Roccatagliente
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Book preview
Roccatagliente - Vincenzo Guido
Fine
Sinossi
E’ tardi tesoro, chiudi gli occhi….
Mamma non voglio più fare brutti sogni, gli incubi non mi piacciono.
Lei sospirò sedendosi sul bordo del materasso ed accarezzandomi la fronte mi tranquillizzò con il suo tono calmo della voce:sono solo sogni tesoro mio, mamma è qua con te e vedrai che questa notte farai solo sogni belli.
Le dita iniziarono a scorrere lentamente tra i capelli massaggiando il cuoio capelluto e dalla sua bocca chiusa iniziarono ad uscire i suoni della filastrocca che mi cantava da quando ero piccolo. Coccolato dalle sue dita e rassicurato dalla sua presenza chiusi gli occhi entrando nel mondo di Morfeo. Poco dopo lei uscendo dalla stanza, socchiuse la porta lasciando che la luce della piccola lampadina filtrasse dal corridoio mentre io sprofondavo nella buia tenebra del mio incubo dove quella luce non poteva arrivare.
Inizio
Gli incubi hanno sempre fatto parte dello sviluppo dei esseri umani. La paura dell’ignoto e la sua elaborazione tramite i sogni è da sempre la forma che il cervello ha per sviluppare un nuovo aspetto della normale crescita di ognuno di noi ed alla quale anch’io non feci eccezione.
La differenza era che, mentre i brutti sogni solitamente vengono risolti da qualche nottata in bianco passata dai genitori nell’inutile intento di tranquillizzare i propri figli cercando di rendere razionale l’irrazionale, i miei invece sembravano concretizzarsi in fatti reali, tanto che con gli anni avevo iniziato a pensare a loro come premonizioni.
Iniziai ad avere queste premonizioni all’età di circa sei anni e continuai ad averle fino alla pubertà quando scomparvero magicamente come erano iniziate. Alla fine dei conti quello che sognavo non era nulla fuori dal comune, ma il fatto che si concretizzassero mi lasciava sempre un forte senso di amaro in bocca come se io stesso fossi la diretta causa degli incidenti che seguivano. Crescendo arrivai alla conclusione che non ero il diretto responsabile delle mie previsioni e come conseguenza i sogni si diradarono fino a scomparire del tutto. Il cervello dell’uomo è veloce ad imparare tanto quanto lo è nello scordare, ed arrivato alla pubertà di quegli eventi rimase solo un vago ricordo sbiadito.
Dopo la laurea in lettere cominciai a scrivere per un giornale locale di bassa tiratura. A dire il vero non era un granchè come lavoro, ma comunque mi permetteva di arrivare a fine mese e togliermi qualche sfizio come una pizza fuori o una serata al cinema con gli amici. Da pochi anni avevo iniziato nei ritagli di tempo a scrivere novelle, romanzi più o meno brevi e racconti di vario genere con scarso successo, fatta eccezione per un paio di racconti che l’editore aveva deciso di pubblicare facendomi guadagnare qualche soldo extra con cui avevo comprato un Macbook di seconda mano (che era andato a sostituire il mio vecchio e pesante portatile ormai più utile come fermaporta che altro). A parte quel caso, non avevo incassato altro che insulti e tanta frustrazione per il lavoro svolto fino a che l’ennesima sfuriata dell’editore mi portò a prendere un paio di settimane per rintanarmi in un posto sperduto alla ricerca della tranquillità e dell’ispirazione che mi permettesse di terminare l’ultimo racconto che stavo scrivendo ed in cui avevo riposto tutte le mie aspettative.
La richiesta di ferie per il lavoro al giornale non era stato un problema. Leo, il capo redazione, mi aveva congedato agitando goliardicamente l’aria con la mano, prenditi il tempo che ti serve, levati dalle palle e rilassati!
aspettò qualche istante prima di aggiungere ma voglio gli articoli pronti prima della stampa
il rumore della porta che si chiude terminò la discussione.
Avevo bisogno di tranquillità, su questo non c’erano dubbi, ed era proprio per quello che nei giorni successivi avevo cercato su internet un posto ideale che mi avrebbe fatto staccare con il mondo e permesso di terminare il romanzo in tutta tranquillità. Quella sera come le precedenti, seduto sul divano con il portatile sulle ginocchia ed una birra ormai calda in mano, spulciavo tra inserti che risultavano troppo cari per le mie tasche da piccolo giornalista, troppo vicini a grandi città per garantire la totale assenza di distrazioni o semplicemente troppo lontani per essere raggiunti con qualche ora di viaggio. Avevo quasi deciso di chiudere e rimandare le ricerche al giorno dopo quando mi colpì l’annuncio di un appartamento in un luogo che sembrava quasi perfetto. Scorsi velocemente le poche righe descrittive senza soffermarmi sulle immagini. L’inserto prometteva tranquillità e relax in un luogo rustico, poetico e come se non bastasse aveva un prezzo era davvero abbordabile. Lo ricontrollai leggendo con più calma la descrizione soffermandomi sulle poche immagini di bassa qualità che completavano l’annuncio. La casa sembrava decorosa e con una bella vista, il posto era abbastanza lontano ma raggiungibile in giornata e sul prezzo non mi ero sbagliato, era davvero basso. Una manciata di secondi dopo rigirando la carta di credito tra le dita, cliccai la conferma della prenotazione per un paio di settimane in quello che avevo identificato come il luogo ideale per il mio libro.
I giorni di preparazione al viaggio li trascorsi avvisando amici e parenti che sarei stato via un pò di tempo senza specificare per quanto, né tantomeno dove mi sarei diretto.
In un mondo in cui tutti sono sempre connessi, ero deciso a staccare con tutto, perdere ogni contatto con la realtà come un Robinson Crusoé disperso su un'isola deserta, disconnesso da tutto quel fottuto mondo che mi aveva circondato fino ad allora. Solo in quel modo speravo di poter scrivere qualcosa che sarebbe stato apprezzato.
Il giorno della partenza, con la valigia nel corridoio, ricontrollai punto per punto la lista delle cose da fare passando da una stanza all’altra per essere sicuro che tutto fosse a posto.
- Finestre chiuse
- Spine della corrente staccate
- Interruttore del gas chiuso
- Lascia il cellulare a casa (la scritta sottolineata più volte a voler rimarcare il concetto.)
Allungai lo sguardo oltre il foglio e lo vidi sul tavolo della sala dove l’avevo lasciato la sera prima. Accartocciai la lista e chiudendo la porta continuai a fissarlo per accertarmi che rimanesse dov’era, cercando di combattere la voglia di portarlo con me.
Mi affrettai a chiudere la serratura che scattò con un colpo secco in un clangore che spezzò il legame decretando la mia libertà. Con un lungo respiro liberatorio girai la chiave sigillando la mia casa, i pensieri e le preoccupazioni che avevano fatto parte della mia vita fino a quel momento, per godere della mia nuova libertà acquisita. A partire da quel momento e per la bellezza di due settimane non avrei avuto distrazioni, non avrei sentito la voce di nessuno dei miei amici per invitarmi ad una birra fuori o le richieste di mia madre per accompagnarla a fare la spesa. Avrei pensato solo al mio libro, libero da tutti gli oneri e pochi onori, che la vita mi aveva riservato fino a quel momento.
Qualche minuto dopo, a bordo della mia auto, guidavo verso Roccatagliente.
Roccatagliente
L’auto correva lungo le sinuose curve di una strada secondaria, seguendo la carreggiata talmente stretta da permettere a stento il passaggio di due auto contemporaneamente. Ad ogni tornante la lingua di asfalto saliva dolcemente la costa della collina lasciando scorrere paesaggi sempre diversi, mentre io mi lasciavo alle spalle la mia storia. Ero fuggito dallo smog, dalla pioggia e dal grigiore della città per attraversare lo strato di nebbia prodotta dalle nubi più basse e ritrovarmi a contemplare distese di campi di erba secca sovrastata da un cielo azzurro assolutamente terso.
Presto mi resi conto che abbandonare il cellulare a casa aveva funzionato per quello che riguardava i contatti con l’esterno, ma non potevo dire altrettanto per il mio cervello che sembrava rifiutarsi di scollegarsi dalla vita a cui era abituato. I pensieri dopo qualche ora di viaggio in solitaria tornarono a far girare i loro ingranaggi mischiandosi alla musica che usciva dalle casse dell’autoradio per creare un misto di ritornelli, ricordi, espressioni, sensazioni e rabbia.
Mentre l’auto saliva in quota percorrendo quei tornanti sempre uguali, mi tornò alla mente la faccia del mio editore. In particolare l’ultimo pomeriggio passato nel suo studio quando, seduto davanti alla sua scrivania su una sedia di legno sgangherata, lo guardavo aspettando il verdetto sul mio