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Book preview
[tre] - Tiziano Solignani
#parolesottovetro.
Prefazione.
Anni fa, facemmo insieme un lungo viaggio in India alla scoperta di noi stessi.
Quando fummo in loco, scoprimmo di essere in realtà tre coglioni.
Allora ci rassegnammo.
Questo libro, venduto con due banane in omaggio (così una la mangiate), è frutto di quella fondamentale presa di coscienza.
Stefano Ferrari
Introduzione
Ho pensato ad un personaggio antipatico e l’ho creato. Sbruffone, volgare e indisponente, il mio Ronnie/Giacomo è un uomo senza pregio alcuno, sprezzante dei valori che comunemente rispettiamo: se ne frega del politicamente corretto, usa le donne come dei kleenex, venderebbe il fratello per due lenticchie.
E’ stata quasi una catarsi averlo inventato e descritto, l’ho talmente detestato mentre pigiavo i tasti sulla tastiera che quasi mi è dispiaciuto racchiuderlo in appena tre racconti, è stata una sorta di redde rationem con la vita che ognuno di noi dovrebbe avere.
Ha tratti di genialità, Ronnie, del genio del male però, vanta pessime frequentazioni e vorrebbe disporre di tutti, ma la vita gli darà una lezione fulminante e definitiva nel corso del terzo racconto. Sono altresì convinto, però, che molti lettori di sesso maschile avrebbero voluto assomigliargli, almeno un poco, se non altro per provare l’effetto che fa…
Buona lettura.
1. Piacere Ronnie, per gli amici Giacomo.
...Come tutte le mattine non sentì la sveglia.
Probabilmente non l’aveva nemmeno puntata, se l’era soltanto immaginato.
Poco male, quel giorno non avrebbe avuto nulla da fare, esattamente come il giorno precedente e come sarebbe stato quello successivo. Aveva un sussidio, minimo, una rendita che gli aveva lasciato sua madre, più che un appartamento un buco lercio e con puzza di piscio, tre quadri staccati ed un gatto senza un dente, quattro soldi per comprarsi due birre, un po’ di fumo e quanto basta per garantirsi un giretto in un centro massaggi una volta a settimana. Lì almeno, pensava, non mi chiederanno cosa farò domani.
Aveva la testa pesante, Giacomo, che in realtà all'anagrafe si sarebbe chiamato Ronnie. Nome strano per uno di quarant'anni, calvo e nato in pianura padana, al massimo in Romagna qualcuno si chiamerà così, mica altrove. Ma il padre era un appassionato di Formula 1, detestava la Ferrari perché da bambino non riusciva a dormire a causa dei bolidi in prova che gli sfrecciavano sotto casa sulla via Emilia: si era messo a tifare la Lotus perché fumava la Jps, le John Player Special nere bordate color oro, e quando Ronnie Peterson morì a Monza, per lui fu uno shock. La moglie era incinta ed il bambino che avrebbe dovuto chiamarsi Arturo, in ossequio ad un nonno caduto sul Carso nella Grande Guerra, si ritrovò all'anagrafe il nome del malcapitato svedese.
Testa pesante, dicevamo, come le sue braccia, le sue gambe, le sue mani, che non avevano mai lavorato davvero: aveva scritto molto nella sua vita, spesso cose inventate e che gli avevano anche conferito una certa fama, mai una volta che si fosse sporcato le mani, però. Ufficialmente reporter di guerra, Giacomo detto Ronnie aveva raccontato di essere stato ovunque e per i primi anni qualche aereo era pur stato costretto a prenderlo: Addis Abeba, Mogadiscio, Zanzibar, una volta all'Avana e quella volta fu decisiva per non lavorare più. Troppe le tentazioni di un'isola ufficialmente abbandonata a se stessa ma che ufficiosamente gli offriva tutto, donne, alcool, fumo, anche uomini volendo ed il tutto a prezzi ribassati. Avrebbe dovuto trattenersi due settimane all'epoca dei primi malori di Fidel, ci stette sette mesi e se li godette tutti.
Ma lavorare nel senso vero della parola, nel senso di guidare un carrello elevatore, spostare un pacco, operare d'urgenza per, stipulare un contratto, firmare un documento, progettare una casa, mescolare la calce, tagliare una lastra, chiudere un accordo, analizzare una provetta questo mai. Mai. Tanto che una mattina, ed era un martedì, guardando diritto una mosca sul soffitto per mezz'ora, Ronnie si rese conto di non avere mai fatto neppure una sola ora di lavoro almeno alla luce del sole e giunto alla soglia dei quarant'anni prese a pretesto questa considerazione per organizzare una festa con i soliti amici, Franz, Mario e un tale Misale, detto il prof. perché non rideva mai, esattamente come un suo docente alle medie.
In seguito, è vero, continuò a firmare qualche pezzo ma senza spostarsi mai dal quadrilatero che un arazzo di case formava attorno alla sua: era talmente felice di poter limitare il suo raggio d'azione alle notizie che recuperava dal web