Una dolce amicizia
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Una dolce amicizia - Letizia Tomasino
buona.
I
Non ricordo il momento in cui lei entrò a far parte integrante della mia vita, succhiando pian piano le ultime rimostranze da parte mia verso un mondo che non credevo fosse possibile esplorare. So solo che non pensavo di potermi sentire così libera e felice.
Lei è lei. Lei è tutto il mio mondo, lei è quella che mi ha spogliato del tutto dai miei complessi d’inferiorità.
La nostra storia non è cominciata in maniera tradizionale, con un uomo e una donna che si incontrano, si guardano, si riconoscono e si innamorano.
Per poter comprendere come sia stato possibile che una persona come me, razionale e soprattutto, eterosessuale, abbia potuto rivoluzionare tutta la sua vita per amore di una persona del suo stesso sesso dobbiamo necessariamente risalire agli esordi della storia.
Tutto nacque dalla malattia che mi costrinse a stare tre mesi di fila a letto, con infermieri che si alternavano tra loro. Avevo deciso di curarmi da sola, senza farmi ricoverare in ospedale.
Ero stata colpita da una lombo sciatalgia acuta che non mi permetteva di alzarmi dal letto, costretta a fare i miei bisogni corporali dentro una bruttissima padella di plastica bianca. La vergogna provata non la posso descrivere. Ogni volta che l’infermiera poggiava l’aggeggio sotto il mio culo diventavo rossa e non mi veniva lo stimolo per orinare, figurarsi per defecare. Il bisogno fisiologico di evacuare alla fine vinceva sempre e allora quando la signora si avvicinava per ritirare la padella io giravo lo sguardo dall’altra parte finché andava in bagno a pulire tutto. Continuavo a ripetermi che per loro era normale prassi guardare la cacca degli altri, ma per me era una cosa troppo intima. Anche quando mi trovavo da sola in casa ero solita chiudere a chiave la porta del bagno fosse anche solo per fare pipì.
Essendo costretta a letto avevo tanto tempo per leggere, intervallavo le mie letture con telefonate ad amici e amiche. Il telefono, perennemente poggiato sul letto, squillava in continuazione; tanto che certe volte alzavo la cornetta per far sì che chi chiamava trovasse occupato, solo cosi riuscivo a dormire.
Avevo lasciato le redini dell’ufficio alle sei dipendenti che lavoravano per me. Per fortuna c’era Stella che se la cavava bene essendo la più anziana fra le ragazze che lavoravano nell’agenzia di viaggi. Gran parte delle telefonate arrivavano proprio dall’ufficio; era un periodo lavorativo stressante per via delle molte prenotazioni da parte di clienti che programmavano le vacanze estive imminenti.
Ai tempi ero single e caparbia nel voler continuare ad esserlo, dopo una relazione pericolosa con un uomo sposato. Quella passione mi aveva lasciato l’amaro in bocca perché sino alla fine avevo creduto che lui lasciasse la moglie per seguire la passione. Alla fine si era dimostrato un bugiardo, uno che pur di ottenere il massimo dalle situazioni che gli si presentavano era capace di vendersi l’anima. Purtroppo (ma adesso dico per fortuna) la bilancia pendeva dalla parte della moglie perché schifosamente
ricca. La signora aveva scoperto la nostra relazione e aveva dato l’ultimatum al marito: o mi lasciava oppure lei avrebbe chiesto il divorzio. Fino alla fine lui aveva preteso un rapporto sessuale, che io ingenuamente avevo concesso perché, diciamolo pure, quell’uomo mi attizzava parecchio, aveva un odore particolare che puntualmente mi faceva perdere la testa: era l’odore del suo sesso.
L’ultima volta era stato più selvaggio del solito, aveva fatto cose che non aveva mai fatto abitualmente, tipo lasciarmi dei segni indelebili sul collo e sulle natiche, dei succhiotti che mi riportarono ai tempi delle scuole medie quando un ragazzino scemo mi aveva baciato sul collo lasciandomi un segno bluastro. Per colpa di quel marchio avevo preso legnate da mio padre, anche se ai tempi mi sembrarono ingiusti gli schiaffi ricevuti.
Nella mente contorta dell’uomo, che a breve mi avrebbe comunicato che quella era stata l’ultima volta che ci saremmo visti, si era insinuata l’idea di marchiarmi: esattamente come una vacca.
Ricordo che misi al collo un foulard per diverso tempo. Le ragazze dell’agenzia mi chiedevano come mai io non sentissi caldo, io adducevo la colpa a una faringite che non voleva lasciarmi.
La mia amica Rossella, malgrado non si vedesse niente, aveva intuito che fosse tutta colpa di un succhiotto e infatti me lo disse schiettamente una sera mentre eravamo sedute accanto in una delle tante cene organizzate dai miei amici. Invece di mentirle le dissi, con la scusa di andare in bagno, se mi potesse far compagnia; lei docilmente mi seguì ed io mi tolsi il foulard mettendo in mostra quel segnaccio maledetto, sciogliendomi in un pianto liberatorio. Le raccontai tutta la storia con il sedicente uomo sposato. Finito il racconto lei fu tenera e dolce e con la mano mi carezzò il collo indugiando sul famoso marchio. Quella sera la nominai mia confidente ufficiale, non era facile che mi aprissi con le persone, specialmente con le donne che sapevo essere spietate con il loro stesso sesso. Mi resi conto che avevo bisogno di avere un’amica del cuore, non ne avevo mai avute. Da sempre tendevo a scegliere gli amici fra i maschi che conoscevo, credevo fossero gli unici capaci di capire una donna, ero convinta che le donne agissero solo per invidia andando in competizione fra loro e finendo per rovinare un bel rapporto solo per gelosia.
Rossella da quella sera divenne la mia prima amica donna. Veniva a trovarmi spesso in agenzia con scuse sempre diverse; una volta si trovava a passare da là, un’altra doveva andare dal commercialista che si trovava a pochi isolati dall’agenzia, fino a quando ammise che era venuta solo per me, per salutarmi, e dall’agenzia a casa mia il passo fu breve. Non mi dispiaceva la sua presenza in casa mia, lei era sempre garbata e gentile e poi mi faceva ridere con battute veramente geniali. Lei era figlia di un avvocato e di una cantante lirica in pensione. Mi fece conoscere i suoi genitori, persone veramente deliziose che mi accolsero come una figlia mettendomi a mio agio e non facendomi sentire un’estranea in casa loro. Vidi la stanza di Rossella, piena di poster appesi alle pareti rosa e libri, tanti libri sistemati in vari scaffali dipinti con lo stesso colore delle pareti, solo in una tonalità più scura; e poi tantissimi dischi in vinile, un impianto di alta fedeltà e una grande scrivania di colore verde. Mi disse che scriveva molto, era la sua passione principale e mi diede un libro di un autore che ai tempi non conoscevo, Alessandro Baricco; credo fosse il primo libro scritto dall’autore, oppure il secondo non ricordo, lo lessi con un’avidità impressionante quella stessa sera. Un giorno Rossella mi invitò ad un evento dove era presente anche lo scrittore, lo spettacolo era ai Cantieri Culturali della Zisa a Palermo. Non ebbi il coraggio di chiedere l’autografo perché io sono molto timida, però, mi piacque quella faccia e lo confidai a Rossella.
Ormai uscivo solo con lei, mi divertivo molto, era una tipa stramba e allegra. Andavamo ovunque: concerti, mostre, conferenze, ristoranti, mare, gite e tutto quello che la nostra fantasia ci suggeriva. Lei mi presentò tante persone che non facevano altro che elogiare la sua figura, ed io mi gongolavo al pensiero di essere cosi fortunata di conoscere quella donna e dentro me ringraziavo il tipo sposato che involontariamente con quel succhiotto, mi aveva dato la scusa per approfondire quell’amicizia.
Rossella non si scordava di compleanni, onomastici e ricorrenze varie; mi mandava sempre biglietti di auguri accompagnati da un omaggio floreale, io non ricambiavo le sue cortesie perché ho un altro carattere e non sopportavo le feste comandate e nemmeno le date che ricordano come ci chiamiamo oppure gli anni che si trascinano uno dopo l’altro. Preferivo vivere il presente per come si presentava, ma gradivo i suoi regali spontanei. Per ben due volte mi organizzò delle feste a sorpresa. La prima fu in occasione del mio quarantesimo compleanno. Quella sera ero convinta che saremmo andate da sole in un locale che era sia pizzeria che ristorante, e così fu ma solo fino alla mezzanotte in punto quando vidi spuntare tanti nostri amici che spingevano un carrello con sopra una torta gigante. Quella sera mi divertii un sacco e con Rossella ballammo pure un tango appassionato con tanto di rosa rossa fra i suoi denti, imitando due tangheri argentini. Gli amici ci avevano lasciate sole nella sala e ripetevano a gran voce bacio, bacio, bacio
, Rossella ridendo sfiorò le mie labbra con un leggero bacio, io ubriaca di vino e di allegria ricambiai infilando la mia lingua e unendola alla sua, in quel momento mi piacque ma l’indomani avevo scordato già tutto.
L’altra festa a sorpresa non fu per un mio compleanno. Eravamo in una pasticceria del centro di Palermo e stavamo prendendo il tè come due vecchie lady inglesi. Lei scherzava parlando in un inglese poco corretto imitando una vecchietta, io ridevo di gusto perché mi sembrava che imitasse Enrico Montesano in una delle sue divertenti parodie; a un certo punto mi diede un astuccio e mi disse auguri baby
; sempre ridendo lo aprii e il contenuto mi fece ammutolire. L’astuccio conteneva un anello con una grossa pietra verde smeraldo, d’istinto lo provai ed era della mia misura, la guardai negli occhi interrogandola e lei mi disse: «Questa pietra ha il colore dei tuoi occhi, non appena l’ho vista mi sei venuta in mente e l’ho subito comprata poi l’ho fatta montare su questo anello, oggi è il secondo anniversario della nostra amicizia, lo sai che mi piace farti regali a tua insaputa!» e mi fece un sorriso enigmatico, quasi come quello della Monna Lisa.
La sua dichiarazione d’amicizia mi commosse e l’abbracciai; io nemmeno sapevo che era il secondo anno che ci frequentavamo e come sempre il calore del suo affetto nei miei confronti mi spiazzò.
È ora che io descriva Rossella.
Quando la conobbi, era il periodo in cui frequentavo Vincenzo, il famoso uomo sposato, quindi essendo una donna tanto innamorata frequentavo poco gli amici, preferendo aspettare una telefonata improvvisa del galantuomo. Ripensandoci, col senno di poi, ero stata proprio stupida. Che senso aveva aspettare un uomo che viveva la sua normale vita di tutti i giorni, frequentava gli amici come sempre e che solo