Merlo's place
By Simona Merlo
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Book preview
Merlo's place - Simona Merlo
@MerloSimona
Ironia
AAA anonimi lavoratori
Eravamo un cerchio, né più né meno, una forma geometrica perfetta, bellissimi e preoccupati di dover rivelare i nostri rispettivi segreti, le nostre debolezze. Ci guardavamo furtivi. I nostri sguardi dissimulavano ansie e timori ma tutti, in realtà, pregavamo ci fosse un volontario, un secchione, un kamikaze ad aprire le danze. Invece, come succedeva sempre all’Università, le speranze si concentravano su di me e deboli sorrisi, forniti tuttavia di una forza attrattiva bestiale, finivano per convincermi a parlare per primo che tanto, prima o poi, sarebbe toccato anche a me, e allora mi decidevo a regalare minuti di speranza lottando contro la mia paura più atavica: di fare, cioè, una gran figura di merda. Mi alzai con fare tranquillo, tanto sono di passaggio - mi ripetevo fingendo una certa noncuranza – ed iniziai quello che poi si rivelò il discorso della giornata.
Mi chiamo Pino, ho 54 anni e ho un problema: sono un lavoratore. Probabilmente come tanti di voi ho cercato di smettere in mille modi ma c’è questo virus dentro di me che non riesco proprio a debellare. Ci provo, ci provo ogni giorno. In effetti ho ricevuto anche dei segnali forti che ho volutamente ignorato. Ad esempio, dopo aver conseguito la laurea in Geologia non c’era verso di trovare un lavoro attinente al mio profilo. Così ho fatto di tutto. Mio padre, in tempi non sospetti, mi aveva avvertito: ‘Finirai per non sapere più chi sei’. E non lo diceva perché rinunciavo ad un’unica scelta professionale, ma perché veniva da tradizioni forti e radicate: come suo padre, e prima di lui suo nonno, aveva lavorato nella sua vita solo quindici giorni ogni anno. Ne andava molto fiero. ‘Poi diventa una brutta abitudine, sottolineava, e non hai più tempo per ciò che ami’. Nello specifico, le donne di tutti i suoi amici nati nel ’37. Infatti credo proprio di non essere figlio unico. Così ho fatto il lavapiatti, il cameriere, i sondaggi porta a porta, il tecnico, il geometra, il disegnatore di mobili da ufficio, il geologo. Scusate le lacrime, ma essere qui con voi mi fa capire quanto io abbia sbagliato e quanto sia radicato ancora in me questo problema. Forse sono in tempo ma ho bisogno di aiuto
.
Un applauso risuonò nella sala. Notai gli occhi lucidi dei più anziani, di chi trovava nella mia storia uno specchio per la propria singolare dipendenza; guardai disperato la ragazza che gestiva il gruppo: avevo bisogno di aiuto. Lei capì al volo, sorrise e prese la parola: Grazie Pino, sei stato coraggioso ma non preoccuparti: troverai anche tu la tua strada. I rimedi validi esistono; anche lo Stato lo ha capito e ci sta aiutando a fornire risposte concrete a vizi divenuti oramai routine, prassi quotidiana. Chi di voi, nel ramo privato, ha finalmente perso il lavoro grazie all’aumento delle tasse? Quanti, in settori pubblici o compartecipati, sono stati messi in cassa integrazione? La luce si intravede. Mi si potrebbe accusare di essere un’eletta – in effetti non ho mai lavorato – o muovere delle critiche sul tempo che trascorro con voi, che vi dedico. Ma una soluzione c’è sempre: si tratta di volontariato; non percepisco stipendio, non viene considerato lavoro, non ho orari, non ho possibilità di crescita professionale, non ho certezze, non posso pianificare il futuro. In sintesi sono libera e, un giorno, potrete esserlo anche voi
.
Parole che riaccesero gli animi. La speranza ritornò sui volti di chi, ancora dentro al cerchio, aveva bisogno adesso di raccontarsi. Una sull’altra si accavallarono voci sempre più fragorose. L’entusiasmo aveva sostituito la vergogna per una vita caratterizzata da scelte lontane dall’etica e, in fondo, dalla felicità. Il logorio del lavoro ci aveva imprigionati tutti quanti in un mondo vincolato da regole assurde facendoci credere di avere bisogno di far qualcosa per essere considerati utili, degni di vivere, uomini. Alla fine tutto torna, e comprendere quanto sia facile cedere alle tentazioni è un primo passo verso l’emancipazione, verso il riscatto da un vizio capitale. Il riempimento dell’anima non è subordinato all’impegno, al confronto, allo studio; per quello bastano le macchinette da gioco, l’alcol, la violenza nello sport, il fumo, lo sballo di gruppo. Aprimmo una decina di bottiglie di Prosecco; il primo scoglio era stato raggiunto e superato: dovevamo festeggiare. Addio a telefonate di lavoro, e-mail da controllare, appuntamenti sempre più ravvicinati. Addio elementi viziosi di un potere apparente. L’euforia sostituì la paura, un mondo surreale cancellò ogni dubbio.
Le tre sardine
Sotto il sole di una limpida giornata invernale, respirando aria fredda, ci colse una voglia improvvisa, un piccolo peccato da usare contro i no
del mondo. Paure e dubbi dovevano pur essere contrastati in qualche modo. Tra le vie di Lisbona, bellissima e decadente come una vecchia signora di nobili retaggi, cercavamo un angolo tutto nostro da cui osservare similitudini e diversità, rubando dai volti della gente quelle sfumature espressive che solo la dimensione del dolce far niente
ti permette di cogliere.
Con calma, osservando dapprima i colori di una piazza gremita di gente, cercando un luogo che fosse innanzitutto punto di incontro di chi la città la conosce perché sua, seguimmo i raggi del sole il cui calore, filtrato da alte fronde di sempreverdi, scelse per noi un piccolo tavolo di un bar al centro del mercato del sabato.
- Quanta roba fritta! Moriremo.
- Ne sono certa, ma almeno con soddisfazione: non credi?
- Secondo me, no! Lontane da fonti di stress riusciremo a digerire persino le pietre! Ci sono tutte quelle magiche teorie di ascolto del proprio corpo: non possiamo ignorare i messaggi che riceviamo. Se mangi qualcosa con desiderio, diceva mio nonno, non ti farà male.
- Raccontalo ai celiaci.
- Lo so: è un finto alibi.
- Sapessi in passato con quanta forza ho desiderato alcune cose.
- E?
- Non c’è un e
, c’è un anche
.
- Sibillina. Devo ordinare un giro doppio di Ginjinha per riuscire a capirti.
- Mi hanno distrutto anche
lo stomaco. La pancia racchiude tanti segreti. Poi pancia e schiena sono collegate e addio benessere. Puoi anche mangiare foglie di rose, sorridere e far finta di essere abbastanza forte - per dimostrare che cosa non l’ho mai ben capito – però ti resta qualcosa proprio qui, al centro, in mezzo al costato come se avessi mangiato bacalhau à Braz all’una di notte.
- Ti sei mai chiesta come mai l’amore, in qualche modo, ha sempre a che fare col cibo?
- Adesso sei tu quella criptica. Mentre semplifichi i tuoi pensieri, visto che siamo in vacanza e non voglio usare troppi neuroni, vado a ordinare. Preferenze?
- No, piuttosto suggerimenti?
- Ti sorprenderò.
- D’accordo: intanto caffè e due digestivi a carattere preventivo.
La bellezza del sole, la confusione per la Feira da Ladra, la luce riflessa sul Panteão Nacional, il Campo de Santa Clara, richiamo e intreccio di oggetti e persone, per un po’ erano soltanto sfondo. I pensieri non definiti, non detti, liberati tra le nuvole di un cielo solo in apparenza differente, divennero così leggeri da andare via, lontano, lasciando quel senso di pace che si scopre solo in viaggio e che riempie di speranza un domani altrimenti vuoto come l’oggi.
- Eccomi, Quiejadinhas e Pastéis de nata: sorprese per il palato.
- Come si pronunciano? Forse riesco a dire correttamente Pastéis. Ho rinunciato da tempo alla parola Ginjinha; per me è ginger e non se ne parli più.
- Cosa mi dicevi sul rapporto tra l’amore ed il cibo? Mentre mangio sono pronta ad ascoltare qualsiasi banalità.
- In effetti potrei aver scoperto l’acqua calda. È una riflessione sulle molteplici sfaccettature dell’influenza che il cibo ha sull’amore e viceversa. Quando ti interessa qualcuno e magari ci vai a cena, riesci a mangiare?
- Dipende: se mi sento a mio agio, quanto mi piace, se ho lo stomaco chiuso dall’emozione, se ho proprio fame. Perché?
- Perché ci sono teorie opposte a riguardo: una sostiene che chi è innamorato mangia di più perché sta bene e si sente appagato e rilassato; l’altra, invece, che se sei davvero coinvolto da quella persona non pensi affatto al cibo e potresti andare avanti per mesi ingurgitando soltanto aria e smog. Quindi i sentimenti influenzano quanto e cosa mangi e questa, dirai tu, mi sembra una bella ovvietà.
- In effetti Margherita non è che i tuoi ragionamenti siano così illuminati.
- Si, forse hai ragione. Però è divertente. Pensa ad esempio al legame cibo-sesso.
- Ci penso, eccome, a casa ho un elenco semi-infinito di spezie afrodisiache e cibi ad hoc per le occasioni particolari. A volte però rimangono chiusi oltre i limiti di scadenza.
- Le occasioni?
- Stupida! Più del legame col sesso, non ti sei mai chiesta quanto forte sia il filo che lega i genitori ai figli tramite il cibo?
- Sì, anche. Ma ciò che mi incuriosisce riguarda le reazioni di noi essere umani. A volte sono davvero le stesse in tutto il mondo a discapito di differenze storico-culturali, religiose e sociali. Altro che distruzione di massa, armi