Diario di un'estinzione ―Secondo contatto―
By Black Queen
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Ho paura. È l'unica cosa che posso esprimere con certezza senza dover pensare. Una paura assoluta. E non da ciò che mi circonda, l'incertezza che mi tiene in pugno, spalle al muro in questa situazione non plausibile, stupida, oserei dire. No. Piuttosto ho paura di me stessa, dei miei pensieri, della decisione che devo prendere.
Continua la saga "Diario di un'estinzione" attraverso il diario di Alexandra. La verità è vicina, la puoi quasi toccare con mano. Questa estate l'estinzione arriva con questo secondo volume che già sta facendo scalpore tra i lettori.
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Diario di un'estinzione ―Secondo contatto― - Black Queen
Alexandra: diario di un'estinzione
Martedì 7 ottobre 2014
Ho paura. È l'unica cosa che posso esprimere con certezza senza dover pensare. Una paura assoluta. E non da ciò che mi circonda, l'incertezza che mi tiene in pugno, spalle al muro in questa situazione non plausibile, stupida, oserei dire. No. Piuttosto ho paura di me stessa, dei miei pensieri, della decisione che devo prendere. È crudele per la mia bambina, la mia dolce Abril, ma sento che devo farlo.
Non voglio chiedere nulla al conducente, sembra un uomo rude e accigliato, credo che siamo a mezz'ora dall'aeroporto di Barcellona. Abril dorme sulle mie ginocchia. Lei ancora non lo sa. Non so come dirglielo. Mi auguro che la prenda bene, non voglio vederla soffrire.
Sono seduta su un vagone di un treno diretto a Mora la Nueva, la stazione più vicina a Mora de Ebro, casa mia....Sola. La gente mi ha osservato per più di un'ora, ma nessuno si è avvicinato per chiedermi perché piangessi con tanto dolore, anzi preferisco così. Anche se mi sono calmata e non sono più al centro dell'attenzione, c'è ancora qualcuno che inclina la testa mentre scrivo, curiosi, sicuramente si staranno chiedendo chi sia, cosa faccia qui e dove stia andando. Ma, cosa diavolo importa loro della mia vita? Vedo ancora il viso della mia piccola Abril poco prima d'imbarcarsi con l'assistente di volo dell'Iberia.
«Perché non vieni con me, mamma?»
«Vado a cercare papà, amore mio. Fra un paio di giorni staremo tutti insieme, ok? La nonna Ana ti verrà a prendere appena arrivi ad Atene».
S’incamminò afferrando la mano della signorina vestita di azzurro, e mettendo in dubbio le mie parole fragili e insicure. Io mi trattenni fino a quando la sua figura scomparve oltre il terminal. Poi chiamai la nonna e crollai.
«Ana?»
«Sì? Alexandra? Stai bene?»
«Io... »
Quante lacrime versate, il dolore premeva sul mio petto e mi impediva di parlare per qualche istante.
«Dimmi cosa sta succedendo, bambina mia» mi disse Ana con quella caratteristica voce dolce e particolare.
«Non prendo l'aereo» le dico singhiozzando. «Desidero che ti prenda cura di Abril fin a quando Izan ed io ritorniamo».
«Che cosa sta succedendo?»
«Non lo so. Ho ricevuto una chiamata da Izan. Era molto strano, Ana. Credo che sia successo qualcosa. È a Madrid ed io devo raggiungerlo. Non so quanto tempo staremo fuori, forse un paio di settimane. Ti chiedo solo di prenderti cura di tua nipote mentre non ci siamo. Non dirle nulla, è una bambina e non deve soffrire più del necessario».
«Mi prenderò cura di lei come se fosse mia figlia».
«So che lo farai».
«Alexandra?»
«Ana?»
Poi persi il segnale. Era strano, ma non gli diedi tanta importanza di quanto non fosse. Provai a chiamare dopo pochi minuti. Niente. Il cellulare non dava alcun segnale.
1:30 Un attacco di nervi mi provoca dei tic in tutte le parti del corpo. Sono sicura che Izan è in difficoltà e ha bisogno di me, ma sono perplessa e non so molto bene come agire. Preferisco tornare a casa e circondarmi delle mie cose, Valentina potrebbe sapere cosa fare, ho bisogno d'aiuto. La notte è gelida e il vento incessante taglia come un coltello. Ancora continuo a non avere la linea, e stare seduta sulla panchina della stazione di Mora la Nueva non mi aiuta per nulla. Ho deciso di fare a piedi i due chilometri che mi separano da casa mia.
1:45 La solitudine delle quattro mura della mia dimora mi tormenta. Questo vuoto che pervade il mio essere, perfora le ossa come se soffrissi di osteoporosi. Devo essere forte, per me, per mia figlia. Non posso permettere che il mondo esterno distrugga le mie speranze, i miei sogni, ma so anche di essere in una situazione di stallo. Un momento fa ho attraversato l'arteria principale del paese, e a quell'ora sembrava deserta. Mi sono allontanata dagli edifici ed ho percorso la strada comunale, che mi ha condotto fino al ponte di cemento pieno di archi che consente di attraversare il fiume Ebro. Non potevo immaginare che agonia, che può essere la notte, a seconda dello stato in cui ti trovi. Lo si può immaginare. Non posso esserne certa. A due isolati da casa mia, ho visto una donna. Il suo corpo era appoggiato al muro e la schiena arcuata in uno strano angolo discendente, come se avesse la nausea e cercasse di inspirare l'aria sotto i suoi fianchi. Però non si muoveva, semplicemente mi guardava. Un brivido lungo la schiena mi costrinse ad affrettare il passo, ma giuro che mi stava guardando. E i suoi occhi.... Può essere l'immaginazione di una mente stanca, o l'illusione di una realtà sotto la luce fioca di un lampione, ma i suoi occhi...I suoi occhi erano completamente neri. Non intendo solo le pupille, no. Quel che dico è che ogni millimetro visibile del bulbo oculare era nero come la pece.
Ho bisogno di dormire, domani sicuramente domani, quando il sole illumina il mondo, vedrò le cose in un altro modo... Devo dormire.
Mercoledì, 8 ottobre 2014
0:30 Mi sono svegliata tre ore fa. La solitudine e il silenzio stanno invadendo l'appartamento. Non riuscivo a stare seduta sul divano per tanto tempo. Emanava un tanfo insopportabile. Dopo una doccia e con i vestiti puliti, presi un latte e caffè. Mi sento più incoraggiata, ma stanca. Ho provato a chiamare Valentina con rete fissa e mobile. Niente. La linea continua a non dare segnale. Aspetterò un po'. Adesso dovrebbe essere a scuola a prendere Pedrito. Non vedendomi, sicuramente si starà preoccupando, domandandosi dove mi trovo. Uff... Ho così tante cose da fare, e non so da dove cominciare.
Bussano alla porta.
3:30 Gli incubi mi hanno costretto ad alzarmi dal letto, di soprassalto. Il pigiama che mi ha lasciato Valentina è intriso di sudore. Vorrei farmi una doccia, ma non sono a casa mia e non vorrei fare rumore e svegliarli.
Dio!
Mi sento in dovere di scrivere tutto ciò che accade. Un giorno qualcuno dovrà leggerlo e rispondere. Non avevo mai scritto un diario o qualcosa di simile. Penso che sia già giovedì, ma non ho intenzione di collocare i passaggi temporali del diario nei giorni esatti e secondo l'ora. Comunque, non sono una scrittrice, e non ho intenzione di pubblicare un romanzo di fantascienza. Questa è la realtà. La mia realtà.
Al marito di Valentina non gli piace che stia qui. Non so bene il motivo, ma non gli sono mai