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La sinistra sociale. Storia, testimonianze, ereditità
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La sinistra sociale. Storia, testimonianze, ereditità

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La rilettura della storia politica e culturale della sinistra sociale democristiana non è un'operazione nostalgica o datata. Soprattutto se la si affronta dall'angolatura del suo progetto politico, della sua rappresentanza sociale e della qualità della sua classe dirigente, nazionale e locale. E in questa pubblicazione, curata da Giorgio Merlo e Gianfranco Morgando, emerge come la sinistra sociale della De, in particolare quella di Forze Nuove e del suo leader storico Carlo Donat-Cattin, ha svolto un ruolo politico decisivo non solo nel partito di riferimento, ma nel tessuto vivo della società civile e nella stessa area cattolica italiana. Un ruolo riconosciuto in questo libro da molti protagonisti dell'epoca e che non provengono solo dalla sinistra della Dc ma anche, e soprattutto, dalla sinistra ex socialista ed ex comunista. Ne emerge, quindi, un quadro di particolare interesse che può essere utile anche per la politica contemporanea così dominata dalla personalizzazione dei leader e da un progressivo inaridimento dei partiti e delle rispettive classi dirigenti. Ma, ed è quel che più conta, emerge anche la necessità di rileggere oggi un patrimonio culturale, quello del cattolicesimo sociale con una forte attenzione alla politica, che non può essere semplicisticamente archiviato o storicizzato. Prefazione di Enzo Mazzi.
LanguageItaliano
Release dateJan 26, 2017
ISBN9788838245251
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    La sinistra sociale. Storia, testimonianze, ereditità - Giorgio Merlo

    Giorgio Merlo, Gianfranco Morgando

    La Sinistra Sociale

    Il presente lavoro è stato reso possibile dalla disponibilità  

    della Fondazione Carlo Donat-Cattin, che ha messo a disposizione il suo materiale fotografico e documentario.

    Prima edizione: agosto 2016 / Ristampa dicembre 2016

    Copyright © 2016 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 978-88-382-4403-2

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838245251

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    PREFAZIONE DI ANTONIO MAZZI

    PARTE PRIMA - LA SINISTRA SOCIALE TRA STORIA ED EREDITÀ

    Forze Nuove nella Dc e nella società, diGiorgio Merlo

    La sinistra Dc in Piemonte, di Gianfranco Morgando

    PARTE SECONDA - LA SINISTRA SOCIALE E LA POLITICA. I PROTAGONISTI

    Gennaro Acquaviva - Donat-Cattin e Forze Nuove, la forza della cultura politica

    Emerenzio Barbieri - Forze Nuove, una classe dirigente di qualità

    Fabrizio Cicchitto - Donat-Cattin, un democristiano protagonista e anticonformista

    Sergio d’Antoni - Forze Nuove, l'anima sociale della Dc. Un ruolo indispensabile

    Mino Giachino - Con Donat-Cattin e Forze Nuove la Dc era un vero partito

    Giusy La Ganga - L’anomalia diForze Nuove e di Donat-Cattin nella Dc

    Enanuele Macaluso - La questione sociale univa le forze popolari

    Franco Marini - Sinistra sociale, un'esperienza politica irripetibile

    Lidia Menapace - I limiti di Forze Nuove

    Osvaldo Napoli - Forze Nuove, un grande laboratorio di idee

    Diego Novelli - Donat-Cattin, un anticomunista che difendeva i ceti popolari

    Ruggero Orfei - Sinistra Dc, una fucina di idee e di classe dirigente

    Mario Toros - La sinistra sociale, una ricchezza per la Dc e i cattolici

    PARTE TERZA - ALLE ORIGINI DELLA SINISTRA SOCIALE L’ESPERIENZA PIEMONTESE

    Giorgio Aimetti - La sinistra sociale nella Provincia Granda

    Gianfranco Astori - Dal Movimento giovanile alla Sinistra Dc. Un percorso tra Milano, Roma eil Piemonte

    Mons. Luigi Bettazzi - Politica e Bene Comune: un impegno per la sinistra Dc

    Guido Bordato - La sinistra sociale nella storia della Dc tra Roma e il Piemonte

    Adelmo Brustia e Antonio Torelli - La sinistra Dc e la specificità novarese

    Piero Genovese - Una sinistra unita per la Dc alessandrina

    Giovanni Ginella, Stefano Accornero, Mario Vercelli e Luigi Rescinito - Dalla fabbrica alla politica. Il percorso della sinistra sociale in provincia di Asti.ASTI

    Don Cesare Massa - Alle origini la cultura francese

    Fabrizio Palenzona - Forze Nuove: una sinistra diversa

    Riccardo Triglia - La sinistra Dc a Casale: laboratorio di un nuovo modo di amministrare

    Giorgio Merlo - Gianfranco Morgando (Edd.)

    La sinistra sociale

    Storia, testimonianze, eredità

    Prefazione di Antonio Mazzi

    EDIZIONI STUDIUM - ROMA

    PREFAZIONE DI ANTONIO MAZZI

    Se per un certo periodo della mia vita giovanile ho amato la politica e ho frequentato personaggi e ambienti politici, la colpa va data, almeno per un settanta per cento, a Carlo Donat-Cattin.

    Lo dichiaro subito per far capire ai miei capi, quelli mascherati di ermellino che proibiscono ai preti di essere persone normali, intere e socialmente utili, chi è stato il colpevole di questo mio comportamento eretico.

    Aggiungo un ulteriore peccato, questa volta tutto mio: per queste bricconate non mi sono mai sentito in colpa e, tanto meno, disobbediente. Nel Vangelo, secondo la interpretazione di un prete di strada matto perché veronese, mi pare che Cristo abbia avuto relazioni costanti, pesanti, polemiche, precise con coloro che ai tempi gestivano il potere religioso, civile e militare.

    Lo conferma il saggio di Aldo Schiavone Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria, che approfondisce i contorni del dialogo, riportato soprattutto nel testo dell’evangelista Giovanni, quasi un duello tra Cristo e Ponzio Pilato. Un confronto tra Cesare e Dio talmente profondo e politico da porre le fondamenta della civiltà moderna.

    Comunque ricordo con nostalgia le giornate di Forze Nuove a Saint Vincent. Facevo l’impossibile per essere presente e divorarmi le riflessioni finali di Carlo ricche di analisi, di proposte, con un pizzico polemico che mai mancava e che era sempre indovinato. Senza quella indoratura dialettica Carlo sarebbe stato un carletto chiunque.

    Non avevo tessere di partito. L’unica tessera che mi vanto di aver sempre tenuto nel portafoglio, era quella della Cisl. Perché sono stato un vero prete operaio, avendo coordinato i Centri di Formazione professionale, nati dentro al Ministero del Lavoro. A Ferrara, Vicenza, Verona, Milano ho salvato, con questi corsi, decine di migliaia di giovani sbattuti fuori dalla scuola di serie A.

    Ai tempi vigevano, anche nella scuola, i binari. La Formazione Professionale era sempre sul secondo binario. Riservata ai minus habens, a quelli che non potevano proseguire sul primo binario.

    Mi dispiace di aver smarrito, nel mio disordine cronico, le vergognose relazioni finali rilasciate ad alcuni ragazzi usciti dalla terza media e indirizzati alla Formazione Professionale, quasi fossero deficienti.

    Tra un pellegrinaggio e l’altro sono arrivato, negli anni sessanta, a Milano per dirigere l’Opera don Calabria, struttura con un migliaio tra bambini, ragazzi, giovani e adulti, a ridosso del Parco Lambro, avamposto disastrato.

    Ho rischiato la vita ma ho inventato di tutto, potendo allora dialogare e confrontarmi con un mondo politico sensibile, aperto ad esperienze significative. L’anello di congiunzione è sempre stato il mondo politico che si riferiva a Carlo.

    In quel periodo Milano era esplosa, perché territorio di fenomeni anticipatori e troppo interessanti per un prete come me. Mi sono subito buttato anima e corpo. Droghe, terrorismo, alternativa al carcere, rom, Leoncavallo, Re Nudo, movimenti di ogni tipo.

    E sono ancora qui con l’entusiasmo di allora, convinto che la mia salvezza e la mia integrità socio-pastorale la sto giocando ancora tutta, nonostante senta attorno a me una grande solitudine politica che ai tempi di Carlo non avevo mai sentito.

    Perché l’uomo non era solo animale politico ma interiormente custodiva ricchezze, sotto la crosta del combattente, difficili da intuire. Umanità profonda, capacità paterna singolare, una religiosità tutta sua, e un bisogno di essere capito, proprio nei periodi e nelle fasi della sua vita nelle quali sembrava volesse fare di tutto per non farsi capire e per nascondersi dentro la crosta del grande albero che rappresentava.

    Solo e gigante sulla collina, guardava lontano, allargava i suoi rami non per proteggere ma per perforare gli orizzonti e scaricare prima delle tempeste la prepotenza dei temporali.

    Per Hermann Hesse gli alberi erano sempre stati i più assidui predicatori e scriveva: «Tra le loro cime mormora il mondo, le loro radici riposano nell’infinito; ma in esso non si perdono, ma tendono con tutte le forze della propria vita verso un unico scopo: compiere la legge che in essi dimora, realizzare la propria intima forma, rappresentare se stessi».

    Con lui ho fatto un pezzo di strada che, solo oggi, apprezzo. Mi ha voluto vicino nel Ministero del Lavoro e della Sanità. Insieme ad altri uomini impegnati socialmente (Enaip, Capodarco, Coop disabili di Bologna). Ci ha spedito per dieci anni in Comunità Europea per partecipare ad un reseau du travail sulla integrazione dei disabili nel mondo del lavoro e della scuola.

    Purtroppo la malattia ce lo ha portato via in fretta e in modo inaspettato. Ora non voglio fare panegirici e, tanto meno, erigermi a conoscitore di quanto bolliva dentro la sua testa, il suo cuore e la sua anima. Sottolineo solo le cose che oggi rimpiango perché assenti nell’agone politico odierno.

    La passione, la semplicità, la normalità, la povertà dell’appartamento in un condominio di Torino e la montagna di libri che coprivano tavoli, pavimenti, armadi e corridoi. Chiudendo dovrei essere più carino, dicendo che la politica la cerco ancora e la voglio perché non può esistere conflitto tra sociale e politico, tra destra e sinistra, tra laico e religioso, tra nazionale e internazionale, tra uguali e diversi.

    Urge recuperare la verve politica, ideale, lungimirante, profetica, preoccupati per un’Italia civile e non di cartapesta. Urge abbandonare la meschinità delle serate partiticose insopportabili.

    Torniamo a fare politica nelle sedi giuste, nel modo giusto, rispettando la gente. Ai miei tempi, e ai tempi di Carlo, esisteva il popolo e contava. Ora il popolo è diventato un utente televisivo. Vi pare serio?

    PARTE PRIMA - LA SINISTRA SOCIALE TRA STORIA ED EREDITÀ

    Forze Nuove nella Dc e nella società, diGiorgio Merlo

    La sinistra sociale della Dc, Forze Nuove, non è stata una meteora nella politica italiana. Né, soprattutto, una parentesi nella storia della Democrazia Cristiana e nel movimento politico dei cattolici italiani. Come, del resto, il ruolo politico e culturale avuto dal suo leader storico, Carlo Donat-Cattin. Uno statista che ha segnato in profondità il corso della politica italiana per almeno 30 anni. Dalla fine degli anni ’50 alla fine degli anni ’80. Certo, la pubblicistica sulla Dc è vasta, vastissima. Non sempre obiettiva, come ovvio e persino scontato. Ma la storia della Dc non si può ridurre al solo partito, cioè alle decisioni assunte e alle scelte maturate nei suoi vertici. La storia di questo partito è molto più complessa e articolata. E, probabilmente, non si comprendono sino in fondo le scelte fondamentali di questo partito se non si conosce il dibattito, sempre ricco e profondo, che lo attraversano quotidianamente. E, sotto questo versante, il ruolo politico, culturale, sociale ed intellettuale giocato dalla sinistra sociale interna non può passare sotto silenzio o semplicemente relegarlo come un contributo di corrente. E le stesse testimonianze ed opinioni raccolte in questa pubblicazione, seppur parziali e limitate, lo confermano ampiamente.

    Quello che stupisce, e che amareggia, è la sostanziale assenza di riflessione e di approfondimento politico e culturale del gotha della cultura e della politologia italiana sulla esperienza di un’area importante e di qualità della vita pubblica, quella della sinistra sociale democristiana appunto. È indubbio, infatti, che la cinquantennale presenza politica della Dc è stata caratterizzata in larga parte dalla concreta elaborazione di alcune sue componenti interne.

    Tra queste, Forze Nuove e la sinistra sociale sono state indubbiamente tra le principali e di maggior spessore. Certo, per molto tempo – legato, comunque, alle singole contingenze politiche – le sinistre democristiane hanno collaborato e costruito insieme il progetto politico complessivo della Dc. Sensibilità culturali e politiche che maturavano nella società italiana e che venivano mediate all’interno del partito attraverso un’iniziativa costante di elaborazione e di costruzione di tesi e di proposte. Le convergenze si manifestavano nelle battaglie interne al partito soprattutto quando le due sinistre erano in minoranza, come ad esempio nella battaglia storica per l’adozione del sistema proporzionale per l’elezione degli organi collegiali del partito. L’obiettivo di allargare al Psi le basi del governo nasceva dalla preoccupazione comune alle due sinistre di evitare alla giovane democrazia italiana e alla Democrazia Cristiana – che del sistema democratico era il sistema portante – di restare paralizzate nella tenaglia del tempo dell’opposizione comunista da un lato e degli interessi della destra economica dall’altro.

    Le diversità, come ricordava con acume ed intelligenza Sandro Fontana, erano invece di natura antropologica. La sinistra sociale era soprattutto espressione delle lotte sindacali e sociali combattute dai lavoratori cattolici. La Base, invece, era per così dire un «prodotto artificiale creato nel laboratorio della Partecipazioni Statali, anche se alla sua creazione hanno contribuito uomini di matrice dossettiana e degasperiana». Per sua natura, quindi, la Base si qualificava soprattutto sul terreno delle mediazioni e delle alleanze, spesso prescindendo dalla natura e dalla consistenza degli interessi reali delle forze sociali coinvolte nel confronto politico. Con l’esperienza di Ciriaco De Mita, ad esempio, la propensione alle mediazioni e alle alleanze politiche ha trovato una sorta di sublimazione nell’attenzione esasperata portata ai problemi istituzionali. Per restare, comunque, alle distinzioni tra le due sinistre, lo stesso Donat-Cattin ha osservato più volte che mentre nella Dc le altre correnti avevano radici nelle realtà sociali – i Dorotei nel mondo dei coltivatori, dei commercianti, degli artigiani, i fanfaniani nei ceti impiegatizi e delle libere professioni, Forze Nuove nel mondo del lavoro e così via – la Base si muoveva quasi esclusivamente nell’ambito del ceto politico e ricavava la propria forza e la propria linfa dalla confluenza congressuale di potenti notabili locali.

    Di qui la grande abilità politica e manovriera dei basisti ma anche la loro poca dimestichezza con le tematiche sociali e di grande impatto popolare. Salvo eccezioni, come ovvio. Infatti, mentre di Fanfani si ricordano i piani per l’edilizia popolare, di Vanoni la riforma tributaria, di Donat-Cattin lo Statuto dei Lavoratori, si stenta a ricordare significative riforme o leggi storiche che abbiano avuto protagonisti provenienti dal mondo variegato della Base. Tuttavia Donat-Cattin era quasi sempre portato ad esprimere su ogni realtà giudizi differenziati e non faceva mai di tutta l’erba un fascio. E quindi manteneva rapporti di stima ed amicizia con molti esponenti della Base tra cui Giovanni Galloni e Luigi Granelli che invitava con assiduità ai tradizionali convegni settembrini di Saint-Vincent.

    Ma, per tornare a Forze Nuove, si può tranquillamente dire che fu una grande scuola di politica, con un leader che chiedeva molta dedizione al gruppo e al partito perché la corrente si collocava prevalentemente all’opposizione interna e rivendicava una forte autonomia di giudizio anche quando, per ragioni di interesse generale, veniva a trovarsi in maggioranza. Non era pertanto facile per la corrente soddisfare tutte le pur legittime ambizioni di tanti qualificati membri che in essa si formavano. Era, del resto, del tutto naturale che le sue posizioni di frontiera alimentassero al suo interno una vigorosa dialettica che poteva portare a lacerazioni ed abbandoni. Del resto, che la sinistra sociale di Forze Nuove sia stata una grande scuola politica è incontestabile. E non solo per la presenza politica all’interno del partito ma per la intensa attività culturale, giornalistica ed intellettuale.

    «Settegiorni», «Terza Fase», «Lettere Piemontesi» sono riviste che, in fasi storiche diverse e con dimensioni diverse, hanno segnato il pensiero e l’elaborazione culturale della sinistra sociale e cattolica della Dc. E non solo della Dc. Certo, il silenzio che ha avvolto questa esperienza non può passare inosservata. Silenzio che esprime, al di là delle giustificazioni che possono essere addotte, anche l’imbarazzo della cultura dominante e del sistema di potere a tollerare posizioni scomode e controcorrenti che, pur di non prenderle in considerazione, preferisce far calare il sipario. Eppure, il contributo politico e culturale di Forze Nuove, della sinistra sociale democristiana e di quel pensiero che affonda le sue radici nella miglior cultura cattolico democratica, è destinato a restare nella storia del passato e a fermentare la stessa politica del futuro. Piaccia o non piaccia alla cultura di regime e al sistema che assegna, di norma, patenti di modernità e di progressismo.

    Anche perché la linfa culturale ed etica in cui affonda le sue radici la sinistra sociale democristiana è il popolarismo di ispirazione cristiana. E la sorprendente attualità ed irriducibile universalità del popolarismo non derivano soltanto dal fallimento clamoroso delle ideologie che, in alternativa ad esso, hanno dominato la storia del novecento ma anche e soprattutto dalla perdurante validità di alcune intuizioni che hanno ispirato e orientato per circa un secolo un vasto e diffuso movimento politico, sociale e culturale. Si tratta, cioè, di intuizioni che sono passate attraverso il severo collaudo dell’esperienza storica ed hanno mantenuto intatta la loro capacità di indirizzo e di sintesi politico e culturale pur all’interno di una società profondamente mutata ed attraversata da crescenti ed accelerati processi di integrazione planetaria. E la sinistra sociale cattolica della Dc, e non solo della Dc, ha compiuto scelte politiche decisive partendo proprio dall’interpretazione del popolarismo di ispirazione cristiana.

    Il ruolo politico di Carlo Donat-Cattin

    Ed è lungo questo solco che si inserisce il ruolo politico decisivo svolto da Carlo Donat-Cattin. Che è stato per oltre 40 anni protagonista di primo piano della storia del sindacalismo democratico, della Democrazia cristiana e delle istituzioni. Quindi, un protagonista della politica nazionale in anni decisivi. E, accanto a questa dimensione, anche un operatore politico e culturale sensibile e originale e un giornalista di razza. Organizzatore e animatore dei convegni autunnali di Saint-Vincent – sempre caratterizzati dalla ricchezza dei temi culturali e politici e dagli apporti di esponenti qualificati delle più importanti correnti culturali – ha lasciato una traccia profonda nella cultura politica del cattolicesimo politico italiano. Ma nonostante questo straordinario curriculum, sulla figura di Donat-Cattin è sceso il silenzio. Viene infatti ricordato, distrattamente, con cenni rapidi e superficiali nei libri e nei saggi sulla storia della Dc e della cosiddetta prima repubblica e pressoché ignorato ogniqualvolta si fa concreto riferimento ai dibattiti che si sono sviluppati nei partiti che, nel bene o nel male, ricordano seppur lontanamente le vicende democristiane.

    Tutto ciò è semplicemente ridicolo se si pensa che le idee e l’azione concreta di Donat-Cattin sono stati al centro delle più grandi e controverse questioni nazionali. E, sin dal suo esordio in politica, erano chiari gli elementi che devono caratterizzare la vita di una moderna forza di sinistra democratica e sociale; che per essere tale, diceva, non può limitarsi a puntare solo e soltanto alla conquista del potere in nome di una ideologia o di una classe o alla mera redistribuzione del reddito. Ma deve impegnarsi soprattutto a favorire le condizioni di una costante e qualificata espansione del reddito nazionale anche attraverso la ricerca e la pratica di una costruttiva collaborazione tra le forze sociali della comunità nazionale.

    Per questo, forse, è utile rileggere oggi alcuni passaggi politici essenziali che hanno accompagnato il lungo magistero pubblico di Donat-Cattin e che hanno segnato, ieri come oggi, anche la vicenda della sinistra sociale cattolica. E nelle pagine che seguono, con le opinioni di autorevoli esponenti della storia democristiana nonché ex socialisti ed ex comunisti, ritroviamo alcune di queste intuizioni che hanno segnato in profondità il corso degli eventi politici nel nostro paese.

    È interessante, al riguardo, rileggere il concetto di sinistra e di destra per Donat-Cattin e per molti protagonisti della sinistra sociale. Essere di sinistra in un paese democratico avanzato significava per Donat-Cattin impegnarsi non solo sugli obiettivi della conquista del potere e della redistribuzione delle risorse, ma anche e soprattutto impegnarsi nello stesso tempo per accrescere e qualificare le risorse a disposizione della comunità. Un impegno che in una società avanzata contribuisce anche a soddisfare al meglio le esigenze dei ceti popolari e dei ceti più deboli, chiamati alla competizione costruttiva o alla collaborazione – e questo, forse, è l’aspetto originale del suo essere di sinistra – con le altre componenti vitali della società.

    Questa posizione era già presente negli interventi di Donat-Cattin nei primi anni ’60, quando sottolineava che la sinistra comunista era ancora legata ideologicamente e politicamente all’obiettivo delle redistribuzione delle risorse, oltreché a quella della conquista del potere, senza portare una attenzione reale e non solo propagandistica alla questione dell’accrescimento e della qualificazione delle stesse. Mentre considerava posizioni e tesi di destra quelle che condizionano la tutela del bene comune a un interesse particolare, magari dietro al paravento di argomenti tecnici, scientifici o di vincoli politici. Questo giudizio lo portava a considerare di destra non solo i Pirelli, gli Agnelli, i De Benedetti, definiti non a caso progressisti dalla stampa compiacente per le loro aperture al Pci dell’epoca. Ma anche la sostanza della linea di fondo dei partiti e dei sindacati della sinistra non riformista, che non avevano saputo cogliere l’altissima carica di libertà e di giustizia sociale insita, oltreché nelle lotte dei lavoratori dipendenti, negli sforzi di crescita civile e sociale dei lavoratori autonomi, dei ceti medi produttivi (vecchi e nuovi) e dei piccoli e medi imprenditori. Sulla base di questi principi Donat-Cattin definiva reazionari i regimi comunisti anche sotto il profilo dell’organizzazione sociale ed economica e anche in dura polemica con gli intellettuali di sinistra italiani che hanno atteso la caduta del muro di Berlino per prendere atto di realtà che gli Sturzo, i Silone e i Benjamin – per far solo alcuni nomi – avevano ben individuato già negli anni ’30 e negli anni ’40.

    Una cultura ed un pensiero che difficilmente tramontano e che, altrettanto difficilmente, possono essere archiviati dal dibattito politico contemporaneo. Al di là delle fasi politiche e delle stagioni storiche che corrono. Ecco perché è opportuno, parlando della sinistra sociale cattolica di ieri – e, forse, della sinistra sociale cattolica di domani – rileggere alcune costanti politiche e culturali che hanno contrassegnato e caratterizzato la biografia politica di Donat-Cattin e di larga parte degli esponenti di punta di quella componente. Su questo versante Sandro Fontana ha scritto pagine importanti che riassumono con intelligenza e precisione il profilo politico e culturale di quella classe dirigente politica, amministrativa e sociale. E sono tre gli elementi di fondo che, in forma dialettica e viva, hanno alimentato la loro azione conferendo spessore culturale ad ogni indicazione programmatica. Tre elementi che possono essere così sintetizzati: 1) una forte ispirazione cristiana che,

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