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Editori digitali a scuola
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Editori digitali a scuola

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A scuola si fa un massiccio uso del libro ma poco si riflette su che cosa esso è, quale è la sua storia, da dove deriva il rapporto così stretto che intrattiene con lo studio. Non si può evitare di farlo proprio ora che tante cose, per via del digitale e della rete, stanno cambiando non solo nella produzione ma anche nella percezione e nell'uso di questa che è e resta la prima tecnologia di comunicazione ed educazione di massa. Gli obiettivi del presente saggio, che unisce teoria e pratica, sono di sostenere insegnanti e studenti nel duplice compito di fare i conti con le opportunità che il digitale offre al libro e di sperimentare l'autoproduzione di testi scolastici.
LanguageItaliano
Release dateJun 26, 2017
ISBN9788893371711
Editori digitali a scuola

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    Editori digitali a scuola - Roberto Maragliano

    a cura di Roberto Maragliano

    Editori digitali a scuola

    EDITORI DIGITALI A SCUOLA

    a cura di Roberto Maragliano

    con contributi di Mario Pireddu, Andrea Patassini, Francesco Leonetti, Antonio Tombolini, Emanuela Zibordi, Maria Rosaria Chirulli

    Collana Studio Digitale

    a cura di

    Roberto Maragliano e Silvano Tagliagambe

    ISBN 9788893371711

    copyright © 2017 Antonio Tombolini Editore

    digital rights reserved

    Via Villa Costantina, 61,

    60025 Loreto Ancona

    Italy

    email: info@antoniotombolini.com

    www.antoniotombolini.com Facebook

    Twitter

    Immagine di copertina a cura di Marta D’Asaro

    UUID: 3e7a5b3e-4b83-11e7-9ae7-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione

    Parte prima

    Capitolo 1

    1. Normalità della rete

    2. Interattività, connettività e riproducibilità

    3. Cornice, apprendimento, comunità

    4. Chi ingloba chi

    5. Il posto del libro

    6. Pensare i nodi

    Capitolo 2

    1. Ottica di sistema

    2. Un contenuto per la didattica

    3. Quel che dicono i vocaboli

    4. Le forme degli apprendimenti

    5. La storia nel libro

    Capitolo 3

    1. Passaggi e restrizioni

    2. Il sensorio mutante

    3. Risparmiare carta

    4. Economie non solo monetarie

    5. Il sussidiario e il manuale

    6. Temi e spazi intermedi per la didattica

    7. Il self-publishing come progetto pedagogico

    8. Il libro intelligente

    Parte seconda

    Capitolo 4

    1. Cosa dicono i dati

    2. Abitare il mondo con consapevolezza

    Capitolo 5

    1. Dalle tracce ai profili

    2. Librai e algoritmi

    Capitolo 6

    1. Lettura, tecnologia, mercato

    2. Apertura e immersione nelle pratiche

    Capitolo 7

    1. Le qualità editoriali tra innovazione e tradizione

    2. Un lettore più competente

    Parte terza

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    1. Di martelli e chiodi

    2. - libritudine +webitudine

    3. Il peculiare del digitale

    4. ePubEditor: le funzioni principali

    5. Esempi ed esperienze degli utenti

    Capitolo 10

    Appendici

    Editare libri per la scuola

    Editare un libro a scuola

    Antologia di spunti

    1. Di fronte al digitale

    2. Le tracce di una storia

    3. Il libro fa scuola

    Introduzione

    Ogni oggetto in noi suol trasformarsi secondo le immagini ch’esso evoca e aggruppa, per così dire, attorno a sé. Certo un oggetto può piacere anche per se stesso, per la diversità delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell’oggetto per se medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d’immagini care. Né noi lo percepiamo più qual esso è, ma così, quasi animato dalle immagini che suscita in noi o che le nostre abitudini vi associano. Nell’oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi, l’anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi.

    Quel che Pirandello, all’inizio del capitolo nono de Il fu Mattia Pascal, dice dell’oggetto e dell’amore che suscita in noi vale certamente e tanto più per l’oggetto libro. Dovremmo saperlo. Lì sta una parte importante della nostra personale storia, in quella sua fisicità di cosa da tenere in mano, portarsi dietro in borsa o in tasca, per poi trovarsela pronta da aprire, sfogliare, pure strapazzare, marchiare, odorare. E adorare. Parlo della vicenda di noi adulti, certo, quella che ci identifica e fonde col quasi millennio della vicenda collettiva di uno dei baluardi, forse il più rappresentativo, della nostra identità di europei.

    La sua è anche la nostra storia. Potremmo mai negarlo? Sicuramente no.

    E allora, di che stiamo discutendo? Perché tanto clamore si fa, sui media, sulla presunta fine del libro? Perché ci ritroviamo bombardati quotidianamente da strilli sulla crisi o la ripresa della carta? Che sta accedendo?

    Sta avvenendo una cosa molto semplice, almeno per chi ragiona come noi proponiamo di fare con questo nostro contributo; e cioè che alcuni degli elementi mobili che caratterizzano l’identità del libro stanno subendo delle trasformazioni: sono mobili, appunto, e dunque si muovono. Nel passato avvenne che si muovessero i formati, e dunque il libro passasse da oggetto da tenere prevalentemente fisso sul leggìo (o pulpito) a oggetto portabile (o manuale) da tenere con sé, o anche mutassero i criteri di identificazione e appropriazione dei libri (dalle rilegature personali dell’aristocratico rinascimentale a quelle standard dell’editoria industriale, con tutt’al più la possibilità di aggiungere una sovracoperta di gusto soggettivo); oggi, chiaramente, sta avvenendo una mutazione che riguarda il supporto, il quale da cartaceo si sta facendo digitale.

    È ancora libro quell’ente che tanti si ostinano a chiamare e-book, proprio per dire che no, non lo è? E se non lo è, perché? Perché si è disposti ad accettare i cambiamenti di cui ho detto prima, senza che l’idea stessa di libro venga messa in discussione, e si fa resistenza invece ad accogliere un libro digitale?

    Una risposta ce la dà Pirandello. Di lì potremmo partire.

    Siamo noi tutti, adulti lettori, nativi cartacei. Mentre loro, quelli cui ci rivolgiamo e ai quali tanti di noi dedicano il loro impegno di educatori e insegnanti, riflettono sovente (già oggi, ancor più domani) altri amori, altre armonie, altre anime.

    Sono compatibili le due sensibilità? Dipende. Secondo alcuni non lo sono, e dunque sarà necessario che chi compie opera di formazione, la scuola in primo luogo, lavori per non alienare le nuove generazioni dalla carta stampata, vedendo in questa l’irrinunciabile elemento costitutivo dell’identità stessa del libro e, soprattutto, della sua prerogativa di risorsa fondamentale per l’esercizio delle attività di apprendimento e insegnamento.

    Noi la pensiamo diversamente. E dunque ci siamo proposti di fornirvi, attraverso il volume che state leggendo (ma che non avete in mano!), un’altra visione del problema, che corrisponde ad un’idea diversa, più ampia, e, forse, concettualmente più fondata, di quella che lo identifica con la carta e la stampa: un’idea che, a nostro avviso, potrebbe servire anche per entrare in un rapporto di maggiore sintonia con il libro digitale.

    Si tratta, in sintesi, di pensare al libro come un oggetto mentale, un prodotto, un effetto della lettura, come un qualcosa che il lettore consapevole costruisce e fissa dentro di sé, attraverso l’impegno dell’elaborazione personale e di gruppo: un qualcosa, insomma, che proprio in quanto costruzione/elaborazione poggia su una rete di rimandi collettivi e personali ad altre scritture, certamente, ma anche a suoni, immagini, operazioni di ogni tipo. Al di là della fisicità di questo o quell’oggetto. Se leggo I promessi sposi, per dire, e se lo leggo per bene, quel romanzo (stavo per dire: in modo non scolastico), un qualche residuo testuale mi rimarrà dentro, e dunque potrò usarlo, arricchendolo continuamente, se mi va, e se dunque si tratta di un residuo attivo; tutto ciò, indipendentemente dal fatto ch’esso sia andato a depositarsi in me partendo da un supporto opaco o da uno luminoso.

    Un simile approccio dovrebbe consentirci di vedere nel libro digitale non già una riduzione quanto un aumento delle possibilità d’uso dello strumento libro, per il fatto di consentire una lettura più densa, articolata, ricca, partecipata di quella consueta.

    Su questo, che diventerebbe un fronte importante per l’innovazione educativa, le scuole potrebbero svolgere un ruolo importante: sia sul piano culturale, attivando processi di consapevolezza mediale che includano anche il libro, sia su quello operativo, coinvolgendo gli studenti stessi in attività di produzione editoriale misurate sui loro livelli. Così operando siamo certi che si aiuterebbe l’editoria scolastica ufficiale ad individuare nuove prospettive e nuove soluzioni realizzative.

    Il ‘noi’ che finora ho usato viene dal fatto che il progetto di questo volume e buona parte della sua realizzazione fanno capo al gruppo del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive. Fin da quando ci siamo costituiti in Laboratorio, ed è ormai un quarto di secolo, abbiamo considerato l’area definita dai rapporti fra i media e l’educazione non già e non solo come oggetto di osservazione ma anche e soprattutto come ambito entro il quale sperimentare prototipi, modelli, soluzioni. Non c’è settore di produzione del quale il gruppo non abbia fatto artigianale esperienza, anche per la predisposizione dei materiali destinati ad alimentare le tante attività di formazione a distanza e poi di formazione online che ci hanno visti coinvolti: dall’impaginazione dei fascicoli cartacei al trattamento dei brani audio e video in cassetta fino alla predisposizione di floppy disk, cd-rom, dvd, siti web e ambienti social. Man mano che si andava avanti in questa sequenza di esperienze mediali ed educative, diminuivano i vincoli imposti dal dover affidare all’esterno parte delle mansioni produttive e riproduttive dei materiali mentre aumentava la possibilità di dominare e gestire in quasi completa autonomia, com’è oggi, l’intero ciclo della loro produzione/riproduzione.

    Non potevamo dunque, per questa nostra originaria ‘vocazione’ a ‘fare in proprio’ evitare di misurarci con le prospettive nuove che il digitale apre alla produzione libraria autonoma, tramite il self-publishing. Ecco dunque da che cosa nasce #graffi , la nostra collanina di libri solo digitali.

    A tutto questo ‘fermento’ posso aggiungere, sul piano personale, il coinvolgimento che ho sempre avuto, fin da studente, nelle dimensioni materiali della produzione pubblicistica. Ben prima che professore sono stato sguattero e redattore di riviste (si andava a correggere bozze in tipografie non tanto diverse da quelle di Gutenberg) e oggi che ho terminato la mia carriera accademica non smetto di occuparmi di editoria (i curiosi di questa mia personale vicenda, ammesso che ce ne siano, potranno alimentarsi attingendo allo Scaffale Maragliano )

    Dall’insieme di tali percorsi scaturisce la proposta che formuliamo col presente volume e che vogliamo trasmette alla scuola tutta nonché a quanti siano interessati alle sorti del libro. Si tratta, questa è la nostra tesi, di portare dentro la scuola lo ‘spirito editoriale’.

    Il che vuol dire essenzialmente tre cose: attrezzarsi per arrivare a considerare il libro non solo in quanto strumento, ma anche come oggetto di studio, un oggetto che ha una sua configurazione (o, meglio, delle sue configurazioni), una storia (delle storie), una tendenza (delle tendenze), ecc.; imparare a vedere cosa e quanto c’è di educativo nelle diverse pratiche della lettura e dunque a cogliere le caratteristiche che rendono un testo scolastico diverso da un libro non scolastico; mettere in cantiere la possibilità di progettare e di realizzare, tra docenti e studenti, un abbozzo (e forse qualcosa di più) di libro digitale.

    Le condizioni perché tutto ciò si realizzi sono tre: che si abbia una teoria estesa di libro; che si abbia familiarità con la lettura digitale; che si abbia curiosità per l’universo editoriale.

    In diretta corrispondenza con tale tripartizione le parti in cui si articola il presente volume sono una prima (di cui sono autore) in cui ci si misura con una ‘teoria del libro’ che voglia e sappia includere il digitale; una seconda (affidata a Mario Pireddu, del Laboratorio) in cui si ragiona sulle opportunità che l’esperienza personale di lettura digitale apre per il docente stesso; una terza nella quale abbiamo chiesto a Andrea Patassini (del Laboratorio) e a Francesco Leonetti e Antonio Tombolini (autori e responsabili di servizi per il self-publishing) di presentare gli strumenti cui può fare affidamento un docente intenzionato a effettuare, eventualmente col sostegno della classe, un’esperienza di autoproduzione editoriale. Nelle Appendici, infine, le insegnanti Emanuela Zibordi e Maria Rosaria Chirulli raccontano le loro esperienze di ‘editrici scolastiche’ ed io propongo una sorta di ‘libro di citazioni’ (o antologia) di una qualche utilità, almeno spero, per chi voglia ampliare il suo impegno di educazione ai media includendovi anche l’argomento ‘libro’.

    Parte prima

    Essere libri

    di Roberto Maragliano

    Una parte rilevante del sapere che pratichiamo e che insegniamo ha la forma del libro. Ciò è incontestabile. Come è indubbio che un’altra parte, anch’essa rilevante, se non di più, del sapere praticato dalla società cui apparteniamo prevede forme diverse: il flusso della comunicazione audiovisuale e, soprattutto, oggi, la multimedialità e la reticolarità dell’intercomunicazione digitale.

    Ma, alla luce di tutto ciò, in che cosa consiste la ‘forma’ del libro? Coincide con il libro inteso come oggetto materiale, dunque tangibile, portabile, sfogliabile, stracciabile, ecc. oppure fa riferimento a qualcosa di più ampio e profondo?

    In questa parte del volume il problema di che cosa sia il ‘di più’ è preso di petto e sviluppato attraverso un'indagine ad un tempo storica e pedagogica: ne emerge lo stretto collegamento tra l’identità comunque in movimento dei libri e quella, che non può essere statica, di noi insegnanti, educatori, intellettuali comunque portatori di saperi acquisiti, pensati e proposti sotto forma di libri.

    Alla luce di un simile percorso, il digitale va inteso non già come riduzione ma come incremento delle possibilità di affermazione di uno strumento, il libro, la cui funzione ė e va rivendicata come concettuale prima che materiale.

    In particolare, si mette in evidenza, qui, quanto stretto sia sempre stato, nel tempo, e sia tuttora il rapporto fra scuola e libro: di fatto, nessun cambiamento di uno dei due termini è consentito senza che debba mutare anche l’altro.

    Né l’uno né l’altro, però, sono al presente investiti da impegnative trasformazioni, almeno in termini ufficiali, e questa appare come cosa particolarmente grave se la si rapporta ad un mondo, l’attuale, in così rapida e profonda trasformazione.

    Di qui viene il senso della proposta ‘politica’ formulata in coda ai ragionamenti proposti in questa parte e coincidente con il messaggio più avanzato dell’intero nostro volume: che cioè possano essere le scuole stesse, attraverso un impegno molecolare sul fronte dell’autoproduzione editoriale, ad introdurre e documentare e dunque pubblicare elementi di reale innovazione nella didattica, nei contenuti, ed anche nei modi stessi di trattare la ‘questione libro’. L’obiettivo cui si aspira è di fare di tale questione l’argomento centrale per una media education di tipo laboratoriale e produttivo; ma anche di tipo interpretativo, secondo quando suggerisce la possibilità di ‘adottare’ l’antologia fornita in Appendice.

    Capitolo 1

    Verso il digitale

    1. Normalità della rete

    Chiunque abbia familiarità con Internet sa che in rete si fanno tantissime cose, anche molto diverse tra di loro.

    Si fa posta, ovviamente: è quanto caratterizzava le attività dei primi coloni. Poi si fa ricerca, per esempio con un ‘motore’, e questa è stata la pratica prevalente della seconda generazione dei frequentatori della rete. E dopo? Si fanno infinite altre cose. Al punto che oggi, in presenza della terza o quarta generazione, con più di un trentennio di vita di rete alle spalle, non saremmo in grado di individuare una qualche attività che davvero prevalga su tutte le altre e dia un senso univoco all’essere oggi cittadini della rete, salvo forse il social, che quelle stesse riprende e integra. Al limite, potremmo dire che ciò che distingue noi tutti (o quasi) è proprio l’essere, oggi, cittadini di rete, vale a dire il fatto che siamo tutti legati, teoricamente ma non solo, in quanto stiamo nello stesso luogo, sia pure virtuale: dunque, la nostra condizione esistenziale è di essere legati alla città digitale proprio in quanto siamo legati dalla città digitale. Basta appunto, a conferma di questo dato di fatto, far riferimento all’appartenenza attiva di ogni utente attuale della rete ad uno o più social network.

    Si pensi a quel che potrebbe capitare e di fatto capita di fare, nell’arco di una giornata, ad un ‘utente normale’ della rete: contattare gente tramite audio e video chiamate, ricevere e produrre messaggi frequentemente carichi di allegati, seguire programmi radiofonici o televisivi (in diretta o in registrazione), ascoltare musiche, vedere film (soprattutto serie tv), acquistare oggetti (digitali e fisici), leggere giornali e libri, giocare (da solo o in compagnia virtuale), cercare e acquisire documentazione e produrne e farne condividere di nuova; in più, aggiornare e ampliare costantemente gli strumenti tramite cui dar seguito a tutte queste azioni e funzioni.

    Se un tempo si credeva di poter distinguere la ‘realtà dura’ del mondo fisico da quella ‘morbida’ (o addirittura ‘gassosa’) del mondo digitale e di attribuire a quest’ultima un’ineliminabile componente illusoria, oggi non è più così. L’idea di realtà che appartiene al cittadino della rete (indipendentemente dal fatto che egli ne sia o no consapevole) include il digitale. E il suo essere costantemente connesso (o anche, soltanto, il potersi pensare come costantemente incluso dentro l’universo della rete) ne fa un soggetto la cui identità reale si costruisce e costituisce anche tramite le innumerevoli identità virtuali che le pratiche di rete lo portano ad assumere. E non si pensi che queste ‘identità virtuali’ siano il frutto della rete e dei social: le cose stanno in modo diverso, esse preesistono all’avvento della tecnologia attuale che, semplicemente, rispecchia la pluralità e complessità del reale (anche del reale dell’identità) molto meglio, con una definizione molto più elevata di quanto non facessero e facciano altre tecnologie della conoscenza: di qui l’idea, non del tutto peregrina, che ne escano amplificate ai nostri occhi, che per la prima volta le vedono così chiaramente. Basterebbe Pirandello a ricordarci della loro esistenza.

    Ma c’è di più.

    Come in una metropoli succede che convivano, a volte incrociandosi e alleandosi, a volte ignorandosi, a volte confliggendo, una miriade di soggetti e azioni e spazi, legali e pure illegali, così nella metropoli virtuale di Internet, infinitamente più grande del mondo fisico e comunque in crescita costante (ed esponenziale), è normale che soggetti e oggetti e ambienti di tutti i tipi convivano in una quantità illimitata, ai confini dell’infinito. Ed è altrettanto normale che le attività di cui danno prova siano altrettanto illimitate e infinite come lo sono, una volta che le si metta assieme, le pratiche reali degli esseri umani e quelle prodotte dalla forza della loro immaginazione.

    Ci si può perdere la testa. E infatti, non pochi, oggi, anche in campo educativo, preferiscono astenersi dal compito di pensare la rete, impegnandosi piuttosto a pensare alla rete e a farlo (e farlo fare) troppo spesso nei termini della preoccupazione.

    Questo però non deve sorprenderci.

    Di fatto, in molte aree della nostra esperienza facciamo più cose di quelle che siamo in grado di pensare, ma senza dubbio nell’esperienza di Internet la quantità di cose che facciamo ha più peso e valore della quantità di cose che siamo in grado di sottoporre all’analisi e all’interpretazione, almeno allo stato attuale. E questo spiega, ma non giustifica che la rete, anche nei contesti educativi, sia vissuta da molti (e pure temuta ed osteggiata) come il luogo della libertà incondizionata o dell’ anarchia, insomma come una condizione ‘naturale’ di assenza di regole: certo tutto ciò deriva anche dalla mancanza di una normativa vincolante, per esempio sui diritti e doveri connessi al rendere pubblico un pensiero, ma non va ignorato che metterne a punto una, come periodicamente qualcuno richiede, equivarrebbe a rilegittimare tutta una tradizione di legalità centrata sui principi della proprietà e dell’appartenenza in senso fisico del pensiero, quegli stessi che la pratica di rete invita invece ad attenuare, aggirare o annullare.

    Probabilmente è sempre stato così, anche nel passato, ogni volta che si è imposto un nuovo assetto per la comunicazione e che ciò ha comportato una revisione o addirittura un annullamento delle regole preesistenti. Una piccola tipografia collocata vicino ad una via fluviale poteva, cinque secoli fa, con la diffusione di libelli, inoculare più danno e male allo spirito (e non solo a quello!) di quanto non si sarebbe potuto fare e addirittura pensare solo qualche decennio prima. Quella iniziale anarchia, come sappiamo, ha smosso e posto in movimento le coscienze, liberando non poche energie, e le regolamentazioni successivamente messe a punto tramite i controlli politici e religiosi della stampa sono intervenute su un ambiente culturale che ormai era già ampiamente e profondamente modificato rispetto a quello precedente l’introduzione della stampa stessa. Né andrebbe trascurata la considerazione del fatto che tale regolamentazione sortì, tra gli altri effetti, quello di una rinascita delle pratiche di copiatura manuale, come soluzione adeguata a far circolare testi

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