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La conta degli ostinati
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La conta degli ostinati

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About this ebook

Diciotto racconti per costituire un quadro di variegata umanità, con l’ostinazione come comune denominatore. I personaggi raccontati sono come asini, animali testardi, empatici, divertenti, folli, intelligenti, indipendenti, irregolari. Ma soprattutto, inseguono chimere con la catastrofe come traguardo, però con una forza vitale e anti-conformista da sfiorare quasi l’anacronismo. L’opera si volge spesso a un passato indefinito, ma senza nessuna nostalgia. Anzi, sembra che quel passato sia vivo e lotti ora insieme a noi con il suo corredo di umane debolezze e forze.
Si parla d’amore e di morte, con tutte le declinazioni che la vita rappresenta, dal calcio alla diversità, passando per campagne strampalate, piazze innevate, viaggi impossibili, progetti picareschi e avventure improgrammate. L’amore è quasi sempre contrastato e incompreso, la morte tragica o ridicola, i lavori saltuari, la fiducia del mondo incrinata ma mai vinta.
La scelta dei nomi che si susseguono sono desueti, come lo sono certi comportamenti dei protagonisti. Alcuni di loro esprimono emozioni e progetti con entusiasmo, altri sono meno estroversi, altri ancora incapaci di comunicare. Comunque, tutti si pongono in quella zona d’ombra che il luccicare della moda non riesce a raggiungere e nella quale loro fanno e disfano la loro vita con malinconica allegria.
Lo stile di scrittura concede molto alla parlata dialettale, il che rende lo scorrere delle trame molto vicino al cuore. I ragionamenti che i protagonisti espongono qua e là sono zoppicanti, nell’essere espressi, e molto spesso si intuisce che il solo metodo è andare avanti a casaccio, per il puro gusto di inseguire un sentimento, una passione, un’idea. Amicizie perdute, ritrovate, dichiarazioni avventate, azioni scombinate, follia latente. Gli ostinati della conta sono soprattutto libertari, questo li accomuna e fa dei racconti stessi un romanzo corale.

LanguageItaliano
Release dateJul 21, 2017
ISBN9788897308768
La conta degli ostinati
Author

Giorgio Genetelli

Il Genetelli è nato nel 1960 e l’hanno chiamato Giorgio, forse perché c’era tanta campagna. Prima di diventare scrittore ha mangiato la polvere, della strada e del legno: la strada perché gli è piaciuto stare in giro fin da piccolo; il legno perché ha dato nuova forma agli alberi come falegname.In un momento di vuoto, un po’ voluto e un po’ subìto, riprende in grembo un computer, cosa che non faceva da cinque o sei anni. Nella soffitta della sua casa di allora, a Moghegno, scrive Il becaària, il suo primo romanzo. Lo pubblica grazie a Franco Lafranca, che lo inserisce nella sua ANAedizioni.Il rapporto con il suo paese natale è fortissimo, anche se non ci va quasi mai e quando ci va si autodelude nel non ritrovare cose e fatti che invece crede siano ancora lì, piantati come i platani in piazza.Il suo lavoro di scrittore diventa quotidiano e sterminato, ma i prodotti sono soprattutto racconti brevissimi.

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    Book preview

    La conta degli ostinati - Giorgio Genetelli

    Per un bacio

    Posso dire che c’ero quando il platano cascò. Non un fulmine e nemmeno un castigo: venne giù per debolezza e attesa, e tutte le questioni finirono. Duravano da mesi, con radici negli anni, e in quel giorno, il tempo di un istante, la caduta sbarrò il futuro a Climico e Palmazia.

    Non ero che un bambino di quarta elementare e questa non è la mia storia, ma la ricordo bene, o forse ricordo solo il dissapore che ne fluiva. I due giovani avevano una gran voglia di slacciarsi e allacciarsi, all’alba di un divenire del quale si intuivano i germogli e non si immaginavano le putrescenze di oggi. Uno era figlio dell’Avvocato, l’altra orfana di padre e con la madre ladra e inadempiente sociale. Al limite l’Avvocato avrebbe anche potuto difendere la Ladra in una delle tante rogne per vilipendio o appropriazione indebita, ma caricarsela sulle spalle come consuocera mai e poi mai. Quindi, caro il mio Climico, gli disse, dimentica la ragazza Palmazia, che tanto di donne ce ne sono centomila. Dal canto suo la madre ladra consigliò alla figlia di seguire l’amore, ma di non farsi calpestare dai ricchi e dai maldicenti. Dunque la ragazza avanzava nei sentimenti a testa alta, ma il ragazzo tentennava. Disposero, anzi, dispose lui, di vedersi di nascosto, fino al momento giusto.

    «E quale sarebbe? Quando saremo morti?» chiese lei.

    «Prima, ma dopo adesso» rispose lui, più incerto che sicuro.

    La Palmazia, figlia di Ladra, poco disposta a stare nell’ombra per rubare l’amore, lo mandò a cagare e partì per l’Olanda, senza nemmeno una riga di commiato. Il Climico, che per una settimana e mezza si appostò nel boschetto sopra l’argine che negli ultimi tormentati tempi era stato il loro ritrovo segreto, aspettando invano la ragazza, cominciò a intuire che qualcosa non funzionava più. Pose alcune domande fumosissime al bar, ma dopo un paio di giorni si decise a presentarsi dalla Ladra.

    «È andata in Olanda» disse la donna.

    «Sta via tanto?» chiese lui, con l’ottusità di chi ci arriva sempre un po’ dopo.

    «Abbastanza.»

    Con questa incertezza tra capo e collo, si arrese all’attesa di non sapeva cosa e nemmeno per quanto tempo.

    Con somma gioia dell’Avvocato passarono i mesi e anche un annetto, senza che della Palmazia comparisse quantomeno l’ombra. Lentamente il Climico tornava nel grembo di quella borghesia che sembrava prontissimo ad abbandonare quando l’amore stava ancora ai nastri di partenza. Si era rimesso nel trantran dell’università, tra codicilli da mandare a memoria, amici rampanti e donnine ansiose, ma ogni tanto pensava all’Olanda. Cominciava a essere davvero infastidito da tulipani e mulini o cose così. Poi tornava all’ateneo e la cerchia sociale sembrava lenirlo.

    Il problema era il paese, così fermo e vuoto senza la Palmazia, che di certo, ormai, si stava accoppiando con un qualche filibustiere dal passato torbido e dal futuro precario, spassandosela senza cautela. Il Climico s’arrovellava.

    Tornò dalla Ladra, ma non ebbe soddisfazione.

    «Mi scrive ogni tanto, sta bene.»

    Sta bene... E io? Il Climico soffriva, ma non gli passava nemmeno per la testa che un vero cuore in amore avrebbe preso ali o rotaie per Amsterdam. No, preferiva struggersi un pochetto e poi dedicarsi agli studi, che i filibustieri a queste cose non ci pensano nemmeno, i coglioni.

    Ma non poteva andare avanti in eterno in questo modo. Si trombò, una sera di Campari col bianco, una futura avvocatessa, immaginando vulcani e trovandosi sotto le coperte una specie di ghiacciaio che stava all’amore come gli stivali al leone.

    Malinconico e silente, nonché fuggiasco dalle mire fidanzatesche dell’avvocatessa gelata, cominciò di corsa a peggiorare. E dopo una manciata di mesi, anche gli studi tracollarono. L’Avvocato non se ne accorse, impegnato com’era nel fatturare trapassi di proprietà e cause di divorzio. Il Climico prese a sbevazzare nei festivi e a dormire nei feriali, sempre più smunto e inappetente. Non si riebbe nemmeno quando la Gelata, in un sussulto tattico, tentò un pompino nell’aula semibuia preposta alle arringhe, cosa che in casi sani avrebbe eccitato anche un corniolo.

    Le bottiglie della vetrinetta del salotto, quelle che l’Avvocato affiancava a bicchierini dall’orlo dorato e a medaglie al valore da esibire a giudici e dottori, divennero una vera compagnia. In settembre il Climico era in un bello stato d’avanzato alcolismo, sostenuto in modo dilettantesco.

    Rimuginava sull’Olanda, della quale immaginava una libertà scostumata, e sulla Palmazia che di certo vagava di fiore in fiore e se ne fotteva delle convenzioni e di lui stesso. Elucubrare in questo modo tormentato non migliorò le cose che gli toccavano per convenzione. Quindi scardinava la vetrinetta dell’Avvocato.

    Tra le nebbie del bere, però, si stava affacciando una specie di coraggio. Dapprima confessò alla Gelata che fino a un deciso miglioramento tecnico non se ne sarebbe parlato più (quindi sarebbe stato mai), suscitando le ire contenute della futura avvocatessa. Liberato dalle inadempienze e dai bisogni, elaborò quindi un riscatto che passava per forza dall’azione. Una lettera.

    La portò a mano alla Ladra, con la preghiera di farla avere alla Palmazia, su qualunque galeone si fosse imbarcata.

    Preonzo, 24 ottobre 1967

    Egregia Palmazia,

    imperocché io sto qua attaccato al bar con grave nocumento della mia salute, ingiungo un tuo ritorno, con annessa promessa di affrontare mio padre l’Avvocato, per convolare a giuste nozze, se ancora ti interessasse. In caso di risposta affermativa, ti prego di ritornare la decisione (per iscritto) alla tua amata madre, che io rispetto, come ho sempre fatto, anche nella sua vedovanza bisognosa.

    Se invece tu volessi navigare ancora pei sette mari con qualunque olandese volante che ti possa arrecare soddisfazione, ti invito comunque a comunicarlo, cosicché io possa scivolare per sempre nell’abisso del vizio e del gelo.

    Tuo Climico.

    Nell’attesa febbrile di una risposta, si dedicò con trasporto allo studio dell’animo umano frequentando l’Eiron, un grotto al limitare dell’abitato nel quale soggiornava il Senesio, alambiccatore di vaglia e propenso all’offerta di alcolici a ogni ospite del suo antro. Furono cinque settimane di abbrutimento di un certo livello.

    Convocato dalla Ladra, si presentò in condizioni di mancata toilette, cosa che del resto aveva cominciato ad apprezzare come stile di vita.

    «Lei torna. Ma tu làvati» gli comunicò la donna.

    Dato che nella lettera spedita alla madre la Palmazia non dava indicazioni o data del rientro, il Climico s’appostò in piazza, dove troneggiavano da decenni tre platani all’apparenza indistruttibili. Di giorno stava lì, la sera s’abbeverava dal Senesio, poi tornava a casa a una qualche ora della notte e il mattino si lavava la faccia nella fontana della piazza. Aveva imparato a memoria gli orari del postale e aguzzava gli occhi a ogni tornata del mezzo pubblico. Per innumerevoli giorni vide discendere massaie, bambini, vedovi e operai, nessuno che assomigliasse a una ragazza dai capelli biondi come il grano e con passo di cerva giovane.

    Quando dal Senesio era già stillata la grappa nuova, con effetti che si possono immaginare sull’animo del Climico, venne la neve. La panchina sotto il platano a nord era diventata inospitale, ma lui si piazzava là come Ippocrate, provando a guarirsi. I postali continuavano a transitare senza esito e della Palmazia non si avvertiva nemmeno l’aria. Di tanto in tanto andava dalla Ladra, che gli offriva un caffè per non peggiorare le cose.

    Un giorno lei gli consegnò una busta gialla, con timbri da mezzo mondo.

    Ciao, sono ancora in giro.

    Ti penso sempre, ma non sono sicura di te, ho paura delle tue paure.

    Però forse torno, quindi mettiti in ordine e smettila di disgregarti.

    Ti bacio

    Palmazia

    Si mise in ordine. Ogni giorno poteva essere quello buono e lui sperava che fosse quello o al massimo domani. Tornò a lavarsi e pettinarsi, costrinse il Senesio a dispensargli consigli senza farlo annegare nella tazza del vino, dormì regolarmente nel suo letto e cominciò a vestirsi in modo normale, senza gli estremi avvocateschi o da clochard. Era bello, il Climico: alto, moro, ossa lunghe e occhi profondi, passo breve da velocista. Riprese fiducia, anche se gli toccava stare ore in piazza, sotto il

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