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Distruggere il Biker
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Distruggere il Biker

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About this ebook

Tanca, il nuovo presidente dei Gold Vipers, ha una missione: trovare la donna responsabile dell’uccisione a sangue freddo di un membro del club. Donna o no, vuole vendetta e non si fermerà finché non avrà trovato l’assassino.

Quando il figlio di due anni di Raina viene ucciso durante una guerra tra club, questa si vendica dell’uomo che ritiene responsabile della sua morte. Quando scopre che il nuovo Presidente dei Gold Vipers è fortemente determinato a trovarla, Raina fa in modo che abbia ciò che vuole, e non solo…

Questa storia contiene un linguaggio volgare, situazioni di tipo sessuale e violenza. Non è adatta ai lettori che abbiano meno di 18 anni. Per favore, non compratelo se qualcosa vi offende. Questa è un'opera di fantasia e non si pone come vera rappresentazione dei club di motociclismo. È stata scritta per puro intrattenimento.
 

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMar 5, 2017
ISBN9781507176016
Distruggere il Biker
Author

Cassie Alexandra

USA Today bestselling author Cassie Alexandra (pen name of NY Times Bestselling Author, Kristen Middleton) has published over 40 titles since 2011. She writes romance, horror, fantasy, and suspense thrillers.  www.kristenmiddleton.com www.cassiealexandrabooks.com

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    Book preview

    Distruggere il Biker - Cassie Alexandra

    Prologo

    «È lui?»

    Cole spense la sigaretta nel posacenere del furgoncino. «Sì.»

    Guardai l’uomo dai capelli grigi con il gilè dei Gold Vipers, odiandolo con ogni fibra del mio essere. Stava salendo sulla sua moto dietro il Griffin, lo strip club di cui, a quanto sembrava, era proprietario. «Non osare perderlo di vista.»

    Lui si accigliò. «Rilassati, Raina. Non lo perderò di vista.»

    Presi la rivoltella dal vano portaoggetti e controllai la camera, accertandomi che fosse carica. Doveva essere irrintracciabile. Me l’aveva data Cole quella mattina, anche se non molto volentieri, e volevo assicurarmi che non avesse tolto i proiettili. Pensava che stessi commettendo un errore e, accidenti... forse era davvero così, ma non m’importava. Ora che il mio bambino non c’era più, volevo solo distruggere l’uomo responsabile della sua morte. Schianto, il Presidente del club dei Gold Vipers. Aveva ordinato lui la sparatoria in corsa che aveva portato alla morte di mio figlio di due anni e non gli avrei mai e poi mai permesso di esultare.

    «Continuo a credere che dovresti lasciare che se ne occupi il club» ripeté Cole mentre seguivamo la moto di Schianto fuori dal parcheggio, a distanza di sicurezza. «Ucciderlo senza il loro consenso m’impedirà di ricevere presto la toppa.»

    Lo fissai incredula.

    Billy era morto e lui si preoccupava di ricevere la toppa?

    «Credi davvero che mi freghi qualcosa se faccio incazzare il tuo club? Per quanto mi riguarda, i Gold Vipers e i Devil’s Rangers possono bruciare all’Inferno. La stessa cosa vale per Patty, quella cretina della tua ragazza.»

    Cole non rispose. Sapevo che, a modo suo, anche lui aveva difficoltà ad accettare la morte di suo nipote. Voleva bene a Billy e aveva ammesso di sentirsi in parte responsabile. Cole era un Candidato dei Devil’s Rangers ed era stata la sua ragazza ad andare con mio figlio, senza invito, ad una festa del club, quando avrebbe dovuto fargli il bagno e metterlo a letto. L’aveva portato alla festa per tenere d’occhio Cole e assicurarsi che non la stesse tradendo. La sua gelosia e le sue insicurezze avevano contribuito alla morte di mio figlio, oltre che alle sue ferite, visto che un proiettile l’aveva colpita alla spalla. Ma, a differenza di mio figlio, il fato aveva avuto pietà per lei quel giorno. Ora dovevo metterci tutta me stessa per non cambiare idea e uccidere quella stupida stronza.

    «Quindi vuoi uccidere anche Patty?»

    «Di certo è mi è passato per la mente» borbottai arrabbiata. «Non ci posso credere che ti sei messo con una tanto ottusa. E perché diamine le ho permesso di badare a lui?»

    «Lo so. È fuori di testa.»

    «È evidente.»

    «È finita tra noi.»

    «Lo spero, perché se la dovessi rivedere, la faccio tornare in ospedale a suon di calci.»

    «Non te ne farei una colpa» disse facendo cadere la cenere dalla sigaretta.

    Proseguii. «Non aveva diritto di portare Billy a una festa. Se fosse rimasta a casa mia, cosa per cui la pagavo...» Mi s’incrinò la voce. «Il mio bambino sarebbe vivo adesso.»

    I suoi occhi si addolcirono. «Lo so. È stata un’idea del cazzo. Sono sicuro che se ne pentirà per il resto della sua vita.»

    Era ancora troppo presto perché riuscissi a provare pena per qualcun altro. Soprattutto Patty. Aveva ventidue anni. Sapeva che non era il caso di portare un bambino a una festa della birra, qualunque fossero le sue ragioni. «Bene. Magari così salverà la vita a qualcun altro.»

    «Magari.» Cole sospirò stancamente. «Senti, so che al momento ti sembra tutto irrecuperabile, ma voglio che ti ricordi che non sei sola, Raina. Hai sempre me» disse stringendomi la mano. «E lo zio Sal. Non dimenticarlo mai.»

    Annuendo, guardai fuori dal finestrino per cercare di riprendermi. In quel momento volevo solo stare sul letto di Billy e abbracciare il suo cuscino, che aveva ancora il suo profumo. Volevo immaginare che lo stessi stringendo tra le braccia, mentre lui mi guardava con i suoi occhioni castani.

    Ti voglio bene, mammina...

    Sentii una stretta al cuore e chiusi gli occhi, scacciando via le lacrime. Non era il momento di perdere il controllo. Cole avrebbe accostato e Schianto si sarebbe allontanato.

    «Per la cronaca, continuo a credere che sia una pessima idea» disse richiudendo l’accendino nel cruscotto.

    «Non ho mai detto il contrario, solo che devo farlo» risposi con voce tagliente.

    Cole aveva provato a dissuadermi tantissime volte. Alla fine gli avevo detto che lo avrei fatto senza il suo aiuto e così si era preoccupato ancora di più. Per quanto mi volesse bene, Cole era maschilista e credeva che le donne non potessero fare nulla da sole, senza commettere errori. Soprattutto se si trattava di un crimine. Essendo lui un Candidato dei Devil’s Rangers, ero abbastanza sicura che avesse preso parte a qualche loro affare illegale e si credesse un esperto. Motivo in più per odiare il club di motociclismo di mio fratello, così come i loro nemici. Lo stavano trasformando in un criminale.

    «Credi che Mark vorrebbe che rischiassi così la vita?»

    Mark era il padre di Billy. Era morto l’anno prima in un incidente stradale. Lavorava diciotto ore al giorno per cercare di guadagnare soldi in più e comprarci una casa. L’ipotesi era che si fosse addormentato mentre tornava a casa, la mattina dell’incidente. La sua Jeep aveva superato la riga di mezzeria di una strada trafficata, andando a sbattere contro un albero. Dicevano che la morte di Mark era stata veloce e indolore. A Billy avevano sparato alla spalla, cosa che sapevo doveva essere dolorosa. Purtroppo era morto prima di arrivare in ospedale. Non ero riuscita nemmeno a consolarlo.

    «Non voglio sentire più niente» dissi, asciugandomi le lacrime sotto gli occhi. «Schianto avrà ciò che si merita, perciò continua a seguire quel coglione e smettila di assillarmi.»

    Cole accese un’altra sigaretta e si zittì.

    Seguimmo Schianto per qualche altro isolato, finché non parcheggiò la moto nel parcheggio di una cooperativa di credito del posto. Erano passate da poco le sei e sembrava tutto chiuso.

    «Che fa?» chiesi mettendomi dritta.

    Cole aggrottò la fronte. «Non lo so. Magari vuole prelevare dei soldi allo sportello? Mi sa che devi entrare per usarlo.»

    «Mmm» dissi mordendomi il labbro inferiore.

    Parcheggiò il furgoncino sul lato della strada opposto a quello della banca. Guardammo Schianto scendere e andare alla porta con l’insegna luminosa dello sportello.

    «Vedi? Te l’avevo detto» disse mio fratello con un sorrisetto. «Probabilmente sta prelevando. Dovresti anche derubarlo.»

    «Non m’interessano i suoi sporchi soldi» dissi, mettendomi la pistola nella felpa. Mi alzai il cappuccio sui capelli scuri e indossai un paio di occhiali da sole. «Quando entro vieni davanti all’ingresso. Non dovrebbe volerci molto.»

    «Cristo, vuoi davvero andare fino in fondo?» chiese guardandomi come se fossi un’aliena.

    «Non è mai stato un gioco, fratellino» dissi aprendo la portiera. Scesi e attraversai velocemente la strada, il cuore che mi batteva all’impazzata nel petto. Quando raggiunsi l’ingresso, due donne che camminavano a passo veloce girarono l’angolo dell’edificio.

    Cazzo.

    Mi superarono e una delle due si girò a guardarmi con espressione curiosa. Non potevo biasimarla per essersi impicciata. Avevo una felpa col cappuccio in piena estate e un paio di occhiali da sole scuri. Probabilmente sembravo una teppista pronta a combinare qualche guaio.

    Non preoccupandomi granché di loro, entrai nell’edificio, pronta a sparare a chiunque si fosse messo in mezzo. Avevo più di un proiettile e in parte accarezzavo l’idea di porre fine alla mia miserabile vita.

    Quando vidi l’uomo responsabile della morte di Billy da solo allo sportello automatico, mi misi subito dietro di lui e presi la pistola dalla tasca.

    «Ho quasi finito» borbottò schiacciando qualche tasto.

    Fissando la toppa con il serpente dorato sul retro del suo gilè, armai la pistola e gliela puntai contro. Mi tremava la mano mentre cercavo di tenerla dritta.

    Sentendo il click, Schianto irrigidì le spalle. Girò la testa e mi guardò. «Che diamine vuoi fare? Una rapina?»

    «Sei... sei tu ad aver derubato me» risposi con la voce spezzata nel ricordare il sorriso del mio bimbo e i riccioli che gli incorniciavano il viso. Non avrei potuto baciargli mai più quelle guance con le fossette, né guardarlo dormire di notte.

    Aveva le ciglia lunghissime.

    «E ora...» Lo gelai con lo sguardo. «La pagherai, pezzo di merda.»

    Diventò bianco in volto. «Raina?»

    Ti voglio bene, mammina...

    Singhiozzando, premetti il grilletto.

    Capitolo 1

    Sentii la motocicletta del giudice fermarsi vicino casa e presi la bottiglia di whiskey dal bancone. Volevo discutere con lui di alcune cose sui Devil’s Rangers e sapevo che avrebbe potuto passare un po’ di tempo prima che mi ricapitasse l’occasione di parlargli di persona. Quando uscii e vidi che stava abbracciando Jessica, decisi di aspettare. Era evidente che volessero un po’ di privacy e, a ogni modo, non ero lucido. Anzi, ero alquanto sbronzo.

    Salutandoli con la mano, mi accesi una sigaretta e mi sedetti sul portico. Cercavo ancora di capacitarmi del fatto che mio padre fosse morto e che una stupida stronza, legata ai Devil’s Rangers, l’avesse fatto fuori. Quella faccenda mi stava divorando, soprattutto perché non sapevo chi fosse quella ragazza e dove diamine si nascondesse. Pensavo solo a come trovarla e a vendicare la morte di Schianto. Ma Raptor continuava a dirmi di non prendere in mano la situazione e di aspettare di conoscere i fatti. Mi aveva anche convinto a discutere della questione con il club e metterla ai voti.

    «Dobbiamo agire nel modo giusto» mi aveva detto dopo il funerale. «Basta nascondere cose al resto del club. Guarda cos’è successo a Schianto. E comunque non sappiamo perché questa ragazza l’abbia ucciso a sangue freddo.»

    «Non ha importanza. L’ha fatto e ora deve pagarla.»

    «Ma non vuoi sapere il motivo?»

    «Lo so già. Si dice che sia invischiata con i Devil’s Rangers. Un’altra vendetta.»

    «Non lo so. Qualcosa non mi torna. Di solito non mandano ragazze a uccidere. Non gli affiderebbero mai un compito simile.»

    Neanche a me tornava del tutto, ma il punto era che mio padre era morto e chi aveva sparato l’avrebbe pagata. Non m’importava sapere che legame avesse con i Devil’s Rangers o altri club. Dovevo punire qualcuno per la morte del mio vecchio e quel qualcuno sarebbe stata la stronza responsabile.

    Sospirando, feci un altro tiro e guardai il Giudice andarsene mentre Jessica saliva i gradini, venendo verso di me.

    «Ehi» disse con un sorriso triste.

    «Ehi.»

    «Stai bene?»

    Annuii.

    «Se vuoi parlare...»

    «Sto bene» risposi distogliendo lo sguardo. Jessica aveva già i suoi problemi a cui pensare. Non l’avrei stressata più di quanto già non fosse. «Ho bisogno di stare un po’ da solo.»

    «Capisco.» Mi strinse una spalla. «Buonanotte, Tanca.»

    «Buonanotte.»

    Entrò in casa e io finii la sigaretta. Dopo aver buttato il mozzicone in un barattolo vuoto di caffè, presi il cellulare e chiamai Chiappe, una delle prostitute di gruppo. Si stava facendo tardi, ma ero troppo fatto di cocaina per dormire e avevo bisogno di qualcosa per smettere di pensare.

    «Cosa succede, Presidente?» chiese con voce piacevolmente sorpresa.

    «Vorrei la tua figa tra mezz’ora, o anche meno.»

    Lei rise. «Sicuro che non volevi ordinare una pizza?»

    «No, ma ora che ci penso... puoi prenderne una mentre vieni qui?»

    «Sul serio?»

    Ridacchiai. «No. Muovi quel culetto e vieni qui. Mi farebbero comodo un po’ di coccole, tesoro.»

    «Va bene. Dove sei?»

    «A casa di Frannie. Ora che ci penso, perché non mi vieni a prendere e andiamo a casa mia? Non credo che festeggiare qui sia una buona idea.»

    «È questo che faremo? Festeggiare?»

    «Sì, io e te da soli, bambolina. Ci stai?»

    «Qualsiasi cosa per te, Tanca. Arrivo tra venti minuti.»

    «Ti aspetto» dissi e poi riattaccai.

    Bevvi un altro sorso di whiskey e andai in cucina, dove scrissi un biglietto per Frannie in cui le dicevo dove andavo, dopodiché uscii ad aspettare Chiappe. Quando arrivò, accesi una sigaretta per coprire il forte tanfo del suo profumo. Era una fragranza floreale che non sopportavo, ma non avevo il coraggio di dirglielo.

    «Fumi ancora?» chiese aprendo il finestrino.

    «Sì. Fumi anche tu, no?»

    «Ho smesso a gennaio. Era il mio buon proposito per l’anno nuovo.»

    «Buon per te» risposi sinceramente. Non avevo mai provato a smettere, ma sapevo che era difficile.

    «Mi sorprende che fumi ancora. È chiaro che ti alleni duramente» rispose rivolgendo un cenno alle mie braccia.

    Sorrisi malizioso. «Tesoro, se non te ne sei accorta, faccio tutto duramente

    Lei rise. «Già.»

    Feci un altro tiro. «La verità è che non fumo molto. Solo quando bevo.» Ridacchiai. «Ovviamente bevo sempre.»

    «Divertente, ma sul serio, dovresti prenderti più cura di te, Tanca.»

    Sospirai. Chiappe aveva sui trent’anni ed era alquanto sexy per essere più grande, ma non avrei permesso né a lei né a nessun altro di assillarmi per la mia salute. Sollevavo i pesi e di solito facevo cardio un’ora al giorno. Almeno prima della morte di Schianto. Nelle ultime due settimane non avevo fatto niente. «Non ti ho chiamata per farmi la ramanzina.»

    «Mi preoccupo per te» disse stringendomi il ginocchio. «M’importa di te, lo sai?»

    «L’unica cosa a cui devi pensare adesso è questa» dissi prendendole la mano e mettendogliela sul mio inguine. «Devi preoccuparti solo di questo, tesoro.»

    «Sembra che qualcuno abbia sentito la mia mancanza.» Mi strinse il cazzo. «Come fai a farcelo stare tutto?»

    «Non è facile. Infatti devo lasciarlo uscire, per farlo sgranchire e giocare.»

    Lei ridacchiò.

    Indicai un distributore di benzina vuoto lungo la strada. «Perché non accosti là dietro?»

    «Sicuro di non voler aspettare che arriviamo a casa tua? Devo ritirare la pizza che ho ordinato.»

    «Dimentica la pizza. Ho bisogno della tua bocca, subito.»

    Lei fece un gran sorriso. «Ogni tuo desiderio è un ordine. È da un bel po’ che non sto con il mio Tanca.»

    «Allora guida.»

    Due minuti dopo mi stava facendo un pompino.

    Le stinsi la testa mentre si muoveva su e giù per il mio pisello. «Cazzo. Per fortuna hai rinunciato solo alle sigarette, tesoro. Perché quella bocca...» Trattenni il fiato. «È fatta per succhiare.»

    Lei mi sorrise con occhi umidi.

    Improvvisamente mi suonò il telefono, facendoci trasalire entrambi. «Chi cazzo mi chiama a quest’ora?» grugnii.

    Chiappe si pulì il lato della bocca. «Potrebbe essere importante?»

    «Lo spero.» Presi il cellulare e rimasi sorpreso nel vedere che Bastardo, il Presidente della Sezione Principale, mi stava chiamando a mezzanotte passata. Mi schiarii la voce e risposi.

    «Ehi, bello» disse. «Scusa se ti disturbo a quest’ora. Spero non fossi impegnato.»

    «Tranquillo» risposi, allontanando la mano di Chiappe con uno schiaffo, quando cominciò a giocare con il mio cazzo. «Bastardo.»

    Chiappe mi rivolse uno sguardo sorpreso.

    «Il motivo per cui ti chiamo è che ho scoperto qualche informazione in più su chi ha ucciso tuo padre.»

    Mi raddrizzai a sedere. «Chi è?»

    «Aspetta, figliolo. Prima che te lo dica, voglio ricordarti che noi non uccidiamo le donne. Non siamo così.»

    Sospirai.

    «Capito? Se te lo dico, voglio che mi dai la tua parola che non ucciderai questa ragazza se la trovi.»

    «Allora cosa dovrei fare con lei?» chiesi, cercando di restare calmo. Il piano originale era uccidere sia lei che colui che aveva ordinato l’uccisione.

    «Scopri chi l’ha mandata a ucciderlo e ti occupi di lui.»

    «Dovrei occuparmi anche di lei. È stata lei a piantargli una pallottola in testa.»

    «Noi non uccidiamo le donne. E poi la mia fonte dice che ha avuto dei problemi in famiglia e probabilmente

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