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Il destino dell'incorporeo
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Il destino dell'incorporeo

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About this ebook

SINOSSI:

Quando veniamo al mondo iniziamo il viaggio verso il nostro ineluttabile destino.
Ma è la morte a determinare la fine del percorso?
Giocoforza giungerà l’epilogo e sarà allora quando emergeremo, oltre il nostro ultimo respiro.
La morte è solo l’inizio.

Sei pronto per l’inevitabile?
Sei disposto a dare il via al destino dell’incorporeo?

Immergiti in un viaggio rivelatore. Accompagna Isaac verso un nuovo mondo oltre i limiti dell’immaginabile. Non si potrà più tornate indietro, dinanzi ai tuoi occhi si estenderà soltanto l’eternità. Lotterai per la libertà e il diritto a guidare la tua stessa esistenza? O volgerai le spalle al passato in nome del piacere e del benessere?

Avventurati nell’ignoto.

IL ROMANZO PIÙ ORIGINALE E CREATIVO DEGLI ULTIMI TEMPI.

Con 8 romanzi pubblicati, Marcos Nieto Pallarés è uno degli autori con le migliori recensioni su Amazon.es: goo.gl/zndJMJ

RECENSIONI:

«Un libro fantastico dall’inizio alla fine, che mi ha fatto emozionare in molti capitoli.»
«Una lettura delicatamente vitale al 100%, che emoziona.» 
Aure Martinez, Blog 'Cazafantasía'

«Grazie, Marcos, per permettermi di entrare nel tuo mondo; solo una grande immaginazione può dare alla luce un progetto come “Il destino dell’incorporeo” e portarlo a termine come i migliori scrittori della fantascienza più tradizionale.»
Blog 'Algunos libros buenos'

«Non avevo mai letto niente di Marcos Nieto, ma penso che mi regalerò presto la seconda parte. Penso che sia un grande scrittore. Cura a fondo tutte le caratteristiche del suo sistema di scrittura, cosa che purtroppo non fanno tutti gli autori attuali. Mi sono piaciute specialmente le descrizioni dei luoghi, degli oggetti e delle persone. Ma soprattutto quelle delle situazioni e anche quelle dei sentimenti. Insomma, adoro come si esprime, come comunica, come SCRIVE.»
Mary Ann Geeby, autrice del romanzo “Ya no somos tan jóvenes”

«Bella storia, con caratteristiche note in stile “Matrix”, “Ultraviolet” e “Aeon Flux”, ma che non stonano, anzi, rendono la storia estremamente divertente ed emozionante, grazie alla grande immaginazione che l’autore ostenta nell’impostazione delle scene.»
Blog 'El Escritorio del Búho'

«... vi invito a comprare il romanzo e a scoprire la vita dopo la morte proposta dall’autore, che oltretutto è piena di colpi di scena che vi sorprenderanno (occhio al finale!) e vi lasceranno con la voglia di un seguito.» 
Blog 'En Aleatorio'

«... combina il mondo creato in film come “Matrix”, l’umorismo de “La vita di Bryan” e la tristezza di “Blade runner”. Il tutto col valore aggiunto di un linguaggio semplice ed accessibile. Niente di più complicato di rendere facile ciò che è difficile. Vedere Gene Kelly ballare su mobili e divani può sembrare semplice, ma non lo è. E l’autore senza dubbio sa danzare, con le sue spiegazioni e i suoi dialoghi, sui mobili della narrativa che ha creato.»
Blog 'La lumbre de un cigarrillo en la trinchera'

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMar 1, 2018
ISBN9781507188743
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    Book preview

    Il destino dell'incorporeo - MARCOS NIETO PALLARÉS

    INDICE

    INDICE

    PROLOGO

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    PROLOGO

    «... Dove sono?...»

    «... Sto sognando?...»

    «... Non può essere, un secondo fa stavo preparando la cena, è impossibile...»

    «... È davvero strano, mi sarò addormentato? Sì, è così, sto sognando...»

    Non capivo niente.

    Mi trovavo disteso a faccia in su, su un prato d’erba fine e curata, e osservavo di fronte a me l’immensità del cielo: pulito, puro... azzurro. Com’ero arrivato fin lì?

    Non capivo niente.

    Di fronte a me potevo osservare soltanto un campo immenso, d’erba sottile, che ondeggiava col fischiare del vento, un campo così vasto che non riuscivo a vedere nulla oltre quel verde intenso. Solo la linea che tracciava l’orizzonte si scorgeva da lontano, molto lontano.

    Mi alzai e diressi i miei passi verso nessun posto di preciso, aspettandomi di svegliarmi da un momento all’altro, di tornare alla cucina in cui ero certo di essermi addormentato mentre preparavo la cena. L’ultima cosa che ricordavo erano due uova che si friggevano davanti a me, quasi pronte, quasi a puntino, e poi un bianco improvviso e infine questo: lo sconcerto.

    Ma a dire il vero sembrava tutto davvero reale, benché sia vero che anche i sogni lo sembrano quando ci si è immersi. Ma sentivo che sentivo troppo: i miei sensi si rivelavano troppo autentici per trattarsi di un sogno. Ma se non era un sogno, allora cos’era?

    Continuai a camminare e all’improvviso, in lontananza, vidi una sagoma. Mi avvicinai ansioso di chiederle dove mi trovavo, com’ero arrivato in quel luogo enigmatico. Mi avvicinai poco a poco e all’udire i miei passi la sagoma si voltò.

    «Fermo, non avvicinarti oltre!» Le sue mani si alzarono cercando di frenare la mia avanzata.

    «Tranquillo, non ti faccio niente, voglio solo parlare» le mie parole risuonarono pacate, nell’intento di calmarlo. «Sai dove siamo?»

    «Non lo so» rispose abbassando le braccia. «So solo che sono morto.»

    CAPITOLO 1

    DOVE SONO

    «È impossibile!» le parole mi sgorgarono angosciate dalla bocca. «Stai insinuando che siamo morti? Che siamo in cielo o qualcosa del genere?»

    «E io che ne so? Mi sono trovato qua tutto d’un tratto, come te!» La sua voce prendeva confidenza dopo il sussulto iniziale. «Ma quello che posso assicurarti è che io, almeno, non sono vivo, e presumo che non lo sia neanche tu.»

    Quel tipo superava chiaramente la cinquantina. Portava una barba corta e incolta, i capelli lisci e scuri gli cadevano leggermente sulle orecchie; un corpo tozzo e una statura vicina al metro e settanta, forse meno, e la cosa che più richiamava l’attenzione: portava un camice d’ospedale.

    «Come puoi essere così sicuro che siamo morti?»

    «Lo so perché soffrivo di un cancro terminale, quindi sarò dovuto morire per forza.» I suoi occhi lasciavano capire che aveva pianto. «Non ricordo il giorno in cui ho perso la nozione del tempo, il giorno in cui la morfina mi ha separato dalla coscienza. Ma ti posso garantire che se sono qui è perché sono morto.» 

    «Ma io non sono morto, o almeno non ricordo che mi sia successo niente del genere.»

    «Uno può morire in modi molto diversi, te lo posso assicurare: sono medico, o meglio lo ero. Arresto cardiaco, aneurisma dell’aorta, morte improvvisa... Quest’ultima è quasi fulminante. Quindi se parliamo di possibilità... sì, potresti essere morto e non ricordarti di com’è successo.»

    Impossibile descrivere l’ansia che provai in quel momento: mi crollava tutto davanti agli occhi e non potevo fare nulla per porvi rimedio. Sentii un’angoscia, una grande angoscia e immediatamente... un’angoscia ancora maggiore.

    «Aneurisma dell’aorta, arresto cardiaco, morte improvvisa... Quest’ultima è quasi fulminante...» Parole che mi risuonavano in testa trascinandomi verso un più che probabile e ormai quasi inevitabile attacco d’ansia. Ma il mio essere non ci voleva credere, si rifiutava di digerire l’assurdità che mi era piombata addosso portandomi via tutto. Avevo ancora tutta una vita davanti! Avevo appena compiuto trent’anni, per l’amor di Dio!

    «... Maria...» Il suo volto comparve all’improvviso nella mia mente. «Mancava solo un mese alle nozze, una cosa del genere la devasterà» pensai mentre continuavo a sprofondare nella disperazione. «Se sono morto all’improvviso sarà lei la prima a trovare il cadavere... Cos’ho fatto per meritarmi una cosa del genere...»

    «Dovremo cercare un posto per passare la notte» disse l’altro, mentre io rimanevo immerso nei miei pensieri. «Non possiamo aspettare qua in piedi per tutta l’eternità, e poi dovremo cercare qualcosa da mangiare.»

    «Tanto per cominciare... mi chiamo Isaac» dissi alzando la mano destra.

    «Sebastian» rispose lui con una forte stretta di mano.

    «Sono d’accordo, cerchiamo qualcuno che ci possa dire dove siamo o cosa facciamo qui.»

    Sebastian annuì e camminammo sul prato verde per delle lunghe ore. Mi raccontò che era stato un chirurgo e che aveva vissuto tutta la sua vita a Madrid. Mi narrò la sua vita a grandi linee: una vita comoda e abbastanza comune. Io gli parlai di Maria, non potevo fare altro... era l’unica cosa a cui pensavo.

    «Devo sentirmi contento?...» pensai mentre camminavo accanto a quell’uomo. «Se davvero sono morto, se è vero che ho smesso di vivere... c’è vita oltre la morte! La grande domanda dell’umanità, la risposta che ogni essere vivente desidera... mi è stata rivelata!» Ma no... non serviva affatto come lenitivo: quando uno perde l’amore di una vita, neanche il continuare a respirare dopo l’ultimo sospiro serve da consolazione.

    Mentre la mia mente continuava a rimuginare su tutto questo, da lontano riuscimmo a scorgere centinaia di persone, migliaia, poste sotto un palo con grande pannello in cima, tutti con lo sguardo fisso sulle lettere che vi si potevano leggere. Mano a mano che ci avvicinavamo, anche noi potemmo iniziare ad intravedere cosa c’era scritto:

    ––––––––

    Il trambusto era assoluto, la folla mormorava mentre indicava quell’enigmatico messaggio. Alla pari di noi, quelle persone erano smarrite in quel luogo inospitale e non smettevano di chiedersi il perché. Era chiaro che lì non avremmo trovato nessuna risposta. La folla mescolava vorticosamente lingue diverse, dando vita ad un chiasso incomprensibile e piuttosto fastidioso. Senza che se ne rendessero conto, le varie origini di quelle persone le raggruppavano irrimediabilmente in clan linguistici: da una parte gli spagnoli, dall’altra gli inglesi, dall’altro ancora i cinesi... Quanta ragione aveva Maria quando mi consigliava così spesso... «Al giorno d’oggi imparare le lingue è fondamentale!». E io la deridevo sempre... Mi divertivo ad infastidirla con un’indifferenza forzata, anche se in realtà l’ascoltavo sempre come se ogni sua parola fosse stata l’ultima ad uscire dalla sua bocca.

    Proprio sotto il cartello, che cambiava lingua rendendosi comprensibile per tutti i clan lì riuniti, partivano cinque sentieri che si perdevano in lontananza. Di tanto in tanto, da lontano, sembravano intrecciarsi come serpenti furtivi che strisciavano tra l’erba sottile.

    «Questo sì che è strano,» mormorò il mio compagno di viaggio senza separare lo sguardo dal pannello informativo, «ma d’altronde non abbiamo troppa scelta, no?» puntualizzò rivolgendosi verso di me. «Quel che è chiaro è qual è la nostra strada: la malattia.»

    Aveva ragione: era la cosa più strana che mi fosse capitata nella mia probabilmente breve vita, ma come aveva detto giustamente il mio compagno, in quel momento non avevamo troppa scelta. Così seguii Sebastian lungo la via grigia che portava chissà dove.

    «Ti si vede il culo.»

    «Cosa?»

    «Ti si vede il culo!»

    «Oh, Cristo!» esclamò Sebastian mettendo insieme il taglio posteriore del suo camice d’ospedale. «Mi sembrava proprio di sentire un fresco sul retro...»

    Ridemmo entrambi, ma io, almeno, lo feci controvoglia. Dovevo cercare di assimilare troppe cose, cercare di accettare tutta quell’assurdità, ma era ancora troppo presto: non avrei sentito mai più le labbra di Maria, non avrei mai avuto dei figli con lei, non l’avrei neanche sposata... Tutto il resto non m’importava granché: se non l’avessi conosciuta, se non avessi mai assaporato le sue labbra, avrei provato persino una certa allegria nel ricevere l’esperienza che mi si stava offrendo: quell’esperienza che, immaginavo, prima o poi sarebbe toccata a tutti.

    Sul nostro sentiero circolavano molte persone che proprio come Sebastian portavano un camice d’ospedale; però molti, come me, portavano abiti normali, e li immaginai vittime di malattie simili a quella che aveva posto fine alla mia vita. Ma di quelli che seguirono le altre strade... ce n’erano di ben diversi:

    Morte naturale: Solo persone anziane, naturalmente, e ovviamente le si vedeva felici, poiché dopo una lunga vita era stata concessa loro l’opportunità di iniziarne un’altra.

    Incidente: Proprio come le vittime delle malattie, la maggior parte di queste sembravano tristi, ed era logico: la morte per incidente risulta sempre traumatica. In questo gruppo c’era gente piuttosto variopinta.

    Omicidio: Il gruppo dell’aria pesante: delinquenti, detenuti, soldati... e anche le persone semplicemente ammazzate in una rapina, in un attentato, o senza un perché, da parte di un demente. Si potevano vedere addirittura dei bambini, accolti dalle brave persone che circolavano da quelle parti, persone come noi. Un’immagine che straziava il cuore.

    Suicidio: Sembravano addirittura felici, anche se non tutti, dato che non è la stessa cosa fuggire da un mondo in cui non si vuol più abitare e pensare «primo tentativo fallito, proviamo col secondo», che scappare da quello stesso mondo perché non si sopporta il dolore di una disgrazia solo per emergere di nuovo con la stessa tristezza nell’anima.

    Mentre camminavo seguendo le orme di Sebastian sul sentiero di cemento grigio, pensando e ripensando, circondato da persone scomparse a causa di una malattia, giunsi a diverse conclusioni:

    1- Per forza di cose qualcuno aveva scritto quel cartello, quindi doveva esserci qualche tipo di civiltà.

    2- Ero morto, su questo non c’era più alcun dubbio.

    3- Non avrei mai più rivisto Maria: era di gran lunga la cosa peggiore.

    4- A quanto pareva, il motivo per cui si giungeva in quel posto era d’importanza vitale per gli abitanti del cielo?.

    5- Era chiaro che non appena uno moriva emergeva subito in quel posto, con gli stessi abiti che aveva addosso: nessuna veste azzurrina bella pulita, né aureole splendenti in testa. Sembrava chiaro anche

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