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Bruce Lee-Ad Oriente del cuore
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Bruce Lee-Ad Oriente del cuore

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About this ebook

Un viaggio geografico a Hong Kong per la realizzazione del primo documentario Italiano sul cinema del Kung-Fu, diventa un taccuino divertito e nostalgico su un genere, su un'epoca (gli Anni '70) e sui luoghi superstiti dove Bruce Lee, la prima superstar Cinese, visse e morì entrando nella leggenda. Lo sceneggiatore Lorenzo De Luca, autore dei primi libri in lingua italiana sul tema, sintetizza i suoi incontri personali con Brandon Lee, Jackie Chan, Gordon Liu, Bud Spencer, Franco Nero e molti altri nell'arco di tre decenni. Da questo libro è stato ispirato il documentario "Dragonland-L'Urlo di Chen terrorizza ancora l'Occidente" trasmesso da Rai 4 e di prossima riedizione in homevideo.
LanguageItaliano
Release dateJul 10, 2018
ISBN9788826085012
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    Bruce Lee-Ad Oriente del cuore - Lorenzo De Luca

    Herzog)

    introduzione:

    QUALCUNO VOLO' SUL NIDO DEL DRAGO

    Oggi che scrivere su Bruce Lee non è negato a nessuno -quando uno scrittore non sa di che parlare, di solito si butta su Lee o Pasolini-, non avete ragione di leggere questo Ebook, se è la mera storia d'una delle più influenti personalità del Novecento che andate cercando: di biografie ne trovate a iosa, sia in cartaceo che su Internet; io stesso ne pubblicai ben quattro in tempi non sospetti, molti anni fa (più di quanti abbia voglia di ammettere).

    Questa non è neanche l'ennesima raccolta di citazioni, talvolta inautentiche ma di recente voga, in cui il Piccolo Drago è diventato un filosofo buono per ogni occasione, un po' come gli aforismi sulle cartine dei cioccolatini; e non è nemmeno un altro album di fotografie, ne trovate a carrettate su Internet anche di quelle. Men che meno, infine, è un manuale di Jeet Kune Do, il non-stile di Lee che Egli non intese mai per ciò che è diventato oggi: uno sport. Insomma il Bruce Lee Circus lo trovate altrove.

    Questo è solo il diario di un viaggio ad Oriente del cuore e della memoria: un Oriente geografico e sentimentale -ma senza quel sentimentalismo che Flaiano indicava come il primo passo verso la volgarità-, nei luoghi in cui Lee visse e dove visse il genere cinematografico di cui fu martire, il tutto attraverso gli occhi di un testimone andato... a quel paese! E non in senso lato: nel 2007 ho fatto un piccolo viaggio ad Hong Kong, che non è in Cina, non è la città-stato Britannica tecnicamente ritornata a far parte del Celeste Impero nel 1997. Io mi riferisco alla patria dei film di Kung-Fu: un archetipo immaginario e gemello di quello reale.

    Un viaggio sempre rimandato per ragioni economiche, ma anche perché sapevo che non mi sarei limitato a fare il turista: essendo cresciuto negli anni '70, quando i film di Arti Marziali si godevano al cinema, mentre oggi è già molto vederli in TV o al PC (cinema in scatola), sapevo che se un dì fossi andato a quel paese, cioè nella patria dei Gongfupian (film di lotta a mani nude) e dei Wushapian (film di cavalieri marziali), difficilmente avrei fatto il turista. Il mio primo e solo pensiero sarebbe stato di andare a rompere i coglioni a qualche vecchio attore o regista di quelli che applaudivo da ragazzino; e magari a più di uno. Un proverbio dice che quando l'allievo è pronto, il maestro appare; io potrei dire che quando l'idiota è pronto, il viaggio arriva. Per me arrivò nel 2007 e ne ritornai con un corpus di interviste videofilmate e di nozioni tali che avrei potuto trarne un documentario od un libro.

    Feci entrambi.

    Il documentario me lo autoprodussi col supporto logistico d'una piccola etichetta indipendente, giacché non trovai un produttore di serie A disposto a foraggiarmi. Ebbi un breve flirt con Aurelio De Laurentiis, per il quale avevo proficuamente lavorato come sceneggiatore in tre cinepanettoni, ma al dunque il Big Boss si concesse solo come intervistato .

    " A' Lore', sei sempre il solito: invece di spendere i soldi a femmine!" scherzava il compianto Vincenzo Cerami quando seppe della mia 'impresa'. L'immenso sceneggiatore di Un Borghese piccolo piccolo e La vita è bella (ma io mi divertivo a citargli i suoi inizi col western-spaghettaro El Desperado) aveva ragione, epperò quando decido di fare l'idiota non mi ferma nessuno.

    Da quei nove giorni ad Hong Kong, scaturì un documentario con nove personaggi Cinesi (in realtà di più, nove erano solo i Big) della durata di nove ore, montato in nove mesi e trasmesso nel 2009 in TV in nove puntate. Solo a cose fatte mi accorsi di quante volte il 9, un numero portafortuna per i Cinesi, ricorreva nella faccenda.

    Si intitolava Dragonland-L'urlo di Chen terrorizza ancora l'Occidente, poi distribuito anche in DVD in edizione limitata. In nove giorni buttai giù anche questa sorta di diario di viaggio, che però lasciai decantare parecchio, sia perché il panorama editoriale era già abbastanza inflazionato di cose su Bruce Lee, sia perché la parola scritta, diversamente dalle immagini, talvolta ha bisogno della giusta distanza (in ispecie se, come nel caso mio, oltre che del Piccolo Drago parlavo di tutto L'Impero dei Draghi, che è anche il titolo di un best-seller dell'amico Valerio M. Manfredi ispirato ad un mio copione omonimo).

    Dieci anni dopo, mi ritengo disintossicato abbastanza da poter pubblicare anche il libro, dopo una revisione per la quale sono occorse, ci crediate o meno... nove ore!

    Ho tolto parecchi superlativi dettati dall'entusiasmo del momento ed ho evitato quel lessico forbito che appresi dalle recensioni di Cosulich, Kezich, Grazzini, Biraghi ai tempi in cui vegano significava solo che eri un soldato di Re Vega, il nemico di Goldrake, un lessico che oggi mi fa lo stesso effetto stucchevole dei film di Jet Li. Ho aumentato il tono ironico, semmai, ed il fatto che alcune delle leggende viventi da me incontrate non sono più viventi oppure sono gravemente malate, forse rende più giusto questo omaggio oggi che non dieci anni fa.

    Naturalmente quanto sopra non conferisce aura di superiorità al mio lavoro, permeato dalle imperfezioni di tutte le umane cose, e se ho voluto pormi fuori dal Circo Bruce Lee (e senza snobismi, ché sono comunque rimasto nei paraggi del tendone), è solo per non essere confuso con gli imbonitori del copia-incolla scesi in pista all'ultimo momento per furberia e convenienza, due qualità di cui sono tristemente sprovvisto.

    Buona lettura.

    Lorenzo De Luca

    1. 1973-1993: DA BRUCE A BRANDON

    " E' ESPLOSA L'ATOMICA CINESE!"

    (Frase di lancio italiana per

    Dalla Cina con furore/

    Fist of Fury, 1973)

    Flashback: Roma, cinema Jolly, estate 1973.

    Ho sette anni e sono seduto fra i miei genitori. Con noi c'è anche una famiglia di vicini di casa, tutti insieme appassionatamente a vedere il fenomeno del momento: Bruce Lee (che i Romani de' Roma spesso pronunciano letteralmente come è scritto, talvolta raddoppiando la consonante iniziale e tagliando la vocale finale: Bbruce Le. Il dialetto non è ancora stato annacquato dall'imbecillità anglofona e televisiva).

    Sullo schermo, Bbruce le trasforma il prato d’una villa in un camposanto, saldando il conto ai Cattivi nel finale di IL FURORE DELLA CINA COLPISCE ANCORA, alias The Big Boss/Tangshan Daxiong/Il Padrino di Tangshan, diretto da Lo Wei, primo film di Kung-Fu di Lee ma secondo ad arrivare in Occidente, dopo DALLA CINA CON FURORE che era in realtà il secondo ma il primo a… be', per ora soprassediamo, questi sono tutti dettagli che apprenderò anni dopo.

    Il film è piuttosto violento, ma, in effetti, non esco dal cinema con segni evidenti di traumi psicologici, in barba ai benpensanti e, più in generale, all' Intellighenzia che scrive sui quotidiani e parla alla radio mettendo in guardia dal fenomeno per sottosviluppati culturali, che sta colonizzando i cinema di mezzo mondo (l'altro mezzo è già stato colonizzato). Comunque la mia è solo apparente normalità, il virus mi è stato comunque sottilmente inoculato da quelle immagini piene di vendicativi Cinesi, solo che gli effetti esploderanno poi, molto poi.

    Per adesso è soltanto l’estate del Kung-Fu, la febbre venuta dell’Oriente. Siamo fatti così, noi spettatori d'Occidente: la muscolarità di Ercole, Maciste e degli altri spaccamontagne del Peplum, ha fatto il suo tempo; c'è venuta a noia anche la violenza degli Spaghetti-Western, sicché ora abbiamo scoperto i Kung-Fu: dove non si uccide per un pugno di dollari ma per vendetta, e dove spesso gli eroi muoiono o finiscono arrestati, non come 007 che vince sempre (ed è pure fesso: un agente segreto che in ogni film si presenta col suo nome vero: " Mi chiamo Bond, James Bond"… e lo ripete pure!). Inoltre questi film parlano di personaggi appartenenti a classi sociali povere o comunque non ricche, ed è assai facile quindi identificarsi con i diseredati eroi del Kung-Fu.

    Il pubblico delle borgate italiane, come pure quello dei ghetti negri di Harlem o delle banlieue parigine, non è economicamente e culturalmente superiore a quello del Sud-Est asiatico, al quale questi prodotti erano inizialmente destinati. Le Arti Marziali contrabbandate come superpoteri: con una mano rompi, con due piedi spezzi, e con un salto puoi volare sul tetto d’una casa.

    " Se il tuo occhio destro ti offende, cavalo," disse Gesù.

    " Se l’occhio del tuo nemico ti offende, cavaglielo!" dice il Kung-Fu al cinema.

    Un paio di mesi dopo quella serata al cinema, la notizia dell'improvvisa morte di bbruce le rimbalza ovunque, ma alla mia età giocare a soldatini e cercare di pigliare buoni voti a scuola, sono attività che obnubilano tutto il resto. Comunque sono circondato dai sintomi della Febbre Gialla: mio zio Franco, ex-chitarrista Rock capellone, pratica Karate; un paio di cugini più grandi si fabbricano il Nunchaku segando il manico della scopa di mammà e congiungendo i due bastoni con una cordicella, ottenendo così l’arma proletaria di Chen (che finiscono col darsi in faccia nel tentativo di rotearla, parimenti a qualche altro milione di adolescenti sparsi nel mondo); il Cinema Delle Rondini, qui dove passo un pezzetto d'infanzia, nella quasi-pasoliniana borgata di Torre Maura a Roma, settimanalmente proietta pellicole di violenza cinese le cui frasi di lancio fanno a gara a chi le spara più grosse (" Il Kung-Fu ha insegnato la violenza per duemila anni, questo film ve la farà vedere in due ore", era una delle più sobrie).

    Molto più di Bruce mi impressiona CON UNA MANO TI ROMPO, CON DUE PIEDI TI SPEZZO! (The One-Armed Boxer), paradossalmente uscito senza divieti ai minori come film di Pasqua. Farà proseliti, e duraturi, ovunque, incluso un altro bambino di tre anni più grande di me, che ne resterà così invasato da comprarsene una copia in pellicola 35 mm, quando diverrà adulto e famoso: si chiama Quentin Tarantino. Cotanta impressione sul pubblico in Occidente deriva dal fatto che l'attore e regista Wang Yu, nella finzione, resta monco del braccio destro, dopo che il bestiale Cattivo interpretato da Lung Fei glielo stacca con un colpo di Karatè (come si diceva allora). Ma l'eroe impara a fortificare la mano sinistra immergendola nelle braci ardenti e poi in un unguento erboristico, prassi che verrà imitata da non pochi spettatori, con inevitabili ricadute presso i Pronto Soccorso più vicini.

    L’emulazione esagitata è un effetto collaterale inevitabile a Roma come a Beirut, e mica solo fra i ragazzini. I nomi di Chen o di Chin Hao (l'eroe dell'apripista CINQUE DITA DI VIOLENZA), diventano familiari al pubblico del 1973 quanto quelli di Rocky o Rambo più tardi. Per chi è adulto, questi spettacoli costituiscono un’amena esoticità, e se l’adulto è di sinistra, una triste scemenza per fascisti (cito Sandro Scandolara, defunto critico cinematografico); se invece è di destra, tali pellicole lo incentivano a frequentare palestre di neo-arditismo proletario. Insomma ciascuno ci vede quel che vuole, ma chi il fenomeno lo ha praticamente inventato li reputa soltanto una moda, e le mode non sono né belle né brutte, sono mode e basta, come dice il produttore Run Run Shaw degli Shaw Brothers di Hong Kong, alla nostra Oriana Fallaci...

    Pochi mesi dopo, assieme ad uno di quei miei cugini usi spaccarsi la faccia col nunchaku artigianale -quel Massimo Paolucci che quarant’anni dopo mi aiuterà nella post-production del documentario di cui questo libro è appendice-, vado al cinema Bristol, seconda-visione, via Tuscolana, Roma: una delle sale che camperanno così per anni, prima di crollare nel porno e poi chiudere per sempre. Eh sì, perché questa moda ha anche una sua precisa geografia: i cine-Cinesi trovano la loro più sana dimensione nei cinema di borgata economici e con le sedie di legno, frequentati da gente come noi, che di rado può permettersi di spendere 1400 lire a persona nelle sale del centro, mentre può permettersi le 250 o 500 lire dei cinema suburbani. Io e Massimo lecchiamo con gli occhi le foto-scena di CIN-FU L’UOMO D’ACCIAIO appese sulla porta a vetri. E' un’imitazione Taiwanese di DALLA CINA CON FURORE che era Hongkonghese, ed invece di Bruce Lee c'è Wen Chiang Long, una specie di Chen al discount, ma che ne sappiamo io e Massimo di dove stanno Taiwan ed Hong Kong? Questi film potrebbero essere TUTTI con Bruce Lee, tanto i titoli di testa sono in ideogrammi cinesi e chi li sa leggere? E poi per noi bianchi, si sa, gli orientali sono tutti uguali.

    Risultato: ci divertiamo da matti! Non sono nemmeno finiti i titoli di testa, che già un gruppo di incazzosi e prepotenti karateka nipponici entra a rompere i coglioni in ristorante di Shanghai. Siamo durante l'occupazione giapponese in Cina. Peccato che dalla cucina esca il cuoco che, armato di bacchette per stendere la pasta e con tanto di cappelletto da Chèf in testa, sbaraglia i prepotenti. Lui è Cin-Fu.

    Li sdraia tutti, poi li costringe ad uscire dal ristorante camminando carponi come cani:" E state attenti: la prossima volta mi arrabbio sul serio! gli urla dietro, splendidamente spaccone. La rissa innesca una faida fra lui ed i nipponici, ma Cin-Fu li rompe, li frusta, li spezza, li umilia, e alla fine si consegna alla Polizia, mentre la popolazione lo attornia festante come un eroe della ribellione. Ha un che di profondamente populista", diremmo oggi, questo ragazzo impetuoso, anche se è niente rispetto alla tragicità quasi scespiriana del modello cui si ispira: Bruce Lee, appunto.

    Oggi sappiamo che i grandi significati non esistono solo nelle cose alte. Posto che uno senta l’impellenza di trovarli, qualche volta stanno anche nelle cose basse, piccole, che più sono piccole, più contengono scampoli di verità che il colto generalmente rifiuta, perché ammetterli demolirebbe il suo arianismo culturale. Cin-Fu, Chen e consorteria, ci ricordavano

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