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Scuola e ricerca di Dio: Riflessioni, ricerche, provocazioni
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Scuola e ricerca di Dio: Riflessioni, ricerche, provocazioni
Ebook78 pages1 hour

Scuola e ricerca di Dio: Riflessioni, ricerche, provocazioni

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About this ebook

Il libro cerca di costruire un percorso che dalla Scuola si dirige verso la ricerca di Dio, prima di tutto facendo conoscere la possibilità stessa di questo raccordo.
Trattandosi, in fondo, di un unico cammino di maturazione, si mettono in luce alcuni aspetti che favoriscono questo percorso e altri che lo ostacolano.
Non mancano le provocazioni e i paradossi che vorrebbero togliere smalto a certi luoghi comuni, soprattutto riguardanti l'uso massiccio di immagini grazie alle varie tecnologie: se queste non sviluppano l'attenzione, non potranno favorire ulteriori maturazioni.
LanguageItaliano
Release dateNov 2, 2017
ISBN9788865125380
Scuola e ricerca di Dio: Riflessioni, ricerche, provocazioni

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    Scuola e ricerca di Dio - Franco Cafazzo

    amicizia

    PRESENTAZIONE

    Scriveva già Simone Weil, ormai settanta e più anni fa, che la scuola era diventata una delle istituzioni più sradicanti della società. La definizione della filosofa francese va, evidentemente, compresa all’interno del suo concetto basilare di enracinement , radicamento, e del suo contrario, il déracinement , lo sradicamento, appunto. Non è questo il luogo per descriverlo in tutta la sua fecondità, ma basti dire che, come una pianta può elevarsi verso l’alto quanto più ha radici salde e profonde, così sia l’essere umano singolo sia la società possono crescere e portare frutti, evangelicamente ( Lc 8, 15) quanto più sono radicate in quelle radici che non possono essere divelte, ovvero in quei valori che non possono essere negati. In breve: all’uomo e alla società occorre un fondamento religioso (soprannaturale, direbbe Simone).

    La città antica – viene qui alla mente il capolavoro omonimo di Fustel de Coulanges – aveva questo fondamento e, di conseguenza, la formazione che dava ai suoi cittadini consisteva essenzialmente nel dare loro un’ispirazione etico-religiosa, nella certezza che sarebbero poi seguiti abbondanti frutti, in ogni campo della vita, da quella sociale e politico a quella culturale. Così, ad esempio, i poemi omerici, da soli o quasi, hanno educato generazioni di fanciulli greci, con i risultati che sappiamo.

    Al contrario, le società contemporanee, dalla Rivoluzione francese in poi, hanno rinnegato l’ispirazione religiosa, escludendola specificamente dall’educazione scolastica in alcuni casi, oppure lasciandole uno spazio del tutto marginale ed occasionale in altri. Al posto dell’ispirazione etico-religiosa, con il correlato primato del dovere, è subentrata la nozione di progresso, con il correlato primato del diritto: un’idea non solo profondamente ed essenzialmente irreligiosa, quanto e soprattutto stupida. È così, notava ancora la Weil, che i nostri ragazzi delle scuole medie pensano di saperne di più degli antichi, perché sanno che la terra gira intorno al sole e non viceversa, anche se sono incapaci di distinguere una sola delle costellazioni.

    E non si tratta solo della scuola francese del secolo – magari fosse così! Chi scrive queste righe ha avuto la ventura di essere stato egli stesso per molti anni insegnante, e di essersi trovato di fronte a vicende come la sostituzione, in un programma liceale, delle opere di Dario Fo alla Divina Commedia, in quanto le prime sono più moderne, mentre l’opera dell’Alighieri è datata, con una visione del mondo arcaica, prescientifica, ecc. La rincorsa al progresso, sostenuta sulla base dell’esempio del progresso scientifico-tecnologico, ha toccato infatti anche il settore umanistico, quello più propriamente formativo, con la conseguente progressiva erosione degli spazi di studio riservati ai classici, a beneficio dell’attualità, qualsiasi essa fosse.

    L’ideologia laica del progresso porta con sé quasi necessariamente il primato dell’utile, cui è da subordinare anche l’istruzione. Allora la domanda fondamentale diventa: a che serve? Ma se un architetto mi fa il progetto della casa, che me lo fa, in latino?, domandava con tutta l’ignoranza e la protervia di un adolescente un mio studente, per negare l’importanza dello studio di quella lingua, morta, appunto. Già, a che serve? E qui basta ricordare che ciò che serve è servo, servile, mentre il latino, il greco, la filosofia, ecc., non servono a niente, appunto perché sono signore, non servili. Sono le discipline che gli antichi chiamavano liberali, in quanto proprie degli uomini liberi.

    Nelle nostre società, e comunque in quella italiana del secondo dopoguerra, il primato politico della democrazia si è esteso anche alla scuola, soppiantando il criterio del merito, visto come elitario, aristocratico, dunque antidemocratico. A questo proposito bisogna dire che la lettura di don Milani è stata esiziale, perché è stata interpretata in senso lassista, come un’esortazione a rendere tutti uguali abbassando il livello dell’istruzione. Come è noto a chi conobbe il sacerdote fiorentino, questo è, in realtà, un ribaltamento completo del suo messaggio educativo. Milani, ad esempio, pensava di dover estendere lo studio del latino a tutte le scuole, non solo alla vecchia scuola media, e non a toglierlo anche da quella. Purtroppo la sua opera fu ricusata nell’essenziale dalla Chiesa (ricordiamo che il suo Esperienze pastorali venne definito frutto di un pazzerello dal papa buono, Giovanni XXIII, e ritirato dal commercio per ordine della Curia), ed è stata adottata invece dal progressismo democratico, nel modo distorto che abbiamo detto. Mentre Antonio Gramsci poteva ancora scrivere di volere una scuola soprattutto seria e selettiva, la sinistra italiana ha operato nel senso opposto, riuscendo, infine, ad eliminare la selezione, e non solo tra gli alunni, ma anche – e soprattutto – tra i docenti.

    Quando si sentono le trionfalistiche dichiarazioni del ministri (o ministre) della pubblica istruzione che vantano la percentuale di promossi alle maturità vicine al 100% degli iscritti, non ci si deve rallegrare, ma si deve piangere, perché ciò non è il frutto di un miglioramento della qualità dell’istruzione, ma del suo contrario. Il culmine del déracinement, per tornare al concetto di partenza, si è avuto, infatti, quando, ad opera di un ministro del partito che una volta si chiamava comunista, e che poi cambiò nome per la vergogna, le scuole sono state trasformate in aziende. Quale è il criterio per valutare la bontà di un’azienda? Il suo fatturato. E allora qual è il criterio per valutare a bontà di una scuola? Semplice: la percentuale di promossi. E, come si premia un dirigente d’azienda per la sua produttività, cosi si premia il dirigente scolastico (non più preside, parola di origine latina, che sa di primato e di merito) con maggiorazione in denaro, a lui e alla sua scuola. E così che gli alunni sono diventati tutti bravi, promossi con

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