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C’era una volta la “Coscia”
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Ebook144 pages1 hour

C’era una volta la “Coscia”

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About this ebook

A Genova, precisamente a Sampierdarena, c’è una strada che ancora oggi mantiene il suo sapore antico. Il nome di quella viuzza è pressoché insignificante per molti, ma per alcuni, per chi è nato e cresciuto lì, evoca un denso passato: è la Via della Coscia. Nel piccolo quartiere pulsava la vita dell’avamporto di Genova: a chi passa ancora oggi di lì sembra di risentire i carri coi cavalli, le merci scaricate, i giochi dei bambini. Ed è proprio questo l’intento di Franco Bugli: riportarci indietro nel tempo, alla sua giovinezza, e renderci parte di una vita trascorsa tra quelle strade e quei quartieri. Via Balleydier, Via Pietro Chiesa, Largo Lanterna, i parenti, gli insegnamenti di una vita, la casa, ma soprattutto gli amici con i quali si cresce e si fanno le proprie esperienze, i giochi, la scuola, le vacanze, la chiesa delle Grazie.
Ma le narrazioni più gustose sono sicuramente quelle relative alle escursioni delle “Aquile”, ragazzi che, da una piccola baracca a Largo Lanterna, partivano per gite che li portavano di volta in volta sul Monte Leco, Monte Dente, Monte Reixa e altri, dove mettere alla prova se stessi ed esplorare le zone più incontaminate di una Liguria tutta da scoprire. Non mancano i ricordi della gioventù tipica degli anni Cinquanta, i balli, il rock and roll, i primi baci. Una narrazione intensa, emotiva, che si chiude con poesie intrise di una serenità che rimanda a luoghi e tempi lontani, ma sempre presenti nei ricordi di un uomo che sa serbarli nel cuore.
LanguageItaliano
Release dateApr 30, 2017
ISBN9788856782820
C’era una volta la “Coscia”

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    Book preview

    C’era una volta la “Coscia” - Franco Bugli

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8282-0

    I edizione elettronica aprile 2017

    Presentazione

    Quasi tutte le settimane mi trovo a transitare per Piazza Barabino in quel di Sampierdarena e, casualmente, il mio sguardo va a cercare la targa della via posta a collegamento tra Piazza Barabino e Via Pietro Chiesa

    Il nome di quella viuzza, insignificante per la maggior parte degli abitanti di Sampierdarena, è Via della Coscia. Ovviamente si tratta di una traduzione dal dialetto genovese di cui non so scrivere, pur essendo nato a Genova, e cresciuto con almeno i nonni che parlavano tra di loro in dialetto. Per buona educazione i miei genitori ritennero opportuno che io venissi cresciuto con l’uso della lingua italiana. Il dialetto era identificato allora come distinzione negativa che apparteneva alla categoria del popolino, camalli, carrettieri, gente per definizione poco colta o addirittura ignorante se non proprio analfabeta.

    Per tale motivo, mi scuso sin d’ora se nel prosieguo di questa storia, a volte, proprio per accentuare una definizione, mi capiterà di usare il dialetto non proprio in modo consono. A volte, specie quando sono fuori dalla mia città, proprio per ostentare con una forma di orgoglio la mia origine, provo a esprimermi in Genovese. Tutti, sentendomi parlare in Italiano, si accorgono immediatamente della mia cantilena tipica di una persona nata a Sampierdarena.

    Mia madre era nata alla Maena (marina), in un edificio chiamato u labirintu, il Labirinto, perché molto grande, con sviluppi tortuosi di scale, più ingressi e quasi un piazzale all’interno dello stesso edificio. Ancora oggi quell’edificio è rimasto a testimone di quel tempo e si trova a poche decine di metri da Via della Coscia, quasi di fronte al Club dei carbonai. Mi diceva la nonna Ida, madre di mia madre, che era a sua volta nata in Sampierdarena, che la sorella, zia Angioletta, mai sposatasi, viveva nel Labirinto con una tranquillità, e diremmo oggi sicurezza, che la porta di casa non disponeva di alcuna serratura e si apriva cun u spaghettu, una cordicella che, tirata dall’esterno, sollevava un rudimentale chiavistello in legno e, sbloccatala, permetteva alla porta di aprirsi e lasciare transitare chiunque. Ogni commento è superfluo.

    Sarebbe molto riduttivo identificare la Coscia con quella piccola via. Per una persona come il sottoscritto, che vi è nato, cresciuto e vissuto in modo intenso sino all’età di diciannove anni, la Coscia non è soltanto una piccola Via sconosciuta ai più, perché, anche se solo da un punto di vista meramente di ubicazione, si tratta di una grossa porzione di Sampierdarena.

    Agli amici di sempre

    Che cosa è la Coscia?!!

    Per il furesto, forestiere, non genovese, la delegazione di Sampierdarena fa ormai parte del tessuto urbano della grande Genova. Per un genovese, Sampierdarena è una striscia di costa che, partendo dalla Lanterna, si estende sino alla sponda destra del torrente Polcevera, da cui prosegue Cornigliano.

    Negli ultimi tempi tale striscia si è estesa sulle colline e palazzoni, nonché interi quartieri, hanno preso il posto di orti, vigneti, prati; come il Fossato, le Mura degli angeli, a Texetto, Belvedere. Ricordo che il nonno paterno, babbo, come in casa tutti lo chiamavano, mi conduceva, quando ero piccolo, appena camminavo, a sgambettare su quelle colline. In realtà, alla Texetto c’era una vecchia osteria che in estate diventava una balera, ove si poteva bere dell’ottimo vino bianco ottenuto da uve coltivate in loco e il babbo era un gran bevitore.

    Sampierdarena, per i più anziani, è ancora divisa in tre zone: a maena (la marina), u cantu (l’angolo), a coescia (la coscia). C’è anche un’ulteriore piccola zona un po’ staccata dal mare, dove nei tempi antichi c’era una piccola Abbazia: San Bartolomeo del Fossato.

    La marina è tutta la parte centrale e si chiama con tale definizione proprio perché ancora in tempi non troppo remoti l’attuale Via Sampierdarena si affacciava sulla spiaggia formata da sabbia. Mi raccontava mia madre che, uscendo dal portone di casa, poteva direttamente andare a piedi sino ai bagni sotto la Lanterna. La chiesa che si trova in posizione centrale, la più importante della delegazione, è chiamata la Cella. Ha dei riferimenti di tradizione storica ai pescatori e in particolare a San Pietro dell’Arena.

    Nella parte estrema verso Ponente – tra l’antica Croesa di Boe (crosa dei buoi), oggi Via Stefano Canzio, e il torrente Polcevera, spazzati via gli stabilimenti Ansaldo – vi si è insediato il centro commerciale della Fiumara. Tale porzione di Sampierdarena corrisponde al vecchio Cantu. Resta da ubicare quella parte di Sampierdarena che qualcuno ha relegato a quella viuzza dimenticata dai più.

    Dalla vecchia Coscia – identificata nel suo nucleo, dove pulsava la vita dell’avamporto di Genova – all’alba partivano i carri trainati dai cavalli che uscivano dalle stalle poste ai piani terra dei vari edifici. Al loro passaggio si sentivano le incitazioni dei vari carrettieri rivolte ai cavalli ancora assonnati. Una stalla era proprio ubicata a fianco del portone d’ingresso di Via Balleydier n° 7. Al primo piano dell’edificio, all’interno 2, vidi la luce in una notte piovosa dell’ormai lontano marzo 1941. Oggi tale edificio è rimasto ancora per poco a testimoniare di quel tempo passato. Tutti gli altri palazzi sono stati demoliti e molte macerie rimangono testimoni di tale distruzione.

    L’intero sito chiamato Coscia si può delimitare ancora oggi tra l’attuale Via di Francia, Via Balleydier, Via Demarini, Via Scarsellini, Via Pietro Chiesa, Largo lanterna. Lungo queste strade, piazze, vicoli, siamo diventati grandi, abbiamo imparato a vivere, ci siamo formati a diventare ciò che saremmo poi diventati nel corso della nostra esistenza. La Coscia non era solo un luogo, era fondamentalmente un modo di vivere, era un modo di pensare, era un microuniverso inserito nella Sampierdarena di allora. Essere della Coscia significa appartenere a un clan, quasi una mafia benevola, ammesso che ciò fosse possibile, che dava un’impronta di estrema Genovesità.

    Ricordo che quando a diciotto anni mi presentai in porto per un lavoro occasionale, gli addetti chiesero le mie origini. All’apprendere che ero nato alla Coscia, fui inserito nella stretta cerchia dei privilegiati e costretto a parlare nel mio genovese terribile. A quei tempi, per entrare in Porto, occorreva essere Genovesi. Nei Camalli i non Genovesi erano talmente rari che venivano chiamati col nome della città di origine – u’ Napoli, u’ Calabria – a dimostrare che di quei luoghi c’era un solo esemplare non Genovese entrato per motivazioni eccezionali a far parte dei privilegiati. Fui sottoposto a interrogatorio come nei film di spionaggio, per verificare la veridicità delle mie affermazioni, per esempio «Ti cunusci u’ Boidi, u Furmigua?» e altri personaggi mitici il cui mestiere era il carrettiere e la cui vita era trascorsa tra cavalli, stalle, fieno, carrube.

    Proprio le carrube destinate ai cavalli erano al momento opportuno oggetto di razzia da parte di noi ragazzini, rappresentando l’unico dolce sicuro a costo zero che si poteva facilmente rubare nelle stalle. In quelle stesse stalle ci recavamo a raccogliere letame di cavallo per gli orti ricavati nelle macerie di un edificio distrutto da una bomba durante la seconda guerra mondiale. La finestra dell’ingresso della mia abitazione, al primo piano, dava proprio sulle macerie della porzione di fabbricato crollato. Su quelle macerie, oltre agli orti, alle gabbie per polli, galline, conigli, e alle colombaie, venivano costruite le casette con l’impiego di pietre e mattoni recuperate dalle stesse macerie. Sabbia e cemento erano approvvigionati dai molti cantieri sparsi un po’ in tutta la Coscia, ove tutti erano impegnati a cancellare le ferite della guerra.

    Sono gli anni immediatamente a seguire il 1945. Noi piccoli seguivamo i grandi, quasi estasiati di vederli così capaci di inventarsi una vita in mezzo a tanta nullità, lasciata dalla guerra. Io iniziai un po’ più tardi a partecipare attivamente e sin dall’inizio, quando fui ammesso tra i grandi, potevo avere otto-nove anni. I grandi avevano più o meno dodici-tredici anni. Questa mia entrata tardiva era dovuta al fatto che sin dalle scuole elementari ero stato ogni anno promosso con buoni voti, mentre la maggior parte della banda non studiava, anche perché non spronata dai propri genitori.

    Per quelli della Coscia, io rappresentavo una pecora bianca, in quanto la maggiore aspirazione degli abitanti del posto era fare il Camallo, ovvero lo scaricatore di porto, come da tradizione familiare, una fonte di buon guadagno immediato, senza perdere tempo a scuola. Credo, dell’intero quartiere, di essere stato l’unico esempio di studente di medie superiori arrivato al diploma. Ancora nel 1959, quando frequentavo il quarto anno, tutte le mattine il Boudi mi dava un passaggio sul carro trainato da due cavalli sino all’imbocco del porto alla Chiappella, da dove proseguivo a piedi per Dinegro e su per Via Venezia sino al Galilei.

    Dov’è la Coscia?!!

    Via Balleydier, lo seppi solo recentemente, prese il nome dai Balleydier, una generazione di fonditori, con diverse acciaierie nella zona, prima della Seconda Guerra Mondiale, ma di ciò non ho mai potuto verificare l’autenticità. La Via si sviluppa dall’attuale Via Pietro Chiesa, dove erano i Docks Lanterna, grandi depositi di merci varie in attesa di smistamento e salendo verso nord est tagliava un binario ferroviario (oggi scomparso) di collegamento tra il porto, mediante una serie di gallerie, con la rete ferroviaria principale che transita in Sampierdarena. Queste gallerie venivano da noi usate per accedere all’interno del porto senza

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