Il potere della scelta: nel modo migliore in ogni circostanza
By Cesare Peri
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Questo libro offre un metodo pratico con cui ponderare tutti gli elementi che determinano le nostre decisioni, grandi e piccole, e di conseguenza la qualità della nostra vita. A tale fine vengono analizzate le fondamentali tipologie di scelta: da quella valoriale, relazionale, professionale a quella lessicale, cromatica e propriamente esistenziale.
Compiere una scelta significa sempre cogliere un’opportunità, andare con fiducia incontro ad un cambiamento, assecondando così il flusso della vita. Le occasioni perse, infatti, sono le scelte non compiute.
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Il potere della scelta - Cesare Peri
Bandler
PREMESSA
Come la pellicola di un film si compone di tanti fotogrammi, così il film della nostra vita è costituito da una serie ininterrotta di scelte quotidiane. Scelte spesso non meditate, perché ormai automatiche
, inserite in gesti ripetuti e perciò camuffate da abitudini. Situazioni e azioni le cui origini si possono rintracciare in una decisione che appartiene al passato e che oggi viviamo come conseguenze, più o meno soddisfacenti, ma raramente suscettibili di una scelta attiva, che possa di volta in volta riconfermare la validità delle motivazioni oppure coraggiosamente aprirsi alle incognite di un cambiamento.
Accorgersi di compiere ogni giorno una serie di scelte personali, soprattutto in circostanze apparentemente poco significative o di routine
, significa sentirsi liberi, responsabili delle proprie azioni e, in ultima analisi, vivere in modo consapevole e piacevole.
L’alternativa è credersi vittime degli altri e subire passivamente le loro scelte. Può sembrare strano e facile a dirsi, ma di fatto anche questa è una scelta: non scegliere o ritenere di non poterlo fare è comunque una scelta e fra quelle possibili la più infelice.
Prima di cambiare situazioni e cose difficili (il rimedio non può mai essere un prodotto ma un processo) occorre cambiare il proprio atteggiamento verso di esse. E qui sta il punto (di partenza): l’esperienza insegna che per fare questo bisogna, ancora prima, cambiare atteggiamento verso se stessi. Ci troviamo, come sempre, di fronte ad una scelta, ma non ad una qualsiasi, bensì alla Scelta per eccellenza.
«Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio…» cantava Fabrizio De André. In questo periodo di incertezze e di crisi di valori (in realtà uno straordinario momento di transizione e di evoluzione della coscienza collettiva) molti assumono il ruolo di maestri di vita
(e alcuni a buon diritto) e producono libri e corsi per insegnare a tutti come stare al mondo e raggiungere il successo
. Personalmente non pretendo né prometto tanto. Riconosco come maestri anzitutto la Vita con i suoi insegnamenti (per oltre tredici lustri di esperienza) e in secondo luogo la vita di Maestri con il loro prezioso sapere.
Perciò in questo libro presento ciò che ho raccolto durante il mio cammino e, per usare la classica metafora della montagna, il materiale che mi è stato ed è tuttora utile per salire verso quella vetta di Consapevolezza (da alcuni chiamata Verità, da altri Felicità) che ci unisce tutti in una lunga e avventurosa cordata. Chi ama la montagna conosce non solo l’ebbrezza dei vasti spazi e dei profondi silenzi, ma anche il calore della condivisione e della schietta solidarietà.
Ecco allora le mie riflessioni, volutamente più pratiche che speculative, con vivo desiderio che altri esseri possano servirsene nell’operare nel modo migliore le proprie scelte.
Cesare Peri
1. LA LIBERTÀ DI SCEGLIERE
Quante scelte compiamo nell’arco della giornata? Non solo quando facciamo la spesa, a braccio
o con la lista in mano, ma fin da quando apriamo gli occhi al mattino, ci laviamo, consumiamo la colazione, ci vestiamo, usciamo chiudendo una o più serrature… Oppure accompagniamo i figli a scuola, parcheggiamo la macchina, portiamo a spasso il cane… Che dire poi dei mille impegni della giornata lavorativa, del rientro a casa, del cibo da preparare, delle incombenze familiari, dei piatti da lavare, della serata davanti alla tivù… Tutte necessità?
«Certamente!» qualcuno non esiterebbe a rispondere, «Se non avessi tutti questi impegni, allora sarei libero di scegliere e finalmente potrei fare quello che voglio».
Anche senza soffermarci sulla constatazione che ogni scala inizia con un primo gradino e che ogni situazione, da cui sembriamo essere ormai imprigionati o trascinati in una vorticosa corrente, ha origine da una nostra scelta, è bene renderci conto di due fattori basilari:
1) i condizionamenti sono inevitabili e non costituiscono necessariamente un ostacolo alla possibilità di scelta;
2) ogni situazione può essere rivista sotto un’altra luce e lasciarci lo spazio di scegliere una reazione diversa.
Vediamo meglio questi due punti che svolgono una funzione portante nell’edificio della nostra vita.
Scelta
si può definire quel fondamentale atto di volontà attraverso cui l’uomo manifesta la sua natura di essere pensante e, in varia misura, libero.
Si tratta, ovviamente, di una libertà relativa, in quanto la scelta stessa nasce da una necessità, cioè dalla presenza di condizionamenti che richiedono una decisione. Può sembrare a prima vista paradossale, ma senza condizionamenti non potremmo compiere alcuna scelta: altrimenti su cosa eserciteremmo la nostra libertà?
Il concetto astratto di libertà assoluta non trova riscontro nella realtà, perché dovremmo essere in un limbo
privo di condizionamenti, ma anche questo ipotetico limbo
sarebbe a suo modo condizionante. Ogni decisione è di fatto una reazione ad uno stimolo. Se scelgo
di bere e di mangiare è perché ho sete e fame, perché questo richiede il mio istinto di conservazione, oppure anche per un altro bisogno di carattere compensativo, come, ad esempio, per noia o per mancanza d’amore.
La scelta, dunque, deve per forza esercitarsi su qualcosa di concreto e, in quanto tale, limitato e limitante. Quel gran pensatore del XIX secolo che risponde al nome di John Stuart Mill, riflettendo sul libero arbitrio e sul margine di libertà riservato all’uomo, era arrivato alla conclusione di esercitare personalmente la sua libertà scegliendo tra i molti condizionamenti quello che, a suo avviso, lo spingeva di più nella direzione da lui desiderata.
Poiché siamo parte integrante di un unico organismo, cioè del mondo che ci circonda, non possiamo prescindere da esso invocando una suprema libertà, dando ali ad un desiderio in apparenza legittimo, in realtà frainteso, di liberazione
: è un moto del nostro cuore che talora percepiamo al colmo della stanchezza e dello sconforto oppure un reale anelito della nostra anima a dimensioni più pure e spirituali. Di fatto ogni scelta è legata a dei fili e, quello che più conta, ha il potere di muoverli, ma non di strapparli, perché in essi scorre la vita.
Non a caso si usa dire che «ci misuriamo» ogni giorno con delle difficoltà o scelte: in effetti esse ci rivelano la misura del nostro essere, in pratica ci consentono di agire e di dare forma alla nostra vita, come argilla nelle mani del vasaio, ma occorre una costante consapevolezza, per non cadere vittime dell’illusione di girare in tondo con la ruota.
Proprio su questa consapevolezza verte il secondo punto: se il primo chiarisce i dati del problema, il secondo ci suggerisce la soluzione, ma ogni passaggio, fino al risultato finale, resta necessariamente una conquista del singolo.
A volte per fare un’obiezione si ricorre ai casi estremi. Così potremmo ribattere: «Ammesso che sia inevitabile che il condizionamento determini la scelta e di conseguenza la limiti, tuttavia in certe situazioni potrebbe anche limitarla tanto da renderla di fatto impossibile, come quando, per esempio, si è in prigione oppure affetti da una grave malattia».
Un forte condizionamento può senza dubbio ridurre al minimo le possibilità di scelta, ma non inibire totalmente la facoltà di scegliere. Anche nei casi estremi, anzi, direi proprio in questi casi, in cui la libertà fisica è fortemente limitata, posso scegliere l’atteggiamento interiore, il modo di reagire e soprattutto il significato con cui vivere quella esperienza.
Gli esempi di persone che hanno scelto di vivere, di sorridere e di sperare, pur in condizioni di estrema difficoltà, in cui ci si aspetterebbe soltanto di soccombere, donando, invece, conforto e preziosi insegnamenti agli altri, sono per tutti noi illuminanti. Se dunque è possibile scegliere pensieri diversi, capaci di ribaltare dall’interno una situazione estrema, a maggior ragione nella vita normale
e quotidiana occorre tener sempre presente (e niente e nessuno ce lo può impedire) che ogni nostro gesto è espressione di una scelta e che ogni scelta deriva da un punto di vista, da una visione più o meno consapevole, della realtà, da una lente in apparenza fissa, in realtà regolabile, che si trova dentro di noi e che è a nostra disposizione.
Da questa sorgente interiore scaturisce la direzione di tutte le scelte e a questa dobbiamo attingere nelle varie circostanze della vita che esamineremo nelle prossime pagine. La scelta più importante è sempre a monte, non a valle, e le conseguenze delle nostre azioni seguono sempre la linea delle nostre intenzioni, anche se tra i mille sobbalzi degli imprevisti rischiamo spesso di perderne il filo. L’importanza e il valore di una situazione contingente che ci mette a dura prova
dipendono in primo luogo dall’interpretazione che noi le diamo, al ruolo
che assegniamo alle difficoltà: casualità, sfortuna oppure crescita e maturazione della persona?
Così recita un antico proverbio cinese: «Non possiamo impedire che gli uccelli dell’ansia e della preoccupazione volino sulla nostra testa, ma possiamo evitare che vi costruiscano il nido».
2. LA SCELTA DEI VALORI
Tra i più famosi miti dell’antica Grecia ce n’è uno che bene esemplifica il tema che vorremmo qui trattare: non solo il valore della scelta, ma anche la scelta dei valori. Si tratta del giudizio di Paride, figlio di Priamo, re di Troia, spedito lontano dalla città a pascolare le pecore sul monte Ida, in Frigia, perché un oracolo aveva predetto che sarebbe stato causa di rovina per la sua città.
Tutto ebbe inizio durante il banchetto nuziale tra Peleo e la ninfa marina Tetide, dalla cui unione sarebbe nato il prode e infelice Achille. Erano stati invitati tutti gli dei, esclusa, ovviamente Eris, la dea della discordia: la sua presenza non sarebbe stata certo di buon auspicio! La sorella di Ares, il dio della guerra (particolare da cui possiamo desumere un aspetto significativo del suo carattere), si offese e, approfittando della confusione, si mescolò tra la folla e fece rotolare in mezzo alla tavola una mela d’oro massiccio che recava una scritta: «La prenda la più bella»!
L’improvviso dilemma della scelta paralizzò i convitati e spense ogni clamore. Mentre le divinità minori si ritiravano in buon ordine, si fece avanti Era, moglie di Zeus e regina dell’Olimpo, ma Afrodite ritenne a buon diritto di aver la precedenza, contestata a sua volta dalla fiera Atena, dea della sapienza.
L’ardua scelta toccò a Zeus, eletto all’unanimità come giudice supremo, ma il re degli dei declinò l’invito (possiamo capire il suo imbarazzo) e passò la patata bollente a Temis, dea della giustizia: chi poteva essere più adatto di lei?
Il fatto è che scegliere significa assumersi delle responsabilità e delle inevitabili conseguenze… Anche Temis pensò bene di fare scaricabarile: per scegliere la dea più bella quale giudice migliore del più bello tra gli uomini?
Ed ecco entrare in scena Paride. Quando il bel giovane, ragguagliato sulla disputa da Ermes, si vide comparire davanti le tre rivali, sfolgoranti nella loro bellezza, rimase incantato, senza saper scegliere. Allora i termini della scelta divennero più espliciti: in cambio del pomo d’oro Era gli offrì il potere e un grande regno, Atena la conoscenza e gli inestimabili doni della saggezza, Afrodite invece l’amore della donna più bella. Un dilemma interessante anche per gli uomini di oggi…
Senza peccare di pessimismo, temo che le attuali agenzie statistiche darebbero come vincente la regina dell’Olimpo. Ma Paride era molto giovane, smanioso di sentimento e di passione. Perciò, a quelle condizioni, fece la sua scelta senza più esitare, e si ebbe la gratitudine della dea dell’amore e l’odio implacabile delle rivali.
Prima di allontanarci dall’Olimpo, anzi dal monte Ida, per scendere nella valle della nostra realtà quotidiana, conviene ricordare le conseguenze di quella scelta: la seducente dea non aveva però precisato che la bellissima Elena era già sposata con Menelao, re di Sparta, e dal suo audace rapimento seguirono quei luttuosi dieci anni di guerra destinati a concludersi con la morte dello stesso Paride e la distruzione della più fiorente città dell’Asia Minore.
A parte gli inganni d’amore, l’antica vicenda ci richiama alla responsabilità e alla ponderatezza nell’atto di scegliere e in particolare alla scelta dei valori. Oggi le neuroscienze aprono alla psicologia e all’antropologia nuovi orizzonti con la teoria dei tre cervelli
ed è importante che ciascuno di noi si renda conto se nella propria vita predomini quello della testa oppure del cuore o della pancia e, di conseguenza, se una decisione provenga dal pensiero, dal sentimento o dall’istinto, e come si possano armonizzare queste tre componenti per non fare la fine di Paride.
In realtà la conoscenza di tale triade
ha radici remote e assai diffuse: nelle antiche tradizioni spirituali ed esoteriche ricorre la distinzione delle tre anime
, mentre nella Cabala si parla di tre distinti livelli di anima. Analogamente l’antica filosofia cinese taoista afferma che nell’uomo ci sono tre intelligenze
, o centri di energia, chiamate Tan Tien: una superiore nella testa, una media nel cuore e una inferiore nella pancia. Così nella medicina cinese il cervello è chiamato consigliere
, il cuore imperatore
e l’intestino generale
. Ricordiamo anche il particolare rilievo dato da Gurdjieef alla teoria dei tre cervelli (intellettuale, emozionale e istintivo), che è alla base del funzionamento dell’«enneagramma», di origine antichissima, utilizzato già dai Sufi a partire dal secolo VIII.
Riprenderemo più avanti questo argomento (6. La scelta equilibrata); qui ci limitiamo a sottolineare l’importanza delle componenti razionale, emotiva e istintiva nel processo dinamico della scelta, perché esse ne determinano la natura equilibrata o sbilanciata, e quindi il successo o il fallimento.
Al prevalere di ciascuno dei tre fondamentali elementi costitutivi corrisponde un determinato modo d’essere e di vivere, che, su un altro piano, potremmo anche collegare ad una delle tre classiche vie
di ricerca della Verità, attraverso cui la coscienza evolve, che lo Yoga distingue in via della conoscenza
(Jnana), via della devozione
(Bhakti) e via dell’azione
(Karma).
Sorgono allora imprescindibili, nel processo di autoconoscenza, alcune domande, alle quali sarebbe importante rispondere prima di proseguire:
1) Quale delle tre vie risponde meglio al mio bisogno naturale di cammino?
conoscenza devozione azione
2) Quale di questi tre aspetti ritengo prevalente nel mio carattere?
razionale emozionale istintivo
3) Considerando le scelte più importanti della mia vita, a quale componente ritengo di aver dato maggior rilievo?
ragione sentimento intuito
4) Quale dei tre cervelli mi accorgo di usare più facilmente nelle piccole scelte quotidiane?
testa (riflessioni) cuore (sentimenti) ventre (abitudini e impulsi naturali)
Da questo quadro generale passiamo ora ad un’autoanalisi più dettagliata, compilando la scala personale di valori:
1) Quali sono le cinque cose che più contano per me in ordine d’importanza?
1. _____________________________________________________
2. _____________________________________________________
3. _____________________________________________________
4. _____________________________________________________
5. ____________________________________________________
2) Quale di queste cinque cose mi capita più spesso di dimenticare nelle scelte quotidiane o di non esprimere abbastanza?
_________________________________________________________
_________________________________________________________
3) Quali sono gli ostacoli che rendono difficile la consapevolezza delle scelte racchiuse in ogni mio atto nel corso della giornata?
_________________________________________________________
_________________________________________________________
_________________________________________________________
Porre, dunque, attenzione alle scelte quotidiane, alla nostra presenza consapevole nel dirigere le azioni verso le mete che ci siamo prefissi, significa tenere ben stretto tra le mani il timone della propria vita, sfidando le tempeste degli imprevisti e non rassegnandosi mai all’idea di andare alla deriva.
Ricordo un insegnante che in sala professori, di buon mattino, mentre alcuni colleghi sbuffavano o sospiravano, soprattutto all’inizio di una nuova settimana, al suono perentorio della campanella che invitava ad andare nelle aule, soleva invece domandare con un bel sorriso (un po’ provocatorio): «Che cosa facciamo? Anche oggi io scelgo di fare lezione», rinnovando così ogni volta la libertà del suo gesto e insieme la personale motivazione di docente.
Analogamente, con serenità, poniamoci ogni giorno la domanda: «Perché faccio questo?». E rispondiamo a noi stessi con l’onestà di un attento osservatore, ricordando che spetta a noi stabilire la rotta e che solo prendendo atto delle inevitabili deviazioni si può correggere e, all’occorrenza, anche cambiare la meta.
3. LA SCELTA DEGLI ALTRI
La nostra stessa esistenza è iniziata con una duplice scelta: quella biologica, ponderata o fortuita, per la quale siamo debitori ai nostri genitori, e quella spirituale, dovuta e voluta da noi stessi. I profondi insegnamenti dei Maestri, comunicanti da una dimensione che è oltre l’illusione terrena
, ci spiegano infatti che, incarnandoci su questo pianeta, siamo noi a scegliere, se non precisamente quelle persone, comunque il contesto familiare adatto alle esperienze richieste dal nostro karma. In altre parole, la legge di evoluzione della coscienza individuale ci indirizza con una tale precisione e, diciamo anche, delicatezza verso ciò che, per legge di causa ed effetto, ci è indispensabile sperimentare, che a noi pare di sceglierlo in prima persona. Per questo capita spesso che alcune entità, durante i contatti medianici, affermino che ciascuno sceglie i propri genitori. D’altro canto è pur vero che precise leggi di affinità determinano il ritrovarsi di esseri sulla terra nella stessa famiglia, seppure con ruoli diversi.
Comunque sia, la duplice scelta, che origina la nostra avventura terrena, rispecchia fin dall’inizio perfettamente la dinamica propria di ogni scelta, che, come si diceva, è mossa da una necessità. Sorge allora spontanea una domanda: dopo questo particolare esordio, quando ci è permesso di ritornare padroni della nostra autonoma facoltà di scegliere?
A parte le piccole personali scelte dell’infanzia, fino alle soglie dell’adolescenza le grandi scelte
della nostra vita sono inevitabilmente gestite da altri, genitori, parenti ed educatori. Cresciamo, insomma, grazie alle scelte di diverse persone e diventiamo, pur nei limiti della nostra indole innata, il prodotto di queste scelte. Una sana educazione dovrebbe tener conto delle nostre naturali tendenze e favorire lo sviluppo dei nostri talenti, ma i criteri massificanti del sistema scolastico (per non dire della società in generale) e la volontà dei genitori di proporci e, non di rado, imporci obiettivi e modelli conformi alle loro scelte finiscono spesso per cucirci addosso un’identità che renderà difficile a noi stessi riconoscere la genuinità delle nostre scelte.
D’altronde è importante ammettere che noi emergiamo necessariamente come frutto delle scelte di altri e tra queste dovrebbe esserci anche lo spazio, piccolo o grande, riservato alla nostra attuale capacità di scegliere.
Ricordo una pacata discussione tra un giovane futuro padre e un prete a proposito del battesimo dei neonati: il primo sosteneva di non avere il diritto di decidere al posto di chi non era in grado di intendere e che suo figlio un giorno avrebbe potuto rinfacciargli di aver fatto quella scelta senza averlo interpellato, ma l’altro accortamente ribatteva che, divenuto grande, il figlio avrebbe anche potuto, allo stesso modo, rimproverargli di non averlo battezzato. Benché i punti di vista fossero diversi, di fatto il genitore si trovava comunque di fronte ad una scelta e alla necessità di assumersi la responsabilità delle conseguenze.
Siamo frutto delle scelte altrui, si diceva, ed è necessario tenerne conto per analizzare le nostre, per capire da adulti, soprattutto quando sbagliamo e ci sentiamo disorientati, se e in quale misura i criteri a cui ci atteniamo nelle decisioni appartengano realmente a noi o siano ancora quelli degli altri.
È questo un punto fondamentale, che richiede molta attenzione. Sappiamo che il genitore, o comunque chi ha inciso fortemente nella nostra formazione, viene introiettato
dentro di noi e finisce col costituire quel super-io
che ci detta il senso del dovere, il concetto di bene e di male e in generale il codice di comportamento. Tutto questo è normale, come la lingua che parliamo senza aver avuto la possibilità di sceglierla