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Miti e Leggende nella Psicologia
Miti e Leggende nella Psicologia
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Ebook146 pages1 hour

Miti e Leggende nella Psicologia

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About this ebook

I miti e le leggende che fanno parte della nostra storia non sono soltanto il racconto fantastico e fantasioso di storie epiche e personaggi eroici con magici poteri.
Essendo impersonati da uomini e donne ne hanno anche tutte le caratteristiche, particolarità ed emotività.
Le scelte che fanno, i loro atteggiamenti e le loro azioni sono al pari delle azioni umane pertanto possono essere utilizzati simbolicamente a descrivere quei nostri comportamenti che ci caratterizzano, che ci contraddistinguono, che sono la nostra ossessione o diventano le nostre sindrome.
In questo libro ho riassunto 37 leggende che sono entrate nella psicologia prendendo il nome di una sindrome o di un complesso, spiegando la leggenda di riferimenti, il significato simbolico e quello psicologico.
LanguageItaliano
Release dateFeb 16, 2017
ISBN9788826024196
Miti e Leggende nella Psicologia

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    Miti e Leggende nella Psicologia - Marilena Cremaschini

    dell'Uroboro

    Andromeda, Bondage e l'immobilità

    La condizione dell'immobilità mentale

    C’è un filo conduttore che lega la leggenda di Andromeda, il Bondage e l’immobilità mentale.

    Andromeda, nella mitologia greca, era figlia di Cefeo re dell'Etiopia e di Cassiopea, quest'ultima si era vantata troppo spesso della bellezza della figlia asserendo che superasse ampiamente quella delle Nereidi, amate da Poseidone che per tutelarle mandò un mostro marino a tormentare il paese di Cefeo.

    Un oracolo disse a cefeo che l’unico modo di salvare il suo regno dal mostro era di offrire la figlia in suo sacrificio, per tale motivo Andromeda fu legata nuda su di uno scoglio in attesa di essere divorata dal mostro.

    Andromeda accettò di essere sacrificata al mostro marino e si mise immobile sulla riva in attesa della sua morte, che non avvenne perché fu salvata da Perseo che uccise il mostro e sposò la fanciulla.

    La rappresentazione di Andromeda che legata ed immobilizzata si offre alla morte ed a qualunque supplizio ricorda il significato simbolico del Bondage e della costrizione fisica che rappresenta.

    Il Bondage è una pratica sessuale o di piacere che si attua con l’uso di legature, lacci, abbigliamento, bavagli e catene che hanno la funzione di costringere il corpo in posizioni innaturali, impedendo la libertà fisica in totale sottomissione della persona dominante che lega.

    La finalità del bondage è quella di far percepire a colui che è legato ed impedito nei movimenti la sensazione di abbandono completo al dominio di un’altra persona che domina e gestisce la situazione.

    Viene fatto tra persone consenzienti e consapevoli, ciononostante è una forma di tortura che stimola il piacere attraverso il dolore fisico e la sensazione di immobilità completamente soggiogata dalla dominanza di un altro.

    Sia Andromeda che colui che si lega si lascia andare al fato, privandosi della possibilità di agire, di decidere e di ribellarsi in una totale immobilità mentale che castra e impedisce ogni azione.

    L’immobilità mentale è qualcosa di più del semplice impedimento fisico, è l’abbandono di ogni speranza di poter gestire la propria vita, di muoversi liberamente e di agire come si vorrebbe.

    Non c’è bisogno di una catena o di un laccio per sentirsi immobilizzato.

    Spesso l’uomo è terrorizzato dall’azione, dal dover fare, dal possibile risultato, lo teme a tal punto che non fa nulla per evitare qualunque rischio di delusione e di paura.

    Ciò che può terrorizzare è l’idea di dover fare i conti con se stessi ed i propri limiti e le proprie incapacità, ciò che spaventa può essere il nuovo, l’ignoto, ciò che non si conosce e non si può prevedere.

    L’abitudine del quotidiano è la sicurezza del conoscere gli eventi e le personali condizioni, saperli prevedere e calcolare rende l’uomo sicuro nelle aspettative e nei risultati.

    L’uomo che non agisce rimane immobile nella sua staticità ed abbandono come fece Andromeda nell’attesa di essere sbranata dal mostro consapevole che quello era il suo destino e che non poteva far nulla per cambiarlo.

    L’immobilità è la sensazione che si cerca nel bondage dove la costrizione è soprattutto quella mentale ed emotiva, non solo fisica.

    L’immobilità nasce dalla paura di agire, lasciarsi sopraffare dalle decisioni altrui, è una forma di punizione corporale per l’incapacità di decidere, di muoversi di osare e di cambiare le proprie condizioni.

    Non è vero che il coraggioso non ha paura e non teme gli eventi, anzi ne è ben consapevole ma ciononostante non si arrende e domina il suo destino prendendo in mano le redini delle propria vita e della propria esistenza.

    Non concede le briglia ad un altro perché possa decidere al suo posto, decide in prima persona.

    Il coraggioso sa cosa desidera e sa che ciò gli costerà fatica, energia, qualche delusione ma non si ferma e non si arresta e procede dritto per la sua meta raggiungendo l’obiettivo.

    Arrendersi senza tentar di cambiare la propria vita, di cambiare gli eventi e di realizzare dei progetti non ci da la certezza della serenità e del benessere, perché dentro di noi conosciamo il nostro desiderio e la voglia del cambiamento, la volontà di gestire la vita è dentro di noi ma non la si vuole ascoltare per paura di perdere quello che già si è guadagnato.

    Sbagliato, perché l’insoddisfazione è un pensiero interiore, intimo, permanete e logorante, che non si può zittire nemmeno se ci ostiniamo alla resa.

    La sindrome di Artemide/Diana

    La rivalsa delle donne forti

    La dea Artemide, per i Greci, e Diana, per i Romani, era la dea della caccia, della foresta, della natura vista dal punto della sua forza, ed anche della guerra, in pratica una virago che aveva rinunciato al matrimonio per dedicarsi completamente alla predazione ed alla lotta.

    La dea Diana era figlia del dio Zeus e di Latona, gemella del Dio Apollo, si narra che fu la stessa neonata ad aiutare la madre a partorire il fratello, per tale motivo era invocata dalle donne gravide al momento del parto affinché le aiutasse a sopportare il dolore.

    Per questa sua scelta di vita, uno stile da amazzone, indipendente, dedita alle arti della guerra, viene in psicologia associata alle donne mascoline, che amano le attività maschili o gli atteggiamenti corrispondenti a detto genere con l’inconscio desiderio di essere come gli uomini.

    Sigmund Freud aveva nei suoi studi catalogato tale comportamento come l’inconscio desiderio dell’invidia del pene o desiderio del pene, in entrambi i casi si desidera poter esercitare delle scelte di vita e delle prerogative tipiche della condizione maschile, che sono simbolo di forza e di dominio.

    Nel complesso di Diana o Artemide non esiste il desiderio omosessuale, ma soltanto il fatto che la donna assume determinati comportamenti ed atteggiamenti tipici del maschio come ad invocare o rivendicare un ruolo a cui sin dalla nascita è stata preclusa.

    Secondo altre teorie psicanaliste il mito rappresenta una donna estremamente narcisista, non un’esteta, ma una cultrice del proprio corpo tanto da non volerlo concedere, accoppiandosi con un maschio, e che trasferisce le proprie frustrazioni e desideri sulla caccia e sull’aggressività ostentata.

    La freccia che scocca dal suo arco costituisce il sostituto fallico, ed usa tale arma come la potrebbe usare un uomo durante la caccia o l’attività amatoria.

    Dietro al desiderio del pene non ci sta il desiderio del corpo maschile ma quello del ruolo sociale, condizione da sempre esclusa alla femmina.

    La donna sin dal secolo scorso era allevata unicamente perché diventasse una rispettabile moglie di qualche buon partito, le era consentita la minima cultura tanto da non essere superiore come conoscenza al maschio ma da poter dialogare affabilmente di argomenti futili, superficiali, tipicamente femminili.

    Dovevano essere in grado di colloquiare ad una cena, un incontro da the, ma non dovevano avere una cultura tale da mettere a disagio l’eventuale marito.

    Alle donne infatti era preclusa l’istruzione scolastica ed universitaria, lasciata unicamente al figlio maschio, la conoscenza avveniva nella casa di famiglia attraverso le istitutrici.

    Dunque alla femmina non era nemmeno consentito di uscire in società liberamente per frequentare anche ambienti non ambigui e sicuramente amorali.

    La donna poteva inoltre uscire soltanto accompagnata da qualcuno, sino ovviamente al matrimonio ed all’accompagnamento coatto del marito o di una parente.

    In pratica potremmo dire che le femmine sono state da secoli agli arresti domiciliari.

    Pur essendo modificata tale mentalità, né è rimasta una traccia latente sia nel nostro modo di pensare che nello stile di vita.

    È innegabile che l’uomo abbia mano difficoltà nel realizzarsi nel lavoro, a parità di ruolo è stipendiato meglio e gli sono riconosciuti degli avanzamenti di carriera invece negati alla donna.

    Che la legge vieti formalmente una distinzione ed una differenziazione nei generi, di fatto siamo ben lontano dall’avere una concreta parità sociale e professionale.

    Ancora oggi in qualunque assunzione, in qualunque contrattazione viene sempre richiesta l’appartenenza al genere (maschio o femmina) che deve essere obbligatoriamente specificata pena l’inaccettabilità della domanda, per non parlare dei colloqui dove alla donna, casualmente, senza che ne rimanga traccia scritta, si chiede se sia sposata, se abbia dei figli o se ha l’intenzione di farli.

    Desiderare di essere Diana oggi può voler dire ottenere le stesse possibilità e prerogative prettamente maschili o comunque i privilegi, sia nei ruoli che nelle valutazioni, riservate al genere di un solo sesso.

    Purtroppo oggi si assiste anche ad una dianizzazione quando la donna, per motivi collegati ad una carriera o ad una funzione, è costretta a valutare la scelta di posticipare la possibilità di essere madre o una famiglia, non essendo facilmente conciliabile i due stili di vita.

    Fino a quando non ci sarà una reale parificazione delle donne agli uomini esisterà il desiderio di poter avere il potere maschile e le scelte che gli sono riservate.

    Il Bovarismo

    L'eterna insoddisfazione

    Il termine bovarismo è stato introdotto nella seconda metà dell’ottocento da una corrente di pensiero che si è sviluppata nell’ambiente letterario e che intendeva rappresentare la tendenza di alcuni artisti a sfuggire alla monotonia della vita di provincia e dal quotidiano immergendosi nella lettura o in altre forme di arte fuorvianti.

    Spunto di tale corrente è il personaggio protagonista del. romanzo di Gustave Flaubert scritto nel 1856 e del disagio personale ivi descritto dall’autore.

    Madame Bovary è la moglie di un ufficiale sanitario, la signora Emma Bovary, che si dà all’adulterio e vive al di sopra dei suoi mezzi per sfuggire alla noia ed alla vacuità della vita di provincia che non le piace e non la soddisfa.

    Emma è una donna ambiziosa, sposa un

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