza - romanzo (228 pagine) - Nell’arco di tre anni di sanguinosi scontri, i barbari abitanti dell’infernale pianeta Ragnarok hanno distrutto l’Impero Gern e liberato la Terra dal dominio alieno, ma proprio quando la civiltà comincia a sperare in un’esistenza di pace, dal profondo cosmo appare un pericolo che minaccia di distruggere l’intera razza umana.


Dopo tre anni di guerra, la nuova razza di umani, uomini e donne modificati, nati sull'infernale pianeta Ragnarok, sono riusciti a sconfiggere il potente Impero Gern e a liberare la Terra e il pianeta Athena dalla schiavitù aliena. Ma i terrestri tollerano a stento e guardano con sospetto la presenza di questi uomini dotati di potenza sovrumana e di una velocità che può possedere solo chi è nato su un pianeta con una gravità superiore a quella della Terra. Così, quando si profila una nuova minaccia proveniente da oltre la galassia conosciuta, e che si abbatte su Ragnarok, non la considerano un pericolo per la Terra e abbandonano quelli di Ragnarok al loro destino. Nel suo classico Gli esiliati di Ragnarok, Tom Godwin ha narrato la memorabile storia dell'insediamento forzato di coloni umani sul terribile pianeta e della nuova razza che questo ha generato. Ora con questo nuovo romanzo porta quella razza incontro all'inimmaginabile destino che l'attende al confine più lontano della galassia, raccontandoci una storia piena di azione e di sconvolgenti colpi di scena.


Tom Godwin (1915-1980) non è stato un autore prolifico, avendo scritto solo una trentina di racconti e tre romanzi. Non si sa molto della sua biografia: era disabile e ha avuto tragiche vicissitudini familiari che lo hanno costretto ad abbandonare gli studi, e alla fine è deceduto per alcolismo. Ma come scrittore Godwin è stato una stella che ancora oggi brilla nella storia della sf, per aver prodotto opere di stampo classico, ma di grande impatto emotivo.

Il suo primo racconto, The Gulf Between, apparve nel 1953 sulla rivista Astounding Science Fiction, ma l’opera che lo rese famoso fu Cold Equations apparsa l’anno seguente e da allora continuamente ristampata in molte lingue.

Sull’onda del successo il famoso direttore della rivista Astounding John W. Campbell gli chiese di continuare a scrivere racconti che pubblicò con regolarità e che furono sempre accolti con grande entusiasmo dai lettori. Poi Godwin volle impegnarsi nella dimensione del romanzo, scrivendone tre che sono considerati delle vere pietre miliari della narrativa di fantascienza: Gli esiliati di Ragnarok (The Survivors, 1958), il suo seguito I reietti dello spazio (The Space Barbarians, 1964), entrambi editi in Italia da Delos Books, e Beyond Another Sun (1971).

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateDec 19, 2017
ISBN9788825404548
I reietti dello spazio: Ragnarok 2

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    More proof that good stories should stand alone; sequels are not required, and may detract. Space Barbarians is the sequel to Prison Planet, as the now-free humans proceed to take the war to their former oppressors...all of which was implied in the prior book. The Survivors, aka Prison Planet is well worth reading; skip the sequel.

Book preview

I reietti dello spazio - Tom Godwin

9788825404531

I barbari dello spazio e le avventure della fantascienza

di Salvatore Proietti

Se Tom Godwin lo avesse scritto negli ultimi anni, Gli esiliati di Ragnarok (The Survivors, 1958), il suo primo romanzo, pubblicato l’anno scorso in questa collana, sarebbe forse stato un perfetto pilot per una serie televisiva, e questo seguito I reietti dello spazio (The Space Barbarians, 1964) avrebbe contenuto la trama di almeno un’intera stagione.

Nell’antefatto, il primo romanzo aveva raccontato la storia dell’astronave di coloni terrestri, diretti alla colonia Athena, aggredita dagli alieni Gern. Abbandonati sul pianeta Ragnarok i coloni affrontano i pericoli naturali e soprattutto la necessità di agire insieme. Per sopravvivere, devono imparare a costruire una comunità. La robinsonata collettiva di Godwin univa tanti filoni della letteratura popolare, risalenti almeno al tempo delle storie marinare di Stevenson: la colonia prigione, trasferita nello spazio (ricordiamo che Space Prison era il titolo dell’edizione americana della Pyramid Books), l’esplorazione, la ricostruzione da zero del mondo (che a sua volta richiama e anticipa tanti dopobomba selvaggi del cinema, della televisione e della letteratura), con più di una spruzzata di western.

Fra gli alti e bassi dei conflitti interni e della sfida al mondo, la trama procede senza concessioni alla retorica, senza giustificazioni ideologiche. In Godwin, la voglia di raccontare una pura avventura è una faccenda da affrontare con durezza, con asprezza degna dei maestri neri che stavano rinnovando la detective story, nel malpagato spazio di libertà dei disprezzati paperback originals.

Quella di Tom Godwin è una generazione nascosta, semi-dimenticata dalle storie letterarie, che, in un mercato che assicurava una distribuzione capillare ai tascabili a basso costo, raggiunge e rinnova il gusto di tutti i generi popolari.

Dunque la space opera di Godwin non è più quella, ingenua, degli anni Trenta (che peraltro aveva iniziato a rinnovarsi già da tempo, a partire dai racconti, disincantati e revisionisti di Leigh Brackett e C.L. Moore), e certo il suo obiettivo non è raccontare un’ennesima versione fantascientifica dell’epopea trionfante dei pionieri americani.

I reietti dello spazio, allora, parte da una mossa geniale. Alla fine del primo romanzo, gli esiliati superstiti di Ragnarok sono pronti a prendere parte nella guerra interplanetaria per liberare la Terra. Il seguito banale sarebbe stato seguirne l’ingresso trionfante nel teatro bellico. Ma Godwin non è in cerca di eroi, tantomeno di una casta di eletti. Piuttosto che il mito del corpo scelto, predestinato portatore dei valori che salveranno l’universo, Godwin sceglie un altro motivo della mitologia americana, quello dei desperados, i fuorilegge sbandati (famosi, per esempio, quelli che operavano dopo la fine della Guerra Civile) che si trasformavano in vagabondi fuorilegge nei territori di frontiera dell’Ovest.

E allora la guerra vera e propria viene saltata a pie’ pari. All’inizio di questo secondo romanzo, il conflitto spaziale con l’Impero Gern è terminato, e grazie anche ai barbari sopravvissuti e sfuggiti all’infernale pianeta prigione di Ragnarok, la civiltà della Terra e di Athena sono salve, libere dal dominio alieno. Ma i reietti di Ragnarok rimangono esclusi dalla civiltà, impossibilitati a reinserirsi nella società, respinti e ricacciati. Se la civiltà, che pur deve loro molto, non accetta questi barbarici reduci di guerra, Ragnarok è ormai un mondo avvelenato, in cui è impossibile tornare. L’unica possibilità, dunque, è vagare per l’universo alla ricerca di una nuova casa. È lì che comincia l’avventura.

Come sempre cupo nell’atmosfera, diretto ed economico nello stile, Godwin riesce a rimanere aggrappato all’ovvia simpatia per gli scenari di conflitto armato, senza la necessità di assumere come protagonista un’organizzazione militare vera e propria (ricordiamo, fra l’altro, che a Godwin era stata negata la carriera militare a causa dei problemi alla schiena da cui era afflitto).

Così gli abitanti di Ragnarok, gli eterni esuli, i nomadi dell’universo alla ricerca di un mondo dove insediarsi, possono diventare nuovi eroi romantici loro malgrado. E le loro vicende, i loro incontri e scontri, ripercorrono tutta la storia dell’avventura fantascientifica, in un implicito grande atto d’amore verso tutto il genere, che in quegli anni (come, forse, in questi) era sul punto di attraversare una grande trasformazione. Anche per questo motivo vale la pena leggere, oggi, I reietti dello spazio.

1

La flotta vittoriosa si trovava a due giorni di distanza dalla Terra, quando la Nave Fantasma apparve nuovamente, materializzandosi senza alcun preavviso, come faceva sempre.

Nella sala comando della Ragnarok, John Humbolt stava osservando distrattamente lo schermo di prua che mostrava soltanto il nero uniforme e monotono dell’iperspazio, quando il punto luminoso e scintillante apparve improvvisamente.

– Norman… è riapparsa – avvertì Humbolt, poi premette il pulsante che azionava l’allarme a tutte le postazioni di fuoco e continuò, parlando al microfono: – La Nave Fantasma è davanti a noi. Forse questa volta ci rivelerà quali sono le sue intenzioni.

Sullo schermo di servizio apparve il volto di Norman Lake, un uomo biondo che sapeva muoversi in assoluto silenzio e aveva un volto affilato che lo faceva somigliare a un lupo dagli occhi azzurri.

– Non può appartenere ai gern – disse, scrutando a sua volta il punto bianco sullo schermo. – Dopo tre anni di scontri sanguinosi l’Impero Gern non esiste più, e tuttavia la Nave Fantasma continua a seguirci.

– Mi chiedo cosa ci sia su quella nave che spaventi tanto i mimi – osservò John. – Sono sempre…

La risposta gli giunse sotto forma di un rapido ticchettio di piccoli piedi in corsa, quando due di quelle creature telepatiche simili a scoiattoli, che i loro antenati di Ragnarok avevano battezzato mimi, entrarono a precipizio nella sala comando, fermandosi soltanto quando si furono arrampicati sulle spalle di John, le piccole zampe strette freneticamente intorno al suo colletto.

– Spaventato! – ciangottò Tip.

Spaventata! – ripeté Freckles, la sua compagna.

John si servì di Tip per comunicare con Dale Ord, che era appena sceso nella sala motori.

– Dale, porta subito qui Tiny. Vediamo cosa è in grado di scoprire – ordinò.

Mentre parlava, formò nella mente l’immagine di Dale, e Tip trasmise telepaticamente il suo messaggio a Tiny, il mimo di Dale, che lo avrebbe poi ripetuto ad alta voce al destinatario.

Qualcosa di nero attraversò fulmineo la soglia quando i due enormi predatori Fenrir e Sigyn, creature che erano una via di mezzo fra una tigre e un lupo, entrarono di corsa, andando a fermarsi accanto a John con il pelo irto sulle spalle e gli occhi gialli che avevano un’espressione guardinga e interrogativa.

John tornò a fissare il punto bianco sullo schermo: non mostrava un’immagine effettiva della Nave Fantasma, perché le loro astronavi si trovavano nel secondo livello dell’iperspazio, mentre la Nave Fantasma era nel terzo; invece, il punto bianco sullo schermo visore era causato da radiazioni secondarie emesse dal raggio-spia di cui la Nave Fantasma si serviva per sondare il secondo livello dell’iperspazio.

Nel frattempo Dale Ord arrivò in sala comando. Di corporatura massiccia, con i capelli e gli occhi scuri e un’aria amabile e bonaria, l’aspetto di Ord offriva sempre un’immagine di contrasto con la tensione quasi animalesca e la violenza a stento contenuta che trasparivano dagli occhi chiari di Norman.

– Tiny è terrorizzata – avvertì Dale. – Che sorta di mostri alieni possono mai spaventarla in questo modo?

Il piccolo mimo stava tremando violentemente, sebbene Dale continuasse ad accarezzarla nel tentativo di tranquillizzarla. Tiny era una piccola, fragile mutante, dotata di una ipersensibilità telepatica, e questa era per loro la prima opportunità di servirsi dei suoi talenti, visto che la Nave Fantasma si trovava nelle vicinanze.

– Di cosa hai paura, Tiny? – chiese John.

– Non so – rispose Tiny, con voce tremante. – Paura di guardare.

– Devi farlo, Tiny – replicò lui. – Avanti, ora guarda. Noi tutti, e anche Fenrir e Sigyn, non permetteremo mai a questa cosa di farti del male.

Gli occhi scuri e spaventati del piccolo mimo scrutarono una faccia dopo l’altra, poi abbassarono lo sguardo sui grossi predatori prima di tornare a fissarlo su John.

– Ora guardo – disse infine Tiny, ancora terrorizzata e riluttante.

Il suo sguardo si fece vacuo quando lei aprì la mente per ricevere, abbassando tutti i propri schermi mentali. L’istante successivo emise un acuto stridio, fu assalita da una convulsione e morì.

– Tip, cos’ha visto Tiny? – chiese subito John.

– Non so – replicò Tip, con voce tremante per la paura al punto da non essere quasi comprensibile. – Tiny sa… Tiny muore!

– Eri in contatto con la mente di Tiny quanto basta per dirci almeno dove si trova quella cosa cattiva?

Tip sollevò una zampa tremante, per indicare verso la poppa della nave.

– Da quella partemolto, molto lontano.

I tre uomini si scambiarono occhiate inquiete.

– Da quella parte – aveva detto il mimo, ma la Nave Fantasma si trovava nella direzione opposta. Seguì una pausa di silenzio, mentre tutti e tre si rendevano conto di quello che il piccolo mimo non era in grado di dire: in quella direzione, molto, molto lontano, c’erano i soli di Orione e la nera, ignota, Grande Nebulosa.

– La cosa cattiva è ancora là? – chiese John.

– No – rispose Tip. – Ora se n’è andata.

– Quindi non si trova sulla Nave Fantasma, a quanto pare – osservò John – e tuttavia ci deve essere una connessione, perché i mimi si spaventano soltanto quando la Nave Fantasma compare nelle vicinanze.

– Seicento anni-luce è davvero una distanza molto grande da cui mandare una nave a spiarci – osservò Dale. – Che sorta di creature possono averla mandata… e perché?

La sola cosa che sapevano per certo era che la Nave Fantasma non apparteneva ai gern. La resa formale dell’Impero Gern aveva avuto luogo sulla Ragnarok, che in quel momento si trovava sospesa al di sopra delle rovine fumanti della lussuosa città, dove un tempo i capi dei gern erano stati soliti banchettare con cibi raffinati, bere vini pregiati e gloriarsi del loro potere, mentre prendevano decisioni che influenzavano il destino di interi mondi e la vita di miliardi di persone. La loro umile resa era stata trasmessa a tutti i mondi che precedentemente avevano dominato, insieme alle condizioni a essi imposte, che liberavano ogni mondo e ogni razza da qualsiasi controllo gern e che prevedevano dure misure punitive per qualsiasi individuo o gruppo di individui che avesse cercato di ostacolare il passaggio alla libertà e all’indipendenza.

Se la Nave Fantasma fosse appartenuta ai gern, senza dubbio essi l’avrebbero già utilizzata da tempo. Adesso invece la guerra era finita: le navi terrestri e la flotta di Ragnarok che non erano necessarie per le attività di occupazione stavano tornando verso la Terra al seguito della Ragnarok. John poteva vedere le altre astronavi inquadrate dallo schermo, un’armata di navi da battaglia, di incrociatori, di navi d’esplorazione…

E la Nave Fantasma era in attesa davanti a tutte, intenta a servirsi del proprio raggio-spia per sondare l’interno di ciascuna astronave della flotta.

Il candore sullo schermo si andò allargando sempre più in fretta a mano a mano che si avvicinavano alla posizione della Nave Fantasma. I tre rimasero a guardare mentre lo schermo si faceva completamente bianco… poi, con la stessa repentinità con cui si poteva spegnere una luce, il candore scomparve dallo schermo di poppa per apparire invece in quello di prua.

– A quanto pare, abbiamo attraversato di nuovo la Nave Fantasma – commentò Norman. – Come facciamo a combattere contro una cosa del genere?

Nel frattempo, il candore sullo schermo stava diminuendo di dimensioni; poi, una volta che l’intera flotta l’ebbe oltrepassata, la Nave Fantasma accelerò improvvisamente, lungo una rotta angolata rispetto a quella della flotta, trasformandosi in un punto bianco sempre più piccolo che scomparve improvvisamente dallo schermo.

La rotta da essa impostata puntava quasi direttamente in direzione del loro mondo natale, verso Ragnarok.

John guardò verso Dale e Norman, leggendo nei loro occhi un riflesso di ciò che lui stesso stava pensando: su Ragnarok c’erano poco più di quattromila donne, bambini e uomini troppo vecchi per combattere, e quelle quattromila persone rappresentavano l’intera razza di Ragnarok, con la sola eccezione dei millecinquecento uomini imbarcati sulle astronavi. Sul pianeta avevano come unica protezione un disintegratore di media potenza montato su una collina adiacente la loro piccola città, e la velocità della Nave Fantasma era venti volte superiore a quella della Ragnarok, il che significava che non c’era nessuna speranza di riuscire a raggiungerla.

– Dobbiamo chiamare Ragnarok – decise John, girandosi verso il comunicatore iperspaziale. – Sarà opportuno avvertire anche Athena, nel caso che la nave devii in quella direzione. Io contatto Ragnarok. Uno di voi informi il comandante Hayden di avvertire Athena e la Terra.

Trasmise a Ragnarok un messaggio di allarme, rivolgendolo in modo specifico al vecchio Dan Destry, che era il principale responsabile della sicurezza del pianeta.

– Se la nostra velocità si avvicinasse anche solo minimamente a quella della Nave Fantasma, ci dirigeremmo immediatamente alla volta di Ragnarok, comunque non è escluso che decideremo di farlo ugualmente – concluse.

Si consolò pensando che il comunicatore che aveva appena usato trasmettesse alla velocità di diecimila anni-luce al giorno, cosa che avrebbe permesso al messaggio di attraversare i duecentosessanta anni-luce di distanza da Ragnarok in circa trentasette minuti; duecento anni prima, le trasmittenti spaziali note sia ai terrestri sia ai gern avevano una velocità di trasmissione di appena cinque anni-luce al giorno.

– Ho avvertito Hayden – riferì Dale. – Sembrava quasi sobrio. Sta provvedendo a informare Athena, la Terra e tutte le astronavi.

– È possibile che la Nave Fantasma sia diretta verso un mondo che si trova centinaia di anni-luce al di là di Ragnarok – replicò John. – Dopo tutto, per degli stranieri su Ragnarok non c’è niente, tranne nuda roccia e la febbre maligna. Comunque, vedremo cosa fare… potremmo decidere di lasciar perdere la nostra missione diplomatica per tornare a casa.

– A me è sempre parso che questa faccenda diplomatica non avesse nessun senso – commentò Norman. – Perché mai dovremmo andare sulla Terra a ricevere un’accoglienza pseudo-amichevole da parte di una razza che ci odia?

– Non definirlo odio – obiettò John – e da un certo punto di vista la cosa è perfino comprensibile. Duemila di noi hanno fatto in tre anni quello che centinaia di milioni di terrestri non sono riusciti a fare in due secoli. Comunque ci fermeremmo sulla Terra solo un giorno o due, prima di ripartire.

– Un gesto di rispetto – osservò Dale, rivolgendo a Norman un accenno di sorriso. – Vogliamo rivedere la Madre Terra, la patria dei nostri antenati, prima di tornare sul nostro mondo. Questo servirà a ricordare loro che nonostante i poteri che abbiamo acquisito su Ragnarok, discendiamo da loro e li consideriamo fratelli.

– Fratelli? – ripeté Norman, arricciando un labbro con disprezzo. – Mutanti… è così che ci chiamano, quando giriamo le spalle. Per loro siamo solo dei mutanti, degli scherzi accidentali della natura, soprattutto per gli atheniani. Per quanto mi riguarda, possono andare tutti quanti all’inferno.

Venti minuti più tardi, John era solo nella sala comando quando il Comandante in Capo delle Forze Terrestri Hayden venne da lui. Hayden era un uomo alto e abbronzato dall’aspetto duro, almeno per gli standard terrestri, con un portamento militare accentuato dai baffi grigi e dagli occhi azzurro acciaio. Il suo aspetto avrebbe dato un’impressione di forza e di dignità se non fosse stato per l’amarezza che aveva continuato a crescere dentro di lui durante tutta la guerra.

– La prego di volermi scusare per questa irruzione, signore – esordì, con quella cortesia ironica che gli era propria. – Sono venuto a vedere se posso esserle utile in qualche modo.

– Si sieda – lo invitò John. – La ringrazio, ma la sola cosa che possiamo fare è di aspettare per capire cosa succede.

Hayden si calò su una sedia, quasi sbagliando a valutare la distanza, cosa da cui John comprese che aveva bevuto più di quanto desse a vedere.

– Ci sono due incrociatori che si trovano ad appena dieci anni-luce di distanza da Athena, e ho ordinato loro di procedere verso pianeta alla massima velocità. Questo fornirà ad Athena la protezione di un totale di quattro incrociatori e di dieci disintegratori pesanti piazzati a terra. Mi rincresce che non ci siano nostre navi nelle vicinanze di Ragnarok.

– Non ci si può fare niente – replicò John.

– A dire il vero – continuò Hayden – ritengo che Ragnarok non corra nessun pericolo. Con tutto il dovuto rispetto per la sua gente, il pianeta in se stesso è troppo spoglio e ostile per rivestire qualsiasi interesse per una razza capace di costruire una nave di terzo livello. A quanto mi pare di capire, in duecento anni, avevate trovato soltanto duecentocinquanta chili di ferro, giusto?

– Esatto.

– Ma che effetti ha avuto quel quarto di tonnellata di ferro nel cambiare la sorte di un impero! – proseguì Hayden, appoggiandosi allo schienale della sedia. – Senza dubbio, signore, quello è uno dei capitoli più affascinanti della storia di Ragnarok. Non disponendo di una nave con cui fuggire dal vostro mondo-prigione, avete convertito quel ferro in una trasmittente e avete attirato un incrociatore gern nella vostra trappola. Poi avete usato balestre, unicorni e predatori addomesticati contro i disintegratori e i fulminatori dei gern… e avete catturato il loro incrociatore. E con esso, ancor prima di raggiungere Athena, avete catturato questa nave da guerra. Imprese notevoli, signore… davvero notevoli.

– Qual è in realtà la sua opinione sul nostro conto, Hayden? – chiese John, incuriosito.

– Si riferisce alla loro superiorità fisica, signore? Oppure ad altre intangibili ma stimabili qualità come il loro coraggio da leoni, la loro spericolata audacia, la loro indomabile determinazione, e così via?

Eccoci daccapo, pensò John. Non può rivolgere la parola a un terrestre o a un atheniano senza sbattere contro un muro di risentimento.

Tornò a fissare Hayden, irritato dal suo atteggiamento e tuttavia spiacente per lui: Hayden aveva dedicato tutta la vita a lavorare in previsione del giorno in cui avrebbe guidato le forze terrestri alla vittoria contro i gern, rendendo così la Terra libera per sempre. Ma erano stati quelli di Ragnarok, e non i terrestri, a rendere possibile quella vittoria, ed erano stati ancora loro a imporre ai gern le condizioni di resa. E Hayden non avrebbe mai visto il suo nome risplendere sui libri di storia come colui che aveva posto fine alla Guerra dei Duecento Anni.

– Mi riferivo alla gente di Ragnarok come razza – precisò, rivolto ad Hayden. – Dal giorno in cui i gern hanno lasciato i Reietti a morire su Ragnarok.

– Eravamo certi che nessun essere umano potesse sopravvivere su Ragnarok. Immaginate il nostro stupore quando da lì sono giunti a salvarci duemila audaci barbari. In tre anni, siete passati dalle grotte alla distruzione dell’Impero Gern… un successo senza paragoni.

– Non in tre anni – lo corresse John. – In due secoli. Non è stato facile… non su Ragnarok.

Duecentodieci anni prima, la Spedizione Dunbar aveva scoperto quel mondo infernale e gli aveva dato un nome attingendolo alla mitologia teutonica: Ragnarok, l’ultimo giorno per gli uomini e per gli dei. Il pianeta era stato classificato inabitabile, perché privo di metalli. Su di esso non c’erano piante commestibili, inoltre, le forme di vita dominanti erano i feroci predatori e i pericolosi unicorni, ed era facilissimo contrarre la letale febbre maligna. La lunga orbita ellittica e i due soli gli conferivano picchi di calore estivo e di gelo invernale ai quali nessun essere umano poteva sopravvivere, e la gravità, pari a 1.5, opprimeva giorno e notte come un peso plumbeo.

Era stato nelle vicinanze di Ragnarok che due incrociatori gern avevano intercettato la Constellation, diretta verso Athena, un ricco pianeta disabitato scoperto dai terrestri, con a bordo ottomila coloni.

I gern avevano distrutto i motori della Constellation e avevano poi diviso i coloni in due gruppi: gli Accettabili e i Reietti. Una divisione che aveva spietatamente separato intere famiglie. Gli Accettabili erano stati coloro le cui specializzazioni potevano essere di qualche utilità per i gern che a quell’epoca volevano sviluppare Athena, perciò li avrebbero portati su quel pianeta.

Gli altri, i Reietti, tra cui molte mamme con i loro bambini, che sarebbero stati di scarsa utilità per i gern, erano stati abbandonati in una fredda valletta di Ragnarok, dove trecentosettanta di essi erano morti nel corso della prima notte.

– Sono abbastanza intelligente da rendermi conto che i Reietti devono aver dovuto affrontare difficoltà inimmaginabili – proseguì Hayden, in un tono leggermente diverso. – Inoltre, non dubito che possano essere sopravvissuti soltanto sviluppando un codice estremamente solido basato sul dovere e sulla

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