Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Stelle Umane
Stelle Umane
Stelle Umane
Ebook253 pages3 hours

Stelle Umane

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Nove racconti fantastici e di fantascienza.

Nove viaggi, lontano, tra le stelle e ritorno, alla scoperta di mondi nuovi: i nostri. Domani, forse, ma anche qui e ora.

Nove storie nelle quali il fantastico ci aiuta a capire meglio la nostra realtà, a riflettere, a pensare. Anche con il cuore.
LanguageItaliano
PublisherGiulia Abbate
Release dateFeb 6, 2017
ISBN9788826016887
Stelle Umane

Read more from Giulia Abbate

Related to Stelle Umane

Related ebooks

Science Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Stelle Umane

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Stelle Umane - Giulia Abbate

    Stelle umane

    Racconti

    Giulia Abbate

    Stelle umane

    Antologia di racconti

    Giulia Abbate

    ©2016

    ISBN: 9788826016887 (epub)

    Layout di copertina: Massimiliano De Viti, Diana Ferro

    Illustrazione di copertina: Tommaso Dal Poz

    E-book a cura di: Giulia Abbate

    giulia-abbate.it - studio83.info

    Introduzione

    Non mi interessa sapere cosa muove i razzi, per quello ci sono le riviste di divulgazione scientifica.

    A me interessa sapere cosa muove le persone.

    Stephen King 

    Hai tra le mani un libro appena cominciato: io l'ho scritto, ma sarai tu a farlo vivere davvero. 

    Di questo ti ringrazio con tutto il cuore. 

    Leggere: per me significa intercettare quello che è vivo sulla pagina, con immaginazione ed empatia. Cerco di fare lo stesso anche scrivendo.

    Vorrei trasportarti dentro le storie e nei panni dei personaggi.

    Vorrei dirti: immagina. Immagina di essere nella stessa situazione. Immagina cosa faresti, cosa sentiresti tu.

    Qualche tempo fa, una bambina ha letto un mio racconto sugli alieni, per un progetto scolastico, e mi ha chiesto: ma tu scrivi per dare dei messaggi?

    Sì, ho risposto. Oh, sì. 

    Non sono stata capace di dire molto altro.

    Mi sono sentita sopraffare da quella domanda, e dall'acutezza di una ragazzina che ha capito i miei alieni e anche me. La fantascienza e il fantastico sono modi per mandare messaggi, creare domande e fare un viaggio: entri e vivi nelle storie, ma poi prendi la vita di quelle storie e la riporti indetro con te, nel mondo. 

    Non so se ti capita mai di preoccuparti quando leggi il giornale, o quando vedi per strada qualcosa che non dovrebbe essere così. A me capita di continuo. Sono una che si preoccupa moltissimo, e gestisco la mia preoccupazione in diversi modi. Scrivo ai giornali e firmo petizioni, ad esempio. Oppure, se sono per strada, agisco, a volte mettendomi in situazioni scomode. 

    E poi scrivo. Mi metto nei panni di chi subisce, di chi reagisce, di chi è in mezzo al casino più nero e lotta per un bene più grande. Ed ecco: prima che me ne accorga mi sento un po' meglio, e sto già scrivendo la scaletta di un nuovo racconto. Un racconto dove qualcosa è vivo, dove le persone sono al centro di tutto, con le loro relazioni, reazioni, emozioni.

    Per questo motivo la raccolta che hai tra le mani si intitola Stelle Umane

    I racconti che leggerai sono viaggi a fianco e all'interno dell'animo umano. Li ho immaginati così. E devi farli tu. Io sarò la tua guida: nel senso che, se le storie funzionano, mi assicurerò che tu ti perda. 

    Trovi qui nove racconti: sette sono di fantascienza, due sono fantastici con venature horror. Uno è inedito. Otto sono stati pubblicati negli anni passati, dal 2013 al 2016, ognuno in una diversa antologia collettiva (nella nota finale troverai i riferimenti a tutti i titoli). Ognuno di essi è aperto da una prefazione: il curatore, scrittore o editore che per primo lo ha letto e/o pubblicato lo introduce, senza rivelare dettagli su storia e sviluppi. 

    Ecco: ti ho dato le coordinate di partenza. Così puoi smarrirti con più soddisfazione.

    Per aspera ad astra: attraverso mille difficili prove... verso le stelle. 

    Andiamo!

    Nove anni

    (2013)

    Pubblicato in Crisis, a cura di Alberto Cola e Francesco Troccoli, Edizioni Della Vigna

    Prefazione

    di Alberto Cola

    Se mai avrete l’idea di coinvolgere più autori in un’antologia di fantascienza, il nome di Giulia è tra quelli che non potrete ignorare.

    In un panorama italiano legato al fantastico nel quale la presenza femminile purtroppo è sempre quantitativamente sottile, Giulia è una certezza per una corposa serie di motivi, tra i quali due che sembrerebbero scontati ma che in realtà non lo sono affatto: sa pensare e sa scrivere storie come si dovrebbe e Nove anni ne è la perfetta sintesi, se è vero (e lo è) che più recensori l’hanno identificato come il miglior racconto dell’antologia Crisis datata 2013. Un puro concentrato di ciò che amo nella fantascienza, e per fortuna non solo io, quando stile, istinto e suggestioni convergono nelle medesime pagine.

    Posso dire che l’aver conosciuto Giulia come persona e come autrice è un raro privilegio. Proprio come l’avere la possibilità di leggere qualcosa di suo. Ogni volta.

    Nove Anni

    Tratto da una storia vera.

    Avevo nove anni, quando una notte attraversai la frontiera ed entrai in Grecia da clandestino.

    Per qualche strana ragione, due ragazzi più grandi si convinsero a seguirmi. Nascosti dai boschi che coprivano ancora le montagne di Korçe, corremmo per mezza giornata e al calare della notte scendemmo per le strade di Kastorià, già greca. Era il 1991.

    Il Muro di Berlino era caduto. La dittatura comunista che aveva blindato l’Albania per cinquant’anni, anche. Avessi fatto quella sortita sei mesi prima, al mio ritorno sarei stato incarcerato insieme alla mia famiglia. Ma il tempismo è sempre stato una delle mie qualità principali… ora, sessant’anni dopo, mi spinge verso un’altra pericolosa avventura. L’ultima, probabilmente: e il pensiero corre a quel pomeriggio, alla notte che avvolgeva Kastorià e vide tre ragazzi girare tra le case come lupi. Dai panni stesi, bagnati dalla luce della luna, rubammo dei vestiti, prima di sparire nel bosco e tornare verso casa.

    Entrammo in paese con quegli abiti addosso. E io divenni una celebrità, il bambinaccio testa calda della zona. Nessuno poté dubitare della nostra parola, perché portavo le prove di ciò che avevamo fatto.

    Alla luce livida del primo mattino, prima di ripresentarmi ai miei paesani, mi ero guardato attentamente, incantato. Erano di almeno tre taglie più grandi, ma indossavo i primo paio di jeans che noi tutti avessimo mai visto.

    *

    È facile, una volta che si è vissuto, guardarsi indietro e farsi un discorso sensato. Siamo bravi, noi esseri umani, ad attaccare significati ai fatti, a prendere cose successe e a metterle in fila per costringerle a raccontare la storia che vogliamo.

    Io ho vissuto. E tanto. Oggi come oggi, mi guardo indietro in continuazione, anche se non sarei capace di portare un trattore in retromarcia come cristo comanda. E mi racconto tante storie su me stesso e su quello che ho fatto. Ho attraversato crisi epocali. Ho visto non uno, ma due mondi crollare. Mi sono salvato da entrambi, e ho fatto molto di più.

    L’Albania, quando la lasciai convinto che non ci sarei più tornato, stava morendo. E anche l’Italia, quando riuscii a scappare prima del disastro, era sulla stessa strada. Ora l’Albania vive, di nuovo blindata, un’epoca di pace, e la prima vera convivenza della sua storia con degli stranieri, gli italiani qui fuggiti. In pochi anni, il secondo decennio del Duemila, le storie di due paesi si sono rovesciate.

    Vai a capire.

    *

    Sul vecchio crollo albanese ci sarebbe tanto da raccontare. Nel caos che seguì la caduta del comunismo il mio ruolo non fu decisivo, al contrario di quanto successe quando chiudemmo le frontiere, nel 2015. Non decisivo, ma attivo. Quando ci ripenso non scoppio certo per l’orgoglio.

    Per noi albanesi furono anni di follia. Pensate a un cane rabbioso per la fame, quando gli sciolgono la catena: credete che avrà voglia di fare la guardia? O non si avventerà su tutto ciò che trova sulla sua strada? Prima di buttarci nella grande ubriacatura del libero mercato, dove vendemmo al miglior offerente cose, beni, persone, distruggemmo come cavallette ogni possibile infrastruttura che ci ricordasse la tirannia subita.

    Era il 1992. Per fare soldi facili, mi imbarcai nel commercio del rame rubato. Un paesano conosceva la mia agilità, e per qualche strana ragione si fidò di me. Mi chiese di arrampicarmi sui pali del telefono e buttare giù un po’ di filo da rivendere a un suo conoscente. Io lo accontentai, assistetti alla sua vendita di tre metri di rame e il giorno dopo, da solo, mi presentai al commerciante con altri trenta metri. Avevo dieci anni, ma la mia pazzia trovò campo libero. Nessuno ragionava più. Non c’era più nessuno a vietare nulla, a potere nulla. Eravamo soli. E non eravamo affatto pronti.

    Io lo ero, a dirla tutta. Entrai nel giro della vendita di metalli e mi diedi da fare: oltre ai fili elettrici c’erano le rotaie dei treni, i macchinari delle fabbriche, le scorte degli impianti di siderurgia… c’era un mondo che aspettava solo di essere rapinato. Non mi feci pregare.

    Secondo Marta, vivere quell’esperienza proprio negli anni della crescita mi rese una persona peggiore. La mia Marta era arrabbiata: avevamo lasciato l’Italia da poco, avevamo perso tutto e poche persone avevano accettato di seguirci. Era il 2015. Melissa aveva poco più di un anno e aspettavamo il secondo, Marta aveva tanto da fare, ma non era cieca né fessa, e capì che non avevo intenzione di fare il profugo a casa mia. Stavo manovrando come potevo, per sistemarmi come volevo. Perciò quando mi disse quella cosa non mi misi a discutere. In cuor mio, mi dissi che tutto dipendeva da cosa si intendeva per migliore e peggiore.

    Parlando di persone che conosceva, vostra madre era sottile come la lama di un chirurgo. E certamente aveva ragione: l’essere stato un piccolo criminale a contatto con grandi criminali mi ha rovinato la personalità. Però mi ha reso più furbo. Conoscere il peggio dell’umanità è un po’ come sognare il suo meglio: ti mette in testa coordinate precise e almeno sai come muoverti.

    Così, mentre l’Italia sonnecchiava sull’orlo del burrone, questo pezzo da galera che vi scrive salvò la vita a tutta la famiglia, e segnò per sempre la storia albanese. Era il 2014.

    *

    L’Italia nei guai? Vai a pensare! Meno di vent’anni prima, per noi aquilotti era ancora un regno dorato, lontano ma a portata di artigli. Io ne sentivo il fascino, ma non ci andai subito. Stavo avendo successo, e mi piaceva. Era il 1993. Iniziai a frequentare il pericolo vero.

    Le ragazze iniziarono a sparire. Giravano voci, per i paesi. La cugina di un paesano, fidanzata a uno di fuori, smise di dare sue notizie. Mia madre mi cercava piangendo nei bar di tutta la città: ma io ero a Vlorë, Valona, dove scoprii l’esistenza dei trafficanti di esseri umani. I miei genitori cercarono fino a Elbasan: ma io ero a Otranto. Avevo convinto degli scafisti a portarmi con loro: si era ai primi viaggi di massa e per qualche strana ragione loro mi considerarono una mascotte per una ricognizione. Facemmo una traversata tranquilla e pranzammo sulla spiaggia italiana, in silenzio. Mangiammo lakror, bevemmo coca cola.

    Poco tempo dopo, i gommoni non sarebbero più bastati: ho visto con i miei occhi lamiere ripiegate a formare tubolari a prova di proiettile, ai quali venivano saldati cinque, sei motori fuoribordo da trecento cavalli. Quei siluri d’inferno venivano stipati di persone e lanciati a sessanta nodi per lo stretto pugliese. Odio ripensarci, rivedere quella gente trattata come bestiame: gli albanesi, ignoranti e speranzosi come vacche, e gli italiani, gli italiani grandi sofisticati, che nel primo 2015 ripescavamo impazziti dal terrore, le tasche piene di banconote inutili, imbevute di acqua salata.

    Dopo quello strano picnic sulla spiaggia italiana, comunque, tornai a casa. Continuai la mia frenetica attività di commerciante di qualsiasi cosa, un’ascesa delinquenziale che sembrava non potesse avere fine. Molti anni dopo, la cugina del mio amico si rifece viva: era sposata con un italiano, aveva un figlio e la cittadinanza. Quando mi stabilii in Italia la incontrai. Sembrava felice. Era sicura che nessuno sapesse che era stata schiava, e che prima di sposarla il suo italiano avesse dovuto comprarla.

    *

    Prima del mio secondo e ultimo viaggio in Italia successero altre cose.

    Non ve ne parlo per rincoglionirvi di chiacchiere: voglio solo darvi un’idea di quello che sto per fare e permettervi, se possibile, di capirmi. Inoltre, nessuno vi ha mai detto queste cose. Nei primi tempi della Ricostruzione questi discorsi erano pericolosi. Dopo di che… a chi è più fregato un cazzo? Fatto sta che io so benissimo chi siamo stati e cosa è successo. I criminali di un tempo sono tra quelli che hanno permesso che l’Albania si salvasse.

    Triste, ma vero.

    Nella piccola Korçe, gli equilibri cambiarono. Era il 1995. Le bande e le famiglie più feroci si affermarono. Io tenevo in piedi commerci di tutto con tutti. Conoscevo la zona come le mie tasche, e mentre i contadini devastavano le foreste per ricavare sassi per le case e legna per scaldarle, predisponevo i miei magazzini segreti. Mi davo da fare perché la mia cattiva fama restasse cattiva, volevo essere conosciuto come un delinquente furioso per poter condurre meglio gli affari pericolosi.

    Questa fama mi ha aiutato anche dopo. Al nostro ritorno in Albania, bisognava organizzare delle difese, e un nuovo sistema di governo che reggesse al delirio di fuori. Allora mobilitai le mie conoscenze: i ricchi magnati ripuliti, i politici e i funzionari corrotti, le potenti famiglie criminali. Approntammo un governo di emergenza per una ricostruzione. Che poi diventò Governo di Emergenza per la Ricostruzione.

    Vostra madre sarebbe contenta di sentirmelo dire: sotto la pelle di agnellino c’era il solito, vecchio lupo.

    Regolammo i primi ingressi. Era il 2015. Accogliemmo (alle volte invitammo, altre prelevammo) medici, e tecnici di ogni tipo. Organizzammo la fuga dall’Italia di interi battaglioni militari allo sbando. Rubammo e ci portammo qui tutto il possibile. Poi chiudemmo le frontiere e facemmo sì che il mondo si dimenticasse di noi. Fui io, insieme a pochi altri, a pensare e a dirigere tutto. E non ce l’avrei fatta a inventarmi quella assurda Ricostruzione senza gli anni di gavetta prima, e soprattutto dopo, la guerra civile albanese.

    Triste, ma vero.

    *

    La guerra. Passato qualche anno di capitalismo del saccheggio gli albanesi si accorsero che i loro soldi erano sfumati nelle finanziarie. E qualcuno di importante, su in Kosovo, decise di fare la guerra ai serbi. Era il 1997. Un nuovo caos controllato sconvolse l’Albania. Le caserme vennero prese d’assalto: lasciarono che una parte delle armi finisse in mano ai civili, e venisse usata per migliaia di regolamenti di conti, guerre personali, vendette private. La gran parte degli armamenti però venne capitalizzata e rivenduta ai kosovari.

    Come ho già detto, il tempismo è sempre stata la mia dote più fortunata: quando arrivarono da noi, la caserma di Korçe era già bella che vuota.

    Alcune delle armi che rubai, aiutato da gruppi di ragazzini che mi obbedivano ciecamente, sono ancora qui, nascoste tra le nostre colline, sepolte sotto i bunker semicrollati che nessuno ha più toccato, nemmeno durante la Ricostruzione. Io so dove sono, dormono, ben conservate. E non sono le sole.

    Ricordo ancora, ad esempio, il luogo dove mio nonno murò un fucile, l’arma che aveva usato contro i nazisti e che non voleva consegnare ai comunisti. Per quanto ne so, è ancora lì.

    Poi, nei giorni che seguirono la caduta del comunismo, mio padre si procurò un kalashnikov che seppellì nelle nostre vigne, nel caso avessimo dovuto difenderci. Pensava che un’arma ci avrebbe protetti dai pericoli.

    Bello, se fosse stato vero.

    *

    La guerra finì, lasciandoci nuove ferite che andavano leccate, ma che preferimmo ignorare. Era il 1998. Il mio potere crebbe ancora.

    A parlarne così, sembra che voglia dare una certa luce alla mia storia, ma non penso affatto che il mio potere del 1998 possa essere una specie di simbolo, o peggio, di anticipo di quello

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1