Essere tedeschi - Qualche pensiero chiarificatore
Di Şenocak
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... ci si integra senza tensioni solo accogliendo la lingua del paese d’immigrazione, imparando a conoscerne gli usi e la memoria. L’integrazione non è una questione di adattamento meccanico: il suo successo presuppone empatia e capacità di immedesimarsi nell’altro.
Un punto di partenza che lo ha fatto diventare uno tra i più interessanti scrittori di lingua tedesca.
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Anteprima del libro
Essere tedeschi - Qualche pensiero chiarificatore - Şenocak
COLOPHON
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2017 Oltre edizioni
http://www.oltre.it
ISBN 9788899932121
Collana *edeia - letture del mondo
Titolo originale dell’opera:
Essere tedeschi
Qualche pensiero chiarificatore
di Zafer Şenocak
Titolo originale dell’opera:
Deutschsein. Eine Aufklärungsschrift.
© edition Körber-Stiftung, Hamburg 2011
Traduzione di Barbara Ivančić
Indice
INTRODUZIONE
La sensibilità linguistica è la bussola per trovare la propria patria
OLTRE LA LINGUA
Quando ci si sente a casa in una lingua straniera?
IL TEDESCO STENTATO
La via peculiare della lingua tedesca
IL MONDO ATONALE
Quanta diversità sopportiamo?
DIETRO LE QUINTE DELL’IDENTITÀ TEDESCA
La revisione del concetto di cultura da parte di Thomas Mann
POESIA SENZA MUSICA
Sulla poesia tedesca del dopoguerra
È FINITO IL SOGNO DEI GASTARBEITER?
Un paese promettente incapace di valorizzarsi
ESSERE TEDESCHI SUL BOSFORO
I molti significati dell’identità
ESISTE UN SOGNO TEDESCO?
Il futuro della Germania come paese di immigrazione
FORTEZZA O GIARDINO DI CASA
Il segreto della Germania aperta (e cosmopolita)
IL PRIMO TURCO INCONTRATO IN GERMANIA: UN ESTRANEO
Come si delimitano i confini
A CASA, IN TERRA STRANIERA
Quando la Heimat si distrugge da sola
ANCHE IL MIO PASSATO PARLA TEDESCO
Sulle relazioni dimenticate tra turchi e tedeschi
INTRODUZIONE
La sensibilità linguistica è la bussola per trovare la propria patria
di Barbara Ivančić
Di Germania e dei tedeschi si parla spesso negli ultimi tempi, e il discorso è carico di opinioni e immagini contrastanti. Per mesi, nella fase più acuta della crisi greca, la Germania è stata vista e rappresentata come il mostro cattivo dell’Europa, poi, con la decisione di aprire le porte ai rifugiati, è apparso, agli occhi di molti, il volto buono e generoso del paese, mentre tutt’attorno le porte venivano sigillate con tanto di filo spinato. Altri invece hanno visto anche in questa decisione a favore dell’accoglienza solo un’abile mossa strategica e dunque l’ennesima conferma della presunta mentalità fredda e calcolatrice dei tedeschi. Perfino il recente scandalo della Volkswagen ha portato a galla i sentimenti contraddittori che la Germania evoca al di fuori dei propri confini: in molte reazioni all’accaduto si è avvertito, in maniera più o meno sottile, quel sentimento di sollievo, se non addirittura di piacere, nel vedere che anche l’efficiente Germania è capace di truffe di queste dimensioni e conseguenze. Un sentimento per il quale curiosamente proprio il tedesco ha una parola, Schadenfreude, ‘godere delle disgrazie altrui’, che spesso viene citata come esempio di quei concetti tipicamente tedeschi
che si presume siano intraducibili.
Ma uscendo da immagini più o meno preconfezionate, cosa sappiamo dei tedeschi? Chi sono, come si vedono loro? Esiste un’identità tedesca? E, se c’è, come si può definire? Il presente saggio ruota attorno a queste domande, che l’autore indaga dalla sua particolare prospettiva bilingue e biculturale.
Nato ad Ankara nel 1961, Zafer Şenocak vive in Germania dal 1970: prima in un piccolo paese della Baviera, dove arriva assieme ai genitori, poi a Monaco, dove studia Germanistica, Scienze politiche e Filosofia, e dal 1990 a Berlino. Scrive e pubblica, sia in tedesco sia in turco, dal 1979: poesie, saggi, racconti, romanzi. Nel 1988 è stato insignito dell’Adalbert-von-Chamisso-Förderpreis, il più importante riconoscimento ad autori di altre provenienze linguistiche e culturali nell’ambito della scena letteraria tedesca. Dagli anni Novanta, Şenocak dedica un’intensa attività pubblicistica al rapporto fra Turchia e Germania, fra Oriente e Occidente, collaborando con svariate testate giornalistiche, tra cui il quotidiano berlinese taz e le testate nazionali Die Welt e Frankfurter Allgemeine Zeitung. L’autore è stato writer in residence
in varie università statunitensi, tra cui il MIT/Cambridge, la University of Berkeley e il Dartmouth College. Come traduttore, Şenocak ha fatto conoscere ai lettori tedeschi la voce di poeti turchi quali Yunus Emre, Aras Ören e altri.
Zafer Şenocak fa dunque parte degli oltre quindici milioni di cittadini che lo Stato tedesco definisce ufficialmente Menschen mit Migrationshintergrund, ‘persone con un trascorso di migrazione’, etichetta che racchiude sia chi è immigrato in Germania dopo il 1949 sia i figli e i nipoti di questi ultimi. Etichette a parte, l’autore lascia aperta la questione della sua appartenenza, guardando con sospetto i tentativi di definirla per mezzo di categorie quali scrittore tedesco di origini turche, scrittore turco-tedesco o simili.¹ Questa ritrosia a fissare l’identità, a cominciare dalla propria, in categorie comunemente in uso rappresenta uno dei temi centrali dell’opera di Şenocak², al cui centro c’è sempre l’idea che l’identità sia qualcosa di composito e in perenne evoluzione, qualcosa che deve necessariamente essere pensato e declinato al plurale. Vale per la sfera individuale, come per quella collettiva. Pensare al plurale significa addentrarsi nelle complessità, portare a galla le contraddizioni e cercare di far dialogare realtà e voci che difficilmente vengono messe in relazione, ma che anzi si tende a contrapporre: tradizione e modernità, passato e presente, Oriente e Occidente.
La scrittura di Şenocak, nelle sue varie forme – poetica, narrativa, saggistica – è tutta protesa verso questo dialogo, di cui l’autore è l’interprete. Scrittura come traduzione, si potrebbe dire, intendendo la traduzione come massima espressione del dialogo ermeneutico, di quel dialogo cioè che presuppone e, a sua volta, stimola la comprensione e l’interpretazione dell’esperienza umana del mondo. La lingua è parte costitutiva di questo dialogo che altrimenti non esisterebbe: la lingua crea lo spazio necessario per l’incontro, è il luogo in cui ci si sente protetti, la Heimat, la patria che non necessariamente coincide con i confini nazionali e nemmeno con la propria lingua di provenienza.
Il saggio Deutschsein è costruito su questo pensiero di fondo, e il tentativo di afferrare e descrivere l’identità tedesca prende le mosse proprio dal rapporto dei tedeschi con la loro lingua.
Le riflessioni di Şenocak si articolano in dodici capitoli, dai cui relativi titoli (e sottotitoli) si intuisce l’ampiezza dello sguardo con cui l’autore osserva la realtà tedesca: uno sguardo che contempla la storia, la letteratura, la politica e, soprattutto, la lingua tedesca. Il titolo del secondo capitolo, Gebrochen Deutsch. Die Sondersprache der Deutschen
, qui tradotto con ‘Il tedesco stentato. La via peculiare della lingua tedesca’, è in questo senso emblematico. La prima parte, gebrochen Deutsch, richiama alla mente l’espressione idiomatica gebrochen Deutsch sprechen, ‘parlare tedesco a stento, a frammenti’, che viene usata per descrivere parlanti con scarse competenze linguistiche, che di norma si identificano con gli stranieri. Şenocak capovolge però la prospettiva, facendo apparire i nativi come coloro che parlano un tedesco stentato, perché il loro rapporto con la lingua è compromesso: è un rapporto trattenuto e controllato, attento a non far trapelare parole che possano scatenare emozioni incontrollabili e rievocare ricordi che si preferisce sotterrare. Il risultato è una lingua fredda, artificiale, forzatamente funzionale, di cui è un esempio la stessa espressione sopra citata Mensch mit Migrationshintergrund, ‘persona con un trascorso di migrazione’. Il sottotitolo, die Sondersprache der Deutschen, qui tradotto con ‘la via peculiare della lingua tedesca’, allude invece al concetto di Sonderweg, un termine usato nella storiografia del dopoguerra per designare la via peculiare scelta dalla Germania nel cammino dei paesi occidentali verso la modernizzazione e la formazione dello stato nazionale. Anche nel rapporto con la lingua i tedeschi hanno dunque scelto una deviazione: questa è la tesi di Şenocak, che riconduce tale atteggiamento a una particolare fragilità identitaria, le cui origini vanno cercate in quel secolo di Brüche
, ‘fratture’, che va dalla proclamazione del Reich della Germania, nel 1871, alla riunificazione delle due Repubbliche tedesche, nel 1991, e che si è lasciato dietro – anche nella stessa lingua tedesca – milioni di morti, profughi e ferite di ogni tipo. Şenocak mette in relazione questo retaggio con la svolta della riunificazione, sostenendo come nemmeno quest’ultima sia riuscita a sanare le profonde ferite identitarie dei tedeschi, ma come al contrario le abbia semmai solo acuito, rendendo il rapporto dei tedeschi con la Heimat e con tutto quello che in tedesco si definisce eigen, ‘proprio,’ ancora più tormentato e complesso. Così complesso che si preferisce non parlarne.
Questo richiamo al nodo tuttora intricato creatosi in seguito alla riunificazione delle due Germanie sia sul piano sociale sia, in particolare, sul piano dei destini individuali, appare un elemento imprescindibile nel tentativo di capire il rapporto della società tedesca con la migrazione. Nel ribadirlo, Şenocak apre un ulteriore sguardo sulla Germania; uno sguardo che oggi, quando il paese è alle prese con l’accoglienza di centinaia di migliaia di profughi, è ancora più necessario e urgente. Basta vedere i fatti di cronaca per averne conferma: il fulcro delle manifestazioni di protesta contro le attuali politiche dell’accoglienza, si concentra nei Länder della ex Germania dell’Est; è soprattutto qui che attecchisce la retorica neonazista, tanto che nelle reazioni a questi fenomeni, si può notare come l’Ovest prenda talora le distanze dall’Est. L’impressione è cioè che i recenti fatti portino a galla il nodo irrisolto dell’identità tedesca in seguito alla riunificazione, irrisolto perché non sufficientemente affrontato e, soprattutto, perché a malapena verbalizzato al di fuori di discorsi formali. Il saggio di Şenocak tocca e affronta, dal mio punto di vista molto coraggiosamente, questo nodo, inserendolo in una riflessione più ampia sulla Germania come paese di immigrazione.
Il processo di integrazione che Şenocak descrive e su cui riflette è antecedente alle recenti ondate migratorie – il saggio è apparso nel 2011 – e concerne le persone arrivate in Germania negli anni del miracolo economico, dunque a partire dai primi anni Sessanta, e le generazioni successive, la maggior parte delle quali provengono dalla Turchia e sono, come l’autore stesso, formalmente cittadini (anche) tedeschi. Benché consolidata sul piano formale, questa immigrazione appare tuttora problematica e la società tedesca vi fa i conti con molta fatica. Şenocak tenta di dare voce a questa fatica, che nel periodo in cui il libro nasceva aveva assunto anche forme estreme e oscene, come quella di una serie di attentati compiuti fra il 2000 e il 2007 le cui vittime erano soprattutto immigrati, e che di lì a poco avrebbe portato alla scoperta di una cellula neonazista e sollevato molti dubbi circa il ruolo dei servizi segreti, o come quella delle tesi dell’ex consigliere della Bundesbank Thilo Sarazzin, che in un libro apparso nel 2010 sosteneva che l’immigrazione musulmana fosse la rovina della Germania, conquistandosi non poca attenzione da parte dei media e dell’opinione pubblica.
Şenocak riflette dunque sulle politiche dell’integrazione che lo stato tedesco ha messo in atto, costatandone il parziale fallimento, e riconducendo tale fallimento a un sostanziale problema identitario dei tedeschi. La via che Şenocak indica è quella del recupero di una lingua che accolga e non respinga, una lingua capace di aprirsi, fin là dove [la lingua] è anche incontro
, come recita la frase di Paul Celan posta in apertura del primo capitolo del saggio.³ Quest’incontro inizia diventando consapevoli e curiosi di quello che ci lega, oltre a quello che ci distingue, e qui l’autore riporta alla mente i secolari rapporti e le reciproche influenze tra la cultura islamica e quella tedesca, di cui Goethe e il suo Divano occidentale-orientale sono la testimonianza più nota, ricordandoci anche come la cultura tedesca sia profondamente intrisa di echi provenienti dal mondo islamico. Ricostruendo gli stretti legami di parentela turco-tedeschi
, come recita il sottotitolo dell’ultimo capitolo del libro, l’autore sottolinea inoltre il ruolo fondamentale della cultura tedesca nella creazione di un moderno stato turco, attingendo anche a ricordi personali, come quello di uno zio materno deceduto sul fronte russo nel 1914. Di quello zio la famiglia riebbe un baule pieno di libri, molti dei quali in lingua tedesca: testi di Goethe, Schiller, Kleist, con appunti in alfabeto arabo ai margini.
L’eco della Weltliteratur, la letteratura universale, e della pluralità proviene anche dai ricordi della figura paterna, di quel padre che nella dedica posta in apertura del libro il figlio ringrazia per avergli insegnato che le nostre radici sono plurilingui. La gratitudine di Şenocak va inoltre ai poeti che sono riusciti a rompere il silenzio cui sembrava condannata la poesia tedesca dopo Auschwitz, dando voce all’indicibile e al rimosso. A questi poeti, tra cui spicca la voce di Celan, che l’autore ricorda in un prezioso capitolo dedicato alla poesia tedesca del dopoguerra, va il merito di aver (ri)affermato la Durchlässigkeit, ‘permeabilità’, quale condizione fondamentale della poesia. Sono poeti importanti nella storia personale di Şenocak, che (anche) grazie alla loro poesia è diventato egli stesso poeta, un poeta in lingua tedesca con tonalità turche nelle orecchie
.⁴
La dimensione sensoriale della lingua è un altro concetto chiave del testo, che l’autore introduce rievocando il suo ingresso nella lingua tedesca. Tra i ricordi spicca quello dei pomeriggi trascorsi da Frau Saal, un’anziana insegnante di tedesco nella cui casa le parole sapevano sempre di caffè e torta di mele. Vivere la lingua con tutti i sensi significa abbandonarsi al suo flusso e lasciarsi trasportare da esso: La lingua scorre, accarezza e dà piacere.
⁵ Solo così ci si sente a casa in una lingua, indipendentemente da questioni di appartenenza, solo così la lingua offre quella protezione e libertà che evocano i seguenti versi dell’autore:
Packe alles in deine Sprache ein
die Zöllner fragen dich nicht danach
sie wollen Papiere sehen
die du nicht geschrieben hast
du kannst beruhigt sein
Worte sind nicht zu orten
haben den Körper verlassen
wenn er eingesperrt wird⁶
Mettendo al centro delle proprie riflessioni la lingua e il ruolo della parola nella costruzione di una società civile, Şenocak parla di contatto linguistico, plurilinguismo e traduzione. Anche qui le riflessioni prendono le mosse dalla sua storia e dall’incontro con la lingua tedesca:
Con il passare del tempo la mia stanza diventava sempre di più un territorio tedesco, mentre il resto della nostra casa continuava ad appartenere alla lingua turca. Una casa con due lingue dai confini ben delimitati: ecco come sono diventato bilingue.⁷
È interessante questo richiamo alla necessità di riconoscere i confini delle lingue, su cui