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Il 10 agosto - San Lorenzo - La caduta delle stelle
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Il 10 agosto - San Lorenzo - La caduta delle stelle

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San Lorenzo si festeggia il dieci agosto, giorno in cui si accentuano nel cielo strisciate bianche di stelle morenti. San Lorenzo è anche un paesino collinare della Crerzja una regione della Trigolavja.

Dragan, Branko, Luca e Mirko sono ragazzi cresciuti lì. Vivono di un’amicizia così profonda e forte, come se fossero fratelli di sangue. Il dieci Agosto è un giorno particolare, sempre presente nelle decisioni importanti della loro vita.

In questo giorno la loro amicizia viene messa in discussione dall’avvento della bellissima trasgressiva e provocante Elena.

Non ci sarà più pace tra loro, ma odio, gelosia, perdono, amore e tradimenti, sullo sfondo di una guerra civile devastante, dopo la quale niente sarà più uguale.
LanguageItaliano
Release dateFeb 6, 2017
ISBN9788826017013
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    Il 10 agosto - San Lorenzo - La caduta delle stelle - Antonio Di Filippo

    IL 10 AGOSTO

    SAN LORENZO

    LA CADUTA DELLE STELLE

    Antonio Di Filippo

    I fatti e i nomi dei personaggi menzionati, sono unicamente frutto dell’immaginazione e della libera espressione dell’autore. Ogni similitudine, riferimento o identificazione con fatti, persone, nomi o luoghi reali, è puramente casuale e non intenzionale.

    1° Capitolo

    Nel silenzio più assoluto, un fastidioso *driiin… driiin... driiin* riecheggia nella stanza buia. Accidenti alla sveglia proprio ora che… peccato, era un sogno meraviglioso, questa sera quando vado a dormire cercherò di rifarlo.

    Mi alzo dal letto: un lungo sbadiglio, due passi e sono vicino alla finestra, sposto gli scuri e una luce accecante m’intiepidisce il viso… meno male, è una bella giornata.

    Oggi è il 10 Agosto: San Lorenzo, giorno in cui si accentuano nel cielo strisciate infuocate di stelle morenti.

    San Lorenzo è anche il nome del mio paese, fa parte della Regione Crerzja nello Stato della Trigolavja, ed è anche il Santo protettore... qui oggi è festa.

    Dimenticavo, io sono Luca: ventiquattro anni passati tutti qui, oggi mi sento euforico nonostante la sveglia, e voglio festeggiare insieme alla mia ragazza.

    Lei si chiama Donatella, ma è un nome troppo lungo, quindi la chiamo Lella, decisamente più corto e confidenziale, ha la stessa mia età e anche lei è nata qui.

    Devo sbrigarmi, lei mi aspetta in piazzetta e non devo tardare, altrimenti mi tiene il muso, ed è capace di non rivolgermi la parola per tutto il giorno.

    Entro in bagno e inizio a radermi: è piacevole, rilassante, avevo dimenticato il rumore della lama del rasoio sulla pelle. Provo soddisfazione anche nell’osservare l’acqua uscire dal rubinetto, finalmente torna a sgorgare… dopo tanto tempo.

    Piccoli piaceri di tutti i giorni, che valorizzi solo quando ti vengono a mancare.

    Dovete sapere che qui, fino a pochi giorni fa, eravamo ancora in guerra.

    Un conflitto iniziato per colpa dei soliti prepotenti, per la voglia d’indipendenza di alcuni, la contesa di territori e le differenti religioni, il tutto ampliato ad arte da alcuni politici corrotti, per i loro sporchi interessi facilitarono lo scoppio della guerra. Finalmente, l’intervento di forze militari internazionali misero fine al conflitto, trovando un accordo tra le parti belligeranti.

    Sono davanti allo specchio: quello che vedo riflesso è un viso pallido ma gradevole, non mi sono neanche tagliato, negli ultimi tempi non sono riuscito a radermi tanto spesso.

    Esco dal bagno e saluto i miei: «Ciao mamma ci vediamo a pranzo, a proposito, buon San Lorenzo».

    E lei: «Non aspetti tuo padre?»

    «No mamma, c’è Lella che mi aspetta, fai gli auguri anche a lui… ciao».

    I miei genitori… brava gente, dedita solo al lavoro, al benessere della famiglia. Mia madre è la sarta del paese, mio padre è un contadino, come la maggior parte dei compaesani. A volte li osservo nelle loro attività, quelle di tutti i giorni: sembrano dei robot, sempre le stesse cose, nessuna novità, senza emozioni, … chissà se erano così anche da giovani.

    Riflettendoci, penso proprio di no, anzi, sicuramente erano diversi, anche i loro cuori saranno impazziti d’amore come i nostri oggi. Quando si ama, le emozioni che si provano sono sempre le stesse, a qualsiasi età e in ogni parte del mondo.

    Finalmente esco e sono in strada, mi avvio verso la piazzetta dove da sempre con i miei amici ci fissiamo gli appuntamenti.

    Mentre avanzo, un meraviglioso odore di erba tagliata mi riempie le narici, è gradevole, mi rende euforico, è da una vita che non provo una sensazione così piacevole. Ai bordi della strada, ci sono case miracolosamente ancora in piedi. I muri sono anneriti dalle fiamme e tappezzati da tantissimi fori di proiettile, sembrano formare disegni reali, vagamente ricordano i ricami fatti sulle tovaglie dalle vecchie donne di una volta.

    Penso alle persone che fino a poco tempo prima abitavano quelle case, i volti più o meno conosciuti, da sempre affacciati alle finestre, a guardare e formulare commenti sulle persone che passavano lì sotto… mi mancano, chissà quanti se ne saranno salvati.

    Un brivido m’invade il corpo… se penso alle tantissime vittime causate da questo conflitto, mi sento fortunato a essere ancora vivo.

    I compaesani che incontro per la strada hanno un’espressione diversa: me li ricordavo impauriti, sporchi del nero di fuliggine, sempre striscianti sul terreno per evitare i colpi dei cecchini. Ora invece dai loro occhi traspare una contenuta felicità, voglia di ricominciare, tranquillità che rilassa i muscoli del volto e li rende più veri… più belli.

    Oggi è veramente una bella giornata, fa caldo ma sopportabile; il paese si trova a 850 metri sul livello del mare, una spettacolare zona collinare situata in mezzo a un verde intenso, macchiato qua e là da un giallo tendente all’arancione… mi ricorda che l’estate sta finendo.

    Finalmente sono arrivato, vedo Lella venirmi incontro, il viso raggiante, anche lei contagiata da questa euforia collettiva: «Ciao Lella, buon San Lorenzo».

    E lei: «Grazie amore mio, auguri anche a te». E ancora: «Senti… prima di decidere cosa fare aspettiamo Mirko, dovrebbe essere qui a momenti» «Bene sono contento, è un po’ di tempo che non ci vediamo e questo giorno di festa è proprio l’occasione giusta per festeggiare e ricordare un po’ il passato».

    Mirko è un amico di vecchia data, anche lui nato a San Lorenzo, ha la mia stessa età ed è parte della mia vita da sempre, come un fratello.

    Lui purtroppo in questo conflitto ha perso i genitori e la sua ragazza, anche la casa è distrutta… ora vive ospite di uno zio. Dovrò trovare argomenti e parole forti per cercare di lenire il suo dolore, sento già un groppo in gola che m’impedisce di parlare, speriamo bene.

    Eccolo… barba trascurata, capelli rasati, un volto molto abbronzato e un’espressione che… non è un’espressione: «Ciao Mirko»… non risponde, mi abbraccia, sento le sue mani che si avvinghiano a me, una stretta tanto forte da lasciarmi senza fiato. La sua barba punge, sento il suo respiro trattenuto con rabbia, tra un singhiozzo e una lacrima.«Ciao Luca, il pensiero d’incontrarti oggi, proprio nel giorno a noi più caro, mi ha dato la forza per uscire di casa». Lo guardo commosso, gli dico: «Sono felice di rivederti, devi essere forte, coraggio… il tempo, vedrai, ci aiuterà a ricostruire tutto, comunque oggi è il nostro giorno: lasciamoci andare, festeggiamo fino a tarda notte, ricordiamo i nostri momenti migliori».

    Lui alza la testa, mi guarda, anch’io lo osservo fisso, mille momenti vissuti insieme rivivono in un istante… all’improvviso a interrompere quell’atmosfera la voce di Lella: «Ragazzi, come ci organizziamo, cosa facciamo oggi?»

    Mirko non risponde, faccia senza espressione e idee, allora parlo io: «Sentite… oggi non deve essere festa solo per noi, anche chi non è sopravvissuto a questo macello ha diritto ad un pensiero, un sorriso, andiamo al cimitero a ricordarli, facciamoli partecipi di questa nuova rinascita». E ancora: «Dai andiamo, per quello che dobbiamo fare oggi c’inventeremo qualcosa».

    C’incamminiamo verso il cimitero, non sappiamo neanche se è ancora in piedi o è stato distrutto, se hanno già trovato sepoltura gli ultimi caduti.

    Ho saputo da alcuni amici che tante persone, in attesa della fine della guerra, hanno sepolto momentaneamente i propri cari in posti d’emergenza. Era difficile farlo nel cimitero, quando i cecchini ti sparavano addosso.

    I cecchini sono esseri spregevoli, vigliaccamente nascosti, sempre pronti a sparare e togliere la vita a chiunque capiti nel mirino del loro fucile, senza pietà neanche per i bambini o le donne in stato interessante.

    Ora che è tutto finito, finalmente la gente può trasportare e seppellire i propri cari nei luoghi più idonei.

    In silenzio avanziamo, ognuno con i propri pensieri, dubbi, perplessità… Lella è sulla mia sinistra, Mirko sulla destra, come tante altre volte, ancora insieme… ancora uniti.

    La strada è leggermente in salita, si fatica un po’, superata l’ultima curva s’inizia a vedere quello che rimane del nostro piccolo cimitero. L’entrata non esiste più, i muri agli angoli sono leggermente danneggiati. Hanno segato tutti gli alberi e la vegetazione intorno, forse per controllare eventuali intrusioni nella struttura.

    Entriamo e notiamo subito uno stato di confusione: molti vagano alla ricerca dei propri cari, disorientati, incapaci di trovare i soliti percorsi, modificati dai colpi di cannone e mortaio, che hanno stravolto anche i più recenti ricordi.

    Ci dirigiamo verso le tombe guidati da Mirko… lui sa dove sono i suoi, già molte volte è venuto a ricordarli. Ci fermiamo davanti a una grande pietra grigia, opaca, triste, senza una foto, tre nomi e tre date di nascita, un po’ più in basso una sola data, unica, uguale per tutti e tre, sì… erano insieme in casa quando furono colpiti da un razzo.

    Osservo quella pietra: una lacrima scende dal mio viso, provo a pregare, piccoli bisbigli escono a fatica dalla mia bocca diventata improvvisamente secca, parole che rifiutano anche loro la realtà, quei volti conosciuti che non vogliono abbandonare la mia mente, ancora così vicini, così presenti.

    Il capo chino per nascondere le mie emozioni, cerco di interrompere quei ricordi dolorosi girandomi; nel farlo la mia attenzione è catturata dalla presenza di due persone che assomigliano in maniera impressionante a due miei amici, diventati nemici, che… ma sono proprio loro, con voce un po’ tremolante per l’emozione dico: «Mirko, Lella guardate là, non sono Dragan e Branko quelli?» «Non è possibile… è assurdo». Risponde Mirko. Lella rimane impietrita, non riesce a parlare.

    Sì sono proprio loro, un po’ malridotti, ma sono loro. Sembra che Dragan sia ferito... sì ha perso un braccio, Branko... mio Dio, anche lui è senza una mano... e sono uno di fronte all’altro, impassibili, in silenzio.

    Per capire il nostro stupore, bisogna fare un passo indietro nel tempo e raccontare quella che è la loro storia, anzi la nostra, perché ne siamo tutti partecipi.

    2° Capitolo

    Io, Mirko e Dragan ci conoscevamo sin dalla prima elementare: tre bambini molto vivaci diventati inseparabili, amici anche fuori dalla scuola.

    I giochi, i dispetti, le piccole marachelle, da una parte facevano incavolare i nostri compaesani, dall’altra erano state capaci di far nascere in noi un legame fortissimo come se fossimo fratelli. Eravamo diventati i tre moschettieri: uno per tutti, tutti per uno.

    Col passare del tempo, anche tra i nostri genitori nacque una vera e profonda amicizia, alimentata con inviti a cena, al cinema o pic-nic vari. A mutare quella situazione fu l’entrata in scena di Branko.

    Cominciava l’anno scolastico, dovevamo frequentare la quarta elementare, nella nostra classe c’era un nuovo alunno… lui.

    A quei tempi non era facile né frequente l’iscrizione alla 4° o la 5° elementare di ragazzi provenienti da altre scuole. Era difficile inserirsi in classi che avevano un programma di studio già avviato negli anni precedenti… ma quello di Branko fu un caso speciale.

    Lui non era di San Lorenzo: veniva da Tora, un paese ad una trentina di chilometri di distanza. La loro gente non era e non è troppo amata; antipatica, prepotente, un tantino violenta, discendenti da una antica popolazione proveniente dai territori dell’estremo Nord, un tempo Tora faceva parte di un altro Stato.

    Alcuni secoli prima infatti, la Trigolavja non esisteva, c’erano tre Stati indipendenti: Trerbja, Bornja, e Crerzja.

    Erano Paesi confinanti fra loro e, nonostante ci fossero differenze di lingua, religione, usi e costumi, decisero di fondersi in una unica Nazione.

    Comunque quello di Branko, come dicevo, fu un caso speciale, un’eccezione. Uno spaventoso incidente aveva portato via i genitori di Branko. Era rimasto solo al mondo: non aveva fratelli, aveva solo uno zio, un lontano parente che abitava nel nostro paese. I servizi sociali si sarebbero dovuti occupare di Branko, a meno che di lui se ne prendesse cura lo zio.

    Giuseppe, era questo il nome dello zio, accolse Branko con entusiasmo e amore. Lui purtroppo non era riuscito ad avere figli e Branko, nonostante la disgrazia avvenuta, era un segno del destino e una speranza per il futuro, alla quale si aggrappò con tutte le forze.

    Branko a scuola me lo ricordo timido e silenzioso, d'altronde si era trovato all’improvviso senza genitori, in un paese che non era il suo… una situazione difficile.

    Un bambino triste, mai un sorriso, una parola con gli altri, i suoi amici erano diventati i libri. Branko si era chiuso in se stesso, dedicando allo studio anima e corpo, anche perché era indietro col programma scolastico e doveva recuperare.

    Il destino però era in agguato. Sua zia, la moglie di Giuseppe, si ammalò gravemente e morì, lasciandolo ancora una volta solo.

    La gente del paese, commentando l’accaduto, dava la colpa al destino avverso. Quello di Branko però era qualcosa di diverso, forse un maleficio. Un sortilegio che lo abbracciava in una stretta mortale, lo soffocava e lo avvelenava giorno dopo giorno, fino a portarlo alla disperazione.

    La situazione stava precipitando: rimanendo solo, lo zio Giuseppe rischiava di perdere la custodia di Branko. Allora assunse una governante, figura femminile necessaria a ripristinare quelle condizioni minime per continuare ad avere la custodia di Branko.

    Dopo la morte della zia, Branko cambiò atteggiamento. Cominciò a confrontarsi con il resto della scolaresca, partecipava a qualsiasi discussione, era instancabile, non c’era attività a cui rinunciasse.

    Partite di basket, pallavolo in palestra, era sempre in movimento, non si fermava più, come se non volesse farsi raggiungere da quel maleficio che lo aveva colpito così duramente.

    Noi lo accettammo, era ormai un ragazzo della 4°A.

    Noi tre, quando non andavamo a scuola, passavamo interi pomeriggi ad ascoltare musica, oppure giocavamo a scacchi, a carte, praticamente eravamo sempre impegnati. L’importante era farlo insieme, noi eravamo i tre Moschettieri e non volevamo nessuna intrusione.

    Branko ben presto venne a conoscenza di ciò che facevamo fuori dalla scuola e di come ci facevamo chiamare.

    Cercò subito di far parte del nostro gruppo, era gentile e accorto, ma noi fuori dalla scuola eravamo un’altra cosa, un solo corpo, una sola anima.

    Si sentì non accettato, coloro che fino il giorno prima considerava amici erano diventati… non nemici, ma qualcosa da combattere, da conquistare.

    Branko cambiò tattica: conquistarci non era facile, non lo volevamo con noi nelle nostre scorribande pomeridiane e questo era un problema che lui conosceva. Quindi lui cominciò l’opera di convincimento nei nostri confronti, lì dove poteva essere ascoltato e accettato, a scuola.

    Era gentile, ci dava ragione su ogni piccola controversia, parlava con noi di qualsiasi cosa, riusciva così a sapere sempre dove andavamo nel pomeriggio.

    Non riuscivamo più a scrollarcelo di dosso: Branko era sempre con noi, partecipava passivamente a tutte le nostre scorribande pomeridiane.

    Una volta, ci trovammo sopra la stalla dei Crocenzi, una famiglia del posto, molto facoltosa e ben vista dalle persone importanti del paese. Sembra che il loro cognome fosse nato nel Basso Medioevo, al tempo dei Comuni, era la famiglia che portava il Crocefisso nelle processioni rionali: è per questo che col passare del tempo vennero chiamati I Crocenzi.

    Comunque eravamo lì per saccheggiare la loro dispensa, che si trovava proprio sopra la stalla. Una volta, le famiglie nascondevano appesi sotto le travi delle cantine o delle stalle, come in questo caso, prosciutti, salami, formaggi e tante altre cose.

    Anche in quella occasione Branko era con noi, ma sarebbe stato meglio che non ci fosse stato. Purtroppo eravamo troppi su quella trave e all’improvviso cedette, facendoci cadere giù. Io finii tra le galline, Branko e Mirko sulla mucca e Dragan nella mangiatoia; volevamo ridere ma avevamo fatto troppo rumore, dovevamo scappare... non ci riuscimmo, i Crocenzi, accorsi per l’eccessivo fracasso, ci riempirono di botte con uno scopettone. Così anche Branko, pian piano entrò di fatto nella nostra vita extrascolastica.

    Comunque, l’avvenimento che lo consacrò definitivamente al nostro gruppo accadde l’anno dopo.

    Era il giorno della festa della mamma, Branko si presentò sotto la casa di Dragan, lo ricordo perfettamente ancora oggi, suonò alla porta con una rosa tra le mani, sulla soglia stava Ida, la mamma di Dragan… «Io mi chiamo Branko e sono solo, non ho più mia madre, ti offro questa rosa, accettala ti prego, è da troppo tempo che non festeggio più questo giorno». Disse con un faccino commosso... Ida, con le lacrime agli occhi lo abbracciò e gli disse: «Vieni qui bambino mio, da oggi ho un figlio in più».

    Anche Dragan sentì che Branko forse era

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