La ragazza dai capelli arancioni. Parte prima
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La ragazza dai capelli arancioni. Parte prima - Silvia Palomba
Riflessioni
Chiara
Chi ero
Da quel giorno decisi che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Rompere con i buonismi, con le prese in giro. Allontanarmi da tutti, farli tacere alle mie orecchie, trovando uno spazio tutto per me, dove solo io potevo giudicarmi ed essere al contempo arbitro e giocatore delle mie azioni. Quel compleanno che mi aveva visto spegnere ventuno candeline, era iniziato con i miei migliori auspici. Lo consideravo come l’anno della svolta, del rinnovamento, del chiudere i ponti con il passato per creare delle basi solide al mio futuro.
Ero nata in un giorno astrale favorevole, un pomeriggio di primavera del 1985. Queste erano le parole di mia nonna Carolina, appassionata di stelle e del loro incedere nell’universo. Le piaceva osservarle nelle notti d’estate limpide, senza nessun accenno di nuvole, durante le quali si poteva scorgere ad occhio nudo la costellazione di Orione.
"Ecco lassù, la cintura di Orione. Vedi, Chiara quelle tre stelle molto luminose, allineate? Formano proprio una cintura, quella che si narra fosse dell’uomo più valoroso e bello della mitologia". Mi prendeva in braccio, nonna Carolina, per farmi vedere meglio di che cosa stava parlando mentre il suo indice era diretto proprio lassù, verso le tre stelle.
Mia madre non mi voleva. Con la mia nascita avevo rovinato i suoi progetti di vita. Diciotto erano gli anni che aveva quando mi diede alla luce. La gravidanza fu portata avanti su imposizione di mia nonna, colei alla quale dovevo tutto, le dovevo la vita. Non conobbi mai mio padre. Dai racconti che mi facevano su di lui, avevo in mano solo delle piccole pietruzze che potevano fornirmi un mosaico approssimativo della sua persona. Aveva conosciuto la mamma ad una festa di diploma in una calda sera di fine Luglio del 1983.
Alle volte pensavo a cosa sarebbe accaduto se quella sera mia madre non avesse partecipato a quella festa e di conseguenza non avesse conosciuto mio padre. Se i loro occhi non si fossero sfiorati, per perdersi e ritrovarsi poco dopo, stretti l’uno nell’altra. Mia madre rimase subito affascinata da quel ragazzo più grande di lei, agli inizi della sua carriera, ma già con ottime prospettive di successo.
Era un artista, un voyageur
, un avventuriero, un traghettatore di anime
. Riusciva a catturare con le melodie sprigionate dalla sua chitarra classica, ultimo ricordo che lo teneva legato a suo padre.
Con la sua morte, considerò quell’oggetto come l’unica cosa che lo potesse tenere ancora attaccato alla vita. Ci si aggrappò con tutto se stesso, fino a che, non divenne la sua unica confidente, alla quale poter riversare le sue tensioni, confessarle dei suoi amori e raccontarle dei suoi sogni. Mio padre faceva parte di una band che riscuoteva un notevole successo. In quell’estate del ’83 si ritrovarono a Roma, come ultima tappa del loro tour europeo, dopo aver toccato città come Belgio, Londra, Berlino, Madrid.
Altre città internazionali avrebbero accolto a braccia aperte la loro musica. Pensavo anche a cosa sarebbe accaduto se le date del concerto di Roma fossero state cancellate e mio padre con la sua band non avessero fatto tappa nella mia città, ma altrove.
Pensavo in continuazione alla mia vita affollata dai se
, perché fino a quel momento, Lei era stata tutt’altro che benigna, con me. Ricordavo perfettamente la lezione della mia professoressa di lettere al Liceo. L’unica lezione alla quale la professoressa Cruciani abbia goduto della mia partecipazione ed attenzione.
Leopardi, con la dualità della sua visione naturalistica, mi fece sentire meno sola. Non ero solo io quella che stava soffrendo, quella che considerava ingiusta la vita. Le sue opere furono per me la madre mai avuta, accanto, sebbene nel corso degli anni abbandonai la concezione completamente pessimistica, per abbracciarne una più luminosa e ottimistica dell’homo faber fortunae suae. Se non io, chi altri poteva portarmi via dalla vita che mi era stata concessa, dandole il giusto vigore e condurla verso la rotta della felicità?
Mio padre aveva un’indole che, non solo a causa della carriera, lo portava a spostarsi di continuo, a non appartenere a nessun luogo, perché in ogni luogo si sarebbe ritrovato. Era un anti-conformista, con un grande animo, anche se abbandonando mia madre e me, non lo faceva apparire ai miei occhi come il The Saint
di cui parlavano le riviste di gossip. L’unica foto che avevo di lui era quella di una vecchia copertina dell’epoca, che lo ritraeva come il bello ed impossibile. I capelli lunghi neri, gli stessi che ho