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È sempre estate quando c’incontriamo
È sempre estate quando c’incontriamo
È sempre estate quando c’incontriamo
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È sempre estate quando c’incontriamo

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About this ebook

Estate 2006. Giacomo Venturi, uno studente universitario di Bologna, si trova di passaggio in Baviera, dove conosce per caso Gertrude, un’incantevole ragazza tedesca: il magico e fugace incontro di una notte è sufficiente a gettarlo in una profonda crisi emotiva, apparentemente ingiustificabile. Paranoia e ossessione s’impadroniscono di lui, mettendo a nudo tutta la sua fragilità e il suo scarso senso del ridicolo: perché Gertrude non risponde ai messaggi? Ricambierà anche lei il suo sentimento? Vorrà rivederlo? Ma soprattutto: sarà vero amore?
A far da spalla a Giacomo c’è Giampi, il suo grosso, grasso amico erotomane, il cui unico obiettivo è invitarlo a reagire, seppure in maniera grossolana; sullo sfondo, dei genitori un po’ improbabili, che invece di facilitare le cose al figlio gliele complicano.
Da Salisburgo a Bologna, passando per le Dolomiti e la riviera adriatica: tra attese snervanti, visite inaspettate, baci da sogno e folli pedinamenti, Giacomo cercherà non solo di rincorrere e conquistare Gertrude, ma di fare i conti con l’idealizzazione di lei. Fino all’epilogo finale, a quel “pugno sbattuto sul tavolo” che lo spingerà a riprendere le fila del proprio destino, per avventurarsi in un viaggio dagli esiti imprevedibili.

Amore, sofferenza, morte, religiosità: in questo breve romanzo si parla un po’ di tutto, ma senza grandi pretese. È una commedia sentimentale che affronta argomenti risibili e non, per non scadere troppo nella commedia o nel sentimentale. È una storia ispirata a fatti realmente accaduti e mai dimenticati, scritta con la consapevolezza di fondo che – come sostiene Giacomo – “l’autoironia salverà il mondo”.
LanguageItaliano
PublisherGiulio Marini
Release dateJan 13, 2017
ISBN9788822889089
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    Book preview

    È sempre estate quando c’incontriamo - Giulio Marini

    universale.

    1. Finalmente il tanto atteso sms

    Se c’è un posto in cui non vorrei trovarmi stasera, è proprio questo. Il tintinnare di bicchieri e posateria mi rimbomba in testa come un concerto di campane male accordate. Gli avventori del locale sono un nugolo di api moleste, che ronzano e ammorbano l’aria con sogni, pensieri e considerazioni che puzzano di vissuto e ordinarietà. Il malessere amplifica i sensi in maniera insopportabile: persino il rumore del vino versato nei calici, una cascata fragorosa e assordante, riesce a infastidirmi. In condizioni normali, una cena in compagnia del mio migliore amico in una città estera sarebbe un evento piacevole, un’occasione da celebrare. Da ieri però qualcosa è cambiato; in meglio o in peggio, è ancora da vedere. Tutto quello che so, è che l’imprevisto si è aperto un varco nella mia esistenza e a un tratto la normalità è divenuta un lontano ricordo della persona che ero. Perché adesso mi sento così vecchio?

    «Mangiala tu, io non ce la faccio» mugugno, gettando il tovagliolo sul tavolo come la proverbiale spugna sul ring.

    «Cosa-cosa? Tu che lasci la pizza a metà?»

    «Mi è passata la fame, mi spiace.»

    «Non ti devi dispiacere, Giacomo, la finisco io!»

    Gianpaolo si alza facendo stridere la sedia sul pavimento, per poi puntare su ciò che rimane della mia pizza ai quattro formaggi e trasferirla nel suo piatto. Tutti i clienti del ristorante si voltano all’unisono: che figura del cavolo!

    «L’ultima volta che ti ho visto lasciare una pizza a metà è stato quando hai avuto quell’attacco di dissen…»

    «Potresti evitare?» lo interrompo prontamente, fulminandolo con lo sguardo. «Non siamo soli qui dentro, nel caso non te ne fossi accorto.»

    «Sciamo a Scialisburgo, Sciacomo» biascica Giampi, intento a masticare. «Qui parlano tutti il tedeschio.»

    «Non in un ristorante che si chiama Da Mimmo ed espone tanto di bandiera italiana all’ingresso» osservo stizzito. «Se ti guardi attorno, riconoscerai ben pochi profili teutonici, caro.»

    Che parlo a fare, già non mi ascolta più. Quando mangia, perde contatto con il mondo. Si avventa sulla pizza con la stessa voracità di un ghepardo su una gazzella; uno spettacolo da far invidia ai documentari di Discovery Channel.

    La maggior parte delle persone si vergognerebbe a farsi vedere in giro insieme a uno come Giampi: la sensazione di accompagnarsi a un grosso e curioso animale da compagnia, amplificata dagli sguardi della gente che lo fissa come un fenomeno da baraccone, sarebbe già di per sé un deterrente adeguato. Tuttavia, anche chi volesse andare oltre l’aspetto fisico e cercasse di conoscerlo più a fondo, finirebbe con il tenersene alla larga. Sboccato, volgare e brusco nei modi, Gianpaolo non passa certo per un campione di eleganza e simpatia. Eppure io ho scelto di fare di questo ragazzo il mio migliore amico. Nonostante il suo cinismo sadico e l’intelligenza superiore alla mia, e malgrado passi la metà del tempo a mangiare con la bocca e l’altra metà a divorare ragazze con l’occhio da infoiato. Perché so che sotto tutto quel lipide, in fondo in fondo, batte un cuore d’oro. Certo, se continuerà a violentarlo in questo modo, potrebbe battere ancora per poco.

    ***

    Bip bip.

    Proprio nell’istante in cui Giampi ha terminato il pasto e si appresta a entrare nella fase digestiva, il mio cellulare suona.

    Un brivido mi corre lungo la schiena. O forse è una formica che sta scendendo dal colletto. Chi se ne frega.

    «Potrebbe essere lei, Giampi» mugolo, dando prova di scarsa virilità. «Non credo di farcela… leggeresti per me, cortesemente?» Porgo al mio amico il Nokia guardando dall’altra parte, quasi tema che possa esplodere e deturpare il mio faccino da bravo ragazzo. Lui mi squadra perplesso: mi compatisce, lo so. Pazienza, in questo momento ho altre preoccupazioni.

    «Cortesemente, che modi gentili… come vuoi, leggo io» acconsente, prendendo il cellulare e dando una rapida occhiata al display. «Accidenti, questa è roba forte; sei pronto?»

    «Pronto. Sono già seduto, vai.»

    «Cambia il Sistema solare: per gli astronomi, Plutone non è più un pianeta. Ne rimangono solo otto

    «Che palle!» sbotto deluso. «Devo ricordarmi di disattivare il servizio news: anche qui in Austria, funziona!»

    «Scusa, ma se non è più un pianeta, cosa diavolo è?»

    «Che vuoi che m’importi! Chiedi il conto, su, che è meglio.»

    «Veramente un dolcetto me lo farei volentieri.»

    «E ti pareva! Ti offro un gelato fuori. Non si respira, qui dentro, ho bisogno di aria.»

    «Se la metti così… signorina!» grida Giampi, dimenandosi con la grazia di un ippopotamo. «The bill, please! Però, Giacomo, hai visto quella? Che bel paio di…»

    ***

    Finalmente usciamo dal locale. Forse dovrei specificare sulle nostre gambe, perché un paio di battute spinte del mio amico all’indirizzo dell’avvenente cameriera di turno hanno rischiato di scatenare un putiferio, con tanto di intervento del titolare. Tutto è bene quel che finisce bene: alla fine, anche per questa sera, torniamo a veder le stelle.

    «Sei il solito cretino, comunque, lascia che te lo dica» protesto, ancora agitato per l’accaduto.

    «Via, sono gli austriaci che non hanno il senso dell’umorismo.»

    «Chissà, magari ce l’hanno ancora con noi per la guerra del ’15 -’18… sai i bisnonni che gli abbiamo fatto fuori a colpi di mitraglia?»

    «Veramente incredibile: palpi il didietro a un’austriaca e ti si rivolta contro l’Austria intera. Inaudito, no?»

    «Già, inaudito» convengo, senza prestare troppa attenzione. «Scusa, cosa hai fatto? L’hai palpata?»

    «Macché, dicevo in senso metaforico.»

    «Ah.»

    «Voglio dire, parliamone: cosa può esserci di male, in linea di principio, nel manifestare il proprio apprezzamento verso l’universo femminile anche attraverso l’elogio del corpo e della sua sensualità? Specie quando le forme e le curve hanno un’armonia che richiama la perfezione? Scandalizzarsi così è irragionevole. Un po’ di spirito, su! Vedi, io penso che il vero problema in fondo sia…»

    Giampi comincia a esporre la sua teoria, ma io non lo seguo più. Il mio pensiero torna di nuovo a lei: ormai sono trascorse quasi ventiquattr’ore dall’invio del mio messaggio, perché non risponde?

    Percorriamo pigramente una delle tante strasse del centro di Salisburgo, le mani infilate nelle tasche della giacca. Fa freddo, nonostante sia piena estate. Dopo qualche attimo di riflessione, decido di tornare sull’argomento. Sono patetico, lo so, ma è più forte di me.

    «Giampi, come chiameresti quella sensazione di stretta allo stomaco che ti prende quando aspetti di avere una risposta dalla tua… non saprei come dire… controparte

    Il mio amico si arresta di colpo e mi fissa con disappunto. Ops! Devo avere interrotto qualche discorso importante senza rendermene conto.

    «Noto con piacere che la mia teoria sull’intransigenza sessuale degli austriaci t’interessa poco» replica piccato.

    A dire il vero, ora che me ne parla, l’argomento potrebbe anche stimolare la mia curiosità… ma non è questo il momento per divagare: torniamo a parlare di me, per cortesia.

    «Noto e annoto» riprende il mio amico, evidentemente contrariato, «ma in via straordinaria, e giusto perché mi pari in grande ansia, ti presterò attenzione.

    Mitico Giampi, cuore d’oro. L’avevo detto, io.

    «Qual era la domanda?» mi chiede.

    «Se hai una definizione per quella sensazione di chiusura allo stomaco che ti prende quando aspetti un segnale dalla tua… controparte

    «Dunque, se per controparte intendi persona per la quale provo un sentimento e non persona che mi ha citato in giudizio, direi… be’, fatte le dovute proporzioni e considerato che la conosci appena… ma sì, sbilanciamoci: innamoramento

    «Eccola lì, è quella la parola che cercavo. Bravo!»

    «Grazie.»

    «Innamoramento…» ripeto a bassa voce, assorto.

    «Perdona la franchezza, ma la parola amore ancora non posso concedertela, mi pare prematuro.»

    «E per quella condizione del tutto particolare per cui non fai che pensare a lei, da quando ti svegli a quando ti corichi?»

    «Corichi? Ahahah! Hai ingoiato un vocabolario? Comunque la risposta è sempre la stessa, credo: innamoramento.»

    «Eccola che torna fuori: innamoramento, che bella parola.»

    «L’hai detto, è una delle migliori.»

    «Quasi una combinazione tra amore e movimento, un andare verso… mi piace. Cosa mi dici invece di quella prurigine al basso ventre che ti prende quando…»

    «Quello si chiama desiderio sessuale, porco!»

    «Stavo scherzando, scemo! E poi da che pulpito, tu che mi dai del maiale: sarebbe come se Hitler desse del dittatore a Mussolini.»

    «Sssh, parla piano, cavolo…» mi zittisce Giampi, afferrandomi il braccio con forza.

    «Ahi, che ti prende?»

    «Siamo in Austria, Giacomo. Qui Hitler c’è nato.»

    «Qualcuno ti ha informato che è morto nel quarantacinque?» rispondo, liberandomi dalla morsa del mio amico.

    «È che m’imbarazza parlarne qui… sarebbe come se pronunciassi la parola sdentata in casa di mia nonna: con tutta la buona fede, non vorrei che fraintendesse e la prendesse sul personale. Stesso discorso per gli austriaci, che già non sono il massimo della cortesia verso gli italiani, come hai visto.»

    Mi fermo e lo fisso con aria di compatimento. «Tu hai dei complessi, te ne rendi conto?»

    «Anche tu non scherzi» risponde lui, «caro il mio signor non-faccio-che-pensare-a-lei-da-quando-mi-sveglio-a-quando-mi-corico

    «Bah, ci rinuncio.»

    Mi sto già rassegnando a un silenzio di protesta, quando a un tratto eccolo di nuovo, a tradimento: bip bip. Il segnale. Un altro messaggio.

    «Leggo io?» si offre Gianpaolo, trasalendo come se gli avessero punto il fondoschiena con uno spillo.

    «Certo, ma non sussultare così, che sono già abbastanza teso di mio.»

    Gli passo il cellulare, quasi con sdegno. Fingo di essere superiore, ma mi riesce male.

    «Dunque, vediamo…» comincia Giampi. «Libano: pronto il contingente italiano…»

    «Ma porca…»

    «Scherzavo, scherzavo!» sghignazza il codardo.

    «Idiota!»

    «È lei» precisa, aggrottando le sopracciglia. «O almeno credo.»

    «In che senso?»

    «L’hai segnata in rubrica sotto My Love

    «Sì, perché?»

    «Patetico.»

    «Insomma, è lei o no?»

    «È lei, è lei…»

    «È lei, allora…»

    «Sì, ti ho detto che è lei!»

    «Ho capito, ripetevo per realizzare meglio!»

    «Leggo?»

    «Bravo, leggi. Con calma, e scandendo bene le parole.»

    Un brivido mi attraversa nuovamente la schiena. O forse è sempre la stessa formica di prima che sta facendo un altro po’ di strada. Sia come sia, questa volta ci siamo. Ci giochiamo il tutto per tutto. Come una finale di Champion’s League. Leggi Gianpaolo, cazzo.

    «Va bene, stai calmo…» interviene il mio amico, sulla difensiva.

    «Come, scusa?»

    «Ho capito, non c’è bisogno di alterarsi ed essere volgari.»

    «Ma io… nel senso… stavo pensando, no?»

    «Veramente parlavi ad alta voce, sei proprio andato. Be’, vediamo se la vinci, questa cavolo di finale: ecco qua…»

    «Sono pronto, spara!»

    «Aspetta un secondo, come cavolo si chiama, la tizia? Non mi avevi mica detto il suo nome!»

    «Immaginavo che avresti avuto qualcosa da ridire… si chiama Gertrude, con la g gutturale: l’accento va sulla prima e mentre l’ultima non si legge: Ghèrtrud. È tedesca, ricordi?»

    «Sarà pure tedesca, ma il nome fa schifo lo stesso. Ha ventidue anni e me la immagino come una vecchia!»

    «Ho capito, passami il cellulare» intimo seccato, porgendo la mano.

    «Va bene, d’accordo, permaloso che non sei altro; hai lo stesso sense of humor degli austriaci… dunque, vediamo cosa dice… Ghèrtrud» ironizza, trattenendo a stento una risata. Maledetto ciccione, continua a prendermi per i fondelli. Devo ricordarmi di segnare picchiare Gianpaolo sulla lista delle cose da fare con urgenza: tanto su di lui i colpi rimbalzano.

    «Eccoci, dunque» riprende, con irritante flemma. «Dear Jack…»

    Giampi sobbalza e s’interrompe, perplesso. L’ennesima, insopportabile interruzione.

    «Cosa c’è adesso?» sbuffo, mentre sento montare in me istinti omicidi. «Vuoi leggere sì o no?»

    «Scusa tanto, ma Jack è un po’ trash, non trovi? Glielo hai detto tu di chiamarti così?»

    «Sì.»

    «E io chi sarei, John Paul? Ti vergogni di essere italiano, per caso?»

    «Ma cosa c’entra, l’ho internazionalizzato per venirle incontro.»

    «Va bene, Jack, contento tu… il testo del messaggio è: Sorry for not answering you bifore I was supabusy I miss you so much, hoping to see you soon. Kisses. Kertrude…»

    Seguono alcuni attimi di silenzio imbarazzato, rotti solo dal vociare sguaiato di un gruppo di giapponesi che ci sfila di fianco. Così, a caldo, il messaggio mi sembra positivo.

    «Allora?» azzardo, confidando nel conforto di una voce amica.

    «Allora che?»

    «Un tuo parere. Vorrei la tua opinione.»

    «Sicuro?»

    «Certo.»

    «Un giudizio sincero? Non è che poi te la prendi come fai di solito?»

    «Non me la prendo, giuro. Dimmi che ne pensi.»

    «Cosa penso del fatto che parla l’inglese come io parlo lo yucateco?»

    «A parte quello. Mi riferisco al contenuto.»

    «Mi stai chiedendo di soprassedere anche su quel bìfore che fa tanto architettura gotica?»

    «Sarà stato un errore di battitura, non ti soffermare su questi dettagli.»

    «E che mi dici di quel Kertrude con la kappa?»

    «Dev’essere una storpiatura da gergo giovanile, tipo Kristian o Kiara.

    «Mi sa che la storpiatura che ce l’ha nel cervello, questa qui.»

    «Smettila!»

    «Va bene, va bene… nervosetto, eh? Allora, tanto per cominciare quel supabusy mi lascia molto perplesso: ma come, gli piaci, eppure è così super occupata da non trovare nemmeno il tempo di spedirti un messaggio?»

    «Forse si riferiva alla linea telefonica» ribatto, consapevole di aver detto una stupidaggine.

    «Non ci provare: si riferisce a sé stessa, non al telefono. Anche

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