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Identità in scena. Etnografia del caso AlmaTeatro (1993-2003)
Identità in scena. Etnografia del caso AlmaTeatro (1993-2003)
Identità in scena. Etnografia del caso AlmaTeatro (1993-2003)
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Identità in scena. Etnografia del caso AlmaTeatro (1993-2003)

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La scena teatrale attuale si confronta sempre più di frequente con la questione dell’identità, un tema divenuto centrale nel processo culturale contemporaneo. Nato da questo incontro, il “teatro interculturale” è però privo di specifiche e definite costanti, di contorni ben delineati, e sembra piuttosto un’etichetta per classificare realtà molto differenti tra loro ma che si interrogano tutte – ciascuna a suo modo – sul tema.

Il presente volume contribuisce all’indagine di tale espressione da una prospettiva antropologica, delineando la situazione italiana negli anni considerati e analizzando il caso esemplare della compagnia AlmaTeatro di Torino, della quale vengono ricostruiti da vicino dieci anni di storia, relazioni interne e produzioni.

I risultati della ricerca individuano specificità e ricorrenze nel variegato panorama del teatro interculturale, svelano i diversi significati di tale espressione e verificano il ruolo e le finalità del genere in relazione alle dinamiche del processo culturale nella società contemporanea.
LanguageItaliano
Release dateFeb 23, 2017
ISBN9788826029269
Identità in scena. Etnografia del caso AlmaTeatro (1993-2003)

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    Identità in scena. Etnografia del caso AlmaTeatro (1993-2003) - Cristina Balma Tivola

    Cristina Balma Tivola

    Identità in scena. Etnografia del caso AlmaTeatro (1993-2003)

    UUID: 673cf4a0-f9e9-11e6-8bc0-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    ​Introduzione

    I. Il processo culturale nel mondo contemporaneo

    II. Il teatro nelle società multi- e interculturali contemporanee: ipotesi per un’interpretazione

    III. Una panoramica sulle esperienze/realtà teatrali interculturali sul territorio italiano

    IV. La storia di Almateatro: progetto, realtà, compagnia

    V. Dinamiche interne ed esterne alla compagnia

    VI. La questione dell’identità nel discorso di AlmaTeatro

    VII. Relazioni interculturali nella società contemporanea

    Appendice. Un'antropologa nel backstage

    Dati originali

    Bibliografia

    ​Introduzione

    Rapporti nuovi, e non estetiche o contenuti nuovi invadono l’habitat identificabile del teatro,

    occupandone le periferie e inserendosi in posti e ambiti prima impensabili.

    Non è un altro teatro che nasce. Altre situazioni cominciano ad essere chiamate teatro. […]

    La necessità personale diventa azione, varca i confini e si addentra nella storia.

    [Eugenio Barba]

    Nell’autunno del 1995 un’associazione culturale che frequentavo organizzò alcune giornate di incontro tra italiani e migranti; nell’evento – un semplice festival multiculturale come ve ne sarebbero stati molti negli anni successivi – le comunità di migranti si presentavano alla cittadinanza torinese attraverso dibattiti, performance musicali ed esibizioni di danze tradizionali, vendita di prodotti alimentari e artigianali di importazione. Una di quelle sere venne anche proposto uno spettacolo teatrale relativo alla condizione delle donne nel contesto della migrazione: tale spettacolo era Righibé, allestito da una compagnia interculturale di sole donne – l’AlmaTeatro.

    La mia ricerca sull’attività di questa compagnia è cominciata un paio d’anni dopo, nella seconda metà del 1997, e si è sviluppata sino a tutto il 2003, abbracciando pertanto quasi sette anni di esperienze ed eventi nella storia di questa realtà, così come di cambiamenti sostanziali sia interni a essa (nella composizione del gruppo, nella percezione di sé da parte delle protagoniste, nelle relazioni con le altre attrici/registe, nella concezione del proprio ruolo, nella scelta delle tematiche da approfondire e/ nei modi in cui portarle in scena), sia esterni (nel rapporto con le istituzioni locali, con altre esperienze/realtà teatrali – non solo interculturali – e/o con la società italiana). In particolare, il mio primo periodo di ricerca sul campo comincia nella primavera del 1997 e si protrae fino a luglio del 1999; in questo paio d’anni scrivo un diario di lavoro di uno spettacolo (su invito delle registe), riprendo interviste e spettacoli e realizzo due video di documentazione – il tutto per interesse personale. Un secondo periodo di frequentazione mi vede invece impegnata a seguire le attività di AlmaTeatro nel corso del lavoro di ricerca del dottorato, tra l’ottobre del 2001 e il dicembre 2003; in questa occasione documento ancora in video spettacoli, riunioni e altre iniziative, ma annoto anche gli eventi e le conversazioni informali e partecipo alle attività alle quali mi viene proposto di collaborare (la scrittura di una bozza di un progetto culturale, l’organizzazione di un convegno sul teatro interculturale, la cura di una sezione di una ricerca letteraria curata dalla compagnia). Dopo questa data, per esigenze di lavoro, e per necessità di ritornare a una sorta di distanza critica che mi permettesse l’elaborazione delle informazioni acquisite, ho solo più incontrato attrici e registe nell’occasione di riunioni della compagnia ed eventi informali. La data di chiusura della mia osservazione sul campo è coincisa con l’anniversario dei dieci anni esatti di esistenza della compagnia.

    Nel corso degli anni di ricerca sul campo ho partecipato in maniera continuativa alla vita collettiva di AlmaTeatro, sebbene mi fosse di fatto impossibile frequentare contemporaneamente tutte le attività (produzione di spettacoli propri, ricerca su tematiche specifiche, didattica dell’intercultura attraverso l’azione teatrale, conduzione di laboratori sul territorio ecc.) in cui è solitamente impegnata la compagnia; pertanto nei periodi o nelle situazioni in cui non potevo seguire di persona tali attività mi sono affidata alla diretta informazione di attrici e registe che mi ragguagliavano sul procedere dei lavori e mi riportavano le loro impressioni e riflessioni al riguardo. D’altra parte, io stessa mi sono ritrovata talvolta coinvolta in collaborazioni vere e proprie con loro – in funzione delle necessità del momento delle singole attrici/registe o della realtà teatrale nel suo complesso.

    Il mio obiettivo è stato quello di verificare interessi, obiettivi e modus operandi di un teatro interessato ad agire interculturalmente nel contesto delle interazioni e dei processi culturali propri della società contemporanea e – nel perseguire tale scopo – ho analizzato il caso di una specifica realtà teatrale, nata e sviluppatasi in Italia, le cui componenti sono di diversa origine/appartenenza culturale, ma di comune identità di genere. La scelta di occuparmi di AlmaTeatro è legata, in primo luogo, alla sua durata e alla sua costante presenza sul territorio torinese; ciò si somma alle fortunate circostanze che mi hanno permesso di frequentare la compagnia per un lungo e significativo tratto della sua storia – verificando il permanere o il mutare delle sue caratteristiche nel tempo e nella percezione di tale esperienza da parte di coloro che ne fanno parte. In secondo luogo, il mio interesse nei confronti di AlmaTeatro è legato alla modalità particolare con cui vengono concepiti dalle protagoniste stesse dell’esperienza i contenuti sviluppati e approfonditi negli spettacoli (piano della riflessione socioculturale) e il lavoro di messa in scena di questi (piano del lavoro artistico e dell’intervento socioculturale) – entrambi, a mio avviso, originali e ancora attuali.

    La raccolta dei dati si è nutrita di diversi strumenti, tecniche e materiali. Dopo un primo periodo di frequentazione in cui sono entrata in rapporto col gruppo e ho raccolto documentazione (cartacea e audiovisiva) precedente al momento del mio incontro con le protagoniste dell’esperienza, ho proseguito con videointerviste, articolate in domande a risposte aperte. Per questo motivo la maggior parte dei dati deriva da annotazioni trascritte in diari di campo e in note audiovisive raccolte con la videocamera nei momenti di riunioni collettive della compagnia. Data la specificità del lavoro della compagnia, infine, sono state altresì realizzate riprese di tutti gli spettacoli – talvolta esaminate a posteriori con le attrici e le registe stesse – e riprese di momenti di costruzione e prova delle nuove produzioni.

    Questo lavoro ruota intorno alla questione dell’identità, che nel caso di AlmaTeatro prevede una declinazione di genere e una declinazione culturale, un piano individuale e uno collettivo, un contesto extrateatrale di riflessione/elaborazione di contenuti e un contesto teatrale di proposta e restituzione in scena dei medesimi.

    Il primo capitolo fornisce alcuni spunti sul processo culturale nelle società contemporanee rispetto al quale si situa l’azione della compagnia e del teatro interculturale più in generale. Qui le intersezioni di immaginari e alterità alla base dell’organizzazione culturale di quello che Hannerz [1] definisce l’ecomune globale, provocano cambiamenti nella costruzione e collocazione di sé degli individui, nell’elaborazione da parte di questi delle rappresentazioni di sé e dell’altro culturale, nelle relazioni che soggiacciono tra gli interlocutori della relazione. Il secondo capitolo presenta un’altra premessa teorica utile per l’interpretazione della realtà che costituisce l’oggetto della presente ricerca: l’analisi del rapporto teatro-società secondo Victor Turner [2] e la trascrizione di alcune ipotesi relative alle possibili classificazioni del teatro interculturale inteso come genere. Un terzo capitolo è dedicato alla rassegna delle realtà ed esperienze teatrali interculturali presenti in Italia negli ultimi due decenni e delle loro specificità – che vengono altresì verificate in un’analisi comparata di interessi, modalità d’azione e interazioni col mercato.

    I capitoli successivi si concentrano sull’analisi della compagnia AlmaTeatro. Nel quarto viene ricostruito il percorso storico della realtà in questione, tanto all’interno della comunità più ampia rappresentata dal Centro Interculturale delle Donne Alma Mater (presso il quale ha la propria sede) e dall’Associazione AlmaTerra (dalla quale dipende formalmente e con la quale è in costante relazione), quanto all’esterno nella più ampia comunità locale e nazionale), le motivazioni della sua nascita e del suo sviluppo, nonché le sue specificità (culturali, di genere, teatrali) e attività – con una particolare attenzione all’interpretazione (antropologica e teatrale) degli spettacoli, essendo l’attività performativa quella che costituisce l’ambito di espressione sovrano della sua esistenza. Il quinto capitolo illustra la situazione al momento della chiusura del mio lavoro sul campo, verificando la questione delle relazioni (anche di potere) che intercorrono nella compagnia e il rapporto di questa col mercato esterno. Il sesto capitolo approfondisce il trattamento della questione identitaria negli spettacoli e nelle discussioni di AlmaTeatro, analizzando il modo in cui vengono concepite e rielaborate – sia dalle singole, sia dalla compagnia – identità di genere e identità/diversità culturale, così come i modi in cui tali particolari discorsi culturali vengono portati in scena – concludendo la riflessione con l’analisi e interpretazione dei modi in cui il gruppo procede alla propria definizione di sé come collettivo teatrale. Il capitolo conclusivo, infine, mette in relazione l’attività, i problemi e le relazioni esperiti in AlmaTeatro con il processo del discorso interculturale proprio delle società multiculturali contemporanee.

    La questione interculturale è ancora trattata in Italia come una questione d’emergenza: come tale viene dipinta dai media – nonostante i dati confermino che l’immigrazione nel nostro Paese sia un fenomeno ormai strutturale – e con gli strumenti dell’emergenza vi si reagisce a livello legislativo e comunicativo, innescando un circolo vizioso di errori interpretativi e allarmismi ingiustificati. «Mi chiedi se riusciamo a cambiare le cose?... Noi ci proviamo...» [3] . Il mio lavoro di ricerca presso AlmaTeatro è stato l’indagine di questo tentativo. E, a mia volta, attraverso questa ricerca, ho dato risposte – soggettive, parziali, transitorie – agli interrogativi relativi alle ragioni che costituiscono il fondamento della mia stessa partecipazione al processo culturale.

    [1] Cfr. U. Hannerz, La complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato, Bologna, Il Mulino 1998.

    [2] Cfr. V. Turner, Dal rito al teatro, Bologna, Il Mulino 1986.

    [3] Intervista n. 3, F.V. 1999.

    I. Il processo culturale nel mondo contemporaneo

    1.1. Il processo culturale nelle società complesse

    Ulf Hannerz scrive che studiare la cultura

    significa studiare le idee, le esperienze e i sentimenti, e insieme le forme esteriori che questi aspetti interiori assumono quando diventano pubblici, a portata dei sensi e dunque realmente sociali. Per ‘cultura’ gli antropologi intendono dunque i significati che le persone creano, e che a loro volta creano le persone come membri della società [1] .

    In base a tale considerazione, ne consegue che la cultura è percepibile come situata in due loci – quello delle forme significanti pubbliche percepibili dai sensi e quello della facoltà delle menti umane di interpretarle – e che il processo culturale consiste nelle continue interrelazioni tra i medesimi.

    Le società complesse contemporanee sono divenute nel XX secolo uno scenario tipico della modalità di organizzazione sociale: caratterizzate dalla divisione del lavoro – cui si accompagna una diversità nelle competenze e nel sapere – esse esperiscono una serie di stimoli e condizionamenti dalle cui intersezioni si generano le differenziazioni nella distribuzione del significato a livello di individui, cosicché il contenuto culturale (ovvero l’insieme delle idee e delle forme simboliche) che si sviluppa è profondamente diverso da persona a persona, da collettivo sociale a collettivo sociale.

    In base a queste considerazioni, la cultura sembra possedere tre dimensioni:

    le idee e i modi di pensiero – entità e processi della mente, ovvero «l’intero armamentario di concetti, proposizioni, valori [...] così come i vari modi di gestire le proprie idee grazie a specifiche operazioni mentali» [2];

    le forme di esternazione, ovvero le forme pubbliche e accessibili ai sensi assunte da concetti, proposizioni, valori;

    la distribuzione sociale, «ovvero i modi in cui l’inventario collettivo di significati e di forme esteriori significanti [...] è diffuso nella popolazione e nelle relazioni sociali» [3].

    Studiare la cultura delle società complesse contemporanee in relazione a queste tre dimensioni significa, allora, innanzi tutto, mettere in crisi la concezione classica di cultura, ovvero quella che la interpreta come significato condiviso omogeneamente presente in tutti gli individui che afferiscono a quella realtà sociale. Ciò che avviene in queste società è una profonda differenziazione nelle modalità interpretative degli individui e nel sistema di valori e significati cui essi si riferiscono per dare senso e condurre la propria esistenza. Ma come è avvenuto il passaggio, nella realtà e nella sua interpretazione, tra queste due diverse accezioni della cultura?

    Hannerz spiega che il flusso culturale contemporaneo passa attraverso determinati contesti – da lui indicati come cornici [4] – e che non agiscono in modo reciprocamente indipendente, ma al contrario si relazionano e influenzano a vicenda: dalla loro intersezione e combinazione prendono forma sia quelle che definiamo culture particolari, sia il medesimo paesaggio culturale globale.

    Tali cornici – seguendo la terminologia proposta dall’autore – sono:

    le forme di vita, ovvero la cornice che riguarda le attività quotidiane di produzione e riproduzione, le relazioni che si svolgono in ambienti precisi e delimitati di piccole dimensioni (quali la famiglia, il vicinato, il luogo di lavoro), le interazioni faccia-a-faccia con propri simili con i quali si condivide un flusso culturale libero e reciproco;

    il mercato, ovvero lo spazio di trasferimento dei beni culturali che nell’economia contemporanea sono associati a segni carichi di valori informativi, affettivi, estetici ecc.; in questo modo il mercato trasporta sempre più cultura e i produttori tendono a introdurre sempre più significati in modo tale da stimolare bisogni informativi, affettivi ed estetici a oltranza e aumentare parimenti la richiesta della merce;

    lo stato, ovvero la «forma organizzativa di controllo della attività all’interno di un territorio, sulla base di un potere concentrato e pubblicamente riconosciuto» [5], che agisce perseguendo allo stesso tempo l’omogeneizzazione culturale per il tramite della promozione di un sentimento di identità nazionale, ma anche modellando le differenze tra le persone cosicché esse siano idonee a ricoprire le diverse cariche e i diversi ruoli (anche di potere) necessari al governo dello stato stesso;

    infine i movimenti, la cui azione mira in definitiva al cambiamento culturale da raggiungersi attraverso la rielaborazione e la trasformazione dei significati.

    «La contemporanea organizzazione sociale del significato risulta, nel suo insieme, dalla combinazione di queste tendenze, e le sue variazioni derivano in gran parte dal variare delle combinazioni», nota Hannerz [6] . Se ciascun individuo, dal momento della sua nascita, esperisce configurazioni particolari e uniche di queste ‘cornici’ e delle relazioni che vi intercorrono – mutanti entrambi di instante in istante – si comprende la ragione della profonda differenziazione dell’umanità. Ma le stesse cause fanno anche sì che tale sistema si autoalimenti, cosicché le persone gestiranno i significati dal punto in cui si trovano nel processo culturale e – lungi dall’essere ricettori passivi – comprenderanno significati e forme significanti in funzione di come, sulla base della storia specifica della propria esistenza, hanno imparato a decodificarli.

    In riferimento alle potenzialità e alle modalità interpretative dell’individuo, ovvero in ultima analisi alla porzione di cultura che egli può possedere e che in definitiva coincide con la una sua specifica, inedita, personale identità culturale (dove questa espressione si carica della concezione distributiva della cultura sopra indicata), Hannerz propone di utilizzare il termine prospettiva [7] . Se accogliamo tale proposta, l’insieme su grandi numeri di tali prospettive (ovvero la cultura) si configura come una rete di prospettive [8] : una concezione che rende bene la complessità della produzione e distribuzione culturale nelle società complesse, ma che mostra anche le possibili modalità di mutamento del sistema in questione al variare delle sue componenti interne ed esterne – attivabili talvolta intenzionalmente dagli attori sociali (in forma individuale o collettiva) per promuovere il cambiamento sociale.

    1.2. Immaginari della contemporaneità

    Ad analoghe conclusioni in merito all’identità culturale nella contemporaneità giunge anche un altro antropologo, Arjun Appadurai, pur se muovendo da premesse in parte differenti da quelle di Hannerz e chiamando in causa l’informazione massmediatica come fattore determinante per la formazione della specifica prospettiva esperita dall’individuo.

    Il panorama culturale contemporaneo, afferma Appadurai [9] , sembra essere prioritariamente caratterizzato dall’incontro di due immaginari: quello delle persone/popolazioni in movimento – sempre più frequenti nel mondo in cui viviamo – e quello delle rappresentazioni generate dalla diffusione di immagini/informazioni massmediatiche nel mondo. Le due dimensioni sono in stretta relazione, si influenzano reciprocamente e confluiscono congiuntamente, modificandoli, tanto nel lavoro dell’immaginazione, quanto nel processo culturale.

    La prima dimensione del paesaggio culturale attuale è costituita dalla presenza di singoli individui e gruppi che si spostano nel mondo per le più diverse ragioni: infatti, è ormai possibile per tutti gli esseri umani che popolano il pianeta (pensare di) trasferirsi, «vivere e lavorare in posti diversi da quelli in cui sono nati» [10] . In realtà i movimenti di popolazione sono definibili come strutturali nella storia dell’umanità: distinguibili in arcaici (come quelli che portarono, per esempio, le popolazioni amerindie dall’Asia attraverso lo stretto di Bering), antichi (come nel caso delle invasioni barbariche dell’impero romano) e moderni (quelli che si verificano da un paio di secoli a questa parte nel mondo) [11] . Tali movimenti contribuiscono da sempre alla costituzione – e al rafforzamento – delle identità culturali dei gruppi umani. Il modo in cui si esplicita tale contributo ai processi di organizzazione, cambiamento e rafforzamento culturale di un gruppo nativo e stanziale discendono tutti dall’offerta (o dall’imposizione, a seconda delle modalità storiche e delle dinamiche di potere), da parte dei gruppi culturali nomadi o migranti, di nuovi possibili significati e valori nel contesto dell’incontro interculturale. Qui, pertanto, tali nuovi significati possono essere adottati (e introiettati nel sistema culturale nativo pre-esistente per rafforzarlo o per cambiarlo), oppure rifiutati, cosicché (per contrasto e in relazione a uno specifico contesto spaziale e temporale) i nuovi venuti diventano, in ultima analisi, responsabili del consolidamento di configurazioni identitarie precedenti che, in casi estremi, sfociano in irrigidimenti etnici.

    La circolazione di persone si è intensificata negli ultimi decenni attraverso la costantemente rinnovata efficienza e accessibilità (anche economica) dei mezzi di trasporto a livello planetario: «il trasporto aereo su larga scala di dirigenti industriali, accademici, turisti, pellegrini o lavoratori emigranti, così come di rifugiati politici o di persone scampate a disastri ecologici, porta le persone da un luogo all’altro molto più rapidamente e su distanze molto maggiori di prima» [12] ; ma anche senza appellarsi a tali mezzi di trasporto, ciò cui si assiste quotidianamente è il movimento transnazionale di «turisti, immigrati, rifugiati, esiliati, lavoratori ospiti e altri gruppi [...]» che «sembrano in grado di influenzare la politica delle (e tra le) nazioni a un livello mai raggiunto prima» [13] .

    I modelli esplicativi delle cause di tale incrementata circolazione delle persone, che si configura per lo più in migrazioni – ovvero in spostamenti da un luogo a un altro (a carattere permanente o su lungo periodo) di un gruppo, una popolazione o un insieme considerevole di individui provenienti dalla stessa area geografica – sono numerosi e ciascuno privilegia solitamente specifici fattori. Ciononostante si rivela più produttivo, per comprenderne le ragioni, guardare alla presenza di alcune specifiche concause che collegialmente partecipano alla promozione e al sostegno di tale movimento: «è infatti un insieme di fattori che concorre alla nascita di progetti migratori, sia a livello micro, quello personale-familiare, sia a livello macro, quello delle correnti migratorie che coinvolgono masse da una paese a un altro, da un continente all’altro» [14] .

    Una prima spiegazione dei movimenti migratori individua tali concause nell’articolazione del rapporto tra push factors (fattori di attrazione) e pull factors (fattori di spinta): tra questi vi sarebbero ragioni economiche e socio-economiche (qui i fattori di attrazione e di spinta sono rappresentati dalla differenza esistente nelle risorse – e nella loro accessibilità – tra i paesi di emigrazione e quelli di immigrazione, nonché dalla povertà e dalla precarietà strutturale esistente in molte aree, soprattutto del Sud del mondo), ragioni demografiche (in questo caso i fattori di attrazione e di spinta sono rappresentati dall’espansione demografica in molte regioni – nuovamente del Sud del mondo o dell’Estremo Oriente – cui si associano, conseguentemente, carenza e/o precarietà occupazionale, tensioni derivate dal problema medesimo, nonché limitata offerta educativa, insoddisfacente assistenza sanitaria e inesistente assistenza sociale), ragioni politiche, condizioni di persecuzione o conflitto bellico (quando regimi non democratici perpetrano violazioni delle libertà fondamentali di individui o minoranze su base religiosa, politica, culturale o situazioni di guerra civile, disordine politico, conflitto etnico), ragioni ambientali e naturali (inondazioni, alluvioni, desertificazione, siccità – fattori che in sé costringono alla precarietà esistenziale, ma che sono aggravate di norma da concomitanti peggioramenti a livello economico e lavorativo nei territori colpiti dai disastri naturali in oggetto).

    C’è, però, tra gli studiosi del fenomeno, chi rifiuta di interpretare le dinamiche migratorie in termini di push factors e pull factors. Appadurai, per esempio, sostiene che le attuali migrazioni di persone nel mondo siano tanto le cause, quanto le conseguenze di disgiunture che si verificano tra le diverse dimensioni costituenti i flussi culturali globali (ovvero il processo di formazione e circolazione della cultura nel mondo contemporaneo) [15] . Tali dimensioni sono:

    gli etnorami, appunto i paesaggi dell’alterità culturale, consustanziali a quella circolazione di persone che coesiste ancora con comunità relativamente stabili costituite da reti di parentela, amicali, lavorative e di svago;

    i tecnorami, ovvero la configurazione globale della tecnologia e la sua capacità di attraversare spazi e confini precedentemente negati;

    i finanziorami, cioè le configurazioni nella disposizione del capitale globale in seno alle trame complesse costituite dai mercati monetari mondiali, dalle borse nazionali e dalle speculazioni commerciali;

    i mediorami, panorami di immagini e informazioni prodotte e diffuse localmente, nazionalmente e transnazionalmente, nonché la pari potenzialità di usufruire delle capacità elettroniche di comunicazione per produrre e distribuire a propria volta comunicazioni;

    gli ideorami, articolazione politica dei messaggi precedenti.

    La relazione tra le prime tre dimensioni è profondamente disgiuntiva dal momento che ciascuno di questi panorami è soggetto a costrizioni proprie (politiche, tecniche, ambientali ecc.) che rappresentano allo stesso tempo fattori di coartazione e parametri di variabilità che insistono sugli altri panorami, costringendoli a cambiamenti e ad adattamenti alle mutate condizioni. Ma è nelle relazioni di queste tre dimensioni con gli ultimi due paesaggi che si catalizzano le disgiunture – tra le componenti della vita economica, sociale, politica e culturale – esperite dagli individui che abitano il mondo globale.

    I panorami indicati – scrive ancora Appadurai – sono «costrutti profondamente prospettici, declinati dalle contingenze storiche, linguistiche e politiche di diversi tipi di attori» (ovvero stati nazionali, multinazionali, comunità diasporiche ecc.), ma in realtà è la singola persona che costituisce «il luogo ultimo di questo insieme prospettico di panorami» [16] , attraversandoli, costituendoli e sperimentandoli eventualmente in relazione a formazioni più ampie e interpretazioni individuali.

    1.3. Flussi mediatici, lavoro dell’immaginazione, mondi possibili

    Il lavoro sull’immaginazione operato dall’incontro con l’alterità rappresentata dagli etnorami – cui gli individui (fisicamente o virtualmente) sono esposti quotidianamente – non è un fatto nuovo nella storia dell’umanità dal momento che «non corrisponde infatti a nessuna realtà storica l’immagine di un mosaico culturale in cui ogni civiltà si manifesti come entità territoriale dai confini chiari, netti e durevoli. Sono sempre esistite le interazioni e una diffusione di idee, costumi e cose» [17] . La seconda dimensione del panorama culturale contemporaneo – quella dei flussi mediatici – è piuttosto conseguenza della crescita tecnologica attraverso la quale comunicazioni che precedentemente obbligavano a relazioni faccia-a-faccia avvengono ora senza più la necessità di passare attraverso un’interazione fisica: scrittura e stampa, per esempio, promossero nell’Ottocento lo sviluppo di un sentimento di identità comune a livello nazionale – pur in assenza di relazioni personali – tra individui che non erano mai usciti dal proprio territorio locale e furono, così, artefici della concretizzazione in stati nazionali di quelle che erano, di fatto, solo comunità immaginate [18] ; per le medesime ragioni la comune fruizione di prodotti mediatici transnazionali mantiene oggi il senso di identità collettiva e condivisa in coloro che esperiscono contesti diasporici [19] .

    In questo modo può avvenire che alla comunicazione mediatica si accompagni la promozione (o la propaganda) di specifici messaggi politici:

    mediorami e ideorami sono panorami strettamente correlati di immagini. [...] Queste immagini sono declinate in molti e complicati modi, a seconda della loro natura (informativa o di intrattenimento), della loro forma (elettronica o pre-elettronica), dei loro pubblici (locali, nazionali o transnazionali) e degli interessi dei proprietari che le controllano. Quel che è più importante di questi mediorami (soprattutto sotto forma di televisione, film e video) è che forniscono ai loro spettatori in tutto il mondo vasti e complicati repertori di immagini, narrazioni ed etnorami in cui si mescolano profondamente il mondo delle merci e quello delle notizie e della politica» [20] .

    La ricezione di informazione viene, perciò, definitivamente slegata da quella appropriazione per esperienza diretta – cioè vissuta in prima persona – che fino a ieri caratterizzava nell’individuo l’acquisizione di conoscenze. Inoltre, se la vita di ciascun individuo è caratterizzata dall’appartenenza e dal riferimento a un certo numero di habitat di significato (ovvero di configurazioni, dai limiti continuamente permeabili, di significati cui siamo esposti quotidianamente), ciò che cambia con una circolazione di informazioni quale quella che sperimentiamo nel mondo contemporaneo non è solo il fatto che non sia più necessaria l’interazione faccia-a-faccia perché avvengano scambi comunicativi. La novità risiede non meno nella quantità dei potenziali significati, idee, valori (sotto forma di e come messaggi, immagini, notizie) cui ciascun individuo può attingere per definire la propria cultura e per orientare la propria azione: «Se era la regola che vivessimo ignorando gran parte dell’inventario culturale del mondo, nell’ecumene globale ora ciascuno di noi può accedere a buona parte di esso e, reciprocamente, buona parte di esso ha accesso a noi, stimolando in continuazione i nostri sensi e le nostre menti" [21] .

    Le comunicazioni mediatiche – nel contesto

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