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La memoria e l'inconscio
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Ebook110 pages1 hour

La memoria e l'inconscio

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About this ebook

La storia di Giulia, sensibile e romantica sognatrice, si avvia sullo sfondo del primo dopoguerra italiano, bambina troppo presto sradicata dall’infanzia, vittima di un terribile segreto che segnerà tutta la sua vita.
Allontanata da casa per ragioni di salute e mandata in montagna dai nonni paterni, Giulia, nei racconti della nonna e nel vivace rapporto con la zia vive un periodo di serenità lontana da una madre insoddisfatta della sua vita e da un padre adorato ma che mette la moglie sempre al primo posto nei suoi affetti.
Il rientro in famiglia, più difficile del previsto, costringe però di nuovo Giulia a fare i conti con una realtà decisa a non regalarle nulla.
Pagina dopo pagina, con la lievità propria dei poeti, Loretta De March tratteggia un personaggio indimenticabile, capace di sfiorare in punta di piedi le peggiori avversità e ancora trovare la voglia di tenersi stretto un sogno.
Un romanzo breve che dipinge con tratto sobrio e raffinato la disperata realtà del dopoguerra e l’animo di coloro che la attraversarono.
LanguageItaliano
Release dateJul 1, 2017
ISBN9788832920321
La memoria e l'inconscio

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    La memoria e l'inconscio - Loretta De March

    2004

    Prefazione

    Ho avuto il piacere di assistere alla nascita de La memoria e l’inconscio sin dalle prime pagine, grazie all’amicizia che mi lega a Loretta De March.

    Giulia, la protagonista, mi ha presa per mano e mi ha condotta sui sentieri della sua storia, in compagnia di personaggi nei confronti dei quali è impossibile non provare, durante la narrazione, sinceri slanci di affetto, simpatia e, talvolta, anche di rabbia.

    Figure che si stagliano sullo sfondo del primo dopoguerra italiano, descritto in tutta la sua disperata realtà: dalle macerie della città, dove si tenta con i denti e con le unghie di risorgere dalle proprie ceneri, ai paesaggi montani, dove all’apparenza nulla sembra cambiato ma dove, in realtà, si cerca ancora di rimarginare vecchie ferite.

    Ne La memoria e l’inconscio, passato e presente si fondono nei racconti delle nonne, personaggi chiave nella vita di Giulia, uniche figure, insieme al padre, in grado di infonderle sicurezza e senso di appartenenza; storie capaci di donare radici a quella bimba sradicata troppo presto dall’infanzia e vittima di una madre egocentrica e anaffettiva, perennemente insoddisfatta della sua vita e prigioniera di un ruolo – quello di madre – che non riesce ad assolvere.

    Sensibile e romantica sognatrice, Giulia è capace di conquistare il lettore con la sua delicatezza e il suo camminare in punta di piedi fra le pagine del libro, dove da bambina si trasformerà in una donna, che farà dell’amore il fulcro della sua esistenza.

    Chiara Montanelli

    Silvia sedeva come ogni giorno sul ciglio della strada per riposarsi dal duro lavoro dei campi, alla stessa ora come un appuntamento passava in bicicletta la signora dai capelli biondi (così era stata soprannominata) che le uscivano ondulati dal baschetto nero messo di traverso. Vestiva una gonna larga e una blusa ricamata da fiorellini rossi, sembrava gentile e la salutava con un movimento della mano. Come spesso accadeva, sulla canna della bicicletta c’era legato con dello spago un cuscino a quadretti bianco azzurro, dove sedeva una bambina dai lineamenti delicati, che timidamente le sorrideva. I capelli castani erano raccolti in due trecce legate con due fiocchi azzurri ma, su quel bel viso, lo sguardo era triste. Silvia aveva capito che alla bimba non piaceva andare alla villa, situata poco distante, che di lì a poco avrebbe aperto il nero cancello che strideva e cigolava come un lamento.

    Nel borgo la gente faceva pettegolezzi di ogni genere, i nuovi inquilini della casa non erano ben visti dagli abitanti, i quali ricordavano come i veri proprietari erano stati deportati e come tanti altri non erano più tornati, perché ebrei. A Silvia non piacevano i discorsi e non amava le critiche o certe maldicenze della gente, c’era tanta miseria, si doveva lavorare e il continuo odio portava solo risentimento. Spesso pensava a quella bambina, anche lei aveva una figlia della stessa età, e si ripromise che avrebbe fatto in modo di conoscerla; chissà forse le due bimbe avrebbero potuto fare amicizia e giocare.

    Non passò molto tempo e, un giorno di primavera, Silvia si fece coraggio e camminando lungo la strada sterrata che portava alla villa, vide la bicicletta appoggiata a un pino. Con il primo caldo della stagione, le pigne cadevano a terra e, aprendosi, lasciavano uscire i pinoli che la bimba si divertiva a raccogliere, poi con un grosso sasso li schiacciava per mangiarne il frutto. Era divertente vedere quel musetto sporco, così rimase un po’ lì a guardarla, poi non scorgendo nessuno, pensò di chiamarla, ma proprio in quel momento dalla scalinata di marmo, una donna anziana vestita di nero chiamò Giulia in tono autoritario, esortandola a entrare e a non dare confidenza alle persone sconosciute.

    Giulia, questo è il suo nome, pensò Silvia che, un po’ dispiaciuta, riprese la via di casa.

    Tornò ancora alla villa ma non riuscì più a rivederla, così la curiosità aumentò.

    Si chiedeva dove fosse la madre, forse era vero quello che dicevano i contadini: la bionda era l’amante del figlio della vecchia. Un uomo non più tanto giovane a cui mancava un braccio – qualcuno diceva che l’aveva perso in guerra ma altri affermavano di non averlo mai visto soldato – i molti che lo avevano conosciuto prima della guerra, di lui non si fidavano perché era stato troppo vicino ai tedeschi e da qui si spiegava come mai era diventato padrone di quella villa.

    Silvia lavorava nei campi e, quando il tempo era bello, portava con sé la sua bimba, così mentre potava le viti le raccontava delle storie sul papà che lei ancora non conosceva, di posti lontani dove andare, della scuola che lei aveva dovuto lasciare perché i suoi genitori erano poveri, e tutti servivano in campagna. E quando poteva cercava un qualsiasi libro o vecchi giornali perché le piaceva tanto leggere. Si era sposata giovane con un ragazzo del borgo, dal matrimonio era nata Luisa, e lei aveva tanta nostalgia e speranza di rivederlo.

    Ogni tanto, però, la curiosità era più forte di lei, voleva scoprire perché mai la signora portava con sé la figlia, per poi lasciarla tutte quelle ore alla sorveglianza della vecchia megera. Alla prima occasione avrebbe portato con sé Luisa, desiderava tanto che potessero fare amicizia...

    Un giorno d’inizio estate, verso il tramonto, sentì il cigolio della bicicletta arrivare e facendosi coraggio salutò la signora e diede a Giulia una bambola. Era da molto che sperava di regalargliela, era una bambola di legno, fatta da un artigiano del posto e la bimba ringraziò abbracciandola commossa, poi scappò via verso la villa, correndo dietro la bicicletta.

    Dopo quel giorno Silvia non vide più Giulia e seppe dalla madre, che passava come sempre di lì, che era stata mandata dal padre in una colonia marina. Chissà se l’avrebbe vista ancora e, con quel pensiero, dispiaciuta, tornò al suo lavoro nei campi. Dopo qualche mese che non si vedeva più la bionda passare dal borgo, arrivò la notizia che a Giulia era arrivata una sorellina di nome Rosa, per far piacere alla nonna paterna. La sua nascita non le portò una grande gioia, perché ne era gelosa e ogni volta che poteva si divertiva a farle dei dispetti: le metteva paura dicendole che c’era il lupo oppure che era brutta perché aveva le orecchie a sventola. Rosa era cicciotta, con grandi occhi marroni e pochi capelli, mentre Giulia era magra e all’epoca stava cambiando i denti e, sempre un po’ vanitosa, nascondeva con la mano la bocca ed era veramente buffa. Ma a parte tutto le due bambine si volevano bene e la più grande era molto protettiva verso la sorellina.

    Quando la piccola Rosa iniziò ad andare all’asilo spettava a Giulia andarla a prendere all’uscita, per portarla a casa e prepararle la merenda. Coloro i quali ogni giorno, alla stessa ora, le incontravano le salutavano con simpatia, specialmente gli operai che toglievano le macerie delle case bombardate: tanti ruderi che si alzavano verso il cielo minacciosi. Le due bambine ogni tanto si divertivano fra quelle pietre alla ricerca di un tesoro nascosto, sognavano di trovare gioielli e ori, così da diventare ricche e, naturalmente, facevano grandi progetti. Ma dovevano stare attente perché quando arrivava l’imbrunire, era pericoloso stare fuori: la zona in cui vivevano, come altre zone della città, era il ritrovo delle sfortunate ragazze che, avendo perso tutto a causa della guerra, si concedevano ai liberatori in cambio di cibo, vestiario, sigarette e altri generi di conforto.

    Quei soldati erano di molti colori, ma quelli che più spaventavano Rosa, erano quelli neri e, se ne incontrava uno, cominciava a piangere spaventata.

    Giulia aveva iniziato il primo anno delle elementari, ma non stava attenta alle lezioni, sedeva vicino a grandi finestroni e molto spesso si distraeva: qualsiasi rumore che perveniva dall’esterno la portava a fantasticare e, quando veniva richiamata dalla maestra, si metteva a piangere, così le compagne la prendevano in giro e poi l’insegnante doveva consolarla.

    L’insegnante era una giovane da poco diplomata e verso le sue alunne si prodigava molto, anche perché i tempi erano difficili, alcune bambine erano veramente povere e ogni mattina a loro veniva dato un buono per poter andare al refettorio. Questo gesto fatto, però, durante l’appello, le umiliava di fronte alle altre più fortunate.

    La signorina Pia, così si chiamava la maestra, non era molto d’accordo su quel metodo, ma il vecchio preside non accettava consigli, figuriamoci poi da una maestra giovane!

    Molte delle alunne erano, in quel periodo molto tragico, bambine che non avevano più rivisto il loro padre oppure avevano familiari ancora dispersi; Pia aveva intuito che anche per Giulia doveva esserci un male interiore. Avrebbe voluto parlarle, ma appena suonava la campanella la piccola

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