Autumn in love
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Autumn in love - Flora A. Gallert
Flora A. Gallert
Autumn in Love
UUID: 8b8339fe-21a9-11e7-a19a-49fbd00dc2aa
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Indice dei contenuti
Prologo
Capitolo 1 25/09/1998
Capitolo 2 23/06/1986
Capitolo 3 12/07/1987
Capitolo 4 17/10/1988
Capitolo 5 30/05/1990
Capitolo 6 4/04/1992 (Daniel)
Capitolo 7 8/11/1993
Capitolo 8 11/11/93 (Daniel)
Capitolo 9 12/10/1995 (Daniel)
Capitolo 10 15/10/1995 (Daniel)
Capitolo 11 5/11/1995
Capitolo 12 23/12/1995
Capitolo 13 12/12/1997
Capitolo 14 11/06/1998 (Daniel)
Capitolo 15 11/06/1998
Capitolo 16 2/09/1998
Capitolo 17 25/09/1998
Capitolo 18 25/09/1998 (Daniel)
5 ANNI DOPO
Altre opere della stessa autrice Innamorarsi a Natale
Titolo originale: Autumn in love
Copyright © 2015 Flora A. Gallert
All rights reserved
Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell'autrice. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da considerarsi puramente casuale.
Questo libro contiene materiale coperto da copyright e non può essere copiato, trasferito, riprodotto, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall'autrice, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941).
Prologo
Ehi, Cristiano.
Sento voci sconosciute che mi chiamano, le sento, so che sono vicine... eppure mi sembrano così lontane.
Cristiano, mi parli?
No, non riesco a parlare. La vedo ancora lì, per terra. Gli occhi chiusi come se stesse dormendo. L’ho chiamata e lei non mi ha risposto. Non ho potuto difenderla, non l’ho fatto.
Nonna, NONNA!
sono state le mie ultime parole, le ho urlate con voce strozzata, a tratti rotta dai singhiozzi. Non è possibile, lei non mi ha fatto mai attendere, c’era sempre quando soffrivo.
Poi un vortice attorno a me: urla, si agita e la consapevolezza della sua morte che mi schiacciava.
Sono piccolo, troppo piccolo, e sono solo. Ho perso tutti, anche lei. Non ho niente da dire. Non a questi sconosciuti, ai quali di me importa poco o niente.
Cristiano, raccontaci com’è andata.
Gli avvenimenti scorrevano davanti ai miei occhi in continuazione.
Voglio parlare... raccontare... denunciare... Eppure dalle mie labbra non esce alcun suono.
Non parla,
dice la donna davanti a me a un altro uomo. Io non so niente di lei, lei di me sa solo che non parlo. Non ci riesco, sono troppi i pensieri, le paure. È troppo il dolore. Sono troppo solo.
La donna mi lascia da solo, sono seduto in una specie di sala d’aspetto, in un corridoio di un palazzo sconosciuto e gente sconosciuta mi passa davanti, senza degnarmi di uno sguardo. Solo una donna si ferma davanti a me, s’inginocchia per essere alla mia altezza. È bella, il viso di un angelo, la conosco. Ha il fiatone come se mi avesse cercato per ore. È l’unica che non mi fa domande. Lei mi abbraccia e io mi lascio andare tra le sue braccia. Vorrei fosse mia mamma, ma non è la mia, è la mamma di Daniel, il mio migliore amico. Sono felice che sia qui, di fronte a me, che rimanga in silenzio, rispettando il mio. Ma so, so che lei presto mi lascerà, so che non può tenermi con sé.
Capitolo 1
25/09/1998
Via delle Rose, mai nome fu meno azzeccato.
Lo penso tutte le benedette volte che imbocco la stradina per tornare a casa.
Casa. La definisco così, anche se le porte tra una stanza e l’altra sono quasi tutte rotte, e le pareti sono nere per via dell’umidità; anche se dormo in una camera spoglia, nello stesso letto insieme a miei fratellini, Michele e Lorena, rispettivamente di sei e tre anni. Nonostante tutto, è casa, la mia casa.
Via delle Rose, che nome bizzarro per indicare lo stretto corridoio di cemento a cui si affacciano palazzi fatiscenti, grigi, spenti, che si susseguono quasi senza sosta fino all’incrocio con Via dei Tulipani. Altrettanto allegra.
Via delle Rose, anche se non c’è traccia di un fiore alle finestre, anche se puzza di immondizia marcia e di fogna.
I cassonetti dei rifiuti all’imbocco della strada sono sempre strapieni; i camion della spazzatura vengono a svuotarli solo quando si ricordano che esistiamo anche noi, ma nessuno finora si è mai lamentato. Né nessuno ha mai fatto la raccolta differenziata.
Mi scappa una risata amara quando penso all’ottimismo del sindaco nel rifilarci i cassonetti di colore diverso.
Proprio al centro della via, i palazzi alla mia destra s’interrompono per dare spazio al piccolo parchetto inaugurato da poco tempo: neanche lì ci sono i fiori, mentre le giostre e le panchine sono già state rotte. È perfino possibile imbattersi in siringhe usate, abbandonate per terra da qualcuno troppo strafatto per ragionare.
Da quando le ho notate, non ho più portato i miei fratellini a giocare lì dentro, piuttosto pago i biglietti dell’autobus e li porto in centro, dove i parchi sono verdi e al posto degli aghi crescono i fiori.
Supero il parchetto e raggiungo il mio palazzo. Ah, dimenticavo: tra il mio palazzo e quello di Daniel ci sono altri cassonetti colorati, incastrati alla bell’e meglio in un vicolo cieco. Anche questi puzzano e sono strapieni come tutti gli altri, ma devo dire che a quelli ci sono piuttosto affezionata.
Cerco nella borsa le chiavi,