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L'amore fragile
L'amore fragile
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L'amore fragile

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About this ebook

Siamo a Milano, la città controversa, contesa tra arte e business, famosa per la moda e lo shopping, per la stagione degli aperitivi sempre in auge, per la metro sempre piena, per il tempo scandito dal rumore del traffico e dai ritmi troppo frenetici. Tra la folla si distingue Claudio, un uomo apparentemente come tanti o come pochi, con i suoi abiti firmati e le sue insicurezze. Ricopre una posizione lavorativa di rilievo presso uno degli uffici più ragguardevoli della città, vive in un dignitoso appartamento in una zona elitaria, conduce una relazione con una ragazza dolce e senza troppe pretese, non rinunciando alle serate libertine con gli amici. La sua vita scorre tranquilla, senza troppi intoppi, fino al giorno in cui una telefonata scuote il suo fragile vivere.

È in questo avvicendarsi in cui ogni personaggio acquista e cambia forma, è in questo limbo il delicato frangente in cui tutto si confonde e riallinea ricercando una sola verità.

La vita d'ogni uomo si intreccia, un filo nascosto attraversa e annoda i propri destini, ritrovando una sola, antica e profonda radice in comune: l'amore.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 11, 2017
ISBN9788892663442
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    L'amore fragile - Anteo Tesoro

    amare.

    I.

    «Ti prego, non te ne andare!»

    Forse le sue parole corsero non troppo in fretta per le mura, interrotte dal secco chiudersi della porta d’ingresso. Poi, il silenzio.

    Non assisté alla scena. Si ritrovò inerme spettatore nella sua stanza da letto, ancora calda, umida, di loro.

    Era la sera di una giornata qualunque. Dai tasselli delle serrande filtravano alti gli ultimi raggi solari. Nudo, fra le lenzuola, sembrò studiare il vuoto che quella casa accolse nuovamente: l’eccedenza del lavabo della cucina comprata da poco e non ancora sistemata, le lancette del nuovo orologio del salone regalato dai suoi colleghi per la sua promozione, lo scaldambiente ricevuto e accettato controvoglia per mano della sua compagna ostinata a sostenere la presenza di umidità nel bagno, i sordi passi dell’anziana signora Bartolomei dall’appartamento di fianco, ma soprattutto l’incessante ronzio che normalmente segue un sonoro concerto o un grande evento di vita nel momento in cui l’inaspettata solitudine torna ad abbracciarci.

    Nonostante detestava si fumasse in casa, distese il braccio sul comò tirando fuori una sigaretta raggrinzita. La accese, inspirando due o tre boccate, lente. Con ostentata indolenza si incamminò verso il bagno, pronto per riproporsi per le strade e i vicoli della vita. Era solito anestetizzarsi con acqua bollente, medicandosi in seguito con bagnoschiuma e shampoo. Come un rito ne usciva sempre rigenerato. Recuperati i suoi vestiti e raccolti i suoi oggetti sparsi, compose l’ultimo numero chiamato raggiungendo il suo collega nonché complice di serate.

    No. Ad esser andata via non era la donna della sua vita; no, ad essersene andata non era neanche la sua donna. Era solo una parentesi, e come tale i suoi confini rimangono sempre nitidi nei ritagli della realtà. Può anche accadere di riaprirle e riviverle ma in questo braccio di ferro non ci si permette mai di restare e lui forse vinceva così, o così ne era solo vinto.

    Per molta gente la sua vita poteva già essere tutta qui, riassunta in queste poche e oramai comuni righe. Per me invece, e forse per poche altre persone, rappresentava la vita di ognuno di noi, di ogni singolo uomo e donna, studiata alla sola vista dei suoi rami e all’ignoranza delle sue radici, posata da sguardi inconsapevoli del suo reale bene e male, osservata da spettatori persuasi sino l’attimo in cui qualcosa cambia e ci si accorge di ciò che si ha e di quello che manca riscoprendosi incompiuti. Infine, la scelta: continuare a fare del proprio cammino un semplice e banale cumulo di rampe mai intraprese – troppo spesso sinonimo di vita mancata, o far fronte al proprio coraggio pronti a saltare e superare la vertigine della paura lanciandosi nella totalità di un dono, di un gesto, di un’anima, ritrovando quell’unico e solo significato da sempre in grado di dare senso alla nostra intera esistenza.

    Parte Prima

    (La vita)

    II.

    Il suo nome è Claudio. La sua vita era scandita da ritmi ben definiti e inviolabili in cui al primo posto imperava il lavoro. Dal lunedì al venerdì la sua sveglia era programmata alle sei e quarantacinque. La sua caffettiera elettrica impostata per lo stesso orario gli dava il suo originale buongiorno prima con l’odore e successivamente col ronfare della sua bollente e aromatica miscela. Una celere doccia seguita da una ancora più celere colazione; pantaloni, mocassini, camicia, giacca, ventiquattrore, e via verso la metro. Il suo metodico tragitto oramai automatico, testato tanto per routine che per noia, prevedeva nella regolarità del suo percorso centoquarantasei passi, ottanta metri circa, dal suo portone all’accesso metro di Cordusio. Da lì due fermate per Cadorna e un cambio con la verde per Garibaldi. Quando l’effettivo svolgersi di queste azioni non gli presentava cambiamenti, era in grado di salire sul primo treno riuscendo a recuperare dal già preventivato anticipo un’ulteriore manciata di minuti sufficienti per sostare al bar dinnanzi l’ufficio. Qui solitamente si incontrava con Giacomo prima del lavoro, che nelle vesti di critico calcistico, sempre risentito per qualsiasi diffida sportiva, era solito discuterne animosamente con altri colleghi inveendo platealmente anche contro i notiziari televisivi. Le poche volte, a monte di un accurato e attento discernimento casistico in cui non lo si ritrovava lì intento a deplorare, non erano mai distanti da due grandi e ben determinate motivazioni o contesti: la prima in cui flirtava con qualsiasi altro essere del sesso opposto, non di rado Myriam, banconista del bar; la seconda in cui, solitario e silenzioso, si ritrovava ancora dedito nello smaltimento del tasso alcolemico della notte precedente. Quella mattina, successiva alla giornata prima descritta, nella puntualità del suo anticipo Claudio entrò nel bar ritrovando Giacomo accovacciato su di un tavolino. Il suo prognostico, senza esitazioni, si pronunciò a favore della seconda giustificazione.

    «Dal tuo sguardo capisco che ieri non siamo andati a letto alla stessa ora.»

    Claudio. Ma porca... Neanche ti ho visto arrivare. Ho già preso due caffè e un analgesico, ma questo mal di testa sembra abbia lo spirito di Braveheart. Figa, non vuole proprio andar via…»

    «Forse ti bastava rientrare quando ti ho detto che rincasavo, no? Entrambi avevamo bevuto e tu eri già parecchio sopra il limite. Era tardi. E poi»

    Interrompendolo – «E poi e poi e poi... E poi sei andato via ed hai balzato la Giusy lasciandola tutta sola sul divanetto. Non ci si comporta mica così, eh. Ed io non potevo abbandonarla lì, così, così triste. Allora mi son fatto forza e... l’ho portata a casa con me.»

    «Scusami, e la Paola?»

    «Perché, ti ho mai detto che l’ho lasciata lì?»

    «Ma... ?? ... Sei un disagiato, non ti smentisci mai. Fanno bene a dire che sei solo un porco.»

    «Ih-ih-ih... No... Ho un cuore grande e generoso. E non solo! Dono gioia e felicità a tutte quelle povere donzelle che vagano per le buie strade della loro esistenza alla ricerca di un caldo e sincero abbraccio.»

    «Mi pare che la cerchia di donne di cui ti attorni non si limiti alla ricerca di un sincero abbraccio.»

    «Beh, sfumature.»

    Avvicinandosi all’orecchio di Claudio con un movimento quasi instabile ed aria compiaciuta, Giacomo gli sussurrò:

    «E comunque avevi proprio ragione: la Giusy agli orali è molto preparata!»

    «Ma sei scemo, vuoi abbassare la voce?? Qui la conoscono tutti, basta un niente che lo sappia tutto l’ufficio.»

    «Vedi, appunto: se la conoscono lo sapranno già! Ah-ah-ah!!»

    «Cos’è, sbronzo anche stamattina?» – interruppe Myriam avvicinandosi al tavolino per ripulirlo.

    «Myriam, Myriam... Oh, per fortuna che ci sei tu che inebri le mie giornate! Ciò che vedi non è un uomo sfatto, ma distrutto per amore!» – rispose Giacomo.

    Myriam scosse la testa con l’aria bonaria di chi vuole bene, replicando:

    «Tu hai bisogno di una mamma che ti dia regole, non di una donna» – e, riempito il vassoio, aggiunse nell’andar via – «E tirati su la zip dei pantaloni…»

    Claudio scoppiò dal ridere. Giacomo invece, come soddisfatto, sollevò orgogliosamente la cerniera mormorando:

    «Beh, intanto mi ha visto il pacco.»

    «Tu sei malato,» – rispose Claudio – «e molto. Vabbè, ora vado a lavoro.»

    «Aspetta, aspetta. Vengo anch’io.»

    «Così presto? Non vuoi far incazzare tuo padre anche stamattina?»

    «Oggi meglio di no. Sarà già incazzato per l’addebito sulla carta di ieri!»

    «Bene, allora prendi un altro ascensore. Specialmente ora dopo la mia promozione non voglio fargli notare che contribuisco alla rovina di suo figlio.»

    «Tranquillo, ti venera. O forse venera solo la tua futura e brillante carriera, non so. Per lui sei come un déjà-vu. Dice sempre: Prendi esempio da Claudio! Vedi come è bravo Claudio! Claudio si impegna! Claudio qua! Claudio là! Claudio bla-bla-bla!. Ma a me non interessa diventare un coglione della Società. Cioè, come lui intendo eh, non come... Vabbè. Mi hai capito. Senza offesa. Comunque, lasciamo stare. In fondo, se ci penso, sono già coglione di mio.»

    «Grazie per l’implicito coglione. Comunque secondo me riguardo tuo padre dovresti semplicemente soffermartici un attimo. Non lo so, magari ascoltarlo, parlargli. Capirlo.»

    «Claudio, io credo che lui oramai abbia stima di me solo perché non sono omosessuale.»

    Dopo qualche attimo di scarno silenzio, Claudio guardandolo come arreso gli rispose:

    «Ascolta Giacomo, forse solo su una cosa che hai detto siamo pienamente d’accordo: sei davvero un coglione.»

    III.

    Etichette.

    È difficile riuscire a non usarle, talvolta peggio liberarsene. La società, gli affetti, tutti noi viviamo di classificazioni, positive o negative che siano. Cliché imparati, ripetuti, metabolizzati, entrati a far parte del nostro patrimonio genetico. Diviene certo che utilizzando la maggior parte degli schemi sociali, di Claudio si sarebbero potute affermare diverse false verità.

    Laureato prima dei tempi previsti con centodieci e lode nel corso di studi di Economia e Finanza presso la scuola universitaria più prestigiosa della città di Milano, gli si accreditava uno statu quo indefettibile, un passe-partout tanto lavorativo quanto sociale. Questo promettente ragazzo cominciò ad esser visto con occhi differenti, misti tra riconoscimento, invidia e gloria. Di lui fu subito fatto un primordiale capolavoro carico di promesse ed attese, inoltrato poi nei mari di speranze ed incertezze. Trovò presto un buon impiego, e seguire la scalata lavorativa non risultò neanche così impossibile. Prima alcuni bonus produttivi, successivamente qualche curriculum inviato ad aziende emergenti e di maggior rilievo, poi l’assunzione nell’attuale società di cui oggi è leader nel settore investimenti. A conti fatti, una carriera tanto breve quanto ripida.

    Gli fu riconosciuto successo e adesso gli si chiedeva classe. Da una migliore se non eccellente posizione lavorativa sono derivati un maggior numero di riflettori puntati su ogni angolo della sua vita. Un più ampio margine di visibilità riportava a una più estesa e promiscua esposizione, ulteriori canoni da dover rispettare, piccole realtà da dover individuare, scoprire e costantemente tutelare. Ne conseguì subito il trasferimento della sua dimora in una zona urbana più elitaria ed economicamente meno accessibile. Reindirizzare le proprie conoscenze fu una selezione naturale dettata dal tempo. Rivalutare persone, locali e aree di ritrovo divenne meccanicamente il suo pane quotidiano, nonché frequentare la compagnia giusta ovvero la ragazza giusta, appartenente a un privilegiato ceto, figlia d’un’importante famiglia. Un jet-set evolutivo di cui divenne presto protagonista, ove il proprio nome cominciava ad esser conosciuto prima della stessa persona. Un biglietto da visita che non tutti possono permettersi e a cui ben pochi si sarebbero sottratti. Un ragazzo avvenente, intelligente, con un posto sociale e un lavoro invidiabili, con la ragazza più ambita, non poteva che essere un sogno incoronato; ma l’unico che ancora stentava questa atmosfera onirica era forse lo stesso Claudio.

    Riconoscenza. È stata la prima parola che Claudio ha imparato nella sua vita. Riconoscente per essere venuto al mondo, riconoscente per avere avuto una casa, riconoscente per aver avuto un letto e un pasto caldo ogni giorno. È dovuto essere riconoscente anche quando, ancora troppo piccolo, i suoi genitori sono stati portati via da un incidente stradale. Riconoscente. È la parola che gli ha subito insegnato Antonella, per tutti Nella, sorella di sua madre, madre adottiva, dopo esservisi traferito in seguito al lutto. Riconoscente di avere ancora una figura genitoriale; lei, che di figli non ne era mai riuscita ad avere.

    Ogni cosa era dovuta. Lo studio, la crescita, persino il tempo per il gioco era un traguardo da dover raggiungere. L’impegno, la dedizione e la determinazione erano le strade per riuscirci, mentre il corretto dialogo, il rispetto e l’educazione le uniche vie per un equilibrato rapporto. La sua costruzione personale è sempre stata puntuale, precisa e meticolosa, ma è risaputo che la stabilità di una struttura non si misura solamente dalla solidità delle pareti.

    Sconfitta. Questa la seconda parola che da quella sua nuova sistemazione ha implicitamente acquisito, fattore che apparentemente a lui estraneo ha interamente condotto e condizionato la sua crescita.

    Sconfitta di Nella, quella di una ragazza cresciuta sempre lontano dalle aspettative del padre, costretta a rinunciare agli studi e a dover lavorare per essere subito produttiva, per elemosinare quella parvenza di importanza familiare che non l’ha mai raggiunta neanche il giorno del suo sposalizio. Indossare ogni giorno le vesti della piccola mal istruita borghese di provincia per mandare avanti un ruolo assegnatole e mai scelto, in cui l’unica moneta di ricompensa, speranza di un cenno d’approvazione, si dissolveva con la sua prole. La sconfitta di una donna che strenuamente ha affrontato gli ostacoli della vita uscendone spesso in ginocchio, prima con la perdita di suo padre, dopo di sua madre e infine della sorella, suo unico e ultimo legame tanto affettivo quanto di sangue; combattendo poi sola su una strada di rinunce e sacrifici, sposandosi più per rifugio che per sentimento e separandosi per le stesse ragioni, ritrovando inspiegabilmente dentro se stessa ancora tracce d’amore da poter donare ma senza qualcuno disposto ad accettarle, incapace di generare quella nuova vita, suo ultimo porto sicuro, su cui si sarebbe potuta riversare. La sconfitta di un matrimonio congenitamente malato, malformazione che inevitabilmente avrebbe portato a fermare il battito del cuore dei suoi due amanti e a vivere all’ombra delle loro vite. Del loro mancato amore rimasero tutti quei valori che ne fanno da pilastri, mura di una casa oramai disabitata. Il terreno che ne derivò e su cui Claudio crebbe non fu quindi arido bensì privo di semi, figlio di un suolo fertile ma mai fecondato.

    Ai tempi dell’università Claudio era già un piccolo uomo anche se ancora non in grado di riconoscere i molteplici colori della vita. Si laureò sotto perpetua pressione prima dei tempi previsti e col massimo dei voti in un percorso-studi lavorativamente fruttifero ma prettamente distante dalle sue aspettative. La mancata istruzione genitoriale, incarnata troppo spesso col massacrante senso del dovere, gli riconosceva formalmente il vero e indefettibile statu quo che da sempre intimamente lo descriveva e accompagnava. Gli unici occhi che per lui col tempo acquisirono importanza si fecero solo più severi e pretenziosi, concretizzando solo nella via della sua realizzazione professionale e del suo potenziale successo la sua stessa evasione.

    Trovò presto un buon impiego, anche se fuorimano. Dovette fare del lavoro la sua unica ragione per poter incrementarne i ritmi e ottenere quelle risicate gocce di riconoscimento che avrebbero potuto spettargli. Successivamente, grazie ad un importante credito riscattato da Nella, il suo curriculum arrivò sull’appropriata scrivania di un’emergente azienda milanese che subito ne fece seguire l’assunzione. Di certo non era il carattere o lo stakanovismo a mancargli, particolari doti che non passano inosservate. Fu forse la fortuna a volere che uno tra gli azionisti della stessa società fosse il padre di un suo compagno di università, Giacomo, laureatosi anch’egli prima dei tempi previsti anche se con metodologie e voti non strettamente meritocratici. Tuttavia la sua costanza e quell’invisibile occhio di riguardo gli procurarono un’ambita e inaspettata promozione cui non sapeva ancora se o con chi congratularsene.

    Dall’apparente migliore se non eccellente posizione lavorativa ne risultarono sguardi ulteriormente esigenti sia vicini che lontani. Per ostentare benessere e riconoscenza dovette spostarsi dalla lenta periferia al frenetico centro città, iniziando a filtrare per necessità ed occorrenza conoscenze, luoghi e compagnie, ravvisando sempre più nello sguardo e nella voce di sua madre l’aver preteso da lui la cosa giusta, scemando poi lo stesso rapporto quasi sino la sua definitiva dissoluzione. Un jet-set apparentemente evolutivo ma sostanzialmente sospensivo che faceva di lui un attore non protagonista; un tampone alla vita che, se rimosso, lo avrebbe portato inevitabilmente all’implosione. Tra le sue mani, quel che rimaneva, un rinomato biglietto da visita e un sogno incoronato in cui in nessun momento però gli è mai stato chiesto di esserne parte.

    IV.

    «Son due giorni che non ti fai sentire.»

    Lei è Sara. Claudio la incontrò una di quelle sere in cui con Giacomo era solito uscire per far baldoria. Timida, riservata, diversa dalle tipiche ragazze di cui usualmente si attorniava. Al loro primo incontro sembrò concedergli costantemente uno sguardo differente, singolare. Fu Giacomo il primo a notarlo, lo stesso che in poco tempo spronò il suo complice a ricambiarlo. L’abituale e indiscusso pensiero che accomunò i due protagonisti di serate non si discostò dal consueto proposito: nelle ore a seguire sarebbe accaduto di tutto con la preventiva esclusione di un qualsiasi abbozzo di sentimento.

    I neoamanti finirono a letto la stessa sera, anche se per diverse motivazioni: Claudio avvertiva il bisogno di sentirsi appagato, Sara di ritrovarsi meno sola. Come da routine la mattina seguente non si cercarono, lui per disinteresse, lei forse per vergogna, continuando ad ignorarsi ancora per i giorni a venire. Fu proprio Claudio diverso tempo dopo e senza un’apparente ragione a contattarla, presagendo forse l’occasione di una sincera amicizia o compagnia. Lei invece, inesperta novizia del suo cuore, si ritrovò ancora una volta a tastare un terreno nuovo e sconosciuto i cui confini si mescolavano e confondevano nella labile, doverosa e promiscua diligenza del perdersi e ritrovarsi. Bastò questo, questa infinitesima ed instabile formula affinché il loro vedersi divenne consuetudine e il loro conoscersi incalzante ordinarietà. Appartate cene, solitari weekend e inaspettati viaggi divennero col tempo simboli sacramentali del loro rapporto, anche se vissuti puntualmente dagli stessi partecipanti con peso e significati differenti. Quest’asimmetrica spirale portò in poco tempo Claudio ad entrare prepotentemente nel quotidiano di Sara divenendone involontario co-artefice. Eletto membro onorario del suo presente, esibito alla sua famiglia e oramai inglobato completamente nella sua realtà, fu portato al centro dell’intero suo mondo cui però non sentiva ancora appartenenza, e che come nel suo inizio continuò inconsciamente a lasciarlo attendere fuori le porte del suo.

    «Ehi, ciao. Scusami, davvero, ho avuto da fare: conosci il mio lavoro. Ti avrei comunque chiamata in serata.»

    «Sì Claudio, so perfettamente com’è il tuo lavoro, così come so perfettamente com’è la tua vita. Eppure non riesco a spiegarmi come in queste tue giornate talmente impegnate abbia comunque trovato il tempo di andare al Lounge ieri notte.»

    «Ah.» – ribatté impreparato Claudio – «Ehm... Hai ragione, ma te lo avrei detto. Ero con Giacomo, lui era già lì. Avevo bisogno un po’ di uscire, di cambiare aria.»

    «Davvero? Solo con Giacomo? Mi pare vi abbiano visto con altre due persone, due ragazze.»

    «Sì sì, erano solo due colleghe di lavoro. Le ha invitate Giacomo, io neanche lo sapevo. Quando sono arrivato erano già lì. E sono comunque andato via prima di loro. Solo.»

    «E questo dovrebbe farmi sentire meglio?»

    «Ti prego Sa’, oggi non ho proprio voglia di discutere.»

    «E certo: sei sempre impegnato, stressato, in più adesso con la tua promozione bisogna rispettare ulteriormente i tuoi spazi, i tuoi tempi, le tue dinamiche, e io devo sempre sorvolare su tutto. Ma mi vedi? Dico, nella tua vita, mi vedi? Perché sembra che io non ci sia.»

    «Sara, sai quanto tenga a te e quanto ti voglia nella mia vita. È solo che… È un periodo. Ho bisogno solo di un po’ di tempo per riassestarmi.»

    Dopo una breve pausa riprese:

    «Domani è sabato. Facciamo così: ti prometto che ti porto in quel ristorante che ti piacque tanto, ricordi? Quello della nostra prima uscita. Me lo avevi chiesto e te lo avevo promesso. Possiamo passare la serata soli, io e te. Non accade da molto. Forse ne avrei anche bisogno, forse ne avremmo bisogno entrambi.»

    «Soli?» – rispose titubante Sara – «Io e te?»

    «Sì. Credo, anzi, sono sicuramente stato poco presente negli ultimi tempi. Mi sa che ce lo dobbiamo.»

    Dopo qualche istante di silenzio, Sara riprese:

    «Non usciamo in intimità da settimane, e lo sai bene. La promozione, questo tuo allontanamento, e adesso dal nulla il mio ristorante preferito.»

    Indugiò qualche attimo ancora, poi continuando:

    «Oddio. Oddio. Non devo mica aspettarmi qualche proposta, vero? Cioè, dico, non... Mi devo vestire bene??»

    «Ehi, ehi, calma.» – controbatté subito Claudio – «Eccola lì subito pronta. Non vi si può fare una carineria che immediatamente pensate a proposte e abiti bianchi.»

    «E certo, uomo di ghiaccio. Per fortuna che in questa relazione ci sono ancora io che vivo di sogni, sentimenti e speranze. Fosse per te! E poi, perché parli al plurale? Vi si può. Io sono l’U-NI-CA per te per cui concedere carinerie e regalare visioni di matrimoni, o mi sbaglio?»

    «Su questo sono pienamente d’accordo: basti solo tu come U-NI-CA persona a incastrare la mia vita con un matrimonio.»

    «Sei una brutta persona!!»

    «Ah-ah!! Grazie amore... Adesso però devo tornare a lavoro, ho un’operazione da concludere. Ci sentiamo stasera, okay?»

    «Va bene… A stasera. E pensami ogni tanto. Ti amo. Buon lavoro.»

    «Ti amo anch’io. Ciao...»

    «Ciao.»

    Appena conclusa la conversazione, con un’entrata quasi sincrona come da copione, Giacomo irruppe nel suo ufficio scrutando in silenzio Claudio per diversi secondi prima di rivolgergli parola.

    «Caffè?» – domandò Giacomo.

    «Io ti suggerirei psicofarmaci più che altro.» – rispose Claudio.

    «Dai, andiamo giù al bar. Offro io. Oggi Myriam ha i leggings.»

    V.

    «Questa relazione ti rovinerà.» – disse Giacomo mentre sorseggiava il suo caffè doppio in tazza grande.

    «Chissà perché non avevo dubbi che tu avessi origliato.» – replicò Claudio.

    «Beh, non dimenticare che una percentuale dell’azienda è di mio padre, nonché mia. Per la proprietà transitiva mi appartiene anche una percentuale della vita dei suoi dipendenti, nonché tua. Comunque, spero di aver sentito o capito male. Davvero parlavate di matrimonio?»

    «Ah-ah!! No, no... Diciamo che c’è stato un misunderstanding

    «Mm... Misunderstanding... Da quello che so io un misunderstanding fu per esempio quello tra la Barclays e la Federal Reserve nel 2008, ma non mi spiego invece come si possa fraintendere un tappeto rosso, la navata di una chiesa ed un abito bianco.»

    «Lo sai meglio di me che recentemente la sto trascurando. Vorrei solo un po’ acquietarmi e rimettermi in careggiata, così ho pensato che domani saremmo potuti andare a cena da Gianni. Lei ha un po’ travisato, e…»

    «Un po’??»

    «Beh, sì. Dai, magari poteva starci, magari non era così sbagliato pensarlo. Forse ha ragione lei, o forse ci pensava già, non lo so. Dovremmo solo vederci e parlarne. Fare un punto della nostra situazione.»

    «Claudio, continua a parlarmi in questi termini e chiederò formalmente al consiglio ed a mio padre di revocarti la promozione; anzi, di dimetterti. Figa, ma dico ti senti? Preferirei un giorno origliarti mentre parli male di me piuttosto che sentirti blaterare di matrimonio con qualcuna. O qualcuno, se mai dovessi cambiare gusti.»

    «Dici proprio che è così inappropriato?»

    «Inappropriato?? Claudio... Vorrei rammentarti che la vostra storia è iniziata da... come posso dirlo senza turbare il tuo cagionevole animo... meri atti di fornicazione? Te la bombavi insomma, Claudio. E lei si faceva bombare. Tutto qui. E se non ricordo male, da quanto mi dicesti, la qualità di quei rapporti non era neanche eccellente.»

    Riprendendo poco dopo:

    «Certo, io e te siamo diversi, l’ho assodato col tempo. Io non permetto quasi mai un secondo incontro, una seconda occasione. Per me tutto rimane sempre e solo su un unico piano, senza eccezioni. Tu sei più tenero di cuore, ti affezioni. Cioè, diciamocelo: sei più femminuccia.»

    «Sei un coglione.»

    «Scherzi a parte, vuoi che sia sincero? Ma credo che tu lo sappia già. Non mi sarei mai aspettato che avresti potuto lasciar nascere qualcosa. Non in quel modo, non con lei. Sai che non mi piace entrare in merito a questioni personali, ma per me sei come un fratello, ti sento come un fratello. Conosci molto bene le donne e come me allora sai come funziona. Prima il bacio, l’abbraccio, il sesso; poi l’amore, le coccole – e qui sei già spacciato. I nomignoli, gli amici, la famiglia, la convivenza, sino all’anello e al matrimonio. Ciò che viene dopo non voglio neanche pensarlo. Già sai che da quando ho notato tra voi una certa direzione ti ho sempre invitato a porre più attenzione, a metterci dei freni. Peraltro guarda, senza neanche averlo intenzionalmente insinuato, Sara con te ha scrupolosamente seguito questa scaletta, con la differenza che forse farebbe anche a meno dello step della convivenza per passare direttamente a quello dell’altare.»

    Dopo qualche altro attimo di pausa continuò:

    «Scusami, probabilmente non sono neanche questioni che mi riguardano e alla fine la celata risposta di tutta questa faccenda puoi saperla solo tu, ma forse qui il punto è ancora un altro.»

    «E sentiamo Mister Genius, quale sarebbe?»

    «Tu che cosa vuoi?»

    A quella semplice domanda, a quei pochi vocaboli, Claudio rimase interdetto. E pensare che quello stesso quesito, quelle stesse parole erano oramai consueto eco della sua quotidianità; interrogativo posto e riproposto giorno dopo giorno per centinaia di volte senza mai il barlume di una risposta.

    Un dubbio che da tempo, sempre più insistentemente, lo inseguiva senza dargli tregua; una domanda che in poco come una seconda pelle iniziò a ricoprirlo e accompagnarlo in ogni istante e in ogni dove. Lo stesso Giacomo, per quanto caro e importante potesse essergli, non era mai stato capace di ottenere su Claudio il singolare potere della dissuasione, riducendo così il problema, la questione di fondo, ad un qualcosa di più intimo e profondo. Un dubbio sollevato dalla mente è un po’ come la nostra ombra: inizia dove termina la nostra luce. Quando invece a rischiararlo è una fonte diversa dalla nostra, estranea o ignota nella sua origine, rende quel qualcosa non più individuale, ipotetico, arbitrario o soggettivo, ma oggettivo e reale. Fu così quel momento per Claudio: sentirsi illuminato e individuato di un’irrisoluzione che davvero poteva esistere, di un tormento che realmente poteva avere forma e di una disputa che tangibilmente sarebbe potuta essere esternamente riscontrata. Un dilemma che non appartiene più solo alla sua terra e che non termina più unicamente nei suoi confini, ma che può realmente vivere, abitare, nutrirsi di propri malesseri e di proprie paure, interagendo con realtà e vite adiacenti, differenti, altresì avulse dalla sua.

    Che cosa vuoi. Tre banali parole conosciute da ognuno di noi più di ogni altra assiomatica concretezza, ma che se estranee al regolare percorso del nostro privato vengono subito rivestite di peso e credo sostanzialmente dissimili e discordanti.

    Una trasmissione neuronale, una vibrazione di lembi tendinei, un movimento labiale. La propagazione sonora, la seguente percezione timpanica e la sua conversione in messaggio. Attimi. E una diversa voce, una differente pronuncia di quelle parole, rende ciò che prima era astrazione sintomatica verità. Il malessere e l’inquietudine spesso sono come la bellezza, non puoi esserne certo sino a che diventino condivise; e così quel personale tumulto divenne ordine e quell’apparente quiete scompiglio. Riallineare ora tutte le sue idee e riconvogliare le sue volontà era ciò che da quel momento lo avrebbe indiscutibilmente atteso.

    «Ho saputo di ieri, di Claudia.» – riprese Giacomo.

    Claudio ricambiò il suo sguardo con cenno di imbarazzo senza proferire alcun suono.

    Era solito raccontargli sempre tutto, riportargli ogni conquista e ogni misfatto, ma quella volta non lo fece: di Claudia non gli disse niente. Lui, a cui era già capitato di tradire, volle tenere quel pomeriggio per sé, quasi ne provasse un’ulteriore e insensata vergogna, quasi come volesse segretamente celarlo o nascondersi.

    «Me l’ha detto Paola ieri sera.» – continuò – «Certo, falle bere qualche drink ed è in grado di rivelarti anche dov’è nascosto il Santo Graal! Comunque, sta’ tranquillo, la conosci, è una persona riservata. A parte l’alcol, credo me lo abbia detto solo perché pensava lo sapessi già. A proposito, perché non me l’hai detto? Io davvero non ti capisco. E poi, di certe cose probabilmente non ne so nulla e sono l’ultima persona che può propinare consigli, ma se già una donna, nel tuo caso Sara, ti incasina la vita, credo proprio che una seconda non ti aiuti. Perché ci eri già stato prima con Claudia, no?»

    «Beh... Sì. Già. E non ne vado fiero, per questo non te ne ho parlato. E per quanto possa giustificarmi, Sara non se lo merita. Non se lo merita. E non se lo merita neanche Claudia. Non avrei dovuto. Tantomeno con lei. Fide, è andata via piangendo.»

    «Ah-ah!! Sulle lacrime di una donna puoi star tranquillo. Mio nonno diceva sempre: Dòna che la piang e cavall che süda hinn fals me Giuda! Ah-ah!! Buon’anima... Comunque, sinceramente, non riesco ancora a capire cosa ti turba di tutta questa situazione.»

    «Giacomo, io non voglio assolutamente raffigurarmi come il Don Chisciotte dei valori perduti, anche perché non potrei mai esserlo; ma non lo so, a volte mi capita di non tollerarmi. Spesso mi domando se esista un criterio, una logica o una coscienza che, giusta o sbagliata, detti le mie azioni. Io non riesco a misurare lo spessore della strada che percorro. In alcuni momenti mi sembra che solo l’abitudine, la prassi e l’ordinarietà mi abbiano portato sino a qui. Probabilmente ne sono imbevuto come tutti, ma... Non lo so. Forse sto farneticando. Lascia stare.»

    «Ma qual è il problema? Dico, ti sei guardato attorno? A nessuno importa di nessuno. Nessuno starà a ricercarti, giudicarti o processarti. Ognuno bada al proprio orto, ognuno costruisce il proprio cammino in base a ciò che vuole e può ottenere, indipendentemente dalla strada che è disposto a percorrere per conseguirlo. Ti stai davvero creando problemi di moralità? L’universale legge oggi è solo il proprio benessere, il poter vivere al meglio; e se non ci riuscirai tu, ci sarà sicuramente qualcun altro a prendere il tuo posto.

    «Nessuno baderà a te. L’importante è stare bene e fare di tutto affinché ciò accada e continui ad accadere. Vogliamo parlare del tradimento, è questa la questione? Oggi tutti tradiscono. Anzi, il tradimento è l’istituzione, la trasgressione oramai è essere fedeli. La tua relazione con Sara? È fatta di alti e bassi come quella di tutti. Tu dovrai solo decidere quale sarà il miglior modo di affrontarla. La tua coscienza? Troppo spesso è solo sinonimo di colpe, un ulteriore tentativo di appesantirti e rammaricarti per poi reimmergerti e convincerti ad agire ancora una volta secondo ulteriori canoni e criteri dettati e stabiliti da altri ordinari e imperfetti insiemi di persone. Quest’auto-afflizione c’è chi ce l’ha e c’è chi no, c’è chi ce l’ha più o meno rigida, chi l’ascolta e chi la tace, chi se ne accorge, sbaglia, impara e non ripete più lo stesso errore,

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