Ritratti
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Con un linguaggio accessibile e schietto, Don Antonio Mazzi condivide questo suo pensiero da “pretaccio” di strada, spesso controcorrente e sempre dalla parte dei più deboli, arrivando diretto alla mente e al cuore di chi legge.
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Book preview
Ritratti - Antonio Mazzi
Macerata.
Prefazione
È divertente raccontare la vita degli altri. Peccato che, di solito, a me (e non solo) tocchi parlare degli altri nei momenti meno simpatici. Pare, infatti, che siano bravi e buoni da morti e sulle tombe dei cimiteri. Siamo tutti opere postume
.
Ho messo insieme alcune icone
di amici e di personaggi. A me non piacciono i romanzi, tantomeno quando sono lunghi e non finiscono più. Se poi devono, all’americana, finire sempre bene, mi piacciono ancora di meno.
Quindi i miei sono degli spot biografici. Le parole, se contano, devono essere sempre poche. È molto facile chiacchierare bene ma è sempre molto difficile parlare bene.
Le microstorie sono atipiche perché non ho voluto fare né il biografo, né lo psicologo e, tantomeno, lo scrittore raffinato, capace di scoprire aneddoti ed episodi inediti.
La vita è un dono straordinario che ognuno fa quotidianamente a se stesso. Ma, con il passare del tempo, anziché apprezzarlo sempre di più, sembra che si faccia l’impossibile per renderlo quasi una mezza sfortuna.
Pare non sia normale goderci delle infinite cose belle che custodiamo dentro. Invece da vivi, appena ci incontriamo, apriamo una litania interminabile per tutto quello che ci manca. Il gratta e vinci, l’azzardo, le macchinette, ne sono una testimonianza.
Nelle piccole biografie che presento ho cercato il bello e ve l’ho raccontato misurando le parole. Mi spiego rubando una favoletta allo psicanalista Jorge Bucay.
"Un signore recatosi in un calzaturificio convinse, nei modi più strani e decisi, il povero commesso a dargli il paio di scarpe nere esposte in vetrina.
«Signore, che numero porta?».
«Il quarantuno».
«Ma guardi che quelle sono il trentanove».
«Senta un po’, chi è che paga? Io o lei?».
«Scusi! Forse sono stato indiscreto, magari le vorrà regalare. È sicuro del numero?».
«Non voglio regalarle a nessuno. Sono per me e se mi dà un calzascarpe me le metto subito».
Il commesso, sempre più sconvolto, convinto di avere a che fare con un signore particolare, cercò il calzascarpe e glielo porse. Dopo svariati e ridicolissimi tentativi, il cliente riuscì a far entrare i due piedi nelle scarpe. Poi si alzò, barcollando.
Non perdo tempo a descrivere come, tra gemiti e traballamenti, avesse iniziato a camminare. Pagò e andò a fare il suo lavoro: cassiere in banca.
Ogni momento che passava, i dolori ai piedi si moltiplicavano. Tanto che, alle quattro del pomeriggio, era in un bagno di sudore e i suoi occhi, rosso sangue, gli uscivano dalla testa, fra lo sbigottimento dei colleghi.
Finalmente arrivò l’ora della chiusura. Andò a casa aiutandosi con le braccia. La moglie, vedendolo così conciato, gli corse incontro al cancellino del giardino e, sollevandolo di peso, gli chiese cosa fosse successo.
L’eroe entrò in casa, si sedette. Con fatica ancora più ciclopica (i piedi si erano anche gonfiati) si levò, una dopo l’altra, le scarpe. Finita la pena, emise un sospiro da campione olimpionico. La moglie impietrita, lì davanti. Lui tornato finalmente normale, parlò.
«Ti spiego! Come sai, da qualche tempo, la vita non ci dà la minima soddisfazione. Anzi, ogni giorno che passa è una tragedia. Non ce la facevo più. E, dopo una notte insonne, ho trovato la soluzione. Sono andato nel negozio di scarpe qui di fronte e mi sono comperato un paio di scarpe. Sono bastati due numeri in meno per regalarmi ore straordinarie di piacere! Tu non hai l’idea di cosa sia il paradiso. Io ce l’ho. Dopo aver calzato per un intero giorno il numero trentanove invece del quarantuno. Ora sono in paradiso. E farò così ogni giorno».
Questa storiella poteva inventarsela solo uno psicanalista sudamericano. Però rende bene l’idea, almeno per me. Le mie piccole biografie, infatti, raccontano il contrario.
O meglio, tentano di raccontare il contrario. Perché ci sarà sempre chi vivrà con il quarantuno per dodici ore al giorno e sarà contento. Ma ci sarà sempre anche chi vivrà con il trentanove e dovrà aspettare, ogni sera, che la vita arrivi con due numeri in più.
Ahmed
Mi commuove Ahmed, un ragazzino egiziano di tredici anni, che per curare il suo fratellino di tre anni, sale su un barcone, attraversa il mare e viene in Italia a cercare medico e medicine.
Oltre che commuovermi, c’è qualcosa che mi fa anche vergognare e indignare al tempo stesso: noi, cattolici, educatori, predicatori di fratellanza, non riusciamo a far calmare una classe di coetanei, che, sobillati da genitori altrettanto cattolici, battezzati, cresimati e magari sposati in chiesa, non vogliono in gita scolastica un compagno perché disabile. Forse questo episodio ci farà pure arrabbiare, ciononostante ho sentito che Ahmed ha vinto e ha trovato in Toscana chi lo aiuterà. L’Italia non è tutta la stessa! Ma dobbiamo ricevere lezioni di fraternità eroica da coloro che i nostri politici beffeggiano, che vorrebbero rimandare a casa o lasciare affogare in mezzo al mare?
Non vi pare che la nostra vigliaccheria davanti a scene come questa sia troppa? Devono essere i medici senza frontiere o i miei volontari under trenta a capire e a partire per soccorrere e salvare i poveri e gli sfortunati extracomunitari?
Quando questa Europa balorda capirà che i bambini di laggiù hanno gli stessi diritti dei nostri?
E quando capiranno le mega istituzioni nate per salvare il mondo
che non è moltiplicando gli uffici e aumentando gli stipendi ai loro funzionari, che lo salveranno?
Abbiamo confuso la solidarietà con le multinazionali, con il buonismo e con la raccolta degli abiti usati e la spedizione di prodotti alimentari nei container. Anche la Chiesa, e non solo gli Stati e la gente, deve capire che sono finiti i tempi dei rattoppi, dei cerotti e dei mezzi armistizi. Aumentare le conferenze, moltiplicando i comitati, e nel contempo barattare armi e suggerire trappole a favore dell’una o dell’altra superpotenza, non fanno che crescere il quoziente di umanesimo e di civiltà, unico rimedio vero, duraturo, paritario.
Le nazioni non possono definirsi civili perché depositarie di banche, di armi, di ricchezze e di beni trafugati ai Paesi poveri. I governi servono per unire le forze interne e per accogliere disperazioni esterne.
Se i partiti fossero finalizzati al benessere individuale, sociale ed economico, sarebbe bello che chiamassero nell’aula del Parlamento il tredicenne egiziano, non per farlo parlare, ma per farlo ascoltare.
Don Giacomo Alberione
Il 27 aprile del 2003, a Roma, Giovanni Paolo ii ha beatificato don Giacomo Alberione.
Ho cercato di spiegare ad alcuni miei amici chi fosse mai questo prete piemontese, fondatore dei Paolini, nato nel 1884. Solo quando ho detto che è il papà di Famiglia Cristiana
(bluffando un po’!) sono riuscito a farmi capire.
Le intuizioni di don Alberione, per chi come me ritenga molto importante comunicare la fede, sono state profetiche e hanno certamente anticipato tutto quello che poi abbiamo visto nel bene e nel male dentro il mondo del quarto potere
. Scriveva all’inizio del Novecento: La stampa, la radio, la televisione costituiscono oggi le più urgenti, le più rapide e le più efficaci opere dell’apostolato cattolico per dare con i mezzi moderni (più celeri e più efficaci) tutto ciò che è buono, vero, utile
.
Un’altra intuizione ha caratterizzato l’apostolato di don Alberione: Se gli uomini non vengono più in chiesa, bisogna raggiungerli dove essi sono e prenderli come sono, non come vorremmo che fossero
…