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Il mio Dio non è morto. Frammenti da una Bibbia apocrifa: libri Asino Rosso
Il mio Dio non è morto. Frammenti da una Bibbia apocrifa: libri Asino Rosso
Il mio Dio non è morto. Frammenti da una Bibbia apocrifa: libri Asino Rosso
Ebook751 pages11 hours

Il mio Dio non è morto. Frammenti da una Bibbia apocrifa: libri Asino Rosso

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About this ebook

Questo eBook di Marcello Darbo, già noto nel panorama culturale italiano come artista contemporaneo e sociologo, è il suo primo Romanzo. Lavoro in stile Christian Futuristic o di fantastoria o fantascienza: eretico e tradizionalmente scorretto. O con le parole diversamente preludio dell'autore: "Chi scrive non è l’autore del libro. Ho trovato il dattiloscritto in treno, mentre tornavo in Italia dopo un viaggio in Germania nel febbraio 2004. Una cartellina scolorita dal tempo, contenente circa trecento fogli scritti a macchina. Il tutto era in buono stato, a parte diverse macchie di grasso, peraltro strisciate via con cura. Mi colpì subito il titolo, intrigante e misterioso. Poi la data: Ottobre 1957, insieme affascinante ed inquietante. Avevo tra le mani una cosa scritta quando io stavo per nascere, conservata per tanto tempo e all’improvviso rispuntata fuori e abbandonata. L'’Autore aveva un nome misterioso: D." Era Dio in una paradossale autocritica, visti i bachi del suo Esperimento? In ogni caso, una piccolo grande remix della Genesi, completato (visti i tanti omissis originari...) dall'autore sulla scia di certa nuova trascendenza cosmica contemporanea: Dio (o gli Dei) liberati (e gli umani) da secoli di inquisizione contro l'umanità. Come una seconda genesi gemella (anche originalmente pulsionale e pop) di una nuova Terra gemella...
LanguageItaliano
Release dateAug 24, 2017
ISBN9788822815583
Il mio Dio non è morto. Frammenti da una Bibbia apocrifa: libri Asino Rosso

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    Il mio Dio non è morto. Frammenti da una Bibbia apocrifa - Marcello Darbo

    Marcello Darbo

    Il mio Dio non è morto. Frammenti da una bibbia apocrifa

    libri Asino Rosso

    UUID: 68d78554-88ce-11e7-8712-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Nota editoriale

    Marcello Darbo, Il mio Dio non è morto

    PARTE I-Il Mio Dio non è morto

    Ci vuole un Inizio

    Il ritrovamento del libro e un chiarimento

    Prologo - La Fine

    PARTE II- Il mio Dio non è morto

    Il risveglio di uno Sconosciuto

    Un difficile esame di realtà

    La scoperta di sé

    Scariche di Paura

    La Cura

    Ritorno alla vita - Tutto a Posto!

    Facciamo un po’ di luce

    D si interroga ma non ha studiato

    Solitudine

    Lucinero detto Lu’, l’angelo ribelle

    Il progetto di Lu’

    Lu’ ci da dentro anche perché D è triste

    La creatività di D fa qualche passo avanti

    Il Pandemonio concertuale e l’Ira di D

    PARTE III-Il mio Dio non è morto

    D è dispiaciuto

    La creazione dell’Universo

    Ma eravamo rimasti al Sistema Solare

    La creazione di A

    Più botte che carezze dal figliolo

    Cos’è un Padre?

    D, A ed E, la prima Donna

    Problema com’è fatta una femmina di Homo Insapiens?

    Morrisone, il nuovo vojeur, va dritto al sodo.

    Ma torniamo alla Creazione di E 'La prima Donna'

    A Cerca E che sta esplorando il giardino

    A è molto preoccupato, A ama E

    D pentito ebbe un incubo per la cacciata di A ed E

    A ed E Fuori dal Giardino. Scena Prima, Ciack

    Cane

    Gatto, il figlio del Boom economico

    La discesa di D per salvare la sua Famiglia

    D vuole sempre Giocare coi Nipotini, che adora.

    PARTE IV - Il mio Dio non è morto

    Fase Rabbiosa

    Noel e il diluvio

    Il colloquio tra D e Noel

    Il tono di voce

    Il colloquio terapeutico con Froidone

    Noel chiede un segno a Dio

    Il segno di D a Noel

    Brand e Piccola

    Ma adesso tocca a Noel e alla sua Impresa

    Parte V - Il mio Dio non è morto

    La rinascita della civiltà umana

    La nascita di un Verro , mediocre ed Egotista

    Una Società Giusta ed equa porta al desiderio di qualcosa di più? Perché?

    Il Tirannello folle. La Torre di Babele

    Il giovane Suprone

    Il Colpo di stato

    La carovana del dolore. Tutto si era svolto anche troppo in fretta e facilmente

    A Babele! Verso il Miracolo

    Il sogno che diventa incubo, che diventa realtà

    Il Tirannello nel piscio e negli sputi

    Parte VI - Il mio Dio non è morto

    D si responsabilizza

    Il Popolo eletto a maggioranza relativa

    Bramo di Codigoro, Provincia di Farraginosa Adriatica in I.

    Massè guida il Popolo e ………..? Ah si! Sodoma e Gomorra

    Il Viaggio

    Il colloquio con Massè e la tavola dell'Unica Legge. Per fare prima.

    La Terra e la Guerra. D aiuta il popolo eletto

    Parte VII - Il mio Dio non è morto

    Il Dormiente si sveglia. Vincerà ancora un biglietto per un doloroso soggiorno sulla Terra

    E lo Spirito Santo?

    Vacanze Divine e decisioni cruciali.

    Finalmente Uni e Trini

    I 50 Comandamenti

    L’ umanità è senza speranza? La Trinità cerca di trovare una risposta.

    Ricomincia la giga ma questa volta con un sorpresone. I Tre scendono fiduciosi.

    Parte VIII - Il mio Dio non è morto

    Non c’è una soluzione meno dolorosa e inutile?

    Si Diluvia?

    Un Editore dorme

    Lù e le sue Idee meravigliosamente epilettiche

    Lù porta l'Argomento Finale e D subisce un attacco vile della Sua Depressione Majore

    Sradicamento e conseguente. Ingorgo di Anime

    Pietro da Pozzuoli e il Paradiso Dimenticato

    Il Giudizio Universale, l'ultima fatica

    Il sesso degli angeli e il torneone di calcio

    Appendice 1 - P.S.: Non si sa mai

    Postilla

    Biografia minima dell'autore

    Catalogo Asino Rosso

    Nota editoriale

    libri eBook Asino Rosso

    ASINO ROSSO

    GIORNALE BLOG

    Il mio Dio non è morto. Frammenti da una Bibbia apocrifa

    MARCELLO DARBO

    A.R. (libri Asino Rosso 12)

    a cura di Roberto Guerra

    http://asinorosso.blogspot.com

    Via Antolini, 15, 44123 Ferrara

    SETTEMBRE 2017

    Cover: dell'autore

    Marcello Darbo, Il mio Dio non è morto

    Frammenti da una Bibbia apocrifa

    Inaffidabile

    Umana

    Caduca

    Sbagliata

    forse Comica

    comunque Unica

    Per la fortuna del lettore:

    La Presentazione

    Non c'è

    L' Introduzione

    Non c'è

    Personaggi Principali

    D, Entità Assoluta e Creatrice

    Una Mosca ignara

    Schiere di Angeli aiutanti di D

    tra cui Lù, il prediletto e unico con il fallo e il rimanente dell'apparato

    Gabri il fidato aiutante di campo

    Froidone il sociologo/saggio/inconsapevole psicanalista di formazione Pura Froidiana

    Niutone l’astrofisico

    Einstanio il fisico elettricista geniale di D

    Lorenzone il primo etologo, studia gli animali per capire la forma giusta per la Femmina Umana da creare per A, figlio di D

    Brandone la forza buona di D, romantico, bellissimo e innamorato di una Donna della Terra in fuga dalla violenza, di nome Piccola

    A il Primo Uomo

    E la Primadonna

    Cane e Gatto, i figli di a ed E, nipotini prediletti di D

    Il Dormiente sconosciuto

    Noel il mercante

    Suprone il Tirannello di Babele

    D'Orina la sua Nonnina

    Ariana la sua perfida Memmina

    Bramo, arrotino di Codigoro, Italia

    Massè guida del popolo eletto a maggioranza relativa

    Lo Spirito quasi Santo

    Il Varano della Depressione Majore

    Pietro da Pozzuoli custode del Paradiso dimenticato da D

    PARTE I-Il Mio Dio non è morto

    Un libro viaggiatore

    Ci vuole un Inizio

    Dove si vede un Uomo arrivare quasi al capolinea

    1957. Un editore di T. è appisolato sulla comoda poltrona della Ditta di famiglia e cerca di immaginare, nel dormiveglia delle 15,15, come sarebbe bello se gli portassero una storia come quella che ha sognato nella notte e come sarà lo scrittore sconosciuto, con una storia formidabile, che, grazie all’intercessione del comune amico Don Franco di F., incontrerà fra una settimana, proprio a quell’ora.

    1957. Nello stesso istante a Codigoro, un Uomo, che chiameremo D. fremeva.

    Codigoro, da Caput Gauri, A Capo del Goro, strategico Avamposto Romano, da cui partiva il canale Goro, importante via d'acqua che, staccandosi dall'allora ramo primario del Po, portava a Goro, Porto basato sopratutto sul commercio del Pesce e del Sale. Il tutto in Provincia di Farraginosa Adratica.

    Lì, un Uomo fremeva di speranza, di desiderio di dare felicità alla famiglia e per il dolore di non riuscirci.

    Perché la speranza?

    In Lui Era infatti successo qualcosa. Era arrivato quel momento, tanto temuto dalla sua Compagna, che chiameremo T., quanto inatteso da lui, in cui Le aveva detto di avere un’idea per un libro che poteva funzionare. Aveva avuto i complimenti del Suo Amico Don Franco, critico Televisivo. Questi, che abitava a Farraginosa, sapeva veder il Bello, lo Sforzo Artistico immediatamente e con gioia di D., gli disse che c'era qualcosa, che voleva leggere quel libro, che poi lui conosceva un Editore a T.

    Lo Scrittore! Adesso è uno scrittore. Canzoni. Pittore e adesso scrive. Per Lei era l’ultima delle delusioni ricevute da un uomo in cui non riponeva più alcuna speranza, per lui era l’ultima di tante idee per vivere del proprio talento, tutte finite in un cul de sac. Questa volta però ci credeva, perché erano giorni ormai che scriveva e la storia reggeva, i personaggi c’erano, avevano una loro vita nella sua testa e nel racconto.

    E poi scriveva per vivere, per necessità, come sempre gli era successo ogni volta che la vita gli rifilava un tram in faccia, facendogli intravedere la Fine. Questa volta era stata la svalutazione offensiva del suo lavoro, a causa di dissapori con parassiti e zecche, che lui aveva scambiato per persone. Aveva lavorato troppo bene e ciò, in presenza di capi e kapò egotisti, era un reato punibile con la morte. Era stato costretto a cambiare lavoro a causa dei continui morsi dei cani che il padrone gli aveva sciolto contro e quel sopruso si conficcò come lama tagliente nella schiena, fin quasi provocarne realmente la morte.

    Al lutto per questa perdita, che aveva causato un enorme vuoto di senso nella sua vita, ora stava reagendo con la scrittura, per provare a sé stesso che esisteva ancora. E scriveva, scriveva...

    Reagiva ancor più fortemente adesso, perché ciò che aveva intravisto nell’ultimo anno era la fine della sua stessa vita.

    La fine, sparire.

    E aveva avuto paura, perché voleva vivere, anche se non capiva come.

    Anche lei voleva vivere, ma adesso non più con lui.

    Altre cose simpatiche lo avevano oppresso negli ultimi anni, fino ad arrivare al punto in cui tutto gli aveva chiesto il conto di quella sua strana vita, vissuta in attesa che qualcuno si accorgesse di lui. Di più non si dirà del suo disagio, sappiate solo che il crack era arrivato per lui a 47 anni e aveva riguardato tutte le aree interessate dall’oroscopo: il lavoro, i soldi, la salute e l’amore, affetti vari compresi, inclusa l’amicizia.

    La sua vita era allo sbando, viveva ora per ora, una parte del giorno, dedito ad un lavoro ora senza senso, l’altra parte vagando tra casa e bar, tallonato da una depressione che controllava ormai con troppi farmaci e poco sonno ristoratore. In casa non era più amato, se non dal figlio 12enne, e si sentiva solo, in cima ad una collina di dolore.

    Al fine la scrittura terminò, insieme al rapporto coniugale: gli fu chiesto di uscire di casa.

    A parte tutto, ammesso che tutto questo fervore di cambiamento nella sua vita, possa essere messo da parte, ora stava portando la sua storia finita e scritta a macchina all'editore, amico di Don F., che stava lontano, a T. Aveva definito buona la Bozza speditagli e gli aveva dato un appuntamento.

    Era contento di affrontare quel lungo viaggio, perché ridava un po’ di senso alla sua vita e, questa volta, sperava non solo per una settimana o un mese. Per qualche ora poteva pensarsi un quasi scrittore ufficiale, che si recava ad un colloquio per pubblicare, forse, il suo libro. Poteva essere la svolta tanto sognata. Un qualche interesse dovevano pur averlo, per farlo andare fino là.

    T. era lontana da C., che giaceva spoglio a pochi chilometri dall’Adriatico. Si può dire che T. per lui non esistesse nemmeno. La immaginava vuota e bianca. Era l’idea che se ne era fatto fin da bambino sui libri di scuola e non era mai mutata. Ora però la città doveva esistere, perché qualcuno gli aveva venduto un biglietto per arrivarci. A meno che non fosse tutto un inganno, che si sarebbe concluso in una sperduta campagna nebbiosa. No, in quel freddo lunedì del ’57, qualcuno a T. lavorava e lo stava aspettando..

    Aveva preso due giorni di ferie dal lavoro ed era partito ad un ora infame. Un amico camionista del paese gli aveva dato un passaggio fino alla stazione di Farraginosa e da lì alle 5,05 aveva preso un treno che sarebbe arrivato a T. verso le 11,30.

    L’appuntamento era per le 15,15, ma lui voleva avere il tempo di trovare una pensione, rinfrescarsi e dormire un po’ prima dell’incontro, per non presentarsi stravolto al colloquio. Alla pensione avrebbe poi trascorso la notte, perché qualsiasi fosse stato l’esito dell’incontro, non aveva alcuna intenzione di passare la notte in treno.

    Erano le 10, si sentiva molto stanco, con la cartellina contenente lo scritto tra le mani guardava la campagna padana scorrere veloce.

    Pensò a suo figlio, Amore Benedetto, pianse e si addormentò.

    Al fine arrivò a T. e chiese a un taxista se conosceva lì vicino una pensione modesta. L'uomo era fortunatamente gentile e gli indicò la pensione Alla Stazione, in fondo a destra e poi sulla sinistra, dopo un centinaio di metri.

    La pensione non era indecente, la padrona era simpatica e la stanza pulita. Prese la stanza.

    Si rinfrescò, si fece la barba e si mise a riposare in penombra. Si era raccomandato che la Signora lo chiamasse per le 14 e 30.

    Giunta l'ora, si vestì con un cambio pulito e uscì. Tornò in stazione e prese un taxi per recarsi dall'Editore. Costava, ma non aveva intenzione di impazzire sui tram e arrivare stanco e sudato all'appuntamento.

    Il taxi si fermò davanti ad un palazzo elegante, appena lontano dalla Piazza Centrale di T.

    D ringraziò e pagò, nemmeno troppo. Era un autista onesto. Ormai solo la gente comune é Umana, pensò.

    Si avvicinò al portiere del palazzo. A quale piano si trovava la Casa Editrice G & Figli? Questi gli aprì le porte dell'ascensore e gli indicò il piano, Prema il quattro, ne.

    Arrivato che fu al piano, si accorse subito della targa in ottone con la scritta Casa Editrice etc, etc.

    Erano le 15 e 10, suonò e aspettò qualche secondo. La porta si aprì elettronicamente e la cosa lo impressionò. La aprì bussando e chiedendo permesso.

    Si accoòmodi, disse la segretaria con una voce atona.

    Lui entrò e si trovò in un ufficio o sala d'aspetto, piena di libri e di quadri di paesaggi. Su di un tappeto costoso mosse i suoi passi verso la donna seduta che batteva a macchina.

    Buongiorno sono..

    Salve, lei è l'appuntamento delle 15 e 15 immagino, signor?

    D. rispose con la gola già secca per l'emozione.

    Si accomodi, il Dottore la riceverà subito, e premette un pulsante per avvertire che Il signor D. è arrivato Dottore.

    Sentì una voce sghemba che rispondeva Faccia passare, faccia passare.

    La donna senza qualità, né bella, né brutta, né gentile, né sgarbata, si alzò e aprendo la porta dell'ufficio del Dottore, disse Pregoo.

    Lui entrò con la sua cartella tra le mani e la porta si chiuse immediatamente alle sue spalle, rudemente, tanto che si voltò di scatto, mentre udiva la voce del Dottore Prego, prego si accomodi caro, caro signor D. e alzandosi, gli porse la mano.

    Lui avanzò salutando per dare una bella stretta di mano, ma si trovò in mano una specie di pesce umido e freddino, che gli sgusciò via al primo contatto.

    Il terrore di aver davanti uno str..., attraversò D., verticalmente.

    Ma prego si accomodi, che piacere vederla. Don Franco mi ha parlato bene di lei e le bozze le ho trovate interessanti. Allora dov'è questo capolavoro?

    Leggermente infastidito dal quel tono paternalistico, D. estrasse dalla cartella il plico e glielo porse.

    Questi l'afferrò come se fosse suo, rapacemente, poi lesse il titolo a voce alta.

    Mi parli un po' del suo libro signor D. disse con tono impersonale, mentre era concentrato nell'accendersi una sigaretta.

    D. cominciò a parlare, ma dopo qualche secondo venne interrotto dalla voce metallica della segretaria. Il signor S. al telefono Dottoree

    Caspita, gli dica che lo chiamo tra cinque minuti, mi ero scordato di lui e gli porga le mie scuse

    A sentire quelle parole il futuro Scrittore si spezzò in due, annichilito, Ma come , pensò, Io vengo qui da F., prendo due giorni di ferie e tu str... mi stai dicendo che avrò solo qualche minuto di incontro!

    Stava dicendo?

    Le stavo descrivendo il lavoro, l'idea che mi ha ispirato a trattare un tema così...

    Bene, bene, bene. Il titolo mi piace e mi piacerebbe anche pubblicarlo

    D. sorrise.

    Ma, siamo sinceri signor D., oggi la gente vuole storie vere e la letteratura d'evasione non ha ...

    Alla parola evasione, D. che sapeva quanta dura Verità c'era nel suo sudato libro, scatto in piedi, strappò dalle mani dell'Editore il suo prezioso fascicolo e girandosi, lasciò la stanza senza salutare e sbattendo la porta. Fuori che fu sul pianerottolo, si precipitò giù per le scale e uscì dal palazzo.

    Quante illusioni stupide, quante parole stupide, quanti uomini stupidi e piangendo si recò alla pensione, dove, affranto, si gettò sul letto.

    L'Editore era rimasto di sale. Stava svalorizzando il libro per pagarlo poco e concedere il minimo dei diritti d'autore. Era la prassi. Il libro gli interessava molto, perché il tema era originale e l'amico don F, gli aveva detto che era un piccolo capolavoro.,Che stronzo!! Idiota! Dovevi lisciarlo un po', è un neofita, si aspettava qualche complimento. Idiota!

    D. tornò a casa il giorno dopo. Purtroppo cambiando treno a V, salì su di un Locale da dieci fermate, stracarico di pendolari. Dopo un estenuante viaggio, fatto di rumori, fumo, risate, scese quasi scappando dal mezzo di locomozione e si accorse di aver dimenticò la cartella sul portabagagli. Il treno era già partito.

    L'Editore cercò invano di ricontattarlo tramite il suo amico Don Franco.

    D. smise di sognare, ma gli rimase la Fantasia.

    Il libro fu notato da un Bigliettaio, che attratto dal titolo se lo portò a casa e cominciò a leggerlo. Il linguaggio semplice avvicinava anche i lettori meno avvezzi alla Letteratura e gli piacque. Da allora fu adottato, dalle Ferrovie dello Stato e pare sia girato molto di mano in mano tra colleghi, per molti anni, perché evidentemente era un bel libro e con una cifra comica, faceva ridere. Era il desiderio di ogni lettore, una compagnia divertente, ma anche in alcuni tratti profonda. Comunque semplice, come una Favola, con un Inizio e una Fine. Non era un libro Moderno che una volta finito, viene diviso in 10 parti, riassemblate in modo casuale per non farvi capire nulla e farvi smettere dopo dieci pagine,.... è la moda!

    Infine fu donato per il compleanno ad un Capostazione nel 2004, con naturalmente la libertà per ogni ferroviere di poterlo leggere, dopo regolare domanda. Fatto sta che un giorno, amando il viaggiare in treno, il Nostro era diretto al mare d'agosto in vacanza. Aveva il libro con sé. Se lo voleva godere sotto l'ombrellone.

    Con la Moglie e due figli di 6 e 8 anni che si facevano i dispetti, arrivò a Vallelavavetri scesero stanchi, ma soddisfatti. Usciti dalla Stazione presero un taxi. Il Capostazione aveva la sua valigia in braccio, perché dietro non ci stava. Buttò la mano nell'angolo del Libro e sentì che era vuoto. Cacciò un urlo ed ebbe un collasso, faceva caldino.

    Il Taxista si fermò all'ombra, appena poté.

    Lo scesero, lo sventolarono. La moglie era in ansia. Lui, appena riavutosi, come un pazzo interrogò moglie e figli sul libro

    Al che la moglie rispose, Ah quello! Iìììì! Che confusione per niente, chissà che mi credevo! Quello l'ho dato a Giggino che bisticciava con Giggetto!

    E Io?

    Dormivi! E poi che c'è? Oggi andiamo in libreria e te ne accatti un altro. Su montate bambini che è tutto apposto.

    Il Capostazione svenne di nuovo, giù come una pera.

    Quando si riebbe, cercò di elaborare la perdita col silenzio triste. Aveva perso il Libro dei lavoratori delle FFSS! Che figura di m.. Tacque.

    Passò tutte le vacanze, 21 giorni, in silenzio sotto l'ombrellone. Non fece mai il bagno, la Sua Passione preferita, e tornò a casa più pallido di quando era partito.

    Era depresso.

    Questo rese possibile il prossimo Capitolo.

    Il ritrovamento del libro e un chiarimento

    Dove il libro delle FFSS viene adottato da un viaggiatore

    Chi scrive non è l’autore del libro. Ho trovato il dattiloscritto in treno, mentre tornavo in Italia dopo un viaggio in Germania nel febbraio 2004. Una cartellina scolorita dal tempo, contenente circa trecento fogli scritti a macchina. Il tutto era in buono stato, a parte diverse macchie di grasso, peraltro strisciate via con cura. Mi colpì subito il titolo, intrigante e misterioso. Poi la data: Ottobre 1957, insieme affascinante ed inquietante. Avevo tra le mani una cosa scritta quando io stavo per nascere, conservata per tanto tempo e all’improvviso rispuntata fuori e abbandonata. L’Autore aveva un nome misterioso: D.

    Chi poteva averla scordata o lasciata sul treno, l’autore? Cinquant’anni dopo, mi sembrava improbabile, anche se non impossibile. Chi altri? Un parente? Forse un figlio o un nipote, aveva trovato lo scritto in soffitta e se lo era portato in treno per leggerlo. Ma come aveva fatto a dimenticare una cosa così importante, un libro forse scritto dal padre o dal nonno?

    La cosa più probabile era che la cantina o il solaio dell’autore fosse stato sgomberato e che qualcuno avesse notato e salvato dal macero il dattiloscritto. Poi che di mano in mano fosse arrivato sulla bancarella di un rigattiere, e infine venduto, forse per due soldi, a un cliente distratto, che lo aveva abbandonato sul treno per incuria.

    Iniziai a leggerlo e ne fui pian piano preso. Sembrava buono. Non poteva essere stato abbandonato, ma di certo smarrito e, dato che il viaggio era ancora lungo, continuai a leggere.

    I toni erano da un lato realistici, dall’altro umoristici e comunque disegnavano un’ipotesi della creazione del mondo che mi affascinò e stranì. Così straniato, arrivai alla stazione di F. senza accorgermene.

    Ero quasi a metà del libro.

    Arrivato a casa, stanco come ci si sente solo dopo un viaggio in treno, più o meno lungo che sia, mi lavai per togliermi la stanchezza e l’inevitabile odore pungente misto di fumo, di chiuso, di sudore e di sporco. Odore che il treno, corto o lungo che sia il viaggio, regala sempre al passeggero. Quasi un omaggio delle ferrovie, questo odore persistente e triste, quasi da esule.

    Una volta ripulito, mi buttai a letto.

    Il sonno venne subito (anche perché prendo diverse cose per provocarlo) ma mi ricordo che fu tormentato da uno di quei sogni che io chiamo circolari, un sogno che non si risolve mai e sembra un costante e infinito rimando a qualcosa di già sognato ed accaduto. Nel sogno dovevo lasciare il libro in treno, sicuro però che qualcuno l’avrebbe ritrovato e lasciato su un altro treno, dove io l’avrei sicuramente ritrovato intatto. Sembra complicato, ma nel sogno era tutto molto semplice.

    La mattina mi alzai, e poiché avevo preso qualche giorno di ferie dal lavoro, mi rimisi subito a leggere, mentre bevevo il caffè. Lascio al lettore il giudizio. A me è piaciuto, anche per una qual certa ironica sfrontatezza di cui era pervaso, e alla fine provai quella sensazione di dispiacere che ti assale quando finisci un buon libro e ti senti come abbandonato da un amico.

    Cercai invano di risalire al proprietario, nessun nome, indirizzo, nessun numero di telefono.

    Pensai dapprima di consegnarlo alla stazione ferroviaria, ma, riflettei. In un Paese in cui la stampa non è in crisi, perché vendutissimi sono i giornali scandalistici e il porno, un Paese dove una sola persona su dieci legge il quotidiano e pochi leggono libri e racconti, quante probabilità aveva quello scritto di essere effettivamente restituito al proprietario e quante di essere invece gettato nel cestino dal funzionario di servizio, una volta che io me ne fossi andato?

    Decisi che lo avrei tenuto e che avrei messo un annuncio con il mio recapito telefonico sui due o tre giornali italiani più diffusi.

    Nessuno rispose.

    Mi venne in mente che poteva già essere stato pubblicato e lo cercai in libreria, ma non esisteva nessun titolo del genere.

    Per un po’ non me ne occupai, il lavoro, gli impegni.

    Una sera a cena lo proposi alla lettura di un amico che conosceva alcuni personaggi nel campo editoriale. Dopo qualche giorno mi telefonò. Il libro era piaciuto anche a lui e mi consigliò di proporlo a diversi editori di M., di T. e di R..

    Mandai loro una sintetica bozza.

    Un paio di loro, sicuramente per non fare una brutta figura con il mio amico, mi risposero. Nelle due lettere, che sembravano una la copia dell’altra (forse esiste un modello di rifiuto editoriale standard uguale in tutta I.), si definiva cortesemente buono il materiale, ma non adatto ai loro Tipi editoriali, cordiali saluti etc..

    Mi sorprese invece l’editore di T., un mese fa, che addirittura mi chiamò per telefono. Si disse interessato, sembrò emozionato e abbottonato insieme. Ma si sentiva che aveva voglia di parlare di quello che poi capii era stato era stato un avvenimento che faceva parte della storia della famiglia. Quel che mi disse fu sconcertante. Del titolo del libro ne aveva sentito parlare da suo nonno, quando era bambino. Si ricordava che lo aveva colpito, e anche che il nonno era arrabbiato, perché il libro, di cui aveva letto solo un’interessante bozza, gli era stato consegnato e poi scippato nel giro di un minuto. L’autore, uno scrittore sconosciuto, aveva ottenuto un appuntamento ed era arrivato puntualissimo. Una volta ricevuto dall’editore, gli aveva porto il plico completo. Lo scrittore si era seduto e aveva iniziato a parlare del libro. Era quasi febbricitante, palesemente stanco, ma euforico all’idea della pubblicazione, sulla quale aveva evidentemente molte aspettative. Come tutti coloro che hanno il coltello dalla parte del manico, senza avere la minima cognizione di come usarlo, l’editore cominciò per interesse a comprimere gli spazi sognati dall’autore, affinché non avesse troppo a pretendere da un’eventuale pubblicazione. Per prima cosa disse che quello non era comunque un buon periodo per la letteratura d’evasione. Udita quest’ultima parola: evasione, per lui evidentemente offensiva, con un sol movimento l’uomo riprese il plico, balzò verso la porta e se la sbatte alle spalle, lasciando di sasso l’editore, che era molto interessato a leggere l’opera completa e si morse le labbra per la supponenza con cui si era rivolto all’uomo, che non rivide mai più. Ora che quel misterioso plico era tornato, si capiva che il nipote desiderava assolutamente incontrarmi di persona e voleva saperne di più. Definì interessante la descrizione del materiale e ne parlava come un collezionista parla di una figurina rara. Insistette affinché gli portassi la cartellina e le pagine originali e aggiunse che il Nonno per la rabbia aveva distrutto la vecchia bozza.

    Tra una settimana ci dobbiamo incontrare e lì saprò se questa storia sarà finalmente pubblicata, secondo me lo merita, ma sono talmente abituato a incontrare persone sbagliate nel posto giusto e viceversa, che non mi faccio illusioni.

    D’altronde l’eventuale delusione sarebbe mitigata dal fatto che io non ne sono l’autore.

    Comunque nel caso qualcuno stia leggendo queste righe vorrà dire che l’operazione è andata in porto, perciò gli auguro una buona lettura.

    Il Curatore dell'Opera, Antonio Maria Belloni

    Un chiarimento dell'Autore

    Il Dio descritto in questo Documento Apocrifo è Imperfetto, un po' imbranato e quando è arrabbiato dice spesso una parolaccia: cazzo, pur senza conoscerne il significato. Egli la usa per dimostrare disappunto, rabbia, sconcerto e gioia. Non ho voluto di proposito censurarla, perché non vi sono altre parole per esprimere una vera arrabbiatura. Caspita, cribbio o cavolo, farebbero perdere al testo immediatezza e verismo. Va inoltre tenuto presente che non si può censurare un Dio, specie quando Questi è Irato o Estremamente Contento. Sarebbe impossibile, perché limiterebbe la Sua Potenza e quindi la Sua Credibilità. Comunque ci proverò, almeno nelle situazioni non importanti. Vi è un'altra motivazione a sostegno di questa scelta verista: se ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, avrà preso anche qualcosa da noi. E non dimentichiamo in ultimo che Egli s’incarnerà come Uomo, e, ripetiamo, le parole della rabbia e della disperazione che usa l’Uomo non sono cribbio o caspiterina.

    Sarà usata anche da altri personaggi, sempre per gli stessi motivi "

    Comunque la parola cazzo è stata sdoganata per sempre da Prezzolini, enorme uomo di Letteratura del primo Novecento e oltre, che la pronunciò durante una trasmissione radiofonica della Rai negli anni '80.

    A beneficio dei moralisti riportiamo comunque dal Tempio Sacro della Lingua Italica quanto segue.

    Dalla Enciclopedia Treccani :

    cazzo s. m. [di etimo incerto], volg. –

    2. fig. È frequente in molte locuz. col sign. di cosa di nessuna importanza o di niente: non capire , non sapere , non importare , non contare , non combinare un c. ; anche come rafforzativo nelle domande: che c. dici? ; che c. fate? ; dove c. vai? ; in espressioni ironicamente affermative, sostituisce o rafforza la negazione: col c. che ci torno! ; manco per il c.! ; anche per sottolineare che si tratta di cosa o affermazione scontata o banale: grazie al c.! Testa di c. , persona sciocca, stupida. Per esprimere con forza mancanza di valore, di interesse, in espressioni del tipo: un libro del c. ; un film , un discorso , uno spettacolo del c. ; fatto a c ., fatto male, in modo disordinato e confuso. In queste e molte altre locuzioni , e anche come esclamazione. di meraviglia, impazienza, rabbia, ira, disappunto, è per eufemismo sostituito spesso da cavolo , caspita , capperi e simili .

    Proprio come si diceva sopra.

    Prologo - La Fine

    Dove si vede la fine di un ciclo

    Nemmeno mandare Suo Figlio era servito a qualcosa. Glielo avevano ucciso. Il Suo Tesoro Infinito, la Sua Ragione di vita, il bellissimo, stupendo regalo che la vita Gli aveva permesso di avere per Sé, la Cosa più preziosa che l’universo avesse mai ospitato, dato in pasto ai cani. Tradito, offeso, infangato, calunniato, deriso, dilaniato, derubato, umiliato, percosso, torturato, schernito e tormentato anche mentre stava morendo e Lui, questo Suo Figlio, non Lo aveva mai incontrato, né abbracciato. Ma cosa avevano al posto dell’Anima gli uomini? Romani e non romani, tutti i popoli. Cosa nutriva nelle loro piccole menti tutto quel Male senza pietà. Esteriormente non facevano trapelare negli atti nulla che potesse risultare malvagio, ma dentro erano infime zecche, che succhiavano e disprezzavano tutto ciò che di Buono si mostrava loro. Il potere dava loro alla testa, così come la povertà, la forza dava loro alla testa, così come la malattia. La Bontà faceva loro terrore, perché non conoscendola ne avevano orrore e la temevano come cosa sconosciuta e pericolosa. L’elemosina era accettabile, non il dono. Poche monete senza valore regolavano l’esistenza di chi le gettava e di chi le riceveva. Amavano di più essere angariati che carezzati, perché questa era la loro natura di bestie impaurite e incapaci di ricordare che da un gesto d’amore erano nati. Almeno i loro antenati! Era normale per loro vivere nella paura e nel sospetto, nella delazione e nell’intrigo, nell’invidia e nell’astio per l’altro, nel fare il male prima di riceverlo, perché questa era la condotta dell’uomo adulto, fingere di aderire a regole di convivenza, tenendo sempre il coltello nascosto e pronto per colpire alle spalle i deboli o chiunque, a parer loro, ne minacciasse l’angusta e meschina sopravvivenza. Nulla poteva nascere di buono, perché insensato, e la meschinità regnava sovrana, intimamente vissuta come la sola virtù, mentre la pietà era considerata il vizio più assurdo. Il Bene era cosa da neonati incoscienti. Già da bambini era insegnato loro a cancellare ogni altruismo dalla loro coscienza e a pensare che tutti fossero pronti a predarli. Il concetto di Bene era in loro totalmente aggrovigliato al loro nudo e cieco interesse, indistinguibile da quello del vantaggio per sé stessi, messo al servizio di una esistenza disumana e infima, priva di qualsiasi slancio di fraternità. Felici quando potevano consegnare un innocente, la sua famiglia e le sue cose ai potenti, traendone protezione, entusiasti quando i mediocri notabili chiedevano loro un favore, foss’anche intimidire un parente o derubare gli onesti, che con fatica avevano raggiunto un quieto benessere, senza mai dimenticare di aiutare i più deboli.

    Il Figlio capì subito, cosa temevano gli uomini. Essi temevano l’amore, l’altruismo, il lasciarsi follemente andare alla tanto desiderata, ma ritenuta impossibile, convivenza serena e generosa con gli Altri. Per questo raccomandò loro di farsi bimbi e donare ai poveri, avere pietà dei malati e dei deboli. Fare intravedere quella possibilità gli fece ottenere inizialmente molto successo, perché tanti erano i deboli, i malati, i poveri. Ma quando ci si accorse che quella utopia non era supportata dalla forza e dalla potenza di Dio, ma dipendeva invece da una loro scelta consapevole d’amore, la folla divenne folle di rabbia, si sentì presa in giro e lo consegnò alla morte, rimettendosi la coscienza in pace, a posto, con la pietra di sempre al posto del cuore.

    D era così depresso, anche per la fine delle Sue speranze e per il destino di tanti altri Suoi Figli sofferenti sulla terra, che si sdraiò sul grande letto nella sua stanza, quasi al buio. Piangeva come un bambino, come un padre, come una madre. Tutta la Sua fatica, nata dal desiderio di essere Padre, di far vivere in armonia tutti gli altri figli e nipoti che ebbe da A in poi, era stata vana. Voleva scomparire. Si aggiunga che non sapeva che il Figlio sarebbe tornato di lì a tre giorni. Non aveva previsto quella Fine, per il Suo Amato Figlio, aveva sperato che ce l’avrebbe fatta! E, per la legge della Relatività temporale, non poteva ricordarsi che sarebbe ritornato. E poi il ciclo depressivo era alla fine. Sì D era depresso cronico. Ora il dolore psichico al suo massimo, imponeva la sua forza e le sue regole. Il Dolore Assoluto esigeva l’oblio, il buio, l’incoscienza. Contemplava la Sua voglia di vivere, un tempo gigantesca e ora morta o agonizzante. L'Istinto di Morte volava alto. Prima di gettarsi nella pace di un lunghissimo sonno, comandò a Gabri, suo fedele angelo segretario e maggiordomo, di redigere un messaggio per Suo Figlio: Carissimo Mio Assoluto Bene, quando tornerai, mi troverai già dormiente, ma non ti spaventare, ho preparato un posto per Te. Anche se non me ne ricorderò, avrebbe dovuto aggiungere, ma non lo sapeva! Poi chiese di chiamare tutti i suoi Angeli a raduno per l’Ultimo discorso. Accorsero tutti, smarriti e disperati alla visione del loro amato D in quello stato. Era molto provato e di conseguenza usato e abusato.

    Davanti a Tutti, per la prima volta, prese le sue pastiglie per sprofondare nell’oblio del sonno e si asciugò alla meglio il volto inondato dal pianto con il lenzuolo. Si coprì fino alla fronte, come se volesse scomparire. Voleva dimenticare tutto, voleva che il Creato svanisse. Rimanere da solo, lui e il suo sonno. Gli angeli si strinsero intorno a Lui.

    Fiumi di lacrime solcavano il suo viso. Sembrava un pianto che non potesse avere fine. La barba, che da un po’ di tempo non era coltivata a dovere, sembrava allungarsi a vista d’occhio, umida e sporca. Colui che era sempre Stato, il Motore Primo della Vita e dell’Amore, sembrava ora un povero vecchio quasi ebete. Ma il leone che era in Lui manifestò ancora la Sua rabbia e la Sua voglia di agire. Spalancò le braccia e disse Solo adesso so che Voi siete state i miei Primi Figli. Mi avete aiutato a governare l’Umanità. Vi annuncio che scomparirò in un sonno che durerà quasi un eternità e vi porterò tutti con me. Il mondo sta finendo e tra due o tre mesi, due o tre mila anni per loro, finirà da solo. Non ho più voglia di vedere e di vivere continuò piangendo, Ho fallito.

    Spalancò le braccia, mentre il suo petto si fece di luce, e disse Entrate Figlioli mi farete compagnia nel lungo sonno Gli angeli , in empatia totale, carnale e spirituale, iniziarono a tornare da dove erano venuti. Tristi, ma felici che il loro Creatore non li volesse abbandonare e li avesse chiamati Figli, si fecero luce e volarono verso la Luce di D.

    Improvvisamente, quell’atmosfera struggente, lucente. eterea, sacrale, venne interrotta da un grido D, aspetta ti devo dire una cosa importante!

    D, che stava quasi perdendo la Sua individualità e corporalità, in quell’atto di Amore e Fusione, disse, con tono contrariato Chi sei? Cosa Vuoi?

    L’angelo, un po’ bassetto, disse Padre D, sono Pietro da Pozzuoli e ti devo dire una cosa che tutte le altre volte non sono mai riuscito dirti!

    " Quali altre volte? Che dici? Domandò D, mentre ormai quasi tutti gli angeli avevano varcato la soglia di Fusione con Lui.

    Devo dirti del Paradiso!

    Cosa?, rispose D, che per la vibrazione di tutta quell’energia che entrava in Lui, non aveva capito

    Del Paradiso che Ti sei dimenticato!

    Figliolo, non capisco. Me lo dirai quando ci sveglieremo. Vieni, che adesso chiudo bottega, disse mentre prendeva una dose di Antinsomnia mille volte maggiore del solito. Si sdraiò e prima di cadere nel Sonno, trovò la forza di dire Dai vola dentro, se no stai fuori.

    E Tuo Figlio? chiese Pietro da Pozzuoli.

    Entrerà in Me, come Tutto il resto, non preoccuparti di problemi molto più grandi di te Si sentì rispondere per l’ennesima volta, il Povere Santo, quasi rassegnato a non poter mai dire Chilla Cosa del Paradiso. Pietro da Pozzuoli sbottò C’ agge a fa. D cominciò a disilluminarsi, per fondersi nel buio della stanza e Pietro per la Prima volta alquanto alterato, si rifiutò di perdersi nella luce Divina. Restò fuori, conscio che per la prima volta aveva trovato la forza di tentare…, di fermare gli Ingranaggi Eterni. Ma chissò’ io? Sono uno che è stufo!!!, e da Fatàlist Napoliten, Buono come il pane e dolce come il latte di Mammà cercò di pensare ad una soluzione.

    Buona Notte, ragazzi disse D.

    Pietro da Pozzuoli fu illuminato da un'idea semplice e grandiosa. Avrebbe trovato un posto per il Figlio negli annessi dell’empireo, in modo che alla prossima Creazione i Due si sarebbero incontrati. E così fu.

    Il Figlio salì al cielo e si rivolse al Padre che ormai era incosciente, Perché non mi hai aspettato Padre?

    Incredibilmente Gli si parò davanti un Angioletto, Tuo Padre non ha retto al dolore della Tua Morte in Terra. Io però voglio che vi incontriate finalmente.

    Il Figlio spaesato e triste chiese, Come finalmente?

    Non ci pensare è 'na cosa assai complicata. Fidati e vieni con me

    Lo condusse fra le nuvole fino ad una teca che aveva preparato per Lui.

    Stenditi qui Figliolo e vedrai che quando sarà ora incontrerai Tuo Padre

    Ma come?

    Fidati, sono esperto del posto. Adesso accuccati qui e riposa

    F. era stremato e acconsentì a sdraiarsi nella teca. Subito si addormentò.

    Per evitare che qualcuno potesse aprire inavvertitamente la teca in un prossimo futuro, Pietro vi attaccò un'etichetta di avvertimento, poi stremato anche lui, se ne andò a dormire vicino al luogo che custodiva, il Paradiso.

    Cinquemila anni, mesi, secoli, giorni dopo, la terra morì, e con lei il senso dell’universo creato da D, così, sotto forma di un fascio di luce nanomuonoprotonicabosonica, in pochi secondi, tutto il Creato scomparve dentro di Lui.

    Rimaneva solo l’Empireo privè e alcuni suoi importanti annessi dove riposava il Figlio e Tanti Altri in luoghi mai esplorati da D.

    Quando il Creato implose in D, Egli ebbe un lieve sobbalzo, come quando si sogna di sbagliare un gradino e parte il piede.

    Poi si girò di lato e, finalmente, s’addormentò.

    Le lacrime di D continuarono ad uscire per qualche anno, millennio. Poi il pianto si fermò e lui, per un tempo quasi infinito, rimase lì, immobile. Se si toglie il fatto che ogni circa 100.000 anni si girava di lato, o si rannicchiava. E in quel sonno duro, pesante come era il Suo Dolore, piano, molto, molto piano, lentamente il Suo corpo si rilassò e cominciò a ringiovanire. Ma, piano, molto piano, impercettibilmente.

    Passano quatto miliardi e mezzo di anni

    Dove Uno dorme .

    Zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz…………………………………..

    Il sonno è un difetto? Per noi uomini no. Il sonno è il regalo che Dio ha fatto all'Uomo dopo lo scherzo di averlo creato sveglio.

    E per un Dio sarebbe un difetto dormire?

    Chi può dirlo? Forse no.

    PARTE II- Il mio Dio non è morto

    D e la solitudine

    Il risveglio di uno Sconosciuto

    Dove qualcuno si sveglia imbalsamato e smemorato

    La stanza in penombra, era spoglia, nuda, vuota, tutto sommato molto accogliente, per chi ama l’essenziale.

    I muri bianchi, intonacati di fresco e levigati alla maniera veneziana, erano puliti e odorosi di cocomero, fenomeno olfattivo che magicamente si produce all’imbiancamento dei muri, lindo era il pavimento, forse in marmo di Carrara.

    Ad un lato della stanza stava un grande letto, unico mobile, che occupava per metà lo spazio disponibile. Un comodino e uno specchio ad altezza piano americano completavano l’arredo.

    Il letto era occupato da qualcuno, senz’altro da un uomo, date le vibrazioni che il suo respiro provocava in quel luogo altrimenti silenzioso.

    Chi era quello sconosciuto?

    Si poteva decisamente pensare d’acchito alla stanza di uno scapolo votato alla causa della non convivenza o della non violenza, che in fondo sono la stessa cosa, ma così non era.

    In ogni caso, Colui che dormiva in quel letto non era interessato alle donne, e nemmeno agli uomini se è per questo, ma non fraintendete, non si interessava all’Umanità in generale.

    Era Solo e la mancanza di finestre, eccentrico particolare architettonico, poteva far pensare che abitasse una cella di isolamento. Solo alcune lunghe e strette aperture sul soffitto e una sottile tenda alla parete a cui il letto era accostato, lasciavano immaginare un possibile contatto con l’esterno.

    Chi era?

    Un Misantropo? Un Asceta? Un Eremita? Un Carcerato? Un Fuggiasco? Un Pazzo? Un Cretino? Un Rinnegato? Un Esiliato? Un Uomo Feroce e Sbandato e per questo rinchiuso?

    Aveva in sé potenzialmente una parte di tutte queste figure, ma era Qualcuno molto più complicato di qualsiasi essere ipotizzabile.

    Vi basti sapere per ora che semplicemente nella sua attuale Realtà uomini e donne non ve n’erano, né altre forme di vita.

    La sua massa possente e rumorosa emergeva dal letto, come un capodoglio emerge dal mare per sfiatare e respirare.

    Il letto era sfatto, distrutto evidentemente da un lungo girarsi e rigirarsi del suo ospite. Due cuscini erano a terra e se ne intravedeva un altro sotto il ventre. Le lenzuola avevano perso da tempo la loro funzione di copertura. Erano state divelte da sotto il materasso e il continuo voltarsi e rivoltarsi di quel corpo le aveva costrette ad avvolgerlo. Apparivano come grandi nastri di un pacco regalo a cui mancava soltanto l’ultimo nodo con i riccioli.

    Quelli che una volta erano leggeri teli di lino, col tempo si erano ormai mutati in velature, tese come corde dal sudore disseccato dell’ospite. Parevano destinate ad immobilizzare un prigioniero. Solo un ultimo lembo usciva morbido da quel groviglio, proprio da sotto il collo. Un altro paio di azzeccati rivoltamenti casuali e quell’ultima striscia di tela, scampata allo strazio, avrebbe terminato il confezionamento, strangolando o soffocando il dormiente.

    Da quel gomitolo allungato a forma di stoccafisso emergevano un mezzo braccio e un piede, ultime propaggini libere di muoversi, anche se restavano immobili in posizioni impossibili e vagamente ieratiche, che davano all’insieme qualcosa di surreale e ultraterreno, in palese offesa alle leggi della fisica. Il corpo era infatti bocconi, ma, alle estremità, era decisamente incurvato verso l’alto dalle oscure forze di torsione, trazione e tensione delle contratte velature, che davano a quella massa l’aspetto di una gondola. Il mezzo braccio era rivolto al cielo con la mano innaturalmente reclinata all’esterno e il piede era rivolto di lato, ma non toccava il materasso, poiché trattenuto in aria a circa quindici centimetri d’altezza dai legacci di lino. Era anche leggermente inquietante come posizione e aspetto esteriore, poiché era a metà tra una mummia mal legata e un bondage ben concepito.

    Durante il sonno è offerta all’Uomo una quantità di posizioni sufficienti ad accontentare tutti. Si può stare di fianco, distesi o rannicchiati, a pancia in su o viceversa, con le molteplici varianti dovute alla posa delle braccia e delle mani e infine quasi seduti sorretti da numerosi cuscini.

    Quella no, quella non era una Posizione, era una Provocazione.

    Faceva pensare ad una Deposizione mal riuscita, frettolosa, e perciò sarebbe stato più corretto definirla una Imposizione.

    Ma quello sconosciuto non era morto, quindi ritornava il problema di capire come poteva essersi ridotto a quel modo, e per essere ridotto, era ridotto.

    Spingendo la buona volontà oltre i limiti dell’umano sentire e capire, l’Insieme si avvicinava ad una Opera Pop o ad una Performance Artistica.

    Ma non era una Posizione.

    La scena era appena schiarita dalla luce discreta e flebile, dolce e materna, che filtrava dall’alto attraverso le sottili tende di garza bianca, poste a dividere quel luogo ascetico da un altro ambiente, un Fuori che si intuiva più grande, così che la stanza sembrava una sorta di modulo facente parte di uno spazio, dove forse il Nostro aveva un ruolo. Chissà, svolgeva lì un lavoro?

    Da alcuni segnali si capiva che il dormiente si stava svegliando e che finalmente avrebbe posto fine a quella provocatoria maniera di svolgere la funzione del sonno.

    Movimenti improvvisi e inconsulti delle parti libere, un balbettante verseggio, un misto di lamenti, sospiri e lalleggiamenti, indicavano che stava sognando. E pure selvaggiamente.

    Era in fase Rapid Eyes Movements, durante la quale gli occhi strabuzzano verso l’alto e roteano veloci intorno ad un Asse diverso da quello Naturale, e, come se fossimo Invasati e in realtà lo siamo, sogniamo e quindi entriamo in diretto contatto con il mondo del Nulla, dove Tutto è puro effetto di chimica chimera ottica in contatto con masse neuroniche sature di ricordi, che vengono sbattuti come uno zabaione. Parole giravano nella sua testa La luce accecante salirà oltre lo spazio e a terra tutto si farà buio e nero, poi il lampo piomberà giù da un’altitudine immensa. Tutto scomparirà alla luce bianca e io aspetterò sotto una pietra, abbacinato. Due lucertole mi morderanno per avvelenarmi, poi bisbiglieranno al mio orecchio cose incomprensibili

    Il Nulla con cui era in contatto è a volte più forte del Reale, per le menti sensibili. Un Mondo tanto impalpabile, quanto Vero, da cui riceviamo distorti consigli o moniti, che mai comprendiamo, e che spesso ci lasciano straniti.

    Una volta terminata la fase REM c’era da attendersi il ritorno alla veglia.

    Difatti, anche se dicono che non si inizia una frase con difatti, ad un incerto e contemporaneamente preciso momento il nostro si svegliò.

    Un difficile esame di realtà

    Dove il Tizio si libera a fatica e sente una Voce

    Non si può dire l’ora, perché il Tempo cominciò in quell’Istante.

    Il Nostro aprì gli occhi e l’impatto di quella luce quieta con le sue pupille avviò la Creazione, senza che egli si rendesse conto di Nulla, anche perché paradossalmente era proprio dal Nulla che era tornato, se ciò può avere un senso. Lui dormiente, esisteva il Nulla o non esisteva niente, tanto per dare un taglio a questi ragionamenti.

    In realtà avviò la Ricreazione, ma questo è prematuro.

    Possiamo presumere che fossero le nostre 10 del mattino, perché gli era sempre piaciuto molto dormire e crogiolarsi nel dormiveglia e non c’era niente di male ad alzarsi un po’ tardi, visto che nessuno gli faceva premura o almeno così ricordava, poiché viveva da solo.

    Si aggiunga che non aveva niente di importante da fare o almeno così credeva di non ricordare.

    Comunque dormendo non si fa del male a nessuno, anzi si fa del bene a sé stessi e agli altri. Una società con una buona qualità di sonno è più vivibile. Bisogna avere paura di chi si alza con piacere alle quattro del mattino, si reca alla messa delle 6, e poi inizia le sue collaborazioni organiche o inorganiche, con intenti predatori.

    Si alzava tardi perché era forse un uomo molto ricco, tanto da essere esentato dal francese travaglio? Bah!

    Gli sembrava di avere dormito per un’eternità. Si sentiva riposato, ma un po’ intontito, stranito, stonato. Con sguardo ebete esplorò l’ambiente circostante.

    Essendo legato e girato a bocconi, vide nell’ordine la punta del suo naso, un lembo di lenzuolo, un gomito, probabilmente suo, poi un muro e la luce. Può sembrare errata l’ultima affermazione e cioè che vide la luce. È infatti noto che è la luce che ci permette di vedere, ma, vi chiediamo; quando si esce dal sonno, non è forse anche la luce una cosa che si vede? In ogni caso da Einstain in poi sappiamo che la luce è materia corpuscolare, quindi chiudiamola qui.

    Torniamo alla narrazione. In realtà fu la Luce che venne a Lui.

    Si può dire, inoltre, dato che pareva aver dormito moooooooooolto, che venne alla luce.

    Sul subito non capì dov’era ed ebbe anche qualche latente disturbo nel mettere a fuoco il suo Io, insomma a ricordare chi era.

    Ma a questi piccoli particolari diede poca importanza. Sentiva di sapere chi era e dov’era, solo che non ricordava bene.

    Il ragionamento per lui funzionava e poi era stranito.

    Ad ogni modo non connetteva e non capiva cosa vedeva. Sapeva ma non capiva.

    Comunque, quando provò a muoversi, capì che il vero stringente problema era quello di liberarsi dai legacci che lo tenevano imbalsamato.

    Cominciò con lievi oscillamenti della massa allo scopo di girarsi di fianco. Purtroppo il primo tentativo lo fece assestare sul fianco sbagliato, così, come previsto, si ritrovo con l’ultimo lembo di lenzuolo in bocca e dovette sbuffare più volte per liberare il cavo orale. Il piede ora poggiava sul letto e annaspava insieme alla mano per ritornare alla posizione del risveglio. Fu uno sforzo senza precedenti, anche perché era la prima volta che la fisica aveva permesso di creare una simile postura.

    Dopo un immane sforzo riuscì a prendere lo slancio per ritornare in posizione gondoliera, ma la depressione che aveva creato al suo fianco lo richiamò a sé e si ritrovo di nuovo con il lenzuolo in bocca, chiedendosi come era possibile che in una notte avesse potuto prodursi quel prodigio maledetto. Sentiva il corpo smanioso di muoversi, di fare e disfare e non poteva fare altro che subire il prurito che d’un tratto cominciò a insinuarsi su tutte le parti del suo corpo, o opera d’arte Pop. Cominciò ad agitarsi in preda al tormento di quel prurito onnipresente. Si inarcava, si piegava. Infine rotolò dal lato giusto, finendo però per cadere dal letto. Sul pavimento la lotta si fece cruenta, sembrava un’anguilla che, disseccata per essere rimasta fuori dall’acqua troppo a lungo e invischiata nel suo liquido umorale ormai quasi rappreso, cercasse disperatamente di riguadagnare l’acqua.

    Alla fine le lenzuola cominciarono a lascheggiare e il Nostro guadagnò piano, ma sempre di più, una qual certa libertà di movimento. Dopo l’ennesimo rotolio senti che il braccio nascosto poteva essere estratto dal gomitolo di lino che lo teneva prigioniero. Sudava come un maiale che si dibatte per non essere macellato o come un impiegato alienato in un ufficio esposto al sole d’agosto senza aria condizionata. La possibilità di liberare il braccio lo esaltò e aumentò il ritmo e la forza delle ondulazioni e delle contrazioni. Il sudore stava ammorbidendo la lenzuola. Infuriato, cominciò a cercare di muovere avanti e indietro le gambe: sembrava una crisalide con un contenuto eccessivo.

    Dopo sei ore riuscì a liberare entrambe le braccia e si tolse rabbiosamente le bende che ancora gli cingevano il busto e le gambe, strappando quelle che non volevano saperne di snodarsi. Era forte, dunque. Liberato il corpo da quell’intricato nodo Gordiano, era euforico, si tolse il camicione da notte, quasi incollato al corpo, e, nudo e piangente per la felicità, cominciò a grattarsi ovunque, con una foga tale che si procurò non pochi e profondi graffi sulla schiena, sul naso, sulle braccia, insomma dappertutto.

    Esanime e sanguinante, ma estremamente soddisfatto per la fine del prurito, si sdraiò sul pavimento e giacque semi svenuto in una pozza di sangue, stracci, sudore e lacrime. Rimase così per un mese.

    Ricordo un cielo nero che mi seguiva ovunque. Io volavo da un monte all’altro. Non potevo andare giù, sarei affogato. Non potevo andare su, sarei rimasto fulminato.

    Quella voce lo inquietò. Da dove veniva? In quello stato di semi trance, il Nostro sentì pronunciare altre parole irose e insieme strambe: Ed Egli scagliò la sua folgore contro i nemici del suo popolo, e tale fu lo spaventò nelle loro fila che invocarono urlando i loro Dei. E fu cosi che seminarono sventura nelle truppe di Egli e ne provocarono il pianto e le grida. Fu allora che all’unisono i due Re in lotta si rivolsero ai loro Dei, affinché si togliessero di mezzo, stracciandosi le vesti e calpestando le loro corone. Poi ripresero a darsele senza tregua e di Santa Ragione.

    Quando si risvegliò, ripulì il corpo dolorante con i resti delle lenzuola, che si trovò vicino, si alzò e cercò uno specchio.

    Era irriconoscibile e si aggiunga che quelle parole urlate dalla Voce lo avevano rintronato. Osservò le pieghe del lino sul volto, le piaghe dei graffi, i capelli intorcinati. Il tutto lo faceva sembrare un bruto.

    Se ne dispiacque, perché si ricordava che era sempre stato di bell’aspetto, ma non se ne fece un cruccio, anche perché la luce nella stanza era molto scarsa, così decise di rimandare a momenti più luminosi una verifica estetica accurata.

    Stramazzò sul letto, dove rimase nel dormiveglia per quasi un anno.

    Un sole sorge già rovente, io striscio fra la polvere, ancora gelato dall’aria notturna. Tengo la faccia giù, temo quel lucore, poi lo guardo. Il dolore di due frecce negli occhi mi stravolge. Svengo. Mi alzo e sono cieco. Ora so quando c’è luce calda e so quando c’è ombra fredda, ma non serve a molto

    Tali parole avevano a che fare con il suo passato? Ricordava vagamente il loro suono, ma niente altro.

    Ogni tanto si svegliava e guardava la pozza di sangue e lacrime. Ancora non capiva dov’era e …non sapeva chi era, adesso proprio non lo sapeva e poi il senso e lo stridio delle oniriche parole non lo mettevano certo di buon umore.

    Aveva la luna di traverso o meglio aveva la luna vuota. Vuota come l’interno della sua testa, priva del ben che minimo pensiero. Vuota come un cuore senza amore. Solo quei suoni dei sogni scaturivano ogni tanto, come un pesce che balza fuori all’improvviso dalla superficie piatta e immobile di un lago d'agosto.

    La scoperta di sé

    Dove si scopre la bellezza paurosa delle allucinazioni e della Paranoia

    Passato che fu l’anno, si svegliò e udì ancora la fastidiosa e raggelante voce Circolare, circolare, non c’è niente da vedere, è solo il re carogna che va a comprare i suoi grissini!. Inebetito e spaventato gridò, Hai cotto il razzo!!, gli venne così (Roberto Freak Antoni, Voce e Paroliere degli Skiantos, Bologna, anni 1976/2014), poi fu spinto compulsivamente verso lo specchio. Era l’Istinto di Sopravvivenza, dato che aveva sognato il Vuoto e la sua faccia piatta che si girava nel nulla, senza poter vedere o percepire che il buio. Sperava di vedere il suo viso e di capire qualcosa di quell'idiota vivere! Sbatté contro la superficie vetrosa, ma non si riconobbe in quel tipo che stava nello specchio: chi era lo Sconosciuto che lo fissava con uno sguardo tra l’ebete e il malizioso, con in più delle croste di sangue annerito dalla fronte al mento, passando per il naso. Provò un po’ di paura e si allontanò di un passo. Anche Lui si allontanò e aveva lo sguardo allarmato, come il suo. Alfine si tolse da quell'ingrato specchio che non voleva dargli un'Identità. Poi cercò di pensare razionalmente e concluse che era confuso: tutto quel dormire e quelle parole strane, lo avevano sfasato. Allora si sedette sulla sponda del letto e cercò di riflettere, ma non nello specchio. Si passò una mano sul volto e fra i capelli e si mise a fissare a lungo il pavimento. Molto a lungo.

    Lo fissò per tre giorni, immobile, lo sguardo inespressivo, senza sentire né fame, né sete, e per fortuna nemmeno voci.

    Nel mentre affrontò le croste di sangue sul viso e sul corpo, staccandole lentamente.

    Non era emozionante, ma se non altro era un’attività reale, che lo placò.

    Ora lo spettacolo del groviglio di stracci e sangue rappreso era interessante, poi c’erano quelle meravigliose righe dei blocchi che formavano il pavimento, asimmetriche, irregolari. Si sentiva come loro, in disordine, ma un disordine quieto, senza fretta di riassestarsi. Tempo, aveva bisogno di tempo e tutto si sarebbe spiegato, magari in due o tre giorni o anni, ma alla fine tutto si sarebbe chiarito: chi era, dov’era. Col tempo. Era già Buona così.

    Così rasserenato si lasciò andare sul letto e riposò un paio d’anni. Era evidente che il suo ipotalamo non funzionava a dovere: il segnale di sveglia si perdeva a metà strada. Il suo ippocampo nel frattempo era adibito a campo da golf e latitava. A pensarci bene poi talamo vuol dire letto nuziale o alcova, e Lui con il letto c’andava veramente a nozze.

    Un giorno rivedo la luce, ma solo per pochi istanti, giusto per capire l’immensità del lavoro da fare

    Che volesse significare quella Voce interiore e quanto lo avesse scassato, nessuno poteva dirlo. Eh basta!, urlò nel sonno.

    Passati due anni a riposare bene, il Nostro si svegliò. A destarlo fu un barbaglìo di luce, che ormai da due mesi si posava sulle sue palpebre.

    La luce filtrava dalle tende di garza a fianco

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