L'uomo d'Assisi
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L'uomo d'Assisi - Lorenzo Gualino
Ordine delle Trattazioni
La costituzione dell'Uomo
La follia dell'Apostolo
La neurosi del Mistico
La cecità del Veggente
La morte del Santo
L'uomo d'Assisi
Lorenzo Gualino
Prima edizione digitale 2017 a cura di David De Angelis
La costituzione dell'Uomo
Strascinava ormai già le ultime tappe della sua corsa terrena quando, arrendendosi al pietoso consiglio d'un devoto fratello, Francesco d'Assisi desisteva alfine dallo straziare quell'esausta sua carne che per tutta una vita aveva accolto benigna le aspre percosse e de mortificanti invettive, che per un'intera esistenza s'era sottomessa docile all'imperiose aspirazioni di un'anima insaziata. Ed ancor presso alla morte, in atto d'estrema umiltà, Francesco il penitente s'emendava delle sevizie inferte al suo misero corpo, al pigro giumento
tuttora dolorante per le trafitture d'uno sprone acuto, all'indocile, asinello
tuttora piagato dai colpi d'un sanguinoso flagello.
Eppur la mansueta dolcezza dell'apostolo umbro, in sul dettare ai seguaci una regola di vita, rifuggiva dall'austero rigore onde Benedetto aveva informato i suoi statuti, Colombano le sue costituzioni e Domenico i suoi comandamenti: e se le anteriori abitudini monastiche proscrivevano per sempre ogni sorta di variate carni dalle cibarie rituali, fedele allo spirito dell'evangelio, Francesco per contro accoglieva quanto di donar giudicava l'elemosiniera provvidenza: e se le antiche regole claustrali contemplavano categoriche pene del corpo in riscatto di precisate colpe dell'anima, inspirato all'affetto del padre Francesco invece escludeva ogni materiale travaglio ch'indebolendo le umane membra distogliesse i religiosi dal lieto lavoro o dalla vegliante preghiera per gettarli nel torpore dell'accidia o nella malizia della mormorazione.
Così quando fra la rumorosa folla d'una radunata universale in Santa Maria degli Angeli conobbe Francesco le eccessive penitenze di quei primi compagni e lor ne rivolse pacata ammonizione, caddero molteplici i cerchi ferrigni e le corazze pontate ed i cilizii nodosi e sol le rozze tonache permasero a celare le pelli tormentate. Così quando nel romitico silenzio d'uno smantellato tugurio in Rivo Torto intese Francesco echeggiar nella notte il gemito lagrimoso d'un frate affamato, a lui pronto arrecò i pochi radicchi sopravanzati alla scarsa cena, ne gustò egli stesso per distogliere ogni rossore di vergogna dal volto del sofferente ed alla breve agape dette termine con una lunga parabola in laude della discreta moderazione.
Ma in tutto ciò appunto, e soltanto in tutto ciò, non seppe Francesco armonizzare l'atto con la parola, sia ch'ei ritenesse di fornir per tal modo agli altri il modello più appariscente d'una non così perfetta imitazione, sia che fra gli altri ei stimasse di ritener sè stesso il peccatore più degno d'un non men grave castigo. E se a dormir non restava tutto ritto o mezzo seduto, in sulla nuda terra rinveniva l'abituale giaciglio, senz'altro lenzuolo e senz'altro coltrone fuor del saio e del cilicio, senz'altra difesa al rigor dei geli od all'impeto dei venti fuor della caldura del cuore sfavillante d'amore divino. E gli eran guanciali i sassi, le travi, le pagliacce, i sacchi ravvoltolati, e nel morbidore d'un piumoso cuscino risentiva l'insidia d'un demone perverso che gli turbava il capo, gli piegava le ginocchia, gli scuoteva tutta la persona vietandogli il sonno e l'orazione.
Nè di tanta inflessibile severità si risparmiava l'indebolito stomaco, che non soltanto Francesco riduceva al minimo la quantità dei propri alimenti, non soltanto evitava di proposito la cottura ai propri cibi, non soltanto ignorava del tutto l'uso degli stimolanti vini, ma ancor non concedeva l'innocente refrigerio dell'acqua chiara al feroce tormento dell'accasciante arsura, ma ancor insipidiva le malgustose vivande sovr'esse cospargendo in copiose dosi la casta cenere, ma ancor dimenticava di rendersi al frugai desco quando più che la fame del pane imperava in lui l'avidità della contemplazione.
A siffatto tenor ordinario di sostentamento giungevano pur frequenti ad interpolarsi le assolute astinenze, i prolungati digiuni, le scrupolose quaresime: e di queste, già in sui primi tempi della conversione sua, una ne trascorse Francesco entro le muscose boscaglie d'un'isola deserta fra l'azzurro silenzio del lago Trasimeno, per quaranta interi giorni e per quaranta lunghe nottate altro non ingollando fuor d'un mezzo panetto, per satollarsi invece nell'estasi diuturna dei celestiali pensieri.
Molt'anni decorsero, e giù nel paese dei dollari a designar simili intenti quali tragici ciarlatanesimi
sorse il pontefice massimo del novissimo pragmatismo nella sua incapacità di decifrare l'interesse pratico o l'utilitario risultato d'una spirituale esaltazione. Eppure i suoi prediletti colleghi in scienza ufficiale, storici, etnografi, psichiatri, stavan là tutti, per insegnare al filosofo che il digiuno costituisce pur sempre la chiave di volta dell'intero edilizio mistico, che la prolungata astinenza basta da sola ad esaltare i sentimenti religiosi, ad indurre i sogni profetici, a sviluppare le visioni rivelatrici, a trasportar l'adoratore indiano nel temuto cospetto del venerato Siva, ad invasar la pitonessa delfica dei desiati responsi del salutifero Apollo, ad ergere il profeta Mosè verso l'imperituro conoscimento della legge divina. Tanto potevan suggerire i retribuiti professori ,delle americane istituzioni, sorvolando naturalmente sulle constatazioni obbiettive effettuate dai fisiologi sperimentali nei digiunatori volontari, dal Senator nel Ceni, dal Pettenkofer nel Tanner, dal Luciani nel Succi, senza che mai si giungesse a registrare in quei soggetti l'insorgenza d'un disturbo sensoriale, d'un'anomalia onirica, d'un avviamento alla devozione.
Ma il mite Assisiate poteva a sua volta umilmente osservare che, come la carne è fonte d'ogni male spiacente a Dio, così la lotta contro gli appetiti corporei vien gradita al Signore; che solo il dolore, solo il patimento, solo il sacrifizio possono dimostrare l'intimo eroismo, la costante purificazione, l'amore eterno; che se Gesù tanto sofferse per noi, per Lui pure dobbiamo noi soffrire, onde avvicinarlo, comprenderlo, rassomigliarlo. Ed a questi precetti di secolar credenza balzanti d'ogni pagina dell'istoria cristiana, nella sua pratica esperienza ancor poteva Francesco aggiungere come nell'austera privazione del nutrimento risiede l'antidoto prezioso della concupiscenza, come contro agli allettamenti erotici già trovavano efficace presidio Battista il precursore pasteggiando a locuste e carubbe, Girolamo di Strivone pascendosi d'orzo e di fave, Gregorio