La giovinezza che rende vivi: La strana storia di un detective interinale e della nubilosa primordiale
By Tiziana La Monaca and Paola Santini
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La giovinezza che rende vivi - Tiziana La Monaca
1
FRANCO SCARPA
Di Franco Scarpa bisogna dire che non era un modello di detective.
Non il fascinoso ma solitario Marlowe, non il lancinante e malinconico Maigret. Non apparteneva alle ultime generazioni di spiantati veri e propri in cerca di guai, non era nemmeno un bruto. Era un tipo che, pur non dandone l’apparenza, arrancava. Detective della Ignoranza Grassa Srl − Investighiamo su quello che volete, ma mai in profondità
, era precario, cioè era lì come lavoratore interinale. La Ignoranza Grassa
seguiva il moderno filone del non approfondire mai, cascasse il cielo, ma Franco era un intelletto fino, interinale, ma fino. Essere dinanzi ai brandelli di un corpo difficile da identificare, veri brandelli ridotti ai minimi termini, spappolato in tale stato presumibilmente da Zanna Bianca − ignoto serial killer così etichettato per la sua ferina lupaggine − non lo atterriva, non ne faceva un amministrativo del crimine, ma solleticava qualcosa nella sua anima che non era però ancora coscienza.
O forse, meglio, erano i 3 cent lasciati al solito presso il macello, che solleticavano qualcosa in lui.
La polizia locale allontanò i curiosi, compreso lui, la curiosità… che disturbo…
Franco annotò qualcosa sul taccuino e si avviò verso lo scooter. Conservò l’odore di rosticceria cattiva proveniente dal luogo del delitto, la propria diligenza, un programma di lavoro.
CAPITOLO 2
LA NUBILOSA PRIMORDIALE
[Da cui il sottotitolo titolo del libro]
Non fece in tempo a tirare fuori la chiave dalla tasca, che all’improvviso gli si annebbiò la vista, sentì come una vampata di calore salirgli alla testa e si trovò steso orizzontale con gli occhi sbarrati Le sue pupille disegnavano traiettorie vaghe alla ricerca di una qualsiasi forma di salvezza. Una craniata pazzesca. Franco Scarpa era svenuto nei pressi del luogo del delitto.
L’odore nauseabondo del sangue ancora una volta lo aveva aggredito senza dargli scampo, attanagliandolo alla gola fino dalle narici.
Ora era steso sull’asfalto appena tiepido e comunque appiccicoso della tarda primavera romana, negli occhi ancora la visione oscena di un corpo sventrato, pezzi di interiora, arti squarciati e umano affettato misto.
Davvero la scena del crimine era orrenda ed orrenda la figura di fronte a lui.
Forse gli stava parlando, forse gli stava chiedendo qualcosa, ma Franco faceva fatica ad organizzare nel cervello le parole che rimbombavano disarticolate nella testa.
Ecco, la figura di fronte cominciava a prendere forma.
Una vecchia, forse.
La sua faccia gli ricordava il crollo di una diga, proprio come aveva sentito in una canzone (ma quale? di chi?) e ondeggiava paurosamente dinanzi a lui.
All’improvviso qualcosa di gelido sul volto, una specie di lama tagliente gli squarciò il respiro. Acqua gelata sulla faccia. La vecchia si accaniva su di lui e gli gettava ancora una secchiata di acqua gelata.
«Così va meglio, ragazzo?» fece la decrepita.
Così. Va. Meglio. Punto interrogativo.
Allo scoccare della terza secchiata d’acqua gelata Franco Scarpa, il nostro eroe, il nostro detective interinale, era svenuto per la seconda volta.
Negli occhi una valanga di puntini luminosi, una miriade di stelle, la nubilosa. Sì, la nubilosa primordiale.
Franco Scarpa andava elucubrando sui propri sensi e sulla perdita dei medesimi, ricordava dello stato di sensatezza precedente allo svenimento solo odori nauseabondi, frutta fracicata
come solo nei vicoli di Roma accade, frittata bruciata nel burro scadente, vomito invecchiato.
Ricordava minimi brani di un corpo una volta vivo sparsi nell’erba, giallo, rosso e verde, come il semaforo. Il risveglio era stato dettagliato dal viso della vecchia, oltre che orribile, anche ossessiva con quel Così va meglio
. Il brivido dell’acqua fredda ricevuta addosso come viatico per la coscienza gli aveva però aperto i pensieri.
Dipendente interinale di una società investigativa, appartamento condiviso con altri tre desperados, di cui uno di mestiere sceneggiatore di opere porno. No, nessuna lamentela, ma la laurea e il master in filosofia non erano stati impiegati affatto per ora, non servivano. Forse un giorno (ma quando? ma dove?) forse un giorno sarebbero serviti.
La vecchia aveva smesso di ripetere le sue domande in litania. Lo guardava con una specie di attesa sporgendo i denti dell’arcata inferiore. Attaccò: «Stai cercando in una direzione sbagliata il tuo assassino, i giornali elencano almeno cinque delitti da attribuirgli: tutti i cadaveri sono talmente irriconoscibili da non rendere possibile nemmeno una perizia autoptica; mancano pezzi: tu cerchi qui nella mia corte, ma che credi… cosa immagini…»
Franco Scarpa riprese a pensare al dottor Ottone De Verdis (brillante laureato on line), il suo capo che aveva imboccato la strada di un unico serial killer essendo stato incaricato dai servizi segreti (vari) di venire a capo dei delitti atroci e recenti e che aveva rimbalzato il problema su di lui. Doveva dimostrare la tesi del mostro sanguinario che uccideva in modo quasi esplosivo. Non c’erano altre tesi… Esplosivo, come poteva ridurre in atomi un corpo intero in quel modo?… Che pazienza aveva?…
Ottone. Al solo pensiero un senso di fastidio fisico si impadroniva di lui. Uno stato insieme di ansia e di fastidio.
D’altronde questo era l’effetto del suo stile manageriale: la minaccia.
L’argomento più usato quando Scarpa si mostrava recalcitrante: la restituzione delle chiavi. «Se non sei d’accordo, Scarpa, vieni qui a restituirmi le chiavi.» Diceva Ottone.
Variante: «Guarda Scarpa che io non ho problemi: c’è la fila di gente pronta a prendere il tuo posto».
Di questa fila naturalmente non vi era alcuna traccia, ma tant’è.
Infine e nella peggiore delle ipotesi: «Scarpa mi fai tanto ridere».
Ottone non avrebbe mai riconosciuto un suo errore, né avrebbe mai riconosciuto un merito altrui. Non dare mai alcuna soddisfazione era il suo motto, il resto sono chiacchiere (completava il motto).
Dunque, per Franco Scarpa molta confusione, interiore ed esterna a sé.
Ricordava di essere svenuto, di avere sbattuto violentemente la testa, ricordava l’acqua gelata sulla faccia, ed una orribile vecchia di fronte a lui.
Ricordava di aver pensato alla fine del mondo prima e poi al Big Bang, alla magica esplosione della nubilosa primordiale da cui tutto aveva avuto inizio, perché intorno a lui non distingueva nulla se non milioni di piccole luci impazzite.
E la vecchia che gli sollevava il capo, delicatamente: «E va bene, amico mio, chiamami pure come ti pare, va bene così, va bene anche Nubilosa, tanto, per quello che m’importa, ho dimenticato pure di averlo un nome, io».
Sulle labbra di Scarpa si increspava un sorriso in risposta a una smorfia di tenerezza della vegliarda. La Nubilosa si era commossa come si commuoveva nel guardare i vermi sul pavimento della sua casa la sera dopo cena. I bruchi, i lombrichi, le blatte e i bigattini strisciavano sul pavimento come fanno i sobri cittadini delle città quando pieni di compunzione per il proprio ruolo e per le proprie convinzioni brulicano di metrò in metrò.
Zanna Bianca da cercare, individuare, colorare come su «La Settimana Enigmistica», per ordine del capo che aveva preso impegni per conto di Franco senza informarlo prima.
La Nubilosa aprì la porta della sua stamberga dove aveva trascinato il detective stordito e invitò con un gesto della mano Franco ad uscire, gli dischiuse davanti i profumi della campagna in risveglio e la libertà. La libertà… La Nubilosa gracchiò: «Sei libero, per carità, i poliziotti sono andati già via con i resti del povero cadavere e le sirene spiegate, vai anche tu… a cercare in pace…»
CAPITOLO 3
GLI ALTRI
Franco Scarpa, dopo aver guidato il suo cinquantino di multipla mano, giunse a casa.
All’interno Atessa, la fidanzata del pornografo Sifone, Ivano Sifone, recitava un rosario perché convinta che fosse l’unica pratica praticabile. Il solito disordine regnava intorno alla Statua, uno dei coinquilini, diremmo il più immobile degli inquilini, che dalla propria immobilità porse a Scarpa un Post-it con un numero di telefono: "Ti cercano da ieri e sinceramente mi sono rotto i