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La mente e la nostalgia del cuore: Dalla brama del conoscere alla ricerca di un senso compiuto
La mente e la nostalgia del cuore: Dalla brama del conoscere alla ricerca di un senso compiuto
La mente e la nostalgia del cuore: Dalla brama del conoscere alla ricerca di un senso compiuto
E-book248 pagine3 ore

La mente e la nostalgia del cuore: Dalla brama del conoscere alla ricerca di un senso compiuto

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Info su questo ebook

La mente e il cuore. Non si vuole dire la ragione e il sentimento. Poiché in questo lavoro la nozione di mente non si esaurisce nella nozione di ragione; come la nozione di cuore non coincide  con quella di sentimento. La mente si esprime in tante funzioni: la coscienza, la ragione, l’intelligenza, la capacità di programmare e di ordinare. Funzioni necessarie alla vita, ma non sufficienti a penetrare il suo senso profondo. Poiché il senso della vita non è un contenuto che può essere decifrato al livello dei processi mentali, è un’intima comprensione del flusso costante della nostra esistenza. C’è una bella differenza tra il conoscere e il vivere. La mente è atta alla conoscenza, mentre il cuore opera direttamente nell’esistenza e per l’esistenza. Il cuore come luogo di convergenza della personalità e simbolo del centro radiante da cui si distende la linfa della vita. Non si può conoscere veramente se non si è vissuto veramente.  Di questo cercheremo di discutere: del conoscere e del vivere pervasi dal fremito del senso compiuto.La mente e il cuore. Non si vuole dire la ragione e il sentimento. Poiché in questo lavoro la nozione di mente non si esaurisce nella nozione di ragione; come la nozione di cuore non coincide  con quella di sentimento. La mente si esprime in tante funzioni: la coscienza, la ragione, l’intelligenza, la capacità di programmare e di ordinare. Funzioni necessarie alla vita, ma non sufficienti a penetrare il suo senso profondo. Poiché il senso della vita non è un contenuto che può essere decifrato al livello dei processi mentali, è un’intima comprensione del flusso costante della nostra esistenza. C’è una bella differenza tra il conoscere e il vivere. La mente è atta alla conoscenza, mentre il cuore opera direttamente nell’esistenza e per l’esistenza. Il cuore come luogo di convergenza della personalità e simbolo del centro radiante da cui si distende la linfa della vita. Non si può conoscere veramente se non si è vissuto veramente.  Di questo cercheremo di discutere: del conoscere e del vivere pervasi dal fremito del senso compiuto.
LinguaItaliano
Data di uscita25 ott 2017
ISBN9788827505946
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    La mente e la nostalgia del cuore - Renato Barbruni

    Note

    INTRODUZIONE

    La mente e il cuore. Non si vuole dire la ragione e il sentimento. Poiché in questo lavoro la nozione di mente non si esaurisce nella nozione di ragione; come la nozione di cuore non coincide con quella di sentimento. La mente si esprime in tante funzioni: la coscienza, la ragione, l’intelligenza, la capacità di programmare e di ordinare. Funzioni necessarie alla vita, ma non sufficienti a penetrare il suo senso profondo. Poiché il senso della vita non è un contenuto che può essere decifrato al livello dei processi mentali, è un’intima comprensione del flusso costante della nostra esistenza. C’è una bella differenza tra il conoscere e il vivere. La mente è atta alla conoscenza, mentre il cuore opera direttamente nell’esistenza e per l’esistenza. Il cuore come luogo di convergenza della personalità e simbolo del centro radiante da cui si distende la linfa della vita. Non si può conoscere veramente se non si è vissuto veramente. Di questo cercheremo di discutere: del conoscere e del vivere. Cercherò di affrontare la tematica esistenziale all’interno della singolarità, di quella ricerca di unicità che traversa lo spirito occidentale, al centro del quale è stata posta, e quindi vissuta, in contrasto, o apparente contrasto, al rapporto con Dio. Una relazione, quella con Dio, intessuta dalla rinuncia a noi stessi, causa questa, della disperata lotta nel tentativo di uccidere Dio, di volerne fare a meno. Nell’ateismo tragico la dinamica della negazione di Dio scaturisce dall’ingiustizia del mondo. Questa forma di ateismo si sviluppa in modo dirompente nell’ottocento, all’interno della maturazione storica del valore della vita umana, e della conseguente lotta sociale scatenata contro i mali del mondo, in un clima culturale e politico dove la giustizia non è più accettata se non come giustizia che deve attuarsi in questa vita, in questo mondo. Gli elementi di una giustizia millenaristica, di un mondo dei cieli, sono scacciati come favole per tenere buoni i bambini: La religione è l’oppio dei popoli, scriveva Marx. L’impossibilità di trovare uno sbocco al desiderio di una vera giustizia terrena, poiché il mondo appare irrimediabilmente ingiusto, sfocia nel nichilismo degli anarchici. Il senso del nulla pervade la coscienza come risposta all’incomprensibilità del male . Un male, reso ancor più intollerabile dall’annullamento della progettualità dell’essere. In questa prospettiva la negazione di un disegno escatologico mostra in modo assolutamente virulento l’insensatezza dell’esistenza. La conseguenza logica è di negare l’esistenza di un Dio creatore, poiché come potrebbe un mondo così malvagio essere stato creato da una divinità? Un ateismo che nasce quindi dal dolore e dalla disperazione; che si sviluppa all’interno del processo di secolarizzazione, dove il teatro dell’esistenza dell’uomo è circoscritto alla vita terrena. Prima ancora che la negazione di Dio, osserviamo quindi il suo occultamento, e ciò che di conseguenza viene negato non è più Dio, ma il suo simulacro, svuotato della sua essenzialità di essere Persona Amorosa. Il tema da cui scaturisce invece l’ateismo contemporaneo non è più l’ingiustizia sociale, ma la spinta al protagonismo della volontà di potenza, che brama di porre l’Io al centro della vicenda umana. E un Dio che si colloca al di sopra della volontà umana è un Dio che di fatto nega la libertà dell’uomo. Non solo questo Dio è rinnegato, ma è combattuto. Si sottolinea questo aspetto perché l’ateismo tragico ottocentesco rifiutava Dio senza sostituirlo con altre entità metafisiche; mentre l’ateismo contemporaneo tende a sviluppare comunque una qualche teologia, all’interno della quale assistiamo alla riscoperta delle divinità pagane, e ciò sia sotto il profilo della teologia teoretica, che della teologia pratica. Anche se questi aspetti non godono di una piena dichiarazione, ne ritroviamo evidenti le tracce nella prassi esistenziale dell’uomo contemporaneo. Il culto della bellezza esteriore, con i suoi rituali e luoghi: gli istituti di bellezza; il mito dello sballo; la ricerca della perdita della ragione attraverso l’uso di sostanze inebrianti e obnubilanti la coscienza; la ricerca di emozioni forti suscitate dagli atti di sfida al buon senso; gli sport estremi. Venere, Dioniso e Marte si sono riproposti agevolmente nella quotidianità dell’uomo contemporaneo. Ai loro incantesimi la coscienza razionalizzata cede senza nessuna resistenza. Lo spirito dell’uomo vaga in questo oceano, smarrito e accerchiato dalle proprie fuorvianti brame, che trovano terreno fertile nel grande equivoco su cui è fondata la sua vita: l ’equivoco secondo il quale il fine della sua esistenza è la conquista del mondo. E dalle tracce di questo sviamento partirà il racconto in chiave simbolico-riflessiva di questo saggio.

    PROLOGO

    Canto d’ignoto [1]

    Cavalieri senza volto

    custodiscono nel cuore

    il palpito di una sequenza nuova;

    per troppo tempo l’oscurità ha celato il vero corpo dell’uomo,

    sì come lo sguardo ingenuo e colpevole dell’umanità

    lo ha turbato, violandone la dolcezza.

    Mirabile sembra la luna d’estate,

    mirabile appare al contadino la gemma sul ramo più alto del suo sguardo.

    "Credimi amor mio,

    il fuoco del mondo non mi brucerà,

    ma nella notte un sogno è venuto a tormentarmi,

    m’ha parlato di un uomo arso dalle sue stesse fiamme."

    Senza capire procederò lungo la via del mio destino,

    proverò a creare il mio passo,

    mentre sento inutile parlare al mondo.

    Che la meta della rugiada sia compiuta,

    poiché il tempo non fa la storia,

    ma la storia del sospiro crea il tempo.

    E Tu Amore dei miei amori,

    che porti il figlio dei nostri sogni,

    quale morte mi vuoi donare,

    quale anelito mi toglierai

    affinché nel cielo sorga una nuova galassia?


    [1] Commento poetico al dipinto di Tiziano Vecellio (1480-1576) dal titolo " Ritratto d’ignoto o altrimenti noto come L’uomo dal guanto, conservato al museo del Louvre a Parigi. Il dipinto, che raffigura un giovane sconosciuto, mette in evidenza una condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo. Il giovane, di bell’aspetto, vestito elegantemente, mostra tuttavia di non essere pago di ciò che lo avvolge". Egli, con lo sguardo velato da una leggera malinconia, sembra cercare lontano qualcosa che manca al suo animo. Questa è la condizione dell’anima contemporanea: essere lì, ma anelare verso qualcosa di sconosciuto. Lo struggimento per una dimensione dello spirito lo accende di aneliti e di sequenze nuovi.

    ULISSE E NARCISO

    Anelito, struggimento e smarrimento

    L’uomo contemporaneo tra crisi esistenziali e nuove forme identitarie.

    Lo struggimento che accende l’anima e lo smarrimento nelle mille oggettualità

    "C’è una via che sembra diritta per l’uomo,

    ma sbocca in sentieri di morte." Proverbi 14,12

    Il lago dei cigni

    [1]

    Il richiamo dell’anima

    La seduzione del principio estatico (il principio che affascina per le sensazioni complete che fornisce allo spirito, che così si sente inebriato. In questo scenario ciò che guida la dinamica della vita è il piacere del proprio spirito, non la ricerca del senso del proprio compimento.)

    L’uomo! Quante volte ci siamo chiesti se le definizioni e le teorie su di esso siano appropriate, se queste siano adeguate a dar conto di tutto ciò che sprigiona dalla sua vita. Varie teorie hanno tentato di dar ragione del fenomeno umano muovendo da una visione prevalentemente sociologica; altre hanno posto l’accento sulla dimensione biologica e quindi ne interpretano gli atti attraverso gli studi etologici, trasferendo all’uomo ciò che hanno osservato gli studiosi del comportamento animale, credendo così di aver detto in modo scientifico l’ultima parola. Ma costoro sembrano più mossi dal desiderio di de-finire l’assunto umano, al fine di togliere dall’occhio dell’osservatore quella ingombrante intuizione per cui l’uomo è una creatura di Dio, piuttosto che sfidare l’ovvio frutto dell’immediata percezione. Guardando l’uomo nel suo comportamento abituale e quotidiano sembra di non riconoscere altro che moventi prevalentemente biologici. Ogni gestualità umana, ricondotta ad un appetito biologico, è privata di qualsivoglia intenzione escatologica; al fare dell’uomo è rifiutata ed amputata la finalità ultima, non rimandando ad un significato spirituale l’affanno della sua esistenza. L’uomo, creatura tra le creature, è così gettato nel mondo come pura casualità, costretto pertanto ad organizzare la vita intorno a sé per sopportare, nel miglior modo possibile, una condizione di esistenza comunque ad esso estranea. Che paradosso una tale teoria che vede da una parte l’uomo frutto del caso, ma dall’altra non lo riconosce mai figlio del luogo in cui si trova! Poiché, se così fosse, non si capisce per quale motivo egli si senta ospite in terra straniera; per quale motivo egli tenti perennemente di modellare il mondo a sua immagine, invece di accettarlo così com’é, come definitivo; e, ancora, quale unico sito che lo possa rappresentare e, infine, che lo posso ospitare nelle modalità a lui totalmente compatibili. Giacché, se l’uomo è frutto dell’ambiente, ciò dovrebbe necessariamente tradursi, nella sua realtà soggettiva, in un sentimento di tale intima appartenenza a quel mondo (all’ambiente che lo ospita) per cui non dovrebbe, l’uomo, avvertire nessun altro richiamo se non il quieto assenso a quel mondo a cui dovrebbe sentire di appartenere. Se tutto ciò fosse vero, non incontreremmo nella storia dell’umanità quel particolare sentimento che va sotto il nome di struggimento per la terra promessa, frutto, certo di un sogno, ma la cui insaziabile brama mostra come l’uomo cerchi tale luogo non sulla terra, ma in una dimensione che intuisce [2] oltre il limite del suo sguardo. Questo sforzo ha reso palese la vita interiore.

    L’incantamento

    Il Principe Sigfrido, stanco delle solite pretendenti, che la madre ha convocato a palazzo affinché scelga la sua sposa, si trova smarrito in un bosco misterioso, dove, all’improvviso, avverte, o meglio sarebbe dire, ri-avverte e ri-trova, il richiamo di un sogno. L’anelito lo spinge ad attraversare un profondo struggimento, un sentimento variegato che lo conduce al limite di se stesso. Ciò lo consegna al cospetto di una creatura inquietante. E’ una fanciulla dalla natura ambigua: di notte, sotto il manto delle stelle, si palesa umana, per poi, alla luce del sole e del nuovo giorno, riprendere le tragiche sembianze di un cigno dalla bellezza ineffabile e dal candore ancestrale, trasudante mistero e paura. E’ la sua stessa anima, il luogo dell’intuizione escatologica, sede del presagio del destino della vita spirituale, che danza davanti al suo sguardo. Meravigliato da tanta bellezza Sigfrido è incredulo di come egli possa venir sfiorato da una tale esperienza di essere.

    Il Principe Sigfrido ha ritrovato la sua anima sotto le sembianze della fanciulla-cigno. Per un verso è finito il tormento ingenuo, che poneva il soggetto nella sofferenza che non sembrava avere una ragione o una causa. Ora inizia il tormento suscitato dall’anelito per il nuovo ritrovamento dell’anima, o è più esatto dire: l’anima si pone chiaramente come veicolo e fine del percorso esistenziale. Questo passaggio di logica esistenziale e di scenario ontologico, segna la linea di demarcazione tra l’uomo come animale, prodotto biologico e mosso dal flusso di appetiti biologici con le loro peculiari finalità (procreazione, conservazione della vita) e l’uomo come soggetto dello spirito, libero di essere nella ricerca della propria completezza. Ciò dicono i filosofi esistenziali: la differenza distintiva tra l’uomo e l’animale, è che l’animale nasce già completo, definito nella sua natura, mentre l’uomo non solo dove completarsi cercando la sua vera natura [3] , ma per farlo deve creare un mondo intorno a sé. E’ proprio quando nel singolo individuo si risveglia il sogno di una propria dimenticata natura che inizia il cammino dettato dallo spirito, che intenziona la vita. Leggiamo i versi di Giovanni della Croce:

    Dove ti sei nascosto,

    Amato, abbandonando me gemente?

    Come il cervo fuggisti,

    dopo avermi ferita;

    uscii invocandoti e te n’eri andato. [4]

    Individuiamo in questi versi due punti fondamentali:

    Il richiamo della voce di Dio sperimentato soggettivamente come innamoramento del senso compiuto dell’essere,

    Lo smarrimento, causato dalla frattura nel rapporto con il mondo, da cui scaturisce la fede.

    Riportiamo il senso di questi versi alla storia di Sigfrido nel Lago dei cigni provando così ad interpretare quella vicenda sul piano esistenziale e spirituale.

    Il principe, toccato dalla grazia, che subito però l’abbandona, si sente amputato di qualcosa; prima non sapeva di mancare di alcunché, aveva un senso ingenuo di completezza. E’ questa la prima esperienza che suscita Amore quando colpisce il cuore. Distoglie la coscienza dal suo aderire alla presente realtà, per risvegliarla alla presenza di una realtà altra, distante da quella. Il sentimento della completezza ingenuo è così infranto, poiché nel soggetto è risvegliato un amare prima non presente; e questo amare provoca una tensione interna, mutando in dinamica ciò che prima era statico. Tutto, in seguito, diventa più povero, se manca l’oggetto di quell’amare. Poiché se c’è un amare come tensione amorosa, c’è un oggetto a cui la tensione tende. E’ prima l’oggetto dell’amare o prima vi è la tensione dell’amare, che intuisce l’oggetto che ancora non è presente alla coscienza? Prima vi è l’intuizione poi l’oggetto, in quanto l’oggetto non è colto nel vuoto dello spirito, ma entra in un atto percettivo dove è già presente la sua forma, la sua pura intuizione, come una forma di attesa, di annuncio. Deve farci riflettere questo aspetto dell’animo umano. L’esperienza in cui ci trascina Amore, è immediatamente una apertura al mondo, un dilatarsi del mondo davanti ai nostri occhi, e a ciò si accompagna un sentimento forte di profonda inadeguatezza. Il soggetto è dapprima illuminato da una luce calda e rassicurante che lo fa sentire completo, poi viene stordito attraverso lo svuotamento di senso della sua vita, poiché il senso è stato tutto risucchiato dall’oggetto del suo amare. E’ quindi trascinato in una profonda e struggente sensazione di limite. Egli è pervaso da un sentimento di mancanza di un qualcosa percepito come essenziale: come il tocco dell’artista che risveglia l’oggetto del suo interesse e lo proietta nel luogo delle cose infinite. Ma senza quel tocco l’oggetto rimarrebbe fredda espressione di una realtà insistente, perenne ma inutile e superflua.

    Cercando i miei amori

    andrò sui monti e lungo le rive;

    né coglierò mai fiori,

    né temerò le fiere,

    e passerò oltre i forti e le frontiere. [5]

    La ricerca si fa necessaria, impetuosa, prende su di sé ogni spasimo del soggetto, lo spinge a varcare forti e frontiere, ma si perderà entro il labirinto delle mille tentazioni. Purtroppo non saprà resistere a cogliere fiori, e temere le fiere. Il cercatore ha ormai perduto il senso della sua ricerca, lo scopo del suo andare. Il richiamo della divinità è divenuto ai suoi occhi spoglio e sterile. Il viandante errabondo e confuso si perde nel ridondare di una cultura spenta e non più necessaria. Il sentimento dell’autosufficienza dilaga nell’anima ed il soggetto si ritrova accecato senza rendersene conto: Io sono venuto in questo mondo per guarire, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi. [6] Sigfrido si sbaglierà e accetterà la donna che somiglia al suo vero sogno d’amore: si innamorerà dell’ombra della sua anima. Vede un riflesso e lo scambia per la fonte della luce. E’ una condizione esistenziale tipica dell’età contemporanea. Il romanzo di E. Hemingway, Le nevi del Kilimangiaro, ci fornisce uno spunto narrativo a questa dinamica dello smarrimento che porta il soggetto a naufragare nelle mille oggettualità del mondo.

    Le nevi del Kilimangiaro [7]

    Seconda tentazione [8]

    Questo racconto ci offre la possibilità di toccare i seguenti punti:

    Il dispiegarsi di un mondo

    Il dominio sul mondo

    Il godimento del sé

    La donna come oggetto del proprio piacere

    Il piacere del potere nella relazione

    La relazione però non ha significato in quanto l’altra persona è sottratta al senso, da cui la noia nella relazione,

    L’esodo inconsapevole dal proprio sé, e il conseguente smarrimento esistenziale,

    La mortificazione dello spirito.

    La storia di Harry Street, il protagonista del romanzo, è qui assunta come paradigma attraverso cui leggere molte storie di uomini contemporanei. In essa, troviamo tante similitudini dell’operare nella propria vita da parte dell’uomo di fine novecento. Faremo riferimento, più che direttamente alle pagine del romanzo, alla trasposizione cinematografica, nella quale, a dire il vero, il personaggio approda a schemi più nobili in quanto filtrato, e un po’ temperato, dal volto di Gregory Peck. Il fatto che sia proprio l’attore americano ad interpretare Street, ci porta a considerare quanto, in fondo, lo schema esistenziale del personaggio sia amato e seducente. Peck, in quel periodo era la stella più luminosa del firmamento hollywoodiano, e quindi rappresentava il massimo delle possibilità di catalizzare gli umori e le tendenze ideali del pubblico, sia maschile che femminile. Attore pieno, capace di calarsi perfettamente entro i meandri del suo personaggio, veniva da una serie di interpretazioni dove incarnava l’ideale dell’uomo giusto, forte e coraggioso, capace, nella sua solitudine ammantata dallo splendore della verità, di sfidare il mondo. Quindi un attore portato ad interpretare lo schema narrativo e l’archetipo esistenziale di Abramo, di cui parleremo nella terza parte di questo saggio. Qui dà vita e attualità ad un uomo che colloca la propria esistenza a metà tra Ulisse e Narciso. Un uomo spinto da un’ insaziabile sete di conoscenza e alla ricerca di esperienze estreme, tanto da non saper riconoscere l’approdo a cui il suo cammino giunge. L’uomo moderno, si ritrova nella piena sembianza dell’eroe tragico il quale è mosso dal proprio fato, a cui non può sottrarsi. Nella sua presunta libertà di essere, si trova schiavo del proprio gustare il mondo, del proprio narcisistico orgoglio di voler primeggiare in quanto a esperienza di sé: tutte esperienze però connotate dall’assunto sensazioni-emozioni. Qui l’orizzonte ideale, finalistico ed escatologico, è completamente assente. Il soggetto è annichilito nella disperata ricerca della sensazione che gusta il gesto estremo, la sola che possa inebriare un’esistenza percorsa da moventi del tutto sterili, spuntati, e infine inappaganti, che tradiscono repentinamente ogni promessa. Tutto ciò ci richiama, per certi versi, il personaggio di Ulisse come lo ritroviamo nella Divina Commedia:

    …né dolcezza di figlio, né la pièta

    del vecchio padre, né ‘l debito amore

    lo qual dovea Penelopè far lieta,

    vincer poter dentro a me l’ardore

    ch’i ebbi a divenir del mondo esperto,

    e de li vizi umani e del valore;

    ma misi me per l’alto mare aperto

    sol con un legno e con quella compagna

    picciola dalla qual non fui diserto. [9]

    […]

    Considerate la vostra semenza:

    fatti non foste, a viver come bruti,

    ma per seguir virtute e canoscenza. [10]

    Questi versi colorano di dignità un anelito umano tra i più diffusi nella storia, e tra quelli che meglio sembrano descrivere il vero senso dell’uomo: la ricerca della conoscenza malgrado tutto : " …né dolcezza di figlio, né la pièta /del vecchio padre …". Sentimenti, pur intensi, che non sanno ancorare l’uomo alla sua vita. Egli è percorso dal fremito di andare che lo spinge a varcare la soglia dei suoi affetti, né ‘l debito amore/ lo qual dovea Penelopè far lieta, /vincer poter dentro a me l’ardore /ch’i ebbi a divenir del mondo esperto, . Una conoscenza che è raggiunta attraverso l’esperienza del mondo. Ma a quale scopo? Qual è il movente di una tale trama esistenziale? Apparentemente è la brama di conoscere. Ma cosa vuol dire brama di conoscere? Perché questa frenesia, questa irrequietudine che traversa lo spirito dell’uomo e lo spinge a varcare la

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