L’Ultimo Valzer
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A stento riusciva a vedere la prima fila.
Era davvero stato impeccabile, non aveva mai suonato con così tanta grazia come quella sera.
Il pubblico era restato affascinato da quella esecuzione di Puccini. Un valzer davvero straordinario.
Un sogno.
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Book preview
L’Ultimo Valzer - Nicolò Chiara
Quignard)
Capitolo I
Le note si espandevano per tutta la casa, scendendo
lentamente in fondo alle scale. Non era rock o altro genere
di musica che potrebbe causare chissà quanti mal di testa, se
non sono apprezzati ovviamente.
Quel valzer che Giovanni componeva in modo dolce,
immerso nella più celestiale tranquillità del mondo, riusciva
a dare calma e serenità persino al più scorbutico dei vicini
dello stabile.
Pigiava i tasti di quel pianoforte delicatamente, come i
pedali di una rosa.
In quei momenti riusciva a dimenticare tutto.
I problemi che lo affliggevano, ormai da diversi mesi a
questa parte, poteva chiuderli dentro un cassetto solo in
questo modo.
Seduto al suo pianoforte.
Suonò il campanello.
Per un momento Giovanni non lo sentì nemmeno,
continuano a suonare, a rendere quei tasti vivi, quel
pianoforte magico e spettacolare.
Il campanello suonò di nuovo.
Giovanni uscì da quel bellissimo mondo, ritornando alla
realtà e maledicendola per i torti che da essa stava subendo.
Si alzò con molta calma avviandosi alla porta.
Addosso aveva ancora il pigiama ed una leggera vestaglia,
tipica delle mezze stagioni primaverili.
Erano appena le 10:00 del mattino, ma purtroppo quando
non si ha un lavoro, spesso si perde anche la voglia di
mettersi addosso un vestito.
O meglio, ancor peggio quando si viene licenziati.
Dopo più di vent’anni di onorato servizio come contabile
nel cantiere navale della città, all’improvviso si vide messo al
cancello.
Non potrà mai dimenticare quel giorno maledetto.
Era il 20 Dicembre e lui si recava puntuale, come tutte le
mattine in quell’ufficio dentro i capannoni del cantiere.
Mai un ritardo, mai una richiesta per malattia o altro.
Eppure quel giorno sembrava che tutto questo non
contasse nulla. La serietà e la perseveranza che aveva
dedicato a quel lavoro svanirono all’improvviso.
<
cominciando a perdere introiti>> .
Questa fù la semplice e stupida spiegazione del sig. Rizzo,
il proprietario del cantiere navale.
Giovanni non riuscì a dire una parola.
Restò come un sasso ascoltando quelle parole.
<
personale. Ma sono sicuro che potrai sistemarti subito.
Dopotutto sei un maestro di pianoforte e sono certo che
troverai una cattedra.>>
Certo.
Proprio per questo faceva il contabile da quindici anni
in quel cantiere. Non ci avrebbe mai messo piede se fosse
stato così facile, come Rizzo diceva in quel momento.
Ma l’unica cosa che riuscì a fare fù prendere quelle
quattro cose che aveva sulla scrivania in ufficio ed
andarsene.
Quel giorno era pure uno dei suoi preferiti, con un
leggero strato di neve che copriva i monti alle spalle della
città.
Cosa rarissima, aveva anche nevicato fino in spiaggia per
qualche ora e questo di solito lo rendeva felice.
Quella bellissima sensazione che lo aveva
accompagnato fino a quell’ufficio, ora la lasciava cadere
come la neve, lungo la strada di casa.
<
Giovanni voltando subito le spalle alla porta, recandosi in
cucina a versarsi un pò di caffè.
<
L’uomo entrato in casa era un classico personaggio
d’ufficio, vestito in doppio petto con borsa in cuoio ed
occhiali da lettura sempre pronti, appesi nel laccio attorno al
collo.
Era l’amministratore del condominio.
Si sedette in salotto, mentre Giovanni sorseggiava il caffè,
e iniziò ad uscire un mucchio di carte da quella borsa
cominciando a dividere l’attenzione tra quel mucchio di
documenti e Giovanni che, con lo sguardo perso nel vuoto,
beveva quell’amaro caffè.
Sapeva bene il motivo di quella visita, una delle tante
avute negli ultimi mesi.
<
<
lei che con mia moglie in questi ultimi mesi>>, risposte
Giovanni in modo molto sarcastico, non nascondendo un
velo di tristezza.
<
già tre mesi che non paga l’affitto dell’appartamento, per non
parlare anche delle spese condominiali.>>
Giovanni si sedette di fronte all’amministratore.
<
quarantacinque anni è difficile ottenere pure un posto come
fattorino.
Ho pagato finchè ho potuto le spese, ma ormai ho quasi
terminato anche i risparmi che tenevo da parte.>>
L’amministratore prese le carte e le riposò dentro la borsa.
<
aiutarla>>, disse l’amministratore con un tono amichevole.
Giovanni si accese una sigaretta.
<
Quella notizia lasciò molto meravigliato Guerrero.
<
Giovanni aspirando con una calma quasi rassegnata la
sigaretta.
L’amministratore si tolse gli occhiali, rivolgendosi con fare
quasi paterno.
<
Giovanni, ma quando te lo ha detto?>>
<
Giovanni si alzò, ritornando in cucina in cerca del caffè.
In quel periodo ne beveva un pò troppo per tentare di
rilassarsi.
L’amministratore sistemò gli ultimi documenti in quella
sua borsa, e si alzò in direzione della porta.
<
caffè, o altro.>>
<
padrone e vedrò di poterti concedere un pò di tempo. Ti farò
sapere tra qualche giorno.>>
Giovanni lo ringraziò e si diresse assieme a lui verso la
porta.
Il sig. Guerrero amministrava quello stabile da ormai
trent’anni. Conosceva bene Giovanni e sua moglie Katia, da
quando si erano trasferiti da Roma.
Si erano conosciuti in quella bellissima città, lui uscito da
poco dal conservatorio, lei una semplice commessa in un
negozio di tessuti.
Si innamorarono al primo sguardo.
Poco meno che trentenni si sposarono e Giovanni, non
trovando lavoro come insegnante di pianoforte (a parte
qualche lezione privata), decise di voltare pagina.
Non voleva essere un peso, anzi era lui che aveva
la responsabilità di mandare avanti la baracca. E così fece.
Inviò diversi curriculum non come laureato al
conservatorio, ma come esperto contabile (aveva il diploma
da ragioniere), ed ebbe la fortuna di essere contattato in
meno di un mese.
Si trasferirono a Messina (una vera fortuna trovare un
impiego in quella città), dove in un primo tempo anche sua
moglie cercò lavoro.
Giovanni, una volta assunto come contabile nel cantiere
navale che lo aveva contattato, dissuase Katia nel proseguire
quelle ricerche.
Il posto che aveva ottenuto era sicuro e rendeva bene, e
poi aver trovato quel lavoro era già stato un colpo di
fortuna. Dubitava potesse riuscire anche a lei.
Ma era semplicemente un lavoro.
La sua passione era da tutt’altra parte quando, una volta
rientrato a casa, mentre Katia era a preparare il pranzo o
stava sbrigando altre faccende,